Dopo mezzo secolo il dottor Giorgio Carbognin, responsabile medico di Casa Nogarè, appende idealmente il camice al chiodo. Con lui va in pensione anche un pezzo di storia dell’ospedale di Negrar

E’ un saluto sereno, velato da un po’ di malinconia, anche se mitigata dalla prospettiva di avere più tempo per camminare e sciare sulle sua amate montagne della Val Badia.

Il dottor Giorgio Carbognin dopo cinquant’anni lascia l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e appende il camice al chiodo. Idealmente, perché quando si è medici, si è medici per sempre.

Ci riceve nel suo studio, al primo piano di Casa Nogarè, dove dal 2002 è responsabile medico della struttura, su cui gravitano una Casa di riposo, una Residenza Sanitaria Assistenziale e una Speciale Unità di Accoglienza Permanente, dedicata alle persone in stato vegetativo.

Dal suo racconto prende forma la storia dell’ospedale di Negrar, che ha dell’incredibile se la si guarda con gli occhi di oggi. “Ha avuto uno sviluppo prodigioso”, dice il dottor Carbognin senza esitazioni. “Nessuno può capirlo se non ha vissuto questi cinquant’anni. Quando ho iniziato al “Sacro Cuore” e al geriatrico “Don Calabria” lavoravano in tutto nove medici – sottolinea -. I primari Luigi Vantini (Geriatria), Bortolo Zanuso (Chirurgia generale), Augusto Cavalleri (Medicina interna), Claudio Nez (Ginecologia), e Dario Salgari (Radiologia)Ad affiancarli eravamo noi giovani: Gastone Orio, anestesista e poi direttore sanitario, Nereo Pavoni, nominato in seguito primario della Pediatria, ed io. Non era come adesso, si faceva un po’ di tutto: sono stato anche assistente in sala operatoria ed entravo in sala parto quando ce n’era bisogno. Affrontavo con entusiasmo anche venti guardie al mese”.

Il giovane medico Giorgio Carbognin è arrivato in Valpolicella nel 1966 chiamato da don Luigi Pedrollo, il primo successore di san Giovanni Calabria (foto 1).

“Quando don Luigi venne a cercarmi – racconta – lavoravo all’ospedale di Merano. Mi disse di presentarmi da fratel Oliviero Prospero, che era il responsabile della struttura di Negrar. Avevano bisogno di qualcuno che si occupasse del reparto di Ginecologia. Accettai e mi iscrissi subito alla scuola di specializzazione di Ginecologia, ma mi accorsi presto che non era proprio la mia strada. Così quando il dottor Cavalleri manifestò la necessità di un medico in Medicina che lo affiancasse, divenni il suo aiuto. Di conseguenza dalla specializzazione in Ginecologa passai a Parma a quella di Medicina interna e successivamente portai a termine anche quella in Cardiologia”.

Dopo alcuni anni da aiuto, al dottor Carbognin fu proposto da fratel Pietro Nogarè il primariato del Geriatrico. “Era il 1972: avevo 33 anni ed ero il più giovane primario d’Italia”.

Allora il Geriatrico comprendeva l’intera struttura del “Don Calabria”: sei piani interamente dedicati ai pazienti anziani.

All’inizio ero l’unico medico – prosegue – poi sono arrivati il dottor Gianfranco Rigoli e il dottor Giorgio Salvi. Insieme abbiamo pensato e poi proposto all’amministrazione di trasformare l’ospedale in una struttura per lungodegenti con indirizzo riabilitativo. La prima di questo tipo in Italia. Un progetto che teneva conto della condizione degli anziani a lungo allettati per una frattura o un intervento chirurgico oppure una severa broncopolmonite. Allora non esistevano strutture che grazie alla riabilitazione li riportasse all’autonomia. Con la trasformazione del Geriatrico intendevamo proprio colmare questa lacuna”.

Nasce così il primo nucleo dell’attuale Dipartimento di Riabilitazione, oggi centro di riferimento a livello nazionale soprattutto per le mielolesioni e gli esiti da trauma cranico.

Con il passare degli anni al “Don Calabria” trovarono spazio anche l’Oncologia e altre specialità, tra cui il Centro per le Malattie Tropicali. “Io assunsi la direzione del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa che mantenni fino al 2002 quando, raggiunta l’età pensionabile, la direzione mi chiese di occuparmi di casa Nogarè”.

Il 31 dicembre il dottor Carbognin passa il testimone al dottor Giovanni Vantini, figlio di Luigi, “uno dei miei tanti maestri”.

“Lavorare in questo ospedale per cinquant’anni è stata un’esperienza meravigliosa – afferma – Ringrazio sempre Dio di avermi dato questa opportunità. Per me è stata una gioia, non mi è mai costato fatica, anzi. Anche grazie all’ottimo rapporto che ho avuto con le varie direzioni che si sono succedute, con i colleghi e con il personale. Questo ospedale è per me una seconda casa e una famiglia”.

Nel cuore tante “persone meravigliose”. “Sono stato il medico di don Pedrollo, oserei dire un santo, che ho accompagnato fino all’ultimo istante della sua vita – dice orgoglioso -. Come lo sono stato di tanti fratelli calabriani. Prima di diventare primario ero il medico anche dei ragazzi di Casa Nazareth a San Zeno in Monte. Ho avuto la fiducia professionale e l’amicizia di uomini e pastori eccezionali, come i vescovi Giuseppe Carraro e Giuseppe Amari.(foto 2)

Non credo che avrei potuto desiderare di più. A tutti coloro con cui ho diviso questo lungo tratto di strada va la mia più grande riconoscenza”.

elena.zuppini@sacrocuore.it