Emicrania e abuso di farmaci: il "lavaggio"che cambia la vita

L’overuse di antidolorofici è una condizione in cui si trovano molti pazienti con un’emicrania cronica invalidante, che causa un peggioramento della sintomatologia e un alto rischio per la salute. Presso la Neurologia si effettua una vera e propria disintossicazione, da cui non si può prescindere per iniziare  un nuovo, e vero, percorso di cura

Quando il farmaco che dovrebbe sollevarti dal dolore diventa esso stesso causa del dolore. E’ la condizione in cui si trovano gli emicranici cronici che si rivolgono al Centro cefalee dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria perché assuefatti agli antidolorifici. Lo scorso anno sono stati un’ottantina. Il Centro è uno dei pochi in Italia – il 40% dei ricoveri proviene da fuori regione –  che effettua il trattamento di disassuefazione dei pazienti in una situazione di abuso di farmaci a causa di un’emicrania cronica invalidante. Nel reparto di Neurologia, diretto dal dottor Fabio Marchioretto, viene effettuata una vera e propria disintossicazione, da cui non si può prescindere per uscire da un circolo vizioso caratterizzato da dolore cronico quotidiano e abuso di farmaci e poter poi reimpostare una nuova terapia.

Dottor Marchioretto, quando si può dire che una persona emicranica abusa di farmaci?

La classificazione internazionale delle cefalee ICHD-III definisce overuse un consumo superiore a 15 antidolorifici/analgesici al mese per almeno 3 mesi consecutivi. Nella nostra Unità Operativa di Neurologia ricoveriamo in realtà pazienti che superano abbondantemente questo limite. Il caso più eclatante è stato quello di un uomo che assumeva oltre 350 antidolorifici al mese, il che significa più di 10 al giorno tutti i giorni.

Cosa succede al nostro corpo se abusiamo di antidolorifici?

Si innesca un meccanismo definito effetto rebound, letteralmente rimbalzo, cioè è il farmaco stesso a scatenare il mal di testa a causa dell’assuefazione: una sorta di cefalea indotta da fine dose per cui ogni assunzione di antidolorifico, percepita come assoluta necessità dal paziente sofferente, aiuta a gestire il dolore attuale ma è la causa del dolore del giorno dopo. A quel punto l’unica strada da percorrere è ciò che potremmo definire un “reset”, cioè uno stop a questo meccanismo che oltre a peggiorare la sintomatologia facendo cronicizzare il dolore, comporta anche danni all’organismo soprattutto stomaco, fegato e reni. Il reset è un passaggio impegnativo per il paziente ma indispensabile. Esso dà risposta a persone sofferenti che a causa di una cefalea invalidante hanno un’esistenza triste e dolorosa.

Al di là del numero dei farmaci, qual è il campanello di allarme che dovrebbe allertare il paziente sul pericolo di abuso?

Il passaggio dal consumo normale a quello eccessivo avviene quando si inizia ad assumere il farmaco in modo anticipatorio; su questo punto è necessario fare molta chiarezza. Il trattamento delle emicranie prevede una terapia preventiva stabilita dal medico in accordo con il paziente. La prevenzione “fai da te” del paziente, invece, non è altro che l’anticipazione dell’assunzione del farmaco antidolorifico nel timore di un attacco che potrebbe condizionare negativamente, se avvenisse, un appuntamento di lavoro o un impegno importante. ‘Prendo la pasticca perché non si sa mai’ e questo è la spia di un atteggiamento psicologico che apre le porte ad una condizione di abuso.

In cosa consiste questo ‘reset’?

Il paziente viene ricoverato per 10 giorni e viene gestito il dolore senza antidolorifici. L’astensione dai farmaci lo porta ad avere picchi di mal di testa di forte intensità a volte quasi insopportabili e ingestibili senza un supporto multimodale controllato. Nei primi giorni vengono prescritti bassi dosaggi di cortisonici, ansiolitici, diuretici osmotici ed antiemetici a cui si associa un supporto psicologico e psicoterapico ad opera di un professionista del Sevizio di Psicologia che collabora con noi. Nelle successive ore si procede con l’idratazione per via parenterale, attraverso flebo, con polivitaminici, detossificanti e sali minerali che ha lo scopo di un vero e proprio lavaggio, wash-out. A quel punto il paziente è pronto per la terapia preventiva. La nostra maggiore soddisfazione, come medici e personale di supporto, è di poter riportare la serenità e il sorriso in persone che stavano ormai per arrendersi ad una condizione senza apparenti vie d’ uscita.

Il reset è definitivo?

Non per tutti i pazienti. Le recidive sono circa il 25%, ma è un procedimento che si può ripetere.

Vi è un aumento di abuso di farmaci?

Sicuramente, anche a livello internazionale, si registra un trend di crescita. Casi di overuse sono in aumento perché sono in aumento gli emicranici cronici. Le cause molto probabilmente sono gli stili di vita. Non dimentichiamo che il picco di prevalenza dell’emicrania è tra i 30 e i 50 anni, l’arco temporale di massima progettualità individuale, familiare e lavorativa, che richiede impegno e non è certo priva di stress. E ad essere più colpite sono le donne in un rapporto 3:1 rispetto ai maschi.


Test per la ricerca degli anticorpi anti-Covid-19 per privati e aziende

Da oggi, 11 maggio, anche i privati cittadini possono prenotare il test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti Covid-19 che viene effettuato nel Laboratorio di analisi cliniche dell’IRCCS  Ospedale Sacro Cuore Don Calabria 

Da oggi, lunedì 11 maggio, è possibile effettuare la prenotazione del test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti-CoVid 19 anche per i privati cittadini. Il servizio per le aziende è già attivo dalla scorsa settimana. Per una migliore informazione precisiamo che:

  • La prenotazione: 
    Aziende: 045.6013070 oppure liberaprofessione@sacrocuore.it
    Privati cittadini: www.sacrocuore.it bottone sulla home page “Prelievo senza coda”
  • Impegnativa del medico
    No. Non è prevista per la Regione Veneto l’impegnativa del medico. I test vengono effettuati privatamente
  • Costo
    sia per le Aziende che per i privati 40 euro (tariffa in vigore da ottobre 2020)
  • Tipo di test
    E’ un test sierologico quantitativo di laboratorio NON un test rapido. In altre parole non individua solo la presenza degli anticorpi anti-CoViD-19 IgM e IgG ma ne misura anche la quantità
  • Come avviene
    Con un prelievo di sangue venoso e non periferico, cioè non tramite la puntura di un dito. Non è richiesto il digiuno


Il 1 ottobre l'accettazione della Radiologia si trasferisce nel nuovo ingresso

Prosegue la ricollocazione dei Servizi nell’ingresso unico dell’Ospedale. A partire da giovedì 1 ottobre l’accettazione per tutti gli esami radiologici trova collocazione nella nuova struttura con entrata pedonale da viale Rizzardi

Con l’apertura dell’ingresso unico dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria le accettazioni e le prenotazioni dei vari Servizi sono state progressivamente spostate nella nuova struttura per rendere più fruibile il percorso del paziente. Il 1 ottobre è la volta della Radiologia, la cui accettazione/prenotazione non sarà più al primo piano del “Sacro Cuore”.

Prima di effettuare un esame radiologico – radiologia convenzionale, mammografia, ecografia, Tac, Risonanza Magnetica e Densitometria –  è quindi necessario recarsi al piano terra del nuovo ingresso e prelevare dal totem il numero di chiamata, che comparirà sul monitor al momento di recarsi allo sportello. Una volta effettuata l’accettazione (e l’eventuale pagamento del ticket) prendere il “percorso rosso” che porta all’ospedale “Sacro Cuore”, dove al primo piano è collocata la Radiologia.

Si ricorda che il piano terra del nuovo ingresso è raggiungibile direttamente (tramite scale o ascensori) dai parcheggi che si trovano sotto la struttura con entrata da via Ghedini (la quarta uscita della grande rotonda con Meridiana). Il parcheggio è gratuito per  i primi 15 minuti, poi il costo è di 1 euro all’ora e 30 centesimi per i quarto d’ora successivi. Gratis per i disabili muniti di tesserino. I piani -1 e -2 sono dotati di telepass.

Su ogni piano dei parcheggi sono disponibili delle carozzine per coloro che hanno difficoltà di deambulazione. Così come all’ingresso della nuova struttura dove è presente anche del  personale dedicato all’assistenza (riconoscibile dalla casacca amaranto con scritto ‘assistenza’) per accompagnare i pazienti in caso di necessità.


Quando mancano le lacrime: la sindrome dell'occhio secco

Sensazione di bruciore e di corpo estraneo negli occhi, fotofobia, rossore oculare… sono tutti sintomi della cosiddetta sindrome dell’occhio secco. A volte sono solo un fastidio, altre condizionano la quaotidianità di chi ne soffre. Ecco quali sono le cause e i possibili rimedi. Intervista all’oculistica Enrico Bruni

La sindrome dell’occhio secco. Nulla di grave per la vista, ma i sintomi possono condizionare la quotidianità di chi ne soffre. Ne parliamo con il dottor Enrico Bruni, oculista dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

Dottor Bruni, la sindrome dell’occhio secco: di cosa si tratta?

E’ una condizione comune dell’occhio che si verifica quando le lacrime non sono in grado di fornire un’adeguata lubrificazione degli occhi. Questo può essere dovuto a varie cause, per esempio se non si producono sufficienti lacrime o se ne producono di scarsa qualità.

Quali sono i sintomi?

Di solito la sindrome colpisce entrabi gli occhi e si manifesta con vari sintomi. Tra questi: sensazione di bruciore e di corpo estraneo negli occhi, fotofobia, rossore oculare, difficoltà a portare le lenti a contatto e visione offuscata. Anche l’iperlacrimazione a volte si può manifestare come risposta dell’organismo all’irritazione dell’occhio. Nei casi più lievi si tratta quindi solo di un fastidio, ma in quelli più gravi questi sintomi impattano sulla qualità di vita delle persone con complicanze come infezioni ed abrasioni corneali.

Quali sono le cause?

Questa condizione è provocata dalla mancanza di una lacrimazione adeguata sia in termini qualitativi che quantitativi. Le lacrime infatti sono un insieme complesso di acqua, muco e lipidi. Questa miscela rende la superficie degli occhi liscia e aiuta a proteggere l’occhio dalle infezioni. In alcuni pazienti quindi la causa dell’occhio secco è la ridotta produzione di lacrime, per altri invece è l’aumentata evaporazione delle stesse e lo sbilanciamento dei suoi componenti. Le cause comuni di ridotta produzione di lacrime sono l’età, alcune patologie come il diabete, la sindrome di Sjogren, disturbi della tiroide e l’ artrite reumatoide. Anche un danno a livello delle ghiandole lacrimali può provocarne una riduzione della produzione. Il fumo, il vento o l’aria secca invece possono provocare  un’aumento dell’evaporazione delle lacrime così come patologie legate alle palpebre come ectropion o entropion.

L’uso prolungato del computer può essere una causa scatenante della sindrome?

Quando si utilizza il computer o si è concentrati a leggere o guidare, si tende a sbattere le palpebre meno frequentemente e questo può provocare un aumento dell’evaporazione delle lacrime e l’insorgenza o il peggioramento della sintomatologia.

Per quanto riguarda le lenti a contatto?

Le lenti a contatto rappresentano un fattore di rischio per l’insorgenza dell’occhio secco. Essendo direttamente a contatto con l’occhio, l’utilizzo prolungato può alterare il film lacrimale e provocare l’insorgenza della sintomatologia.

Quali sono le terapie per la sindrome dell’occhio secco?

La terapia deve essere mirata all’eliminazione dei fattori di rischio combinata con l’instillazione di sostituti lacrimali sotto forma di colliri a base di acido ialuronico. Spesso la terapia deve essere continuata per un tempo indefinito per il controllo dei sintomi.

Nella foto qui sotto il dottor Enrico Bruni


Don Luigi Pedrollo: si chiude il processo diocesano di canonizzazione

Domenica 20 settembre si è concluso il processo diocesano di canonizzazione di don Luigi Pedrollo, il successore di don Calabria sotto la cui guida venne costruito anche l’ospedale geriatrico “Don Calabria” di Negrar. Ora gli atti passeranno alla Congregazione delle cause dei santi.

Domenica 20 settembre si è conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio don Luigi Pedrollo, vicario e primo successore di don Giovanni Calabria alla guida dell’Opera da lui fondata. Il rito giuridico di chiusura si è svolto nella basilica di Sant’Anastasia, al termine di una S. Messa presieduta dal vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti e concelebrata dal Casante dell’Opera padre Miguel Tofful (vedi video della cerimonia in fondo a questo articolo).

Don Pedrollo è una figura carismatica molto nota a Verona, che dapprima affiancò don Calabria e poi fu il continuatore della sua Opera a favore dei poveri e dei sofferenti, diventando consigliere e punto di riferimento spirituale per tantissimi veronesi. Fu lui a realizzare il lontano desiderio di don Calabria di aprire la Congregazione all’attività missionaria (la prima missione venne fondata in America Latina nel 1959; oggi l’Opera è presente in 12 Paesi e in tutti e 5 i continenti). Fu sempre sotto la sua guida che vennero realizzati il Centro Don Calabria di via Roveggia (oggi trasferito in via San Marco) e l’ospedale geriatrico “Don Calabria” di Negrar (nella galleria fotografica in fondo pubblichiamo alcune foto storiche di don Pedrollo a Negrar).

Il processo diocesano era stato aperto il 15 giugno 2018 con la nomina della commissione d’inchiesta, guidata dal delegato vescovile don Tiziano Bonomi, e con la scelta dei periti storici. Postulatore è Paolo Vilotta coadiuvato dal religioso calabriano fratel Mario Grigolini In questi due anni sono stati sentiti 48 testimoni così suddivisi: 13 religiosi e 3 religiose dell’Opera Don Calabria, 2 vescovi, 3 parenti, 12 religiosi, religiose e sacerdoti della Diocesi, 15 laici. Inoltre sono stati esaminati i numerosissimi scritti, editi e non, che don Pedrollo ha lasciato nella sua lunga vita, quali diari, corrispondenza privata, lettere circolari, quaderni di appunti, deposizioni, contributi ai Capitoli, cronache della casa…

Ora gli atti, sigillati nel rito di chiusura, sono stati portati dal postulatore a Roma alla Congregazione delle cause dei santi, dove verranno esaminati e, se approvati, ci sarà il riconoscimento delle virtù eroiche di don Pedrollo che diventerà “venerabile”.

“La chiusura della fase diocesana del processo di don Pedrollo è una grande gioia per tutta la Famiglia Calabriana – ha detto padre Miguel Tofful, Casante dell’Opera – don Luigi per noi rappresenta la figura del sacerdote come lo voleva don Calabria: umile, traboccante di carità, determinato e con una enorme fiducia nella Divina Provvidenza. Possiamo dire che egli sia l’incarnazione dello spirito puro e genuino della nostra Opera ed è una persona che nella sua vita ha fatto del bene a tantissime persone, tanto che ancora oggi moltissimi veronesi si ricordano di lui”. Maggiori informazioni si possono trovare anche sul sito dell’Opera: www.doncalabria.it.


Mille trattamenti radioterapici con Unity: ottima risposta di efficacia e tollerabilità

Oltre mille trattamenti effettuati su centosessanta pazienti, risultati terapeutici positivi e una buona qualità di vita nel corso delle cure, anche per il minor numero di sedute necessarie. E’ il bilancio di poco meno di un anno sull’impiego MR-Linac “Unity”, l’innovativo macchinario, unico in Sud Europa, che unice un acceleratore lineare e una RM

Oltre mille trattamenti effettuati su centosessanta pazienti, risultati terapeutici positivi e una buona qualità di vita nel corso delle cure, anche per il minor numero di sedute necessarie. E’ il bilancio di poco meno di un anno sull’impiego MR-Linac “Unity”, l’innovativo sistema per la radioterapia oncologica di precisione, utilizzato per la prima volta nel Sud Europa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Nel Vecchio Continente sono stati installati solo 7 macchinari di questo tipo, 20 nel mondo. (vedi video in fondo a questo articolo)

MASSIMA PRECISIONE DI TRATTAMENTO GRAZIE A UNA RISONANZA MAGNETICA A “BORDO”

L’acceleratore lineare, unico nel suo genere in Italia, è dotato a bordo di una Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 Tesla), la stessa che viene utilizzata a scopo diagnostico dai radiologi. Una rivoluzione tecnologica – convivono in una stessa macchina radiazioni ionizzanti e campo magnetico –  che non vincola più l’intero ciclo di cura al piano terapeutico effettuato il “giorno zero” tramite TC, ma grazie alla RM consente al radioterapista oncologo di modificare anche nel corso della stessa seduta la direzione e la distribuzione della dose del fascio radiante. Questo in base alla posizione e alle caratteristiche del bersaglio tumorale, sottoposte a variazioni a causa del movimento fisiologico degli organi interni, come per esempio il riempimento della vescica e del retto per quanto riguarda il tumore alla prostata. Il tutto in totale sicurezza per il paziente, in quanto, a differenza della TC, la RM può essere ripetuta anche più volte al giorno perché non utilizza raggi x ma campi magnetici.

TUMORE ALLA PROSTATA: DA SETTE SETTIMANE DI CURA A 5 GIORNI

“Con Unity vengono superati i limiti della radioterapia di precisione o stereotassica”, afferma Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar e professore associato della facoltà di medicina all’Università di Brescia. “Con i sistemi convenzionali, proprio per il naturale movimento degli organi, eravamo costretti a irradiare una zona più ampia rispetto al tumore e con dosi minori per non danneggiare porzioni di tessuto sano necessariamente coinvolte. Grazie all’innovativo utilizzo delle immagini ad alta risoluzione della RM prima e durante ogni seduta – precisa il medico – possiamo indirizzare con precisione millimetrica dosi di radiazioni tali da neutralizzare le cellule tumorali, senza coinvolgere i tessuti sani e con un minor numero di sedute. Con i sistemi convenzionali, il ciclo di cura per la neoplasia prostatica prevede una seduta giornaliera per 6-7 settimane, con “Unity” siamo passati a 5 giorni, come stabiliscono i protocolli nazionali ed internazionali”.

MILLE SEDUTE E 160 PAZIENTI: RISULTATI CLINICI  PRELIMINARI SODDISFACENTI

Dall’ottobre del 2019 la Radioterapia Oncologica Avanzata di Negrar ha sottoposto a trattamento più di 160 pazienti (102 con tumore alla prostata e 59 con metastasi per altre neoplasie), per un totale di oltre mille sedute. “La radioterapia con Unity si sta confermando un’alternativa non invasiva all’intervento chirurgico per casi selezionati di tumore alla prostata – prosegue -. Intervento che, per quanto accurato, può comportare rischi di incontinenza urinaria e di disfunzione erettile. Con Unity, invece, 9 pazienti su 10 dopo solo 5 sedute hanno registrato un significativo calo del valore PSA nel sangue, indicatore indiretto della malattia oncologica e, secondo diversi studi, fattore predittivo di risposta a lungo termine. Mentre al primo controllo PET  7 pazienti su 10 affetti da una o più metastasi addominali e pelviche hanno riportato una remissione o totale scomparsa della sede attiva di malattia, rispetto allo stesso esame effettuato precedentemente al trattamento. Finora non si sono verificati effetti collaterali gravi anche nei soggetti più fragili, come rilevano i dati che il 10 ottobre presenteremo al web meeting del consorzio delle strutture che utilizzano questa tecnologia”. Tra queste il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, il MD Anderson Cancer Center di Houston e il Royal Marsden di Londra.

BUONA QUALITA’ DI VITA DURANTE LE CURE: LO DICONO I PAZIENTI

La qualità di vita durante le cure è stato un altro ambito indagato in questo primo anno di esperienza clinica. “I questionari somministrati a ogni paziente hanno rilevato una buona qualità di vita durante il trattamento per tutte le fasce di età, compresi i più anziani e fragili per presenza di altre patologie concomitanti. I dati clinici emersi sono stati pubblicati sul Journal of Cancer Research and Clinical Oncology, su Acta Oncologica e su Radiation Oncology”.

PROSSIMO OBIETTIVO: IL TRATTAMENTO DEI PAZIENTI GIA’ SOTTOPOSTI A RADIOTERAPIA

La sfida ora sono i pazienti con recidiva tumorale già sottoposti in passato a radioterapia. “Grazie alla guida di precisione della RM possiamo escludere o ridurre l’esposizione dei tessuti già irradiati per minimizzare gli effetti collaterali – conclude il primario -. Abbiamo infatti iniziato a trattare sedi non solo come la prostata o le ricadute linfonodali e ossee in pelvi e addome, ma anche il distretto toracico e recentemente anche quello cerebrale”.

LO STUDIO CON LA REGIONE VENETO

Molti dei 160 pazienti curati sono stati arruolati per lo studio prospettico e osservazionale, ancora aperto, per il quale la Regione Veneto ha incaricato l’IRCCS di Negrar di definire un modello di utilizzo ottimale della risorsa Unity (personale necessario, processo organizzativo, tempi di trattamento e potenziali ricadute sul Sistema Sanitario Nazionale) anche per quanto riguarda tumori come quello del pancreas e del fegato.


La sicurezza delle cure, priorità della salute globale

Il 17 settembre si celebra la seconda Giornata nazionale per la sicurezza delle cure e della persona assistita. Gli eventi avversi in sanità si possono prevenire non totalmente, ma in una percentuale stimata attorno al 40-50%. Ad oggi non esistono evidenze che si possa arrivare al rischio zero; esistono evidenze che laddove c’è un impegno di tutti nell’applicare le raccomandazioni specifiche emergenti dagli studi scientifici gli ‘incidenti in corsia’ si possono dimezzare 

Il 17 settembre si celebra la seconda Giornata nazionale per la sicurezza delle cure e della persona assistita, promossa dal Ministero della Salute, dalla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS).

La data del 17 settembre coincide con la Giornata mondiale della sicurezza dei pazienti, voluta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Con l’iniziativa si vuole evidenziare come la sicurezza dei pazienti sia una priorità di salute globale e sensibilizzare i Paesi ad adottare le azioni mirate per prevenire gli errori evitabili nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie ai danni del paziente

Perché la sicurezza delle cure e della persona assistita merita un’attenzione a livello globale? Ecco in alcuni punti le risposte (fonte www.salute.gov.it).

  1. Un paziente su 10 tra quelli ospedalizzati va incontro a un evento avverso; ma fortunatamente solo una minima parte riporta danni permanenti o morte; l’OCSE stima che il 6% delle giornate di degenza ospedaliera sia dovuto a eventi avversi derivati da attività ambulatoriale e cure primarie; globalmente eventi avversi di questo tipo rientrano nelle prime 10 cause di morte e disabilità nel mondo (OMS);
  2. E’ poco accettabile da parte dei pazienti, ma anche da parte dei professionisti, che lo sforzo e l’impegno per risolvere un problema di salute possa comportare un rischio, un evento avverso o un danno per il paziente;
  3. Questi eventi si possono prevenire non totalmente, ma in una percentuale stimata attorno al 40-50%. Ad oggi non esistono evidenze che si possa arrivare al rischio zero; esistono evidenze che laddove c’è un impegno di tutti nell’applicare le raccomandazioni specifiche emergenti dagli studi scientifici si possono dimezzare gli eventi avversi: ma non annullare completamente;
  4. La prevenzione funziona al meglio quando organizzazioni, professionisti e pazienti:
  • sono consapevoli di questo rischio che accompagna tutte le pratiche clinico assistenziali
  • segnalano quando questo avviene (conoscere e studiare perché questi eventi avvengono è una parte essenziale per comprendere e poter efficacemente evitare che si ripetano);
  • collaborano e adottano tutte le misure necessarie per prevenirlo;
  • sono eventi in larga parte misurabili e possono venire utilizzati direttamente o indirettamente come indicatori della qualità delle cure erogate da una organizzazione;
  • gli eventi avversi provocano un aumentato consumo di risorse che invece potrebbero essere allocate per rispondere ad altri importanti bisogni di salute.

 

“La consapevolezza della possibilità di eventi avversi non deve farci dimenticare che eroghiamo assistenza sicura in oltre il 90% dei casi. – scrive il ministero della Salute sul proprio sito – La sicurezza delle cure è un elemento essenziale per garantire la qualità da parte di chi eroga prestazioni sanitarie. Gli eventi avversi non sono completamente evitabili ma in una buona percentuale di casi possono essere prevenuti. L’Italia ha un impianto normativo avanzato e coerente con gli standard internazionali, esperienze nazionali, regionali e buone pratiche molto valide: la sfida è quella di concretizzarle in modo omogeneo in tutto il Paese. La miglior sicurezza delle cure è il frutto di una attenzione e di uno sforzo continui che ci vedono tutti coinvolti, ciascuno nel proprio ruolo”.

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria si è dotato da tempo di un modello organizzativo per la gestione della sicurezza del paziente. In proposito sono attivi programmi specifici per l’attività di prevenzione e monitoraggio degli eventi avversi. Inoltre vengo applicati progetti di miglioramento specifici e promossa la cultura della sicurezza tramite l’attività formativa.


Coronavirus: i numeri ci impongono di stare allerta

Se confrontati con i numeri dei mesi più duri ovviamente il confronto non regge, ma dobbiamo stare molto allertati poiché potremmo essere difronte ad un nuovo inizio: i segnali, dovuti anche alla  ripresa a pieni ritmi di scuola, lavoro ed attività del tempo libero, vanno in questa direzione. Tuttavia grazie alle conoscenze accumulate possiamo scongiurare il ripresentarsi di una stagione così sofferta.

A livello mondiale, dai dati diffusi dal Coronavirus Resource Center della Johns Hopkins University & Medicine, alla data dell’11 settembre 2020 i casi cumulativi di SARS-CoV-2 sono poco più di 28 milioni con quasi 910mila morti. In questo triste primato l’Italia risulta essere attualmente al sesto posto con circa 36mila decessi preceduta dal Regno Unito a quota 42mila morti e seguita dalla Francia che sfiora i 31mila.

In Italia in questi ultimi giorni si è tornati pesantemente a parlare di Covid19 sia a causa di una ripresa del numero dei contagi sia perché i periodi vacanzieri sono ormai alle spalle.

Chiariamo subito che dal punto di vista epidemiologico i numeri che stiamo osservando sono da ritenersi del tutto “normali” e non allarmanti se consideriamo la ripresa di una vita sociale quasi normale, per molti, e del tutto normale per altri – per fortuna pochi e sostanzialmente giovani.

Se confrontati con i numeri dei mesi più duri ovviamente il confronto non regge (si veda il grafico temporale relativo alla provincia di Verona) ma dobbiamo stare molto allertati poiché potremmo essere difronte ad un nuovo inizio: i segnali, dovuti anche  alla ripresa a pieni ritmi di scuola, lavoro ed attività del tempo libero, vanno in questa direzione. Tuttavia grazie alle conoscenze accumulate possiamo scongiurare il ripresentarsi di una stagione così sofferta.

LA MASCHERINA… QUELLA IRRINUNCIABILE ALLEATA

Ricordando infatti che i meccanismi principali di trasmissione del SARS-CoV-2 sono per via aerea (saliva e aerosol) e per contatto diretto ravvicinato (con le mani) si capisce perché non possiamo ancora abbandonare le misure di distanziamento sociale e di protezione individuale (mascherine e detersione frequente delle mani).

Inoltre la carica virale presente in un individuo positivo al virus gioca un ruolo fondamentale poiché maggiore è la carica tanto maggiore sarà la probabilità che tale individuo divenga un diffusore. I cosiddetti cluster di malattia, cioè gruppi di persone positive a SARS-CoV-2, possono essere causati anche da una singola persona, specie se possiede una carica virale molto elevata. Ciò ormai è stato ampiamente dimostrato dalla distribuzione spaziale del virus per nulla omogenea nei territori a differenza, ad esempio, dei virus influenzali.

L’utilizzo delle mascherine diviene quindi fondamentale: limitando la “quantità di virus” che viene emessa da un soggetto positivo si limita anche la probabilità di contagio. Si tratta di una barriera meccanica fondamentale. Similmente per la detersione delle mani. E ancor più se si considera che in questa particolare fase dell’epidemia in Italia i contagi riguardano generalmente soggetti giovani e asintomatici cioè che non presentano segni di malattia. Questi soggetti, ignorando il loro stato di positivi al virus, credono di non essere contagiosi e di potersi quindi permettere qualche “libertà” in più con conseguenze ben note a tutti.

IL VIRUS E’ MUTATO?

Non ci sono evidenze scientifiche che il virus sia mutato e permangono casi di soggetti positivi sia ad alta che a bassa carica virale. Sono mutati piuttosto i nostri comportamenti e un immediato ritorno ad un maggior rigore è auspicabile visto che il tanto sofferto periodo di lockdown ha insegnato chiaramente a tutti noi come tenere sotto controllo la diffusione del virus.

I VACCINI

Sul fronte dei vaccini la situazione è in forte evoluzione; ve ne sono moltissimi in sperimentazione ma prima della prossima estate 2021 sarà difficile pensare ad una vaccinazione di massa efficace e sicura. Interessante sarà conoscere se gli anticorpi generati dalla vaccinazione avranno una durata nell’organismo di almeno 6 mesi.

L’ARMA DELLA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE

Per ora l’unica vera arma che abbiamo è quella del vaccino antiinfluenzale che ci aiuterebbe ad escludere, almeno in via preliminare, la presenza di influenza stagionale in un soggetto con tipici sintomi di Covid19. Un unico seppur preliminare studio scientifico americano ha però fornito alcune interessanti informazioni circa i sintomi da Covid19. In una vastissima casistica – poco meno di 60.000 soggetti – applicando avanzati modelli statistici – è stato dimostrato che la febbre è certamente il sintomo più ricorrente ma soprattutto quello iniziale. Questo fornisce un’indicazione molto interessante dal punto di vista della gestione della nostra quotidianità poiché i sintomi come tosse, dispnea, diarrea, astenia, anosmia e ageusia in presenza di Covid19 dovrebbero intervenire in un secondo momento. Fermo restando che il soggetto in questione sia sintomatico.

LA SICUREZZA NON E’ SOLO A SCUOLA

Tema molto caldo in questi giorni. Ci stiamo molto interrogando sui comportamenti da tenere nelle nostre scuole ma il vero problema sono i comportamenti in generale. Poco servirà infatti organizzare le scuole con misure di sicurezza simili a quelle delle sale operatorie ospedaliere se poi nel tempo non scolastico i nostri ragazzi non si proteggeranno da comportamenti a rischio. Cercare di tenere il virus quanto più possibile fuori dalle nostre scuole è un difficile obiettivo ma va perseguito ricordando che generalmente il primo sintomo di Covid19 è la febbre ancor più se in presenza di soggetto vaccinato per l’influenza stagionale.

I NUMERI A VERONA

Tornando alla questione statistica è importante capire che il numero dei contagi nel singolo giorno non è informativo, specie in questa fase in cui ogni giorno si vedono importanti fluttuazioni su numeri di casi piuttosto contenuti, se paragonati a quelli visti nei mesi di marzo e aprile 2020. Meglio è considerare i dati di contagi su base settimanale anche in ragione del numero di tamponi effettuati che su base giornaliera è molto variabile.

I ricoveri in terapia semi intensiva ed intensiva sono molto limitati così come il numero di vittime. Ed è su questa scia che dobbiamo restare e cioè permettere ai nostri sanitari di riuscire a curarci in uno stato non emergenziale.

UNA POSSIBILE SOLUZIONE

Ci attendavamo che il virus sparisse durante l’estate, ma ciò non è avvenuto. Ora ci attende la fase più delicata poiché non saremo più presi di sorpresa e abbiamo accumulato molte conoscenze. Ora non possiamo sbagliare. Non possiamo permettercelo in termini economici, sociali e psicologici. Sarebbe una sconfitta sia come cittadini che come scienziati dopo aver pagato un altissimo conto in termini di vittime e di memoria collettiva.

Poiché dobbiamo convivere con il virus sino all’arrivo di un vaccino e di cure più efficaci, oltre alle più volte richiamate misure di contenimento, dovremmo concentrarci particolarmente nel difendere le persone più fragili nei confronti di SARS-CoV-2: anziani, immunodepressi, pluri patologici cronici, specie cardiovascolari ed oncologici. Per difendere questo gruppo di persone sarà necessario un netto distanziamento, una sorta di isolamento “soft”; emblematico, per il suo potere mediatico, è il caso della famiglia Berlusconi che conferma quanto le relazioni sociali portate in casa possano essere pericolose per chi ci sta vicino, soprattutto per i nostri nonni.

Come desideriamo il nostro prossimo futuro è tutto nelle nostre mani… e nel nostro respiro!

Massimo Guerriero
Epidemiologo e biostatistico
Consulente del Nucleo di Ricerca Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Una nuova sala infusionale per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino

Al piano interrato dei Poliambulatori, è stata creata una stanza per le terapie infusionali dedicata esclusivamente ai pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino. “E’ uno spazio che risponde ai canoni di sicurezza, distanziamento e confort per il paziente”, spiega la dottoressa Angela Variola, gastroenterologa dell’Unità IBD.

I pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) seguiti dall’ospedale di Negrar da oggi possono effettuare le infusioni dei farmaci in una stanza esclusivamente dedicata e dotata di 5 postazioni. La nuova location – che si trova al piano interrato dei Poliambulatori – non garantisce solo maggior confort a chi vi accede per la terapia con farmaci biologici, ma è stata pensata con tre obiettivi: sicurezza, distanziamento e flessibilità per i circa 180 i pazienti che si sottopongono alle infusioni, su un totale di circa 2mila affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn curati al “Sacro Cuore Don Calabria”. 

“Per questione di spazi, l’Unità IBD (Inflammatory Bowel Disease-MICI in italiano) del Centro per le malattie retto intestinali aveva a disposizione la stanza per le infusioni solo un giorno alla settimana e un altro, a seconda della necessità, in condivisione con il Servizio di Reumatologia”, spiega la dottoressa Angela Variola, gastroenterologa del Centro, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle. “Questo comportava un disagio per il paziente, che da oggi non deve più adattarsi al giorno prefissato per la terapia,  ma ha più opzioni di scelta, in base anche ai suoi impegni lavorativi o scolastici – prosegue -. Inoltre con la creazione di una nuova stanza, possiamo garantire il distanziamento necessario per l’emergenza Covid”. Ma è la sicurezza che ha animato la creazione di nuovi spazi. “L’infusione di terapie eterogenee in una stessa stanza (in questo caso i farmaci per le MICI e quelli per le patologie reumatiche) – spiega ancora la dottoressa Variola – favorisce l’errore umano nell’allestimento dei farmaci e nella gestione dei protocolli infusionali. Una stanza ad hoc risponde soprattutto a criteri di sicurezza”.

Con le postazioni dedicate, arriva all’Unità per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino anche l’IBD nurse. Si tratta di una figura infermieristica, molto diffusa nei Paesi anglosassoni, che, grazie a una specifica formazione, diventa punto di riferimento del paziente per quanto riguarda le terapie e tutti gli aspetti collaterali della malattia. Quello di Negrar sarà uno dei primi centri italiani ad avvalersi di questo tipo di infermiera con prerogative previste dalla ECCO (European Crohn Colitis Organisation). Tra i suoi compiti anche quello di istruire i pazienti su come effettuare la somministrazione sottocutanea dei farmaci.

“I farmaci biologici possono essere assunti, a seconda delle indicazioni, tramite infusione endovenosa una volta al mese o una ogni due mesi oppure con un’iniezione sottocutanea che si può effettuare tranquillamente a domicilio – afferma Variola -. Sono farmaci, frutto dell’ingegneria biotecnologica, che hanno impresso una vera e propria svolta alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Grazie a queste molecole i pazienti con colite ulcerosa e malattia di Crohn, moderate o gravi, hanno raggiunto la remissione completa, cioè clinica, radiologica ed endoscopica della patologia”. Questo significa un deciso miglioramento della qualità di vita oltre alle riduzione del rischio di complicanze a lungo termine e di interventi chirurgici. La ricerca in questo campo è sempre attiva: l’Unità IBD ha in corso una ventina di studi clinici per la sperimentazione di fase 2 e di fase 3 di nuovi farmaci biologici

La malattia di Crohn e la colite ulcerosa sono infatti patologie tipiche delle età giovanile: il picco più importante si concentra tra i 15 e i 45 anni, tuttavia si rileva negli ultimi tempi un aumento dell’incidenza in età pediatrica e adolescenziale. In Italia colpisce circa 200mila persone.

Alla benedizione della nuova stanza, impartita da don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale, erano presenti, oltre alla direzione dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria e all’équipe del Centro, anche Salvo Leone e Nadia Lippa, rispettivamente direttore generale nazionale e segretaria provinciale di AMICI- Associazione Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino. Ha portato un breve saluto Luca Coletto, assessore alla Sanità della Regione Umbria, già con lo stesso ruolo nel Veneto e già sottosegretario alla Sanità.


Acne: come si cura la patologia "dell'adolescenza"

E’ la malattia per eccellenza dell’età puberale, sebbene possa colpire improvvisamente perfino gli adulti. L’acne non ha risvolti solo sulla pelle ma anche psicologici, in una fase della vita, l’adolescenza, già complessa. Come trattarla, grazie ai farmaci a disposizione, efficaci anche nelle forme più gravi, ce lo spiega la dermatologa Federica Tomelleri

E’ l’incubo dell’età adolescenziale, quando lo sviluppo ormonale può manifestarsi anche con l’acne, la malattia della pelle che da sola somma il 20% del totale dei casi di patologia infiammatoria visti da un dermatologo nel suo ambulatorio nell’arco di un anno.

L’acne colpisce indifferentemente maschi e femmine. Di solito può esordire nell’età puberale, intorno ai 12 anni, per andare scemando verso i 25, con un picco tra i 18 e i 20 anni. Esiste tuttavia una forma di acne che compare improvvisamente nell’adulto anche se non ne ha sofferto in età giovanile. La patologia origini genetiche e ormonali e in genere si manifesta soprattutto sul viso (nelle parti in cui sono più numerose le ghiandole sebacee come la fronte e il mento, la classica “zona T”) e può presentarsi anche sul dorso e sul décolleté.

“Oggi disponiamo di farmaci con i quali possiamo ottenere ottimi risultati terapeutici, ma si tratta di una patologia con pesanti risvolti psicologici sui ragazzi che ne vengono colpiti”, afferma la dottoressa Federica Tomelleri (nella foto), responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Esordisce in un’età già impegnativa dal punto di vista psicologico e dobbiamo tener conto che viviamo in una società attenta in modo esasperato all’immagine: il viso resta il nostro biglietto da visita”.

CHE COS’E’ L’ACNE

“L’acne si forma quando l’aumento della secrezione sebacea dovuta agli ormoni si associa a un ispessimento su base genetica del canale della ghiandola sebacea, causando l’ostruzione del follicolo con la comparsa del comedone, il classico punto nero – spiega la dottoressa Tomelleri -. Il sebo trattenuto viene aggredito dai naturali batteri della pelle causando infiammazione e infezione”. Esistono vari tipi di acne, classificati in base alla gravità.

  • Forma lieve: caratterizzata da papule, rilievi della pelle rossastri, accompagnati dai comedoni
  • Forma media: si manifesta con pustole, il cosiddetto brufolo con all’apice il puntino bianco-giallo che indica la presenza di materiale purulento
  • Forma grave: compaiono noduli e cisti, formazioni solide, dure, sottocutanee, dolorose, che possono raggiungere anche alcuni centimetri.
  • Acne fulminante: una forma molto rara, che comporta stati febbrili e richiede anche il ricovero. Spesso lascia esiti cicatriziali deturpanti.
QUANDO RIVOLGERSI A UNO SPECIALISTA

“Una pelle giovanile che presenta punti neri, non necessariamente evolve in acne vera e propria. Quando però in famiglia ci sono casi di acne e/o persistono per alcuni mesi lesioni infiammatorie pustolose, è consigliabile una visita specialistica dal dermatologo”, sottolinea Tomelleri

COME SI CURA

L’inquadramento terapeutico è determinato da due fattori: la gravità della patologia infiammatoria e l’età del paziente. Per quanto riguarda l’aspetto farmaceutico sono disponibili gel o creme a base di:

  • Retinoidi topici come la Tretinoina e l’Adapalene che agiscono sui processi anormali di cheratinizzazione e sono anche antiinfiammatori, quindi funzionano in entrambi i casi di acne comedonica ed infiammatoria.
  • Benzoil Perossido aiuta a prevenire l’ostruzione dei follicoli pilifieri da parte delle cellule morte e inoltre uccide i batteri che causano infezione.
  • Antimicrobici topici (antibiotici topici) colpiscono i batteri della pelle che infettano i follicoli pilliferi ostruiti. Dovrebbero sempre essere abbinati al Benzoil Perossido per prevenire lo sviluppo di resistenza batterica.

“Questi trattamenti locali vengono associati a terapie sistemiche nelle forme medie e gravi – spiega ancora la dottoressa Tomelleri -. Tra i farmaci impiegati: le tetracicline (antibatterici) e l’isotretinoina che agisce sulle microcisti sebacee. Nelle donne è indicata anche la pillola anticoncezionale, in quanto i movimenti ormonali ciclici favoriscono la comparsa delle lesioni”. Come coadiuvante alla terapia medica sono utili il peeling (per esempio a base di acido salicidico) e il laser, che agiscono anche nel prevenire e migliorare l’esito cicratiaziale permanente”.

TRATTAMENTI DERMOESTETICI

“L’acne è una patologia e quando lo stato infiammatorio è importante, i trattamenti estetici nella migliore delle ipotesi sono inutili”, sottolinea la dermatologa. “Anzi se troppo aggressivi, come alcune pulizie del viso, possono peggiorare la situazione”.

DETERSIONE DELLA PELLE E COSMETICI: COSA USARE?

Chi soffre di acne tende a lavarsi spesso il viso usando il sapone, con l’obiettivo anche di togliere il “lucido” che caratterizza la cute seborroica. “Nulla di più sbagliato.  Il sapone ha un’azione aggressiva sulle ghiandole sebacee che rispondono producendo più sebo – sottolinea -. I detergenti devono essere delicati e dedicati con un’azione sebomodulante e antisettica. Anche i maquillage deve essere adatto a pelli con queste caratteristiche. Il fondotinta, per esempio, deve essere oli-free. Purtroppo in commercio esistono prodotti cosmetici in crema coprenti di discutibile qualità. Sarebbero da evitare sempre, ma per le ragazze che soffrono di acne non devono essere presi nemmeno in considerazione. E’ meglio dirottare la scelta sulle linee specifiche delle case farmaceutiche, non prima di aver consultato il proprio dermatologo”.