Giornata mondiale contro il cancro: non è più "il brutto male", anche grazie alla radioterapia

Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro.  Se oggi questa patologia non è più quel brutto male il cui nome non veniva nemmeno pronunciato lo dobbiamo alla diagnosi precoce, alla ricerca e all’evoluzione straordinaria delle terapie. Tra queste la radioterapia che da sola o in associazione alla chirurgia e alle terapie medico-farmacologiche contribuisce alla guarigione di un numero crescente di pazienti

Il prof. Alongi con la sua équipe

Il 4 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, promossa dall’UICC (Union for International Cancer Control) e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affinché la lotta contro il cancro continui ad essere una priorità nell’agenda mondiale della salute e dello sviluppo. Abbattendo soprattutto le disparità di opportunità di cura che esistono tra Paesi o all’interno degli stessi.

Grazie alla diagnosi precoce e all’evoluzione straordinaria delle terapie, la patologia tumorale non è più quel “brutto male” (come veniva chiamata) implacabile. E’ infatti costantemente in crescita il numero dei pazienti che possono definirsi guariti. E per coloro ancora impegnati nel percorso terapeutico, la qualità di vita è enormemente migliorata.

Le modalità terapeutiche in oncologia si sono affinate nel tempo, con una chirurgia sempre meno invasiva, con farmaci sempre più ‘intelligenti’, e con una radioterapia sempre più avanzata, moderna e precisa.

Nello specifico, la radioterapia, nell’armamentario terapeutico in oncologia, è una modalità di cura importantissima: fino al 60% dei pazienti affetti da malattia tumorale viene trattato con radiazioni ionizzanti.

Questa metodica nel corso degli ultimi decenni si è fortemente sviluppata, sul fronte di un’ottima tollerabilità da parte dei pazienti e di una elevatissima precisione, tanto da sostituirsi spesso all’intervento chirurgico.

La radioterapia rappresenta oggi l’espressione più alta del connubio tra l’evoluzione tecnologico-ingegneristica delle apparecchiature in campo medico e l’elevatissima professionalità dei radioterapisti oncologi, che ogni giorno a fianco di chirurghi, di oncologi medici, e specialisti nella diagnostica valutano, in un contesto multidisciplinare, la modalità di cura più appropriata di ogni paziente oncologico.

La radioterapia viene impiegata da sola con lo scopo di eradicare la malattia tumorale, per esempio nel tumore della laringe, del polmone, della prostata, in fase ancora localizzata.

Ma può essere usata efficacemente insieme alla terapia medico-farmacologica nella cura della malattia localmente avanzata come nel caso dei tumori del distretto cervico-facciale, ginecologico o gastro intestinale.

Infine trova sempre più impiego anche in caso di malattia metastatica, non necessariamente con una finalità esclusivamente palliativo-sintomatica, ma anche in casi selezionati (detti oligo-metastatici), con l’obiettivo di coadiuvare i farmaci o ritardare l’attivazione di nuove linee mediche più tossiche, a favore di un trattamento locale mirato sulle singole sedi di malattia metastatica.

Forte dei risultati ottenuti, le cure radioterapiche entrano di diritto nei successi che l’oncologia ha ottenuto nella lotta contro il cancro ed è necessario un impegno da parte di tutti perché metodiche come queste, all’avanguardia, siano accessibili a tutti i pazienti, come sollecita questa Giornata mondiale. Nella radioterapia tanta strada è stata fatta e all’orizzonte ci sono prospettive di ulteriori miglioramenti.

Filippo Alongi
Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Professore associato di Radioterapia all’Università di Brescia

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Studio su Verona: il 93% dei cittadini è oggi protetto dal virus Sars- CoV2

Conclusa la seconda fase dello studio epidemiologico Covid-19 “Comune di Verona 2020” realizzato dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar: Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni è oggi protetto dal virus Sars-CoV-2.  I ricercatori: “Verona è pronta per la ripartenza, ma senza abbassare la guardia: la percentuale dei vulnerabili può ancora mettere in crisi gli ospedali. Omicron 7 volte più contagiosa”

Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni risultava a fine gennaio 2022 protetto contro il SARS-CoV-2, perché venuto in contatto con il virus (32,3%) o perché vaccinato (91,9%). La variante Omicron conferma anche a Verona la sua altissima contagiosità: in due mesi (dicembre 2021-gennaio 2022) l’incremento dei casi di infezione è stato 7 volte superiore rispetto ai 18 mesi precedenti. Seppur in un contesto di relativa tranquillità, il numero dei cittadini non protetti, che potrebbe incidere anche sulle ospedalizzazioni, richiede di non abbassare la guardia.

Questo il quadro principale emerso dalla seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020”, iniziato nella primavera di due anni fa, in piena prima ondata pandemica da Covid-19. La seconda fase aveva lo scopo di stimare, su campione rappresentativo della popolazione veronese con almeno 10 anni di età (235.000) la prevalenza (cioè il numero dei casi rispetto alla popolazione) e l’incidenza (cioè i nuovi casi da aprile-maggio 2020 a novembre 2021) di infezione attiva. Si tratta dello stesso campione statistico della prima parte della ricerca (1.515 cittadini) analizzato 18 mesi dopo. Poiché nei mesi di dicembre 2021 e gennaio 2022 la situazione epidemiologica ha subito un brusco cambiamento a causa della variante Omicron, lo studio si è protratto oltre l’arco temporale fissato originariamente (vedi video della presentazione in fondo a questo articolo).

I dati emersi della ricerca – che garantisce un margine di errore nelle stime pari al massimo del 2%   –  si differenziano dai bollettini quotidiani relativi ai positivi e ai vaccinati perché l’esame sierologico per la valutazione della presenza degli anticorpi specifici ha permesso di individuare la percentuale anche di coloro che non sapevano di aver contratto il virus, in quanto asintomatici o con lievi sintomi simil influenzali.

La ricerca è stata condotta dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e ha visto la collaborazione delle maggiori istituzioni amministrative, scientifiche e sanitarie di Verona: il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9.

Si tratta di uno dei pochi esempi a livello internazionale di indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo: il protocollo dello studio è stato pubblicato su British Medical Journal Open, mentre i risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Emerging Infection Diseases.

RACCOLTA DEI DATI E ANALISI

Il campione originario di 1.515 cittadini con età superiore ai 10 anni è stato contattato telefonicamente e invitato a recarsi da lunedì 22 a domenica 28 novembre 2021 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 per sottoporsi a un prelievo di sangue al fine del dosaggio degli anticorpi anti-Covid19, al tampone molecolare naso-faringeo e alla valutazione dei parametri respiratori tramite spirometria (questi ultimi dati sono ancora in fase di elaborazione).

All’invito hanno risposto 897 veronesi su 1.515 (59,2%). I campioni biologici raccolti dai sanitari dell’IRCCS di Negrar – guidati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia e coordinatore dello studio –  sono stati analizzati dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal professor Zeno Bisoffi.

Il prelievo ematico di 80 soggetti (scelti dai 1.515 secondo criteri stabiliti sulla base della data della vaccinazione o di una pregressa infezione da SARS-CoV-2) è stato inviato al laboratorio dell’Università di Anversa (Belgio) per analizzare numerosi aspetti della immunità cellulare. I dati di questa ricerca, che rientra nello studio internazionale ORCHESTRA, guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice delle Malattie Infettive e Tropicali dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, non sono ancora disponibili.

La seconda fase dello studio ha avuto una ripresa ad inizio anno, dovuta all’avvento della variante Omicron. Dal 17 gennaio per una settimana sono stati richiamati telefonicamente i 1.515 veronesi (il campione originario) per intervistarli su eventuali cambiamenti della loro situazione clinica relativamente al Covid19. Hanno risposto in 1.193 (78,7%).

I DATI

  • A fine gennaio 2022 risulta parzialmente protetta dal virus SARS-CoV-2 il 93% della popolazione con almeno 10 anni perché vaccinato (91,9%) o perché venuti a contatto con il virus (32,3%). L’avverbio “parzialmente” è necessario perché come è noto, anche a causa delle varianti, sono possibili reinfezioni e perché il vaccino protegge dalla malattia grave e non dall’infezione.
  • La prima fase dello studio (maggio 2020) ha rilevato una prevalenza di positività del 5,2%. A 18 mesi di distanza (novembre 2021) la prevalenza è risultata del 14,4%, con un’incidenza del 9,2%. A gennaio 2022, dopo due mesi caratterizzati dalla variante Omicron, la percentuale di casi nella popolazione è schizzata al 21,3% con un’incidenza del 6,9% rispetto a novembre 2021. Questo significa che vi è stato negli ultimi due mesi un incremento 7 volte superiore della diffusione del virus rispetto ai 18 mesi precedenti.
  • Complessivamente dall’inizio dello studio il 23,5% dei veronesi interpellati – circa 1 su 4 – ha dichiarato di aver contratto il SARS-CoV-2.
  • Ma l’evidenza dei test sierologici mostra che l’8,8% dei veronesi risulta essere venuto in contattato con il virus, senza saperlo o perché asintomatico o per non aver riconosciuto lievi sintomi dovuti all’infezione da SARS-CoV-2.
  • Da maggio 2020 a gennaio 2022 la letalità è stata dello 0,7%: 11 decessi per Sars-Cov2 relativamente al campione indagato.
  • Ospedalizzazioni: da maggio 2020 a gennaio 2022 i casi di ospedalizzazione per Covid19 (almeno una notte in ospedale) sono stati il 3,5%.
  • Le reinfezioni ammontano allo 0,25%.
Dr. Carlo Pomari

“Innanzitutto è d’obbligo un grande ringraziamento ai veronesi che si sono resi disponibili in modo totalmente gratuito per questo studio, dimostrando un grande senso civico, in un momento difficile per tutti”, afferma il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia  dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e coordinatore dello studio. “Grazie ai tamponi abbiamo potuto scattare un’istantanea del momento, ma con l’esame sierologico sul sangue oggi possediamo un quadro completo, comprendente anche gli asintomatici non sottoposti a test, che rappresenta uno strumento formidabile a disposizione delle istituzioni amministrative e sanitarie per le decisioni future. La luce c’è in fondo al tunnel e ci stiamo avvicinando, ma manteniamo per ora la mascherina e il distanziamento soprattutto in luoghi chiusi. E naturalmente vacciniamoci anche con la terza dose, se non lo abbiamo già fatto”.

Prof. Zeno Bisoffi

“I dati di Verona sono eloquenti, ci dicono che ci stiamo avviando verso quella che io chiamo una “semi immunità di gregge”, interviene il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Infatti, sommando i vaccinati con almeno due dosi e chi ha avuto il COVID, la grande maggioranza della popolazione veronese è protetta, ma questa protezione è parziale. Più efficace contro la malattia, meno efficace contro il rischio di infezione. Inoltre la durata della protezione è limitata nel tempo. Ci aspettano mesi più sereni, probabilmente la prossima stagione invernale vedrà una minor circolazione del virus e la pressione sui nostri ospedali sarà inferiore. Per consolidare questo risultato, però, la condizione indispensabile è raggiungere e mantenere nel tempo una copertura vaccinale molto elevata. Altrimenti nuove ondate saranno inevitabili”.

Pro. Massimo Guerriero

“Gli studi epidemiologici su un campione statisticamente significativo hanno proprio questa particolarità: l’indagine su un ristretto numero di persone consente di estendere i risultati su un’intera popolazione. In Italia ricerche Covid-19 di questo genere sono davvero poche”, sottolinea il professor Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo e co-coordinatore dello studio. “Sicuramente la ‘sorpresa’ più grande è stato il tasso di crescita delle infezioni dovute a Omicron: tanto che le stime iniziali prevedevano un picco a Verona della quarta ondata tra il 25 e il 31 dicembre 2021, mentre si è manifestato ben oltre (a metà gennaio). Questa ricerca ci consente di essere ottimisti per il futuro, ma con cautela – conclude il prof. Guerriero -. Il tasso di ospedalizzazione rilevato (3,5%), applicato alla percentuale dei cittadini non protetti, potrebbe portare a un numero importante di ospedalizzazioni. Naturalmente si tratta di una stima prospettica condizionata dall’incremento o meno del numero delle vaccinazioni. L’unico modo per smentirla è che chi non si è vaccinato lo faccia, subito!”.

Dott. Mario Piccinini

“Questo studio, a cui come ospedale abbiamo creduto fin dall’inizio, unisce due aspetti che rappresentano il “Sacro Cuore Don Calabria”, ha aggiunto Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale di Negrar. “Questa è una delle ricerche che facciamo i cui risultati si trasformano in applicazioni cliniche immediatamente a vantaggio della salute dei pazienti o, come in questo caso, dei cittadini. Tale genere di ricerca è propria degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, di cui facciamo parte dal 2018. Il secondo aspetto, invece, appartiene alla storia centenaria dell’Ospedale di Negrar: un storia iniziata proprio 100 anni fa (nel 1922), radicata nel territorio e a servizio del territorio, in collaborazione con le istituzioni amministrative e sanitarie. Siamo un ospedale a gestione privata, ma la nostra funzione è pubblica. Un esempio è il nostro ruolo in questa pandemia che ci ha visto in prima linea fin dall’inizio nell’ambito della ricerca (49 studi Covid-19 approvati), dell’assistenza (1.100 ricoveri) e della diagnostica: solo nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi di cui oltre l’80% con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale). Infine, attualmente l’ospedale è centro vaccinale per la popolazione adulta e i minori dai 12 ai 17 anni”

COMITATO SCIENTIFICO DELLO STUDIO

Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.

Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona

Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona

Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona

Evelina Tacconelli, direttore della Sezione Malattie Infettive dell’Università di Verona

Nella foto da sinistra: Claudio Micheletto, Massimo Guerriero, Zeno Bisoffi, Albino Poli, Federica Sboarina (sindaco di Verona), Roberto Giacobazzi (prorettore vicario dell’Università di Verona), Mario Piccinini (amministratore delegato IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria) e Carlo Pomari


Malattie tropicali neglette: un problema di salute globale

Il 30 gennaio è la Giornata mondiale delle Malattie Tropicali Neglette (NTD), un gruppo di patologie “dimenticate” dalle agende politiche e dalla ricerca scientifica, nonostante ne sia affetto più di un miliardo di persone, collocate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il DIpartimento di Malattie Infettive e Tropicali dal 2014 è centro collaboratore dell’OMS per queste patologie e in particolare per la  strongiloidosi.

Si stima che oltre un miliardo di persone nel mondo ne sia afflitto e che siano causa di gravissime disabilità e di più di mezzo milione di morti all’anno. Tuttavia sono in gran parte sconosciute dall’opinione pubblica (ma anche dalla comunità medica e scientifica) e per lungo tempo trascurate dall’agenda politica mondiale e dalla ricerca. Si tratta delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases, NTD), di cui domenica 30 gennaio si celebra la giornata internazionale e per le quali il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è centro collaboratore (dal 2014) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le NTD sono patologie, secondo la definizione dell’OMS, “sebbene diverse dal punto di vista nosologico (possono infatti essere di origine virale, batterica, parassitaria…ndr), formano un gruppo unico in quanto tutte sono fortemente associate alla povertà, proliferano in ambienti con scarse risorse, specialmente in aree tropicali, tendono a coesistere e la maggior parte di esse sono malattie antiche che affliggono l’umanità da secoli”. L’OMS ne elenca venti. Alcune sono conosciute anche in Italia perché rievocano tempi passati (come la lebbra) oppure perché presenti (come il virus Dengue o la malattia di Chagas).

In questo elenco è stata inserita anche la strongiloidosi, grazie al contributo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar che negli ultimi dieci anni ha diagnosticato diverse centinaia di casi (la più alta casistica in Italia ed una delle principali in Europa). Si stima che nel mondo siano intorno ai 600 milioni le persone infette e uno studio del 2006 ha dimostrato che nella parte settentrionale del nostro Paese sono migliaia i soggetti ammalati. Sono in n gran parte di anziani, che si sono infettati, magari in gioventù o da bambini, camminando in campagna a piedi scalzi, o toccando con le mani terriccio contaminato da feci umane. Il sintomi possono essere banali (come un intenso prurito), ma in caso di immunodepressione la parassitosi può svilupparsi nella forma nota come disseminata, quasi sempre mortale. Fondamentale quindi la diagnosi precoce, da proporre prima di tutto a soggetti sintomatici o con aumento dei globuli bianchi eosinofili nel sangue.

Oltre che per la strongiloidosi, il Dipartimento è un centro di riferimento per tutte le malattie tropicali neglette a cui afferiscono sia i migranti presenti sul territorio sia i viaggiatori internazionali. Il centro infatti presenta metodiche diagnostiche specifiche e percorsi clinici di assistenza, frutto di anni di gestione di queste malattie, che non trovano facilmente un percorso adeguato in altre sedi. La ricerca, invece ha anche carattere operativo sul campo, con progetti internazionali.

Il Word Day NTD ha lo scopo di diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’importanza di combattere queste malattie dimenticate che contribuiscono in modo determinante a frenare lo sviluppo dei Paesi più poveri e che potrebbero, a causa della mobilità delle persone, del cambiamento climatico e degli spostamenti di vettori di malattie diffondersi anche in quelli Occidentali.

La roadmap dell’OMS 2021-2030 prevede tra i vari obiettivi la riduzione del 90% il numero di persone che necessitano di interventi contro le NTD, di diminuire del 75% gli anni di vita persi per disabilità (DALYs) causate dalle stesse NTD e che ne vengano eradicate almeno due nel mondo (dracunculiasi e framboesia). E’ inutile sottolineare che ciascuno dei punti della roadmap richiede una forte volontà politica e un adeguato impegno del mondo scientifico.

 

 


antibiotici

Gli antibiotici non curano il Covid, perché è un virus e non un batterio

antibiotici

Nelle farmacie non si trovano alcuni tipi di antibiotici. La causa è ancora una volta la prescrizione e l’uso inappropriato di questi farmaci, probabilmente per cura del Covid. Assumere antibiotici per curare un virus, qual è il Sars Cov2, è inutile e potenzialmente dannoso per il soggetto. Oltre ad essere la prima causa dell’antibiotico-resistenza, che ha già provocato in Italia e in Europa migliaia di morti

Il mantra era lo stesso in epoca pre-Covid: assumere antibiotici per combattere l’influenza è inutile e pure dannoso. Il Covid non ha cambiato nulla, né il mantra né la cattiva abitudine di fare un uso improprio di una classe di farmaci preziosissimi che hanno cambiato il destino dell’umanità, debellando infezioni mortali. Batteriche e non virali. E sia l’influenza che il SARS-CoV 2, causa del Covid, sono virus non batteri.

Eppure è notizia di questi giorni che nelle farmacie italiane manca l’azitromicina, un antibiotico ad ampio spettro, impiegato per curare le infezioni batteriche delle vie respiratorie inferiori e superiori, quelle della cute o odontostomatologiche, e le infezioni del tratto uro-genitale. La carenza, come ha precisato l’Agenzia Italiana del Farmaco, “non deriva da esportazioni o altre anomalie distributive, ma dalla prescrizione del farmaco al di fuori delle indicazioni previste”, come per esempio per la cura del Covid. Quando, precisa l’AIFA, “l’azitromicina, e nessun antibiotico in generale è approvato, né tantomeno raccomandato per il trattamento del Covid-19”.

Gli antibiotici, infatti, entrano in campo nel percorso terapeutico di una persona affetta da nuovo Coronavirus quando all’infezione virale (per la quale questi farmaci non servono) si aggiunge anche una coinfezione batterica, dovuta a immunodepressione, spesso causata dai farmaci necessari per contrastare l’abnorme e anomala reazione del sistema immunitario, vero grande problema della malattia da SARS-Cov2.

L’uso improprio degli antibiotici ha delle serie conseguenze. Innanzitutto un farmaco che non serve è nella migliore delle ipotesi inutile, quindi priva di una grande arma terapeutica chi ne ha veramente bisogno. Infine è la causa principale della cosiddetta antibiotico-resistenza, cioè lo sviluppo di microrganismi, causa potenziale di infezioni, resistenti agli antibiotici. Fenomeno, quest’ultimo, che viene indicato come uno dei massimi problemi di sanità pubblica oggi, in quanto il rischio, nemmeno così remoto, è di ritornare a prima del 1928 quando Alexander Fleming scoprì la penicillina: impotenti di fronte alle infezioni. E di infezione si muore.

Le indagini realizzate stimano infatti che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si siano verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi e 874.541 DALYs (Disability Adjusted Life years-numero di anni persi a causa della malattia). E secondo i dati forniti dalla sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità (Ar-Iss) in Italia si sarebbe verificato 1/3 di tutti i decessi (10mila morti) correlati alla resistenza degli antibiotici.

Ma che cos’è l’antibiotico-resistenza? E’ la resistenza dei microorganismi a un antibiotico. Questa è causata da un normale processo evolutivo del batterio (si afferma la mutazione che permette al microrganismo di sopravvivere) accentuata da vari fattori, tra cui l’uso inappropriato ed eccessivo dei farmaci che dovrebbero debellarli. In altre parole più antibiotici vengono usati più batteri sviluppano resistenze.

Pertanto la prevenzione dell’antibiotico-resistenza richiede sì progetti a livello globale (prevenzione diffusa delle infezioni, in particolare quelle ospedaliere, uso appropriato anche in campo veterinario, incremento della ricerca farmaceutica…), ma anche la collaborazione di ciascuno di noi (medici compresi che li prescrivono) nell’assumere correttamente questi farmaci.

Ecco come

  1. Gli antibiotici curano le infezioni batteriche e non virali. Pertanto sono inutili per combattere, per esempio l’influenza e il raffreddore e ancora di più il Covid
  2. Devono essere assunti solo su prescrizione medica. Quindi l’antibiotico avanzato dall’infezione precedente deve essere lasciato nel cassetto, sempre che il medico non lo indichi come cura.
  3. Devono essere assunti secondo la posologia indicata dal medico, rispettando anche l’intervallo temporale da una dose all’altra, in quanto è necessario mantenere una concentrazione stabile di farmaco nel sangue. Pena l’inefficacia della cura.
  4. Mai sospendere la cura prima del termine stabilito, sempre che non lo indichi il medico, perché se la malattia non è stata totalmente debellata i sintomi ricompiano con la necessità di un nuovo ciclo di cura.

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca
Responsabile della stewardship antibiotica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Centro tamponi via San Marco 121, Verona

L'IRCCS di Negrar apre un centro tamponi Covid 19 a Verona

Centro tamponi via San Marco 121, Verona

Da lunedi 24 gennaio sarà attivo a Verona un nuovo Centro tamponi Covid-19 del “Sacro Cuore Don Calabria” che si affianca a quello di Negrar. La prenotazione su “myprenota” è solo su prescrizione medica

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria apre un punto tamponi Covid 19 A VERONA su richiesta dell’ULSS 9.

Da lunedì 24 gennaio in via San Marco 121 (presso l’area del Centro Polifunzionale Don Calabria) sarà infatti operativo, dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 13 e il sabato dalle 8 alle 12, il Servizio drive in.

Saranno effettuati, con accettazione in loco, sia i tamponi antigenici rapidi che molecolari, presentando l’impegnativa del medico.

La prenotazione con prescrizione medica deve essere effettuata sul portale “myprenota” dell’ULSS 9.

 Quello di via San Marco, si affianca al centro tamponi presso il parcheggio multipiano di via Salgari a Negrar con antigenici rapidi e molecolari anche con prescrizione (prenotazioni: www.sacrocuore.it bottone “prenota senza coda”).

 Nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi (molecolari e antigenici rapidi) di cui 40.298 (oltre l’80%) con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale).


Sanità calabriana nel mondo: conclusi i lavori all'ospedale di Manila

Nel 2021 sono stati rinnovati gli spazi e i servizi della “Bro. Francisco Perez” Clinic di Manila, struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria nelle Filippine che fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli ospedali di Luanda e Marituba. Tra le novità anche un servizio clinico di assistenza al parto.

Il Centro “Bro. Francisco Perez”

E’ un intervento di ammodernamento molto importante quello da poco concluso nella struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria a Manila, nelle Filippine. La “Bro. Francisco Perez” Clinic, questo il nome del piccolo ospedale fondato nel 2006, è stata rinnovata durante il 2021 negli ambienti e nei servizi con l’obiettivo di rispondere ai crescenti bisogni di un bacino di utenza di 200.000 persone nell’area periferica di Tay Tay (vedi sito: https://www.calabrians.org/clinic).
Il centro è diretto dal religioso dell’Opera don Ronald Eborde e fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli altri due ospedali dei Poveri Servi della Divina Provvidenza in terra di missione, ovvero il “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola) e il “Divina Provvidenza di Marituba” (Brasile). La struttura filippina si rivolge principalmente a persone molto povere che non avrebbero accesso ad altre possibilità di diagnosi e cura. Le prestazioni fornite sono ambulatoriali e includono visite mediche e dentistiche, radiografie, ecografie, esami di laboratorio, la profilassi per la cura della tubercolosi e un dispensario farmaceutico per una media di circa 20.000 pazienti all’anno.

I lavori

Grazie ai lavori completati nel 2021 e inugurati l’8 ottobre, festa di don Calabria, la “Bro. Perez” potrà ampliare i propri campi di attività. In particolare sono questi gli interventi portati a termine:

– La creazione di un servizio clinico di monitoraggio della gravidanza e di assistenza al parto in un’area dedicata
– La ristrutturazione completa dell’area poliambulatoriale, con un ampliamento e la ricollocazione di alcuni servizi in maniera più funzionale (visite mediche, servizio dentistico, servizio di farmacia, servizio di radiologia ed ecografia).
– La creazione di un distinto servizio diagnostico di laboratorio per esami richiesti dalla normativa locale per lo svolgimento dell’attività lavorativa, un adempimento a livello nazionale previsto dalla medicina del lavoro.
Il potenziamento delle capacità diagnostiche del laboratorio analisi, che andrà a rappresentare il laboratorio di riferimento anche per le piccole strutture ambulatoriali presenti in questa vasta area, che ne sono prive.
– Un’azione formativa mirata, che negli ultimi mesi ha riguardato il “modello di assistenza sanitaria secondo la vita e le opere di San Giovanni Calabria”; un programma formativo che è frutto di un Master in gestione clinica in ambito infermieristico, conseguito dalla Povera Serva Suor Maria Josè Marinho, che all’interno del Centro gestisce da sette anni l’attività infermieristica.

Gli interventi sono stati condotti con il sostegno dell’UMMI, che ha partecipato anche ai precedenti progetti di ristrutturazione del 2006 e del 2017. Altri enti partner sono stati la Caritas Antoniana di Padova e l’Opera San Francesco di Milano.
Ora il piano di sviluppo del centro sanitario, elaborato in rete con il sistema calabriano di sanità, prevede la creazione di servizi di degenza in ambito pediatrico, infettivologico ed internistico per offrire alla popolazione – in contrasto alle patologie emergenti – una nuova risposta, con servizi e caratteristiche al momento assenti nell’intera area di riferimento.


Vaccino Covid-19: perché è fortemente consigliato in gravidanza

La vaccinazione anti-Covid 19 è fortemente raccomandata anche in gravidanza in quanto protegge sia la donna sia il nascituro. La posizione del Federazione SIGO e il documento dell’Istituto Superiore della Sanità.

La cronaca ha riportato diversi casi di donne in gravidanza gravemente colpite da Covid-19, tanto da essere ricoverate in terapia intensiva con gravi rischi per la sopravvivenza loro e quella del feto. Nella quasi totalità dei casi è emerso che queste donne non si erano sottoposte alla vaccinazione contro il virus SARS CoV-2 in quanto dissuase dalla famiglia o, in alcuni casi, anche dal loro medico.

Nel maggio del 2021, la Federazione SIGO –  che comprende la SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), l’AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologici Ospedalieri Italiani), l’AGUI (Associazione Ginecologici Universitari Italiani) e l’AGITE (Associazione Ginecologici Italiani) ha pubblicato un documento (clicca qui) in cui affermava, su evidenze scientifiche, che “la vaccinazione è uno strumento centrale per proteggere le donne e di conseguenza i neonati” e che “negli Stati Uniti circa 90.000 donne in gravidanza sono state vaccinate, principalmente con i vaccini Pfizer e Moderna, senza che sia stato sollevato alcun problema di sicurezza”.

Una forte raccomandazione alla vaccinazione, quindi, che acquista ancora maggiore importanza nella fase pandemica attuale in cui la variante Omicron caratterizzata da un’alta contagiosità è prevalente.

Per quanto riguarda i tempi della vaccinazione un documento dell’Istituto Superiore della Sanità afferma che la profilassi vaccinale è raccomandata anche nel secondo e nel terzo mese di gravidanza. Naturalmente la decisione deve essere sempre valutata insieme al medico. (clicca qui)


Covid 19, nuove norme sulla quarantena e sull'isolamento

Il nuovo decreto legge in vigore dallo scorso 31 dicembre cambia in maniera sostanziale le norme che regolano la quarantena e l’isolamento. La vaccinazione completa con la dose booster consente una vita sociale e lavorativa (indossando la mascherina FFP2) anche a seguito di un contatto stretto con un positivo. Sette e non dieci i giorni di isolamento in caso di positività.

Riportiamo di seguito le nuove norme sulla quarantena e sull’isolamento fiduciario causa Covid 19 previste dal decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 229 ed entrate in vigore il 31 dicembre 2021.

IN CASO DI CONTATTO STRETTO* CON SOGGETTO CONFERMATO POSITIVO AL COVID-19

Il decreto prevede che la quarantena preventiva NON si applichi

  • alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale “primario” (senza “terza dose” o “booster) da 120 giorni o meno;
  • alle persone che sono guarite dal COVID-19 da 120 giorni o meno;
  • alle persone che hanno ricevuto la dose di richiamo del vaccino (cosiddetta “terza dose” o “booster”).

A tutte queste categorie di persone si applica una AUTO-SORVEGLIANZA (auto-monitoraggio quotidiano dei sintomi: febbre, raffreddore, tosse…) con OBBLIGO DI INDOSSARE LA MASCHERINA FFP2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al soggetto positivo al COVID-19 (quindi l’undicesimo giorno dall’ultimo contatto). È prevista l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare per la rilevazione dell’antigene Sars-Cov-2 alla prima comparsa dei sintomi e, se ancora presenti al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto. .

Il decreto prevede che la quarantena preventiva si applichi nel seguente modo

  • 5 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti asintomatici che abbiamo completato il ciclo vaccinale primario (senza “terza dose” o “booster) da più di 120 giorni e che abbiano comunque un green pass rafforzato valido. Al quinto giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
  • 10 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti non vaccinati o che non abbiano completato il ciclo vaccinale primario o che abbiano completato il ciclo vaccinale primario da meno di 14 giorni. Al decimo giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
IN CASO DI POSITIVITA’ AL COVID 19

Il decreto prevede che l’isolamento venga applicato nel seguente modo:

  • 7 giorni: per i soggetti contagiati che abbiano precedentemente ricevuto la dose booster o che abbiano completato il ciclo vaccinale da meno di 120 giorni o che siano aguariti da meno di 120 giorni. L’isolamento termina al 7 giorno purché siano sempre stati asintomatici o risultino asintomatici da almeno 3 giorni e alla condizione che, al termine di tale periodo, risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
  • 10 giorni per i soggetti contagiati non vaccinati, vaccinati con un ciclo primario incompleto, vaccinati con ciclo primario completo da meno di 14 giorni o vaccinati con ciclo vaccinale completo da più di 120 giorni. A conclusione del periodo deve essere eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.

 

* definizione di “contatto stretto”

  • una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei
  • un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
  • una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.

Gli operatori sanitari, sulla base di valutazioni individuali del rischio, possono ritenere che alcune persone, a prescindere dalla durata e dal setting in cui è avvenuto il contatto, abbiano avuto un’esposizione ad alto rischio.

(fonte Ministero della salute: clicca qui)


Dolore cronico e psicoterapia: il modello ACT è il più efficace

il National Institute for Clinical Excellence (NICE) “premia” il modello di psicoterapia applicato da sempre dal servizio di Pasicologia clinica per la gestione del dolore cronico oncologico, emicranico o causato dall’endometriosi

Giuseppe Deledda, responsabile Psicologia Clinica IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Giuseppe Deledda

Il modello ACT – Acceptance and Commitment Therapy – è la psicoterapia più efficace per la gestione del dolore cronico. A dirlo è il National Institute for Clinical Excellence (NICE), l’agenzia indipendente britannica il cui mandato è quello di fornire, su evidenze scientifiche, linee guida agli operatori sanitari al fine del raggiungimento dei migliori standard possibili nella cura dei pazienti. Una grande soddisfazione per il Servizio di Psicologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Giuseppe Deledda, che da sempre applica il modello ACT nella presa in carico dei pazienti affetti da dolore cronico.

“Si tratta di una prestigiosa conferma della bontà del nostro approccio terapeutico al dolore cronico come per esempio il dolore oncologico, quello emicranico o causato dall’endometriosi, solo per citare la tipologia dei pazienti che segue il nostro Servizio – spiega il dottor Deledda -. Le linee guida di NICE si basano su trial clinici, che hanno dimostrato quanto il modello ACT agisca positivamente, non tanto sul dolore ‘puro’, quello causato dalla patologia, quanto su quello ‘sporco’”.

Un termine usato quest’ultimo per indicare la sofferenza psicologica che viene ad innestarsi quando la sofferenza fisica condiziona la qualità di vita. “Il paziente affetto da dolore cronico in genere soffre di depressione, ansia, disturbi del sonno, rabbia che amplificano inevitabilmente il dolore fisico, abbassando la soglia di sopportazione – riprende lo psicologo – ACT agisce su questi aspetti portando il paziente ad abbandonare quelle strategie di evitamento che l’essere umano mette in atto istintivamente di fronte a qualcosa che non sa come controllare, ma che esse stesse sono fonti di sofferenza. Un esempio? Evito di frequentare le persone perché a causa del dolore io sono un peso. Questo non fa altro che aumentare il mio senso di solitudine, di non essere amato, esacerbando anche la sofferenza fisica. Ma spesso sono i nostri pensieri che ci attribuiscono il ruolo di ‘peso’ non la realtà dei fatti”.

Come indica l’acronimo ACT, la terapia vuole portare all’accettazione, una parola difficile da affermare di fronte a una persona che soffre. “Accettazione non significa rassegnazione o fatalismo, ma consapevolezza del nostro presente che comprende il dolore ma non deve essere visto attraverso di esso. Aiutare il paziente a muoversi verso ciò che è importante, verso ciò che ha valore per la persona stessa nonostante il dolore, è ciò che si prefigge questo modello di psicoterapia”.

Un modello che secondo le line guida NICE aiuta anche il paziente a una maggiore adesione terapeutica e aumenta l’efficacia del farmaco. “La depressione o la rabbia innestano anche un senso di sfiducia nei confronti della terapia che si sta seguendo: ‘Il dolore rimane quindi a cosa serve?’. La psicoterapia agendo sul dolore sporco, agisce sulla percezione del dolore primario e aumenta la consapevolezza sulla necessità di aderire correttamente alla terapia. Se i farmaci vengono assunti correttamente, aumentano la loro efficacia”, afferma il dottor Deledda.

“La malattia, come il dolore, possono rappresentare momenti in cui sperimentiamo emozioni indesiderate, pensieri inquietanti, vissuti d’impotenza e di perdita delle autonomie, per cui non è sempre facile vivere e muoversi coerentemente con i propri valori – riprede il psicologo -. Il percorso terapeutico si ripropone di rimanere in una posizione d’ascolto e di accoglienza della sofferenza, per poi ricercare un nuovo repertorio di azioni, psicologiche e fisiche, coerenti con i valori identificati. La terapia si snoda, quindi, attraverso un percorso che si sviluppa mediante i sei processi del modello ACT (accettazione dell’esperienza, defusione, contatto con il momento presente, senso di continuità con il sé, contatto con i propri valori e azione impegnata), applicati nel contesto del dolore cronico.


Lo sport paralimpico ritorna in ospedale con il tiro con l'arco

Ritornano presso il Dipartimento di Riabilitazione le iniziative dedicate allo sport con il Comitato Italiano Paralimpico, una collaborazione nata nel 2018. Si è iniziato con il tiro con l’arco, ma seguiranno altre discipline sportive. Perché lo sport è parte integrante del processo riabilitativo e un’occasione di reinserimento nella vita sociale

Luigi in gioventù ha giocato a calcio ed era un appassionato di nuoto. Mai si sarebbe immaginato che a 68 anni avrebbe provato anche il tiro con l’arco e per lo più mentre si trovava ricoverato in ospedale. Invece è accaduto e non per un regalo di Natale, ma grazie alle ripresa dell’attività sportivo-riabilitativa all’interno del Dipartimento di Riabilitazione in convenzione con il Cip, il Comitato italiano paralimpico, interrotta a causa della pandemia.

La giornata “sportiva” si è svolta poco prima di Natale negli spazi del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, dove ogni giorno i pazienti, degenti e non, con lesioni midollari o cerebrali, dovute a traumi oppure a patologie, svolgono attività riabilitativa. Sei di loro hanno aderito all’iniziativa con l’istruttrice Carla Pravato degli “Arcieri Sanbonifacesi”, Società sportiva di tiro con l’arco della provincia di Verona. Carla è istruttore di secondo livello, iscritta all’albo, con specializzazione per il settore giovanile e paralimpico.Le modalità di insegnamento sono le stesse sia per un normodotato sia per un disabile. Anche la posizione è la stessa. La sola differenza è che nel secondo caso utilizziamo degli ausili per adattare il gesto alla condizione della persona”, sottolinea Pravato. “Il tiro con l’arco è una disciplina sportiva considerata riabilitativa per il reinserimento non solo nel mondo dello sport ma anche in quello sociale. Questo in ospedale è un primo approccio, una volta dimesso il paziente può continuare l’attività presso una delle tante società sportive esistenti”.

La convenzione tra il Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS di Negrar e il Cip è stata stipulata nel 2018. “Grazie ad essa istruttori del Comitato si affiancano ai terapisti nel far sperimentare nella fase ospedaliera lo scenario dello sport adattato alla loro disabilità”, afferma la dottoressa Rossato. “Inoltre, dove è necessario, il Cip fornisce anche la strumentazione necessaria per la pratica sportiva scelta. Lo sport diventa così elemento del processo riabilitativo sia dal punto di vista motorio che relazionale”.

Il connubio sport e riabilitazione ha una lunga tradizione a Negrar, anche prima della convenzione con il Cip, tanto che l’ospedale è stato in molti casi una fucina di campioni. Per fare solo alcuni nomi: Federico Falco (campione mondiale di tennis tavolo), Michela Brunelli (campione europeo di tennis tavolo e medaglia di bronzo alle ultime paralimpiadi), Sofia Forneris (nazionale di tiro con l’arco), Federico Crosara (nazionale di tennistavolo), Stefano Pasini (handbike)… e tanti altri, che, nonostante le lesioni che li hanno resi paraplegici o tetraplegici, sono riusciti ad affermarsi nello sport.

“Abbiamo iniziato con il tiro con l’arco, ma è nostra intenzione è proseguire con altri sport quando avremo individuato gli ambienti idonei” sottolinea Giovanni Brunelli, fisioterapista del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa. “Il tiro con l’arco è ideale per esercitare il controllo del tronco, rafforzare gli arti superiori e la capacità oculo-motoria rispetto al gesto atletico. Tra i nostri pazienti ci sono molte persone giovani: per loro lo sport significa ritorno alla vita, l’opportunità di esprimersi fisicamente andando oltre i loro presunti limiti”.