Il dottor Giulio Molon protagonista del Festival del Futuro

Si apre domani 18 novembre a Verona il Festival del Futuro, una tre giorni sul mondo che verrà. Più di 100 i relatori che si confronteranno in tavole rotonde e in keynote speech. Tra questi anche il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia ed esperto in patologie del battito cardiaco. Il suo intervento, venerdì 19 novembre, si può seguire anche in streaming su varie piattaforme

Si apre giovedì 18 novembre nella sala congressi di VeronaFiere la terza edizione del Festival del Futuro, la tre giorni di confronto tra scienziati, imprenditori, innovatori e progettisti del mondo che verrà. A differenza di quella dell’anno scorso, l’edizione 2021 sarà in presenza con posti contingentati per il rispetto delle normative Covid. Ma sarà possibile seguirla anche via streaming (iscrizioni e programma su www. festivaldelfuturo.eu)

Organizzato dal Gruppo editoriale Athesis con Eccellenza d’Impresa e Harvard Business Review, il Festival tratterà, tra i tanti argomenti, di salute, transizione energetica, agricoltura, space economy, mondo del lavoro… grazie alla presenza di oltre 100 esperti, che si confronteranno in oltre 15 tra tavole rotonde e keynote speech.

Tra questi anche il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Venerdì 19 novembre alle 10.30, il cardiologo farà un excursus sulla storia della aritmologia, quella disciplina della cardiologia che studia la fisiologia e la patologia del sistema ‘elettrico’ del cuore, cioè di quel sistema che genera il battito cardiaco e permette a tutte le cellule del cuore di contrarsi in maniera armonica.

Il primo pacemaker? Fu realizzato all’interno di una scatola di lucido da scarpe; oggi è piccolo come un proiettile e sta tutto dentro il cuore. Questo è solo uno dei tanti esempi dello straordinario sviluppo tecnologico dei dispositivi cardiaci. Cosa ci attende per il prossimo futuro e, soprattutto, le grandi potenzialità offerte dalla tecnologia cardiologica sono sostenibili da una sanità universale?

Per seguire da remoto l’intervento del dottor Molon basta collegarsi in streaming su

www.festivaldelfuturo.eu
www.larena.it
www.ilgiornaledivicenza.it
www.bresciaoggi.it
www.ansa.it

E su i rispettivi profili social

Inoltre il Festival del Futuro sarà trasmesso da

Telearena
Telemantova
RadioVerona


Covid19, al via la seconda fase dello studio epidemiologico su Verona condotto dall'Irccs di Negrar

Si tratta dell’unica indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo condotta finora in Italia. Obiettivo: una mappatura aggiornata della diffusione dell’infezione da SARS-CoV2 nella città di Verona a 19 mesi dalla prima rilevazione (aprile-maggio 2020). Lo studio è coordinato dall’IRCCS di Negrar, in collaborazione con il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9

Da sinistra: la professoressa Evelina Tacconelli, il sindaco di Verona Federico Sboarina, il dottor Carlo Pomari e il professor Massimo Guerriero

Lunedì 22 novembre al Centro Diagnostico Terapeutico dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (in via S. Marco 121 – Verona) prende il via la seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020”. La prima fase è stata realizzata nell’aprile-maggio dello scorso anno con lo scopo di indagare la prevalenza (cioè la percentuale nella popolazione) dei casi asintomatici di SARS CoV2 nella città di Verona.

Con la seconda fase si vuole stimare la prevalenza e l’incidenza – cioè i nuovi casi da aprile-maggio 2020 a novembre 2021 – di infezione attiva sullo stesso campione statistico iniziale (1.515 cittadini) e a distanza di 19 mesi.  Inoltre con il dosaggio degli anticorpi lo studio ha l’obiettivo di quantificare la percentuale di abitanti che hanno sviluppato una risposta anticorpale al nuovo Coronavirus a causa dell’infezione naturale o grazie al vaccino.

Lo studio è condotto dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e vede la collaborazione delle maggiori istituzioni amministrative, scientifiche e sanitarie di Verona: il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9. Si tratta dell’unica indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo condotta finora in Italia relativamente al Covid 19.

I risultati della prima fase sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Emerging Infection Diseases, mentre il protocollo dello studio era stato pubblicato sul British Medical Journal Open, come uno dei pochi esempi di indagine epidemiologica sulla diffusione del virus in quel momento realizzati a livello globale.

COME AVVIENE LA RACCOLTA E L’ANALISI DEI DATI

Tramite chiamata telefonica, gli stessi 1.515 cittadini veronesi (con minimo 10 anni) già coinvolti nella prima fase saranno invitati a recarsi, dal 22 al 28 novembre, al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco.

Qui i sanitari dell’IRCCS di Negrar – guidati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia e coordinatore dello studio – sottoporranno i candidati a un prelievo di sangue per il dosaggio degli anticorpi anti-Covid19 e al tampone molecolare naso-faringeo. Inoltre, saranno rilevati i parametri respiratori tramite una spirometria.

I campioni biologici raccolti verranno analizzati dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal professor Zeno Bisoffi, e consegnati al professor Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo, per un’analisi statistica, che prevede un margine di errore al massimo dell’1,5% nelle stime dei diversi parametri.

IL VALORE DELLO STUDIO

“Lo studio ha una finalità medico-scientifica innanzitutto, ma anche una valenza sociale – spiega il dottor Pomari -. Come è accaduto nella prima fase, possiamo stabilire la percentuale dei positivi asintomatici nella città di Verona e quindi fornire alle autorità amministrative e sanitarie elementi oggettivi per adottare o meno misure di contenimento del virus. Dal punto di vista medico – prosegue –  la ricerca ci permette di osservare l’andamento degli anticorpi di coloro che avevano contratto la malattia nella prima fase e/o anche di coloro che si sono vaccinati, rilevando i casi di reinfezione o infezione nonostante il vaccino. Infine i parametri respiratori potranno dirci in generale come respirano i veronesi e se il Covid19, in chi si è ammalato, ha peggiorato la sua salute respiratoria”

PERCHE’ QUESTO STUDIO E’ UNICO NEL SUO GENERE

L’unicità di questo studio è che il campione di cittadini, estratti dall’elenco dell’anagrafe veronese, è casuale e pertanto i risultati saranno estendibili a tutta la popolazione veronese e, ancor più, a popolazioni con struttura demografica simile – sottolinea il professor Guerriero -. Inoltre possiamo garantire un ridotto margine di errore nelle stime pari al massimo all’1,5%. Oltre alla prevalenza ed incidenza di infezione in soggetti asintomatici sarà possibile stimare la prevalenza di reinfezione e quella di infezione in soggetti vaccinati. Saranno anche raccolte importantissime informazioni cliniche di follow-up relative in particolar modo al Long Lovid e cioè a tutti quei disturbi e manifestazioni cliniche che nascono in conseguenza all’infezione da SARS-Cov-2 e i cui meccanismi alla base del loro sviluppo non sono ancora del tutto chiari. Si stima che a 12/15 settimane dall’infezione circa il 50% degli adulti ed il 15% dei bambini soffra appunto di long covid indipendentemente dalla gravità del Covid-19.”.

LO STUDIO SULLA CITTA’ DI VERONA ENTRA NEL PROGETTO EUROPEO ORCHESTRA

La seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020” si arricchisce anche di un’ulteriore indagine: un campione di 80 soggetti (scelti dai 1.515 secondo criteri stabiliti sulla base della data della vaccinazione o di una pregressa infezione da SARS-CoV-2) verranno sottoposti, previo consenso informato, a un ulteriore prelievo ematico per analizzare numerosi aspetti della immunità cellulare, la famosa ‘memoria immunologica’, cioè la risposta che il nostro sistema immunitario mette in atto quando viene in contatto con un agente patogeno già conosciuto, risposta che si attiva sebbene siano venuti meno con il tempo gli anticorpi specifici contro quel virus o quel batterio.

Questa parte dello studio rientra nel progetto di ricerca internazionale ORCHESTRA guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice della Sezione di Malattie Infettive dell’Università di Verona, che coinvolge 15 Paesi (anche extra UE) e finanziato dall’Unione Europea con lo scopo di trovare soluzioni rapide e innovative per la gestione della pandemia da Covid19. Questi campioni verranno analizzati dal laboratorio dell’Università di Anversa (Belgio).

Allo stato attuale non possiamo definire con certezza un livello minimo di anticorpi per ottenere una copertura vaccinale ottimale – spiega la professoressa Tacconelli -. Se lo sapessimo, per esempio, potremmo selezionare i soggetti che hanno bisogno urgente di un richiamo vaccinale o di una dose aggiuntiva. Studiare l’immunità cellulo-mediata, altra arma con cui il nostro organismo si difende da agenti patogeni, in questa coorte, integrata nella coorte Europea di ORCHESTRA, permetterà di aumentare le nostre conoscenze a beneficio della popolazione e dei piani strategici vaccinali.”

COMITATO SCIENTIFICO DELLO STUDIO

Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.

Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona

Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona

Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona

Evelina Tacconelli, direttore della Sezione Malattie Infettive dell’Università di Verona


Diabete: vita sana e controlli periodici per prevenire una malattia dalle gravi complicazioni

Alla vigilia della Giornata mondiale del diabete il dottor Luciano Zenari, responsabile del Centro diabetologico, fa il punto su una patologia che in Italia colpisce oltre 3 milioni di soggetti diagnosticati. L’importanza di stili di vita sani e degli esami periodici del glucosio, che, se elevato, deve essere mantenuto sotto controllo per non cadere in gravi complicazioni.

Una sete intesa (polidipsia) che provoca un costante bisogno di bere e la necessità di urinare frequentemente (poliuria), soprattutto nelle ore notturne. Spesso insorge anche una forte stanchezza (astenia), un calo ponderale importante e un’alterazione della vista.

Sono questi i sintomi con cui si presenta il diabete o l’iperglicemia e che dovrebbero mettere in guardia in particolare coloro che hanno una familiarità per la patologia e/o problemi di sovrappeso.

PERCHE’ IL GLUCOSIO ALTO PROVOCA SETE
Dottore Luciano Zenari, direttore Diabetologia Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Dr. Luciano Zenari

“A livello renale noi siamo dotati di una sorta di ‘sfioratore’ per cui quando la glicemia supera i 180 mg/dl (il livello ottimale è < 100 mg/dl a digiuno), lo zucchero passa nelle urine e trascina con sé l’acqua. Questo è il motivo per cui chi sta sviluppando la malattia lamenta bocca secca e impastata, bisogno frequente di urinare e un calo ponderale importante”, spiega il dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio diabetologico di Negrar. A questo si possono associare anche problemi alla vista con alterazione della capacità visiva e infezioni genito-urinarie.

ESAMI DEL SANGUE PERIODICI

“Tuttavia non si dovrebbe scoprire dai sintomi di avere il glucosio alto, perché è buona norma (non solo per il diabete) sottoporsi periodicamente alle analisi del sangue, almeno una volta ogni anno (a partire da 40 anni)”, sottolinea il dottor Zenari alla vigila della Giornata mondiale del diabete, che si celebra il 14 novembre

Nel 2015 si stimava che le persone affette da iperglicemia nel mondo fossero 415 milioni con una proiezione che toccava i 642 milioni nel 2040. In Italia ci sono oltre 3 milioni di soggetti alle prese con questa patologia, ma a questi si deve sommare un altro milione e mezzo di persone inconsapevoli di soffrire di eccesso di glucosio nel sangue.

DIABETE MELLITO DI TIPO 1 E 2

Si tratta nella grande maggioranza dei casi di diabete mellito di tipo 2, la forma di iperglicemia che insorge in età adulta (tra i 50 e i 60 anni), spesso dovuta alla combinazione di predisposizione genetica (per questo è importante la familiarità) che favorisce l’insulino-resistenza ed errati stili di vita (obesità, sedentarietà, alimentazione con eccesso di cereali e zuccheri semplici…). Circa il 10% dei casi, invece, riguarda il diabete mellito di tipo 1, o giovanile, una patologia autoimmune che vede il sistema immunitario aggredire e distruggere le isole pancreatiche, produttrici dell’insulina endogena.

“Oggi è meno frequente rispetto al passato per un diabetico di tipo 2 deve ricorrere alla somministrazione di insulina – sottolinea il dottor Zenari -. Questo grazie a farmaci efficaci e ormai consolidati, a regimi alimentari personalizzati e alla diffusione su territorio di Centri diabetici che prendono in carico i pazienti (a Negrar sono circa 5mila), curando la malattia, ma soprattutto prevenendo e/o ritardando le gravi complicazioni, la ragione principale per cui è essenziale tenere sono controllo la patologia.

LA GRAVITA’ DELLE COMPLICAZIONI SE IL DIABETE NON E’ SOTTO CONTROLLO

Il diabete è infatti la prima causa di cecità non traumatica; la prima causa di dialisi (l’80% dei dializzati è diabetico); chi soffre di iperglicemia ha un rischio da 2 a 4 volte maggiore di avere una cardiopatia ischemica e doppio di incorrere in un’ischemia cerebrale; infine l’eccesso di glucosio è la prima causa di amputazione degli arti inferiori non traumatica (piede diabetico). Non dimentichiamo inoltre che “per tutte queste ragioni e per un’immunodeficienza di fondo i diabetici sono malati cronici a rischio di incorrere in forme gravi di Covid-19 – sottolinea il medico -. Da qui l’enorme importanza della vaccinazione, a cui i nostri pazienti hanno risposto in massa”.

LE ARMI FARMACOLOGICHE CHE OGGI DISPONIAMO

La ricerca farmacologica negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante nell’ambito della cura del diabete. Ci sono novità all’orizzonte? “Per il diabete di tipo 2 abbiamo già farmaci molto efficaci- risponde il dottor Zenari -. La forma di iperglicemia più diffusa riconosce la sua base più importante nel sovrappeso, in quanto, a differenza di un sentire diffuso, il tessuto adiposo, soprattutto quello addominale, favorisce la resistenza all’azione dell’ormone insulina. Infatti vengono usati farmaci cosiddetti GPL-1 agonisti, che oltre a ridurre la glicemia, hanno un effetto anoressante, cioè tolgono la sensazione della fame, e quindi aiutano il paziente ad aderire al programma dietetico ipocalorico. Invece i farmaci della classe SGLT-2 inibitori inducono la perdita del glucosio nelle urine e per questo favoriscono il miglioramento della glicemia e il calo ponderale. Inoltre, per queste due classi di farmaci, sono evidenti dati di protezione cardiovascolare e renale che confermano la riduzione della mortalità e della progressione di queste complicazioni.

INFUSIONE DI CELLULE STAMINALI: IL TRAGUARDO E’ VICINO

Sono invece prossime delle importanti novità terapeutiche per la cura del diabete mellito 1. “E’ in corso uno studio clinico presso l’Università di Padova che ha come obiettivo la sostituzione della capacità secretiva attraverso un sistema di infusione di cellule Beta pancreatiche incapsulate senza quindi bisogno del trapianto d’organo. Il progetto sponsorizzato dalla Regione Veneto vuole arrivare entro il 2024 a proporre una terapia sostitutiva della somministrazione quotidiana di insulina negli adulti e successivamente anche nei bambini, conclude il dottor Zenari.


IColon, la app "chirurgica" unica in Italia, sviluppata al "Sacro Cuore"

Si tratta della prima ed al momento unica esperienza italiana di utilizzo di una mobile app che accompagna il paziente nelle fasi del protocollo ERAS durante le fasi pre e post-operatorie, mantenendolo sempre in contatto diretto con l’equipe chirurgica. Il protocollo dello studio in corso è stato pubblicato su BMJ Open

E’ stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal (BMJ) Open (clicca qui) il protocollo dello studio in corso presso il reparto di Chirurgia Generale, diretto dal dottor Giacomo Ruffo, in merito all’utilizzo, da parte dei pazienti sottoposti a chirurgia colorettale, di una

Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale
Il dr. Ruffo con la app sullo smartphone

specifica app, iColon, durante l’intero periodo perioperatorio. 

iColon è un’applicazione gratuita scaricabile su smartphone e tablet che accompagna il paziente sottoposto a chirurgia colorettale durante le fasi di preparazione all’intervento chirurgico e dopo lo stesso nel rientro a domicilio.
L’applicazione è stata progettata dalla Chirurgia Generale in collaborazione con il gruppo multidisciplinare e multispecialistico (anestesisti, farmacisti, dietisti, fisiatri e fisioterapisti) che segue l’applicazione del protocollo ERAS – Enhanced Recovery after Surgery – ed è nata dall’esigenza di stimolare e seguire in modo attivo ed attento il paziente durante tutto il periodo perioperatorio.
Si tratta della prima ed al momento unica esperienza italiana di utilizzo di una mobile app che accompagna il paziente durante le fasi pre e post-operatorie mantenendolo sempre in contatto diretto con l’equipe chirurgica.

iColon è organizzata, come il protocollo ERAS, in tre fasi: la fase preoperatoria, la fase del ricovero e la fase del rientro a domicilio dopo la dimissione. Ad ognuna di queste fasi corrispondono dei contenuti informativi che educano il paziente sul percorso perioperatorio rendendolo in tal modo più partecipe e coinvolt. Inoltre è previsto un diario giornaliero che il paziente è invitato a compilare inviando un feedback ai medici dell’equipe che seguiranno il percorso di ogni paziente su una apposita piattaforma digitale.Il razionale dello studio nasce dell’idea che fornendo una mobile app come iColon l’aderenza da parte del paziente agli items attivi del protocollo ERAS possa aumentare.

Il primo obiettivo co-primario è valutare la percentuale di utilizzo dell’applicazione iColon da parte dei pazienti. Il secondo obiettivo co-primario è valutare la compliance dei pazienti agli items attivi del protocollo ERAS. Gli obiettivi secondari includono la valutazione dei vari parametri raccolti dall’applicazione stessa quali durata del ricovero, tasso di readmission a trenta giorni, complicanze postoperatorie e soddisfazione del paziente per le cure ricevute con particolare riferimento all’utilizzo di iColon.


Radioterapia per il tumore al seno: efficace senza importanti effetti collaterali

La Radioterapia Oncologica si colloca ormai da anni tra le armi terapeutiche più importanti per combattere il tumore al seno insieme alla chirurgia e alle cure con i farmaci. Grazie all’avanzamento tecnologico e della conoscenza biologica dei tumori oggi le radiazioni ionizzanti sono in grado di curare il tumore anche nelle fasi avanzate senza importanti effetti collaterali. Come per esempio a a danno del cuore. Ce lo spiega come nel video Filippo Alongi, direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore associato all’Università di Brescia


Benedizione Don Calabria

1922-2022: il Sacro Cuore celebra l'anno del Centenario

Benedizione Don Calabria

1922-2022. L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria entra nell’anno del Centenario. Era infatti  il 1° novembre 1922, quando ebbe luogo la benedizione inaugurale dell’ospizio denominato Casa del Sacro Cuore. Un’opera voluta da don Angelo Sempreboni, parroco di Negrar, che contemporaneamente iniziò l’edificazione di uno stabile destinato a ospedale per gli abitanti del paese

Il ricovero Casa del Sacro Cuore

“Il parroco acquistava l’immobile dalla Cassa Rurale in data 12 marzo 1920 con l’intento di aprirvi un ricovero, ma lo stabile non potè essere utilizzato come ospizio se non a partire dal 1° novembre 1922, quando ebbe luogo la benedizione inaugurale con l’ingresso dei primi quattro anziani: l’ospizio venne denominato Casa del Sacro Cuore…”. (M. Gecchele, Storia dell’Opera don Calabria II/3, Edizioni CCSC, Verona-2013, pag. 71).

Il parroco in questione era don Angelo Sempreboni, l’immobile si trovava dietro la chiesa parrocchiale di Negrar (nei pressi dell’attuale Pronto Soccorso) e quella benedizione fu l’inizio della storia centenaria dell’ospedale Sacro Cuore, continuata successivamente nelle mani di San Giovanni Calabria a partire dal 1933.

Negli anni in cui don Sempreboni mise la prima pietra di un sogno, l’assistenza sanitaria era un lusso. Il Comune sosteneva economicamente le cure di base del medico condotto e i ricoveri in ospedale dei più poveri. Per gli altri – piccoli proprietari terrieri e mezzadri di cui era costituita in buona parte la popolazione di 4mila anime di Negrar all’inizio del ‘900 – avere un malato in casa significava nelle migliore delle ipotesi un enorme salasso economico, su cui influiva pesantemente anche la lontananza del paese dalla struttura ospedaliera più vicina, quella di Verona.

don Angelo Sempreboni
don Angelo Sempreboni

Per questo fin dal suo insediamento alla guida della parrocchia di Negrar, il prete originario di Fumane decise di realizzare un piccolo ricovero per anziani e una struttura ospedaliera. Quindi contemporaneamente all’acquisizione della Casa del Sacro Cuore (“una casa colonica, detta Villa Serena, con annesso terreno… di proprietà dei fratelli Rizzi di Verona”), iniziò l’edificazione di uno stabile di fronte al ricovero.

Ma mentre la casa per anziani già nel 1926 contava 30 ospiti (“vecchi e impotenti al lavoro”) – grazie anche allo straordinario impegno di assistenza delle Piccole Suore della Sacra Famiglia arrivate in parrocchia già nel 1918 il piccolo ospedale una volta terminato nel 1931 non venne aperto per mancanza di autorizzazione.

Le domande di riconoscimento civile vennero ripetutamente respinte, tanto che don Sempreboni, morto il 4 luglio del 1932, non riuscì a vedere avviato il suo progetto. Le autorità  negavano l’autorizzazione non per problemi tecnici di qualche genere, ma perché la struttura era gestita da don Angelo, inviso ai maggiorenti fascisti locali, che per il suo impegno sociale lo consideravano un acerrimo nemico antifascista. Don Angelo era consapevole di tanta ostilità, tanto che, pur di avviare l’ospedale per la sua gente, maturò la convinzione di cedere la gestione della Casa Sacro Cuore a un Istituto religioso, in primis a quello delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. Ma suor Maria Domenica Mantovani declinò l’offerta. In una lettere del 1931, in cui chiedeva ancora una volta la disponibilità alla religiosa, il parroco riferisce un interessamento da parte dell’Istituto Fatebene-fratelli.

Prima di morire il fondatore della Casa del Sacro Cuore ricevette la visita di don Calabria, che ricorda così quel momento: “Fin dall’inizio ho sempre sentito che la Provvidenza aveva dei grandi disegni da svolgere a Negrar. Disegni che forse voleva esprimermi il benemerito don Angelo Sempreboni, la sera prima della sua morte, quando, non riuscendo più a parlare, gesticolava per potermi dire qualcosa…” (M. Gecchele, Storia dell’Opera don Calabria II/3, Edizioni CCSC, Verona-2013. Prefazione a cura di fratel Mario Bonora).

Il 12 dicembre del 1933 il Consiglio di amministrazione della Società Buoni Fanciulli riteneva “opportuno l’acquisto dell’immobile” della Casa del Sacro Cuore per “i fini sociali” della stessa società.

A cura dell’Ufficio Stampa
IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Nella foto di copertina:  la benedizione di don Giovanni Calabria ai malati e alle Sorelle che prestano servizio nel ricovero (vicino a lui il suo vicario e futuro successore, don Luigi Pedrollo. In ginocchio fratel Attilio Riccardi, religioso e medico dell’UMMI).


Ottobre rosa: la diagnosi precoce consente un intervento chirurgico conservativo

L’esame senologico (mammografia ed ecografia) eseguito periodicamente rileva tumori mammari non palpabili per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%, grazie anche a una chirurgia che coniuga la radicalità dell’intervento oncologico con un ottimo risultato estetico. Si parla infatti di chirurgia oncoplastica

“Più il tumore è piccolo più la diagnosi è favorevole e più è alta la possibilità di effettuare un intervento chirurgico conservativo. Per questo è fondamentale effettuare periodicamente gli esami strumentali”, raccomanda il dottor Alberto Massocco, direttore della Chirurgia senologica, “Mammografia e ecografia sono in grado di rilevare tumori non palpabili, per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%”.

Dottor Massocco, cosa s’intende per intervento conservativo?

Gli interventi conservativi sono circa il 65-70% del totale e prevedono l’escissione del nodulo tumorale e del tessuto sano circostante,senza deturpare l’aspetto della mammella. Oggi lo possiamo fare in maniera ottimale grazie alla chirurgia oncoplastica, che, abbinando tecniche chirurgiche oncologiche a quelle plastiche, permette al chirurgo senologo di effettuare interventi salvavita (e per il tumore al seno l’intervento lo è sempre) con un risultato esteticamente qualitativo. Questo è possibile quando l’asportazione chirurgica è compatibile con il volume della mammella”.

Quindi, la mastectomia non sempre è sinonimo di gravità della diagnosi

Assolutamente no. La mastectomia è indicata anche in presenza di un nodulo non aggressivo, ma di dimensioni tali da non permettere un risultato esteticamente gradevole rispetto al volume del seno. Oppure quando sono presenti nella stessa mammella più noduli nati contemporaneamente.

Quando il tumore è molto piccolo l’intervento è risolutivo?

L’intervento conservativo prevede sempre la radioterapia. Per i carcinomi duttali in sito (le cellule tumorali si sviluppano all’interno dei dotti ma rimangono “in situ” cioè non si estendono al di fuori del dotto nel tessuto circostante o in altre parti del corpo, ndr) non è indicata la combinazione della terapia radioterapica con quella farmacologica, contrariamente a quanto avviene per i tumori infiltranti,

L’intervento chirurgico prevede, nei casi indicati, la linfoadenectomia, cioè l’asportazione dei linfonodi ascellari, che comporta sequele pesanti per la donna come linfedema e/o limitata mobilità del braccio…

Grazie alla tecnica del linfonodo sentinella, oggi noi possiamo sapere in tempo reale se è necessaria o meno la linfoadenectomia per quei tumori infiltranti che non presentano linfonodi ascellari con malattia alla diagnosi. In sede di intervento viene asportato il linfonodo più vicino al nodulo tumorale (“sentinella”) e analizzato. Solo se positivo si procede allo “svuotamento” ascellare. Tuttavia questo tipo di metodica potrebbe essere superata da novità rilevanti.

Quali?

La Chirurgia senologica di Negrar ha partecipato a uno studio clinico multicentrico italiano SINODAR ONE che potrebbe cambiare definitivamente l’intervento di chirurgia oncologica della mammella. Lo studio prende in considerazione i tumori infiltranti che negli esami pre-intervento non hanno presentato interessamento linfonodale ma con linfonodo sentinella positivo. L’obiettivo è dimostrare se senza linfoadenectomia si ottengono gli stessi tassi di guarigione che si avrebbero con l’asportazione dei linfonodi. In altri Paesi studi simili hanno dato esito positivo. Per SINODAR ONE l’arruolamento delle pazienti è stato completato. Ora attendiamo – con fiducia –  la conclusione del follow up.

Uno studio ancora in corso e che ci vede come uno dei centri aderenti è il NEONOD 2. La ricerca clinica prende in considerazione le donne che dopo una chemioterapia neoadiuvante (prima dell’intervento) per un tumore con linfonodi ascellari metastatici, hanno ottenuto la guarigione degli stessi. In questo caso quando alla biopsia del linfonodo sentinella si individua un micrometastasi (tra 0,2 e 2 mm), le pazienti che hanno aderito allo studio non vengono sottoposte a linfoadenectomia ascellare. L’obiettivo è dimostrare che queste donne guariscono nel tempo allo stesso modo di coloro che invece effettuano l’intervento.

La mastectomia bilaterale è una delle due opzioni proposte alla donna portatrice sana o malata di mutazioni genetiche, soprattutto a carico dei geni BRCA1 e BRACA2 che comportano un alto rischio oncologico. L’altra è la sorveglianza con esami strumentali ogni 6 mesi. La mastectomia riduce a zero il rischio di tumore?

No. Lo riduce al 90%, in quanto la struttura morfologica della mammella non consente di asportare tutta la ghiandola. E’ necessario che la donna continui a tenersi controllata anche dopo l’intervento, ma l’asportazione bilaterale abbassa drasticamente il rischio di malattia con evidenti ricadute sul benessere della donna.

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dottoressa Valeria Viassolo, genetista oncologadell'IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Ottobre rosa: il ruolo della genetica oncologica nella prevenzione

dottoressa Valeria Viassolo, genetista oncologadell'IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Una diagnosi in giovane età e/o la presenza in famiglia, tra parenti stretti, di casi di tumore mammario è un allert da non sottovalutare. L’identificazione di una predisposizione genetica è molto importante perché permette di avviare un programma di sorveglianza e di prevenzione dedicato per i soggetti identificati come ad alto rischio oncologico e di rassicurare i familiari non portatori, che ritrovano il rischio della popolazione generale

Lo sviluppo delle conoscenze sulle caratteristiche biologiche di ogni forma tumorale – si parla infatti di tumori al plurale anche se interessano lo stesso organo – ha fatto sì che la genetica oncologica assuma un ruolo importante anche nella prevenzione di alcune neoplasie maligne, comprese quelle della mammella.

LE FORME GENETICHE DI TUMORE MAMMARIO

Le forme ereditarie o genetiche di tumore della mammella femminile rappresentano, in termini percentuali, una piccola fetta (circa il 5-10%) delle diagnosi totali, che in Italia nel 2020 sono state circa 55 mila.

Esse sono legate alla presenza di una variante patogenetica, o mutazione, costituzionale in alcuni geni di predisposizione, che può essere trasmessa attraverso le generazioni. I geni principali, implicati in circa il 20% delle forme ereditarie, sono i geni BRCA1 e BRCA2, noti al grande pubblico come i “geni Jolie”, dal nome dell’attrice americana Angiolina Jolie, che si è sottoposta a chirurgia profilattica mammaria e ginecologica in quanto portatrice di mutazione in uno di questi geni come la mamma, la nonna e la zia scomparse precocemente a causa della malattia tumorale. Un altro 5% delle forme ereditarie di tumore al seno è legato a mutazioni in altri geni (PALB2, PTEN, STK11, CDH1, TP53, ATM, CHEK2), mentre in più della metà delle situazioni in cui si suppone che ci sia una base genetica non è ad oggi possibile identificare mutazioni in geni predisponenti.

COSA SIGNIFICA PREDISPOSIZIONE GENETICA

“La predisposizione genetica a una neoplasia non significa la certezza di ammalarsi di tumore, ma avere un rischio significativamente superiore di svilupparlo rispetto alle persone di pari età”, sottolinea la dottoressa Valeria Viassolo, genetista del “Sacro Cuore Don Calabria”. “L’identificazione di una predisposizione diventa molto importante perché permette di avviare un programma di sorveglianza e di prevenzione dedicato per i soggetti identificati come ad alto rischio oncologico e di rassicurare i familiari non portatori, che ritrovano il rischio della popolazione generale”.

SORVEGLIANZA E PREVENZIONE

Per quanto riguarda il tumore mammario, il programma di sorveglianza prevede l’esecuzione annuale dell’esame senologico completo (esame clinico, mammografia ed ecografia mammaria) e della risonanza magnetica delle mammelle, alternati ogni sei mesi. Dal punto di vista preventivo, la chirurgia profilattica mammaria (mastectomia bilaterale) “viene discussa come opzione per le donne ad alto rischio, in base alle linee guida internazionali”, precisa Viassolo

LA GENETICA ONCOLOGICA

“La genetica oncologica è una branca della genetica medica ed è rivolta ad individui con una storia personale e/o familiare di tumore maligno e/o di lesioni di natura benigna suggestiva della potenziale presenza di una sindrome ereditaria di predisposizione a sviluppare una neoplasia”, spiega ancora Viassolo. “Pertanto molto spesso questa branca si occupa di individui sani. Nell’ultimo anno e mezzo si sono rivolte all’ambulatorio di genetica oncologica del “Sacro Cuore” circa 480 persone appartenenti a 400 famiglie. Nel 30% si trattava di individui sani, familiari di persone affette da tumore. Il 60% delle famiglie ha intrapreso il percorso di visita genetica per storia personale o familiare di tumore della mammella e/o dell’ovaio.

FAMILIARITÀ ED EREDITARITÀ

Esiste una sostanziale differenza nella scala di rischio tra i fattori familiarità ed ereditarietà.

“Quando nello stesso ramo familiare si osservano più diagnosi di tumori di stessa localizzazione, ma le persone colpite non sono parenti stretti (per esempio cugini, nonni…) e le età alla diagnosi sono comparabili a quelle osservate nel contesto della popolazione generale, si parla allora di verosimili forme di “aggregazione familiare”, che rappresentano circa 15%-20% di tutte le diagnosi di tumori della mammella – afferma la dottoressa Viassolo -. Alla base di queste situazioni di solito vi è una combinazione di cancerogeni ambientali, come stili di vita non salutari o esposizione ad agenti tossici e di varianti genetiche associate a rischi solo lievemente aumentati. Entrambi questi fattori possono essere condivisi da più membri di una stessa famiglia. Se da un lato la familiarità è una ragione in più per sottoporsi regolarmente a controlli periodici, in particolare agli screening dove previsti (mammella, colon e cervice uterina) raramente per questi casi è indicata una consulenza genetica”.

Diverso è il discorso per le forme ereditarie o genetiche, che sono riconducibili appunto a una mutazione in indeterminati geni. “Le linee guida individuano alcuni criteri personali e/o familiari in presenza dei quali è indicata la visita genetica – spiega ancora la dottoressa Viassolo – Innanzitutto la giovane età alla diagnosi di tumore della mammella (per il carcinoma mammario inferiore ai 36 anni), la presenza in una stessa famiglia di più diagnosi di tumore al seno (o di neoplasie correlate, per esempio tumore dell’ovaio), specialmente in età precoce rispetto alla media per quel tumore osservata nella popolazione.

CONSULENZA GENETICA: CHE COS’È

Ma in cosa consiste una consulenza genetica in oncologia? “Si tratta di un percorso complesso caratterizzato da vari step – risponde Viassolo -. Innanzitutto vengono fornite informazioni sull’epidemiologia e sulle basi genetiche delle malattie tumorali. Inoltre, viene stimata attraverso la storia personale e familiare la probabilità di una sindrome genetica di predisposizione e valutato il rischio oncologico per l’individuo che realizza la consulenza e per i membri della famiglia. Infine, vengono presentate e discusse le misure di sorveglianza e/o di prevenzione indicate. In tale contesto – sottolinea – possono essere proposti test genetici, quando appropriati e disponibili”.

UN PERCORSO CON PIÙ SPECIALISTI

Il percorso di consulenza viene condiviso in maniera trasversale “con i medici oncologici, specialisti d’organo (ginecologi, senologi, gastroenterologi, urologi…), radiologi, psicologi clinici, … – conclude la dottoressa Viassolo -. È inoltre necessaria da parte del medico genetista una conoscenza dei dati molecolari e un’interazione stretta con i biologi che realizzano i test, al fine di fornire una corretta interpretazione clinica del dato di laboratorio”.


Terza dose del vaccino anti-Covid: ecco perché è indicata e quali sono le evidenze

Nel video qui sotto il dottor Andrea Angheben, infettivologo e responsabile del reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, spiega perché è indicata la somministrazione di una dose di richiamo del vaccino anti-Covid, la cosiddetta “terza dose”, e per quali categorie essa è indicata in via prioritaria. Inoltre il dottor Angheben risponde ad alcune delle domande più frequenti su questo tema: con la terza dose c’è il rischio di effetti collaterali più gravi? E’ opportuno farsi un test sierologico prima della vaccinazione? Cosa deve fare chi ha già avuto il Covid e si è anche vaccinato? Il vaccino somministrato per la dose di richiamo è lo stesso delle prime due dosi? E’ possibile effettuare la somministrazione insieme al vaccino antinfluenzale?


Ottobre rosa: dalla diagnosi precoce alle nuove terapie per la cura del tumore al seno

A causa della pandemia, non è stato effettuato circa 1 milione gli screening senonologici rispetto al 2019, con la conseguenza di 3300 diagnosi in meno  di tumore al seno se i dati vengono confrontati con quelli dell’anno precedente. “Ribadiamo che la mammografia è un esame gratuito grazie agli screening dedicati alle donne dai 50 anni ai 70, e in alcune regioni, come il Veneto, fino ai 74 anni”, sottolinea  nel video-intervista a “Dica33” – trasmissione di salute di Telearena e Telemantova – la dottoressa  Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Rispondere all’invito delle Ulss è fondamentale per la diagnosi precoce del tumore al seno, che se scoperto in fase iniziale ha alte probabilità di guarigione. Per chi ha casi in famiglia di questa neoplasia è altamente consigliabile rivolgersi prima dell’età dello screening al medico di famiglia che eventualmente indirizzerà la donna ai centri senologici per escludere mutazioni genetiche predisponenti al tumore”.

Nell’intervista la dottoressa Gori interviene anche riguardo alle novità terapeutiche e al trattamento del tumore al seno in gravidanza, oggi possibile senza danni al feto e alla mandre