Metastasi cerebrali: da "HyperArc" risultati promettenti

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Pubblicati i primi risultati dei trattamenti con il sistema di Radiochirurgia, HyperArc utilizzato in Italia solo al “Sacro Cuore”: nel 99% dei casi si è manifestato un arresto della progressione e una remissione parziale o completa di ogni metastasi

Il sistema di Radiochirurgia “HyperArc”, utilizzato per la prima volta al mondo dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nell’agosto del 2017, è un alleato molto promettente per la cura delle metastasi cerebrali multiple, trattandole contemporaneamente e in una sola seduta di pochi minuti.

 

A dimostralo sono i primi risultati del trattamento pubblicati dalla rivista internazionale Journal Research and Clinical Oncology e che riguardano lo studio condotto dall’équipe del professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica, su 381 metastasi in 64 pazienti sottoposti a controllo Risonanza Magnetica a due mesi dalla cura radioterapica. Ogni paziente presentava in media 7 metastasi.

 


Lo studio ha rilevato nel 20% circa delle metastasi una risposta completa, con la distruzione totale della lesione secondaria; nei rimanenti casi, invece, si è verificato una remissione parziale o un arresto della progressione (Photo Gallery)

 

Altro dato molto significativo: nei pazienti in cura non sono emersi effetti collaterali, come radionecrosi o edema cerebrale massivo, sequele importanti che invece possono accadere con la radioterapia tradizionale, in particolare quando vengono colpiti diversi bersagli, contemporaneamente e con alte dosi di radiazioni.

“Questo grazie alla precisione millimetrica di irradiazione garantita dal sistema HyperArc – sottolinea Alongi, che è anche professore associato all’Università di Brescia -. Noi possiamo colpire con un’elevata dose di radiazioni solo focalmente e nello stesso momento le parti ‘malate’ dell’encefalo, preservando quelle sane. Andiamo così ad incidere positivamente non solo sulla sopravvivenza del paziente ma anche sulla qualità di vita dello stesso”.

 

 

Lo studio ha rilevato infine che la migliore risposta alla radioterapia si è verificata negli uomini con carcinoma polmonare e nelle donne con tumore alla mammella. “E’ un dato che dobbiamo ancora approfondire – sottolinea il professor Alongi – ma probabilmente è dovuto anche all’efficace interazione tra i farmaci che vengono utilizzati per via sistemica per queste neoplasie e la radiochirugia”.

Il software HyperArc aumenta le libertà di movimento dell’acceleratore lineare TrueBeam, la macchina erogatrice di radiazioni ionizzanti ad alta energia, consentendo ad essa di colpire contemporaneamente con estrema precisione diverse metastasi in una sola seduta della durata di pochi minuti. Un tempo molto ridotto rispetto ad altri trattamenti tradizionalmente utilizzati e dedicati specificamente alle lesioni cerebrali multiple, che spesso richiedono una seduta di circa un’ora per ciascuna delle metastasi.

 

Il fascio di radiazioni ionizzanti si comporta come il bisturi del neurochirurgo, da qui il nome di radiochirurgia – precisa il radio-oncologo – ma in maniera assolutamente non invasiva e senza il supporto dell’anestesia”. Dall’agosto del 2017 sono stati trattati a Negrar 114 pazienti per un totale di 585 lesioni.

 

L’innovativo sistema viene utilizzato in Italia solo dal “Sacro Cuore Don Calabria”. “Per apprendere il funzionamento di HyperArc e altre metodiche all’avanguardia che utilizziamo, vengono da noi colleghi da ogni parte del mondo – conclude Alongi -. Recentemente abbiamo avuto ospiti dalla Colombia e dalla Germania. Quando ero specializzando eravamo noi ad andare all’estero per imparare queste tecniche innovative…”.

Nella foto: l’équipe della Radioterapia Oncologica con al centro il professor Filippo Alongi

In allegato il testo dello studio pubblicato su Journal Research and Clinical Oncology

In PhotoGallery: un esame di Risonanza Magnetica che mostra la presenza delle metastasi prima della Radiochirurgia e la scomparsa dopo il trattamento

Per saperne di più: Metastasi cerebrali: il “Sacro Cuore” primo al mondo nell’uso di una nuova tecnica di Radiochirurgia


Ummi e Opera Don Calabria insieme per combattere l'AIDS in Angola

L’Unione Medico Missionaria Italiana è capofila di un progetto triennale che vede come partner anche il “Sacro Cuore”, il cui obiettivo è rafforzare i servizi di prevenzione e cura degli ammalati di AIDS a Kilamba Kiaxi, vicino alla capitale Luanda

67.500 persone alle quali somministrare il test per l’HIV, 10mila pazienti da trattare con i farmaci antiretrovirali, 35mila visite domiciliari da effettuare ad ammalati di AIDS che hanno abbandonato la terapia. Tutti nel municipio di Kilamba Kiaxi, agglomerato di quasi un milione e mezzo di abitanti a pochi chilometri dalla capitale angolana Luanda, dove l’Opera Don Calabria è presente da più di 20 anni con l’ospedale Divina Providência (foto 1) e una rete di 5 posti di salute periferici.

 

Sono numeri importanti quelli del Progetto triennale per la Protezione Integrale del Paziente Sieropositivo in Angola (PIPSA),avviato nel luglio 2018 e co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la cooperazione con un importo complessivo di oltre due milioni. Capofila del progetto è l’Unione Medico Missionaria Italiana – UMMI,organizzazione non governativa che dal 1940 ha la propria sede presso l’ospedale di Negrar. Proprio il “Sacro Cuore Don Calabria”, IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali, è tra gli enti partner del progetto insieme alla Delegazione angolana dei Poveri Servi della Divina Provvidenza e ad altre importanti organizzazioni quali il CUAMM di Padova, l’Università degli Studi di Trieste e varie realtà angolane.

 

Ma al di là dei numeri, l’iniziativa promossa dall’UMMI ha un obiettivo molto ambizioso: rafforzare la qualità dei servizi per la prevenzione e la cura dell’HIV a Kilamba Kiaxi, accompagnando i pazienti in modo integrale, sia a livello fisico che psicologico, e agendo sul contesto sociale per combattere i pregiudizi che tuttora permangono in Angola sul tema dell’AIDS. Per questo motivo il progetto agisce in tre diversi ambiti: area clinica, implementando un maggior numero di test diagnostici per l’HIV e potenziando le cure per chi risulta positivo; area formativa, con la realizzazione di corsi rivolti al personale sanitario del Distretto; area comunitaria, con iniziative di sensibilizzazione e prevenzione territoriale.

 

Negli ultimi mesi del 2018 sono stati messi in atto i primi interventi soprattutto in campo formativo. Ad esempio è partito un corso per formare dieci agenti comunitari che dovranno essere veri e propri attivisti sanitari, promuovendo incontri di sensibilizzazione sull’HIV negli ambienti sociali più frequentati del quartiere. In particolare dovranno aiutare le persone a capire l’importanza di fare il test e conoscere la propria situazione sierologica. Una questione cruciale, visto che nei primi nove mesi del 2018 solo 8.205 persone hanno fatto il test presso l’ospedale Divina Providência, pari ad un misero 0,54% della popolazione del quartiere. Un numero davvero piccolo a fronte di un tasso di sieropositività che tra gli adulti angolani si aggira sul 2,38% dell’intera popolazione (dati 2014). Altra questione centrale su cui si intende agire è quella dei pazienti che abbandonano la terapia. Infatti dall’analisi effettuata emerge che solo il 38% dei sieropositivi che iniziano la terapia all’ospedale Divina Providência la portano avanti in modo continuativo.

 

Come visto, molte delle azioni previste si svolgono con la fondamentale collaborazione dell’ospedale Divina Providência, che tra i suoi vari servizi gestisce anche un Centro per il trattamento dell’HIV e della tubercolosi (foto 2). L’ospedale, nato proprio dalla collaborazione tra Opera Don Calabria e UMMI, è attivo fin dal 1994 e collabora con il Sistema Nazionale di Salute Pubblica angolano. Oltre all’ospedale, gli interventi del Progetto PIPSA coinvolgeranno i cinque posti di salute periferici gestiti dall’Opera Don Calabria nel quartiere e altri tre posti di salute pubblici, in virtù del fatto che anche le autorità sanitarie locali sono partner.

 

Con questo progetto l’UMMI consolida il suo lavoro in Angola, dove è presente da molti anni operando in modo particolare nell’ambito della tutela delle mamme e dei bambini denutriti. Oltre all’Angola, l’organizzazione opera in molti altri Paesi con tre tipi di attività: elaborazione di “Progetti di sviluppo” nell’ambito della cooperazione internazionale, invio di aiuti medico-sanitari e Fondo Infanzia Bisognosa. I progetti, in particolare, spaziano dal campo sanitario e socio-sanitario a quello della formazione, dallo sviluppo agricolo a quello socio-economico.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it

 

Sull’argomento si veda anche: “Da Negrar a Luanda: 25 anni di cooperazione sanitaria in Angola”


Concorso presepi 2018: il primo premio all'Ortopedia

Una giuria di appassionati ha visitato tutti i presepi allestiti presso i reparti della Cittadella della Carità. Oltre al vincitore, sono stati premiati anche il presepio congiunto di Neurologia e Cardiologia e quello del terzo piano di Casa Nogarè

 

È il presepe dell’Ortopedia il vincitore del tradizionale concorso che vede in gara tutti i presepi realizzati all’interno della Cittadella della Carità (foto 1). Al secondo posto si è classificato il presepio congiunto di Neurologia e Cardiologia (foto 2) mentre sul terzo gradino del podio si è piazzato il presepio realizzato al 3° piano di Casa Nogarè (foto 3).

 

Le premiazioni, con tanto di consegna di un bel cesto gastronomico ad opera del CRON (Circolo Ricreativo Ospedali di Negrar), si sono svolte lunedì 31 dicembre dopo che una qualificata giuria di appassionati ha visitato tutti i presepi allestiti nei vari reparti dell’ospedale. Non è stata una scelta facile, visto l’altissimo livello della competizione, ma per tutti ci sarà la possibilità di rifarsi nel concorso già programmato per il Natale 2019.


Il dottor Ciaffoni lascia il Laboratorio: arriva il dottor Conti

Dopo 15 anni da direttore del Laboratorio di Analisi e di Medicina Trasfusionale, il dottor Stefano Ciaffoni va in pensione: “Lascio un Ospedale e un Laboratorio radicalmente trasformati. Se penso a come erano quando sono arrivato… mi sembra preistoria”

Verona è la sua città adottiva da quarant’anni, ma l’accento laziale il dottor Stefano Ciaffoni se lo tiene ben stretto. “Sono nato 67 anni fa a Frascati, terra del vino bianco, ma il destino ha voluto che finissi a Negrar, terra del vino rosso”, dice sorridendo.

 

Se a Verona ci è rimasto per amore – “ho conosciuto mia moglie Patrizia mentre facevo la naja alla caserma Duca di Montorio” – all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ci è giunto nell’agosto del 2003 come direttore del Laboratorio di Analisi e di Medicina Trasfusionale, rimanendovi per 15 anni: il 31 dicembre è l’ultimo giorno da camice bianco in servizio e il primo di una nuova vita. “Mi dedicherò a tante altre cose – racconta – ma principalmente farò il nonno di Arianna, la mia adorabile nipotina di sei mesi”. Sarà un nonno con la valigia in mano, perché Arianna abita in Gran Bretagna, dove il papà Luca, primogenito del dottor Ciaffoni, insegna chimica all’Università di Oxford. L’altro figlio, Nicola, è attore di teatro al “Piccolo” di Milano.

“Quando fu il momento di specializzarmi ero incerto se entrare nella scuola di Pediatria o di Ematologia – prosegue – . Alla fine non dovetti nemmeno fare la fatica di decidere: decise l’Università per me, perché non fui preso a Pediatria. Ma l’ematologia non fu un ripiego: il mondo delle cellule ematiche mi ha sempre affascinato e poi avevo una motivazione in più per esercitare la mia professione di medico in questo ambito avendo perso una cugina per leucemia di soli 15 anni”.

 

Il primo impiego del dottor Ciaffoni fu all’Ospedale di Borgo Trento dove rimase 12 anni, per trasferirsi poi in quello di Bussolengo, come responsabile della Medicina Trasfusionale. “Sentivo parlare del “Sacro Cuore Don Calabria” ma non avevo mai avuto l’occasione di andarvi – sottolinea – Fino al 1993 quando ricevetti l’invito a un incontro di pediatri come esperto di malattie ematologiche infantili, in particolare di piastrinopenia dei neonati prematuri”.

 

A volerlo a Negrar dieci anni dopo fu l’allora direttore sanitario, Gastone Orio. “Il nostro primo incontro è stato più uno scontro – scherza Ciaffoni -. Quando ero a Bussolengo abbiamo avuto, diciamo così, una divergenza di opinioni ma probabilmente, come accade spesso, questo ha rafforzato la stima reciproca”.

 

Come è cambiato il Laboratorio di Analisi in quindici anni? “Avrei voluto fare una foto quando sono arrivato per poterla confrontare con la realtà attuale – risponde -. In questo lasso di tempo la medicina in generale ha fatto passi da gigante e anche il nostro Ospedale si è radicalmente modificato, subendo una trasformazione incredibile. Così è stato anche per il Laboratorio. L’informatizzazione è stata la scelta decisiva. Basti pensare che quando sono arrivato i medici dei reparti compilavano a mano la richiesta di esami per ogni paziente e i dati venivano inseriti dalle nostre segretarie con gli inevitabili errori umani. Tutto questo adesso è preistoria”.

 

Oggi il dottor Ciaffoni lascia un Laboratorio con tecnologie di ultima generazione e un team di 50 persone tra cui quattro medici e 2 biologi. A prenderne il testimone sarà dal 1° gennaio 2019 il dottor Antonio Conti, già direttore del Laboratorio di Analisi Cliniche del “Mater Salutis” di Legnago.

 

“Non faccio nomi per non dimenticare nessuno, ma ringrazio proprio tutti coloro che hanno collaborato con me a realizzare progetti importanti e stimolanti – conclude il dottor Ciaffoni -. E‘ stata veramente una bella avventura. Ho svolto il lavoro che ho sempre desiderato fare in un ambiente che mi ha dato fiducia. Ma c’è un tempo per ogni cosa. Adesso è tempo di fare altro”.

 

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Mai sottovalutare la tosse: un Centro dedicato alla diagnosi e alla cura

Quando persiste da almeno tre mesi è sempre un sintomo che merita di essere indagato: in via San Marco (a Verona) nasce il Centro multispecialistico della tosse, coordinato dallo pneumologo Carlo Pomari

La tosse è sempre un sintomo. Lo può essere di un banale raffreddore, ma anche di patologie ben più serie, se è persistente o cronica. Non sottovalutarla, indagandone le cause, significa diagnosticare precocemente malattie gravi come quelle infettive, tumorali o polmonari, in particolare l’asma e la Broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO).

 

Per offrire una risposta innovativa ed adeguata a un problema che affligge il 20% della popolazione, nasce presso il Centro Diagnostico Terapeutico Ospedale Sacro Cuore (in via San Marco 121 a Verona), il Centro della tosse, un servizio coordinato dalla Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e che coinvolge un team di specialisti: otorinolaringoiatri, cardiologi, oncologi, radiologi, gastroenterologi e neurologi.

 

 

“Contrariamente a quanto si pensa, la tosse può essere una malattia complessa e per questo richiede un approccio multispecialistico”, spiega il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia di Negrar. “Naturalmente non stiamo parlando della tosse dovuta al raffreddore o all’influenza. Ma di un sintomo che persiste oltre le tre settimane fino a cronicizzarsi, se non si risolve dopo le otto, nonostante l’assunzione dei normali presidi farmacologici”.

 

 

Le cause possono essere di varia natura. “Problemi polmonari (infiammatori o tumorali), infettivi, gastrici, cardiaci, dovuti ad affezioni orecchio-naso-gola o anche di carattere neurologico e psichiatrico – prosegue lo pneumologo -. Pochi sanno, per esempio, che una delle cause più comuni della tosse persistente è il reflusso gastro-esofageo. Individuata l’origine, spesso bastano una dieta e una adeguata terapia farmacologica perché la tosse sparisca”.

 

Il Centro della tosse nasce anche con obiettivo preventivo: “Una delle patologie respiratorie croniche maggiormente diffuse (interessa il 10% della popolazione mondiale) è la BPCO, caratterizzata da un’ostruzione bronchiale – continua il medico -. Uno dei sintomi è la tosse persistente, ma viene largamente sottovalutato e il paziente si reca dallo specialista quando la difficoltà respiratoria è invalidante perché la malattia è ormai in stato avanzato. La presenza di un Centro specifico per la tosse può diventare uno stimolo per chi è affetto da questo problema (penso ai fumatori) a ricorrere prima alle cure sanitarie”.

 

Al Centro della tosse si accede prenotando al numero 045.6013257. Al momento della prenotazione verrà richiesto un Rx del torace (eseguito non oltre i 30 giorni prima della visita). Nel caso il paziente ne fosse sprovvisto può effettuarlo qualche minuto prima della visita.

 

 

La prima visita è con lo pneumologo, preceduta, nello stesso appuntamento, dalle prove di funzionalità respiratoria per escludere asma o BPCO. “Nel caso di esito negativo – prosegue Pomari – il paziente in base all’anamnesi viene inviato attraverso un percorso dedicato e tempestivo dallo specialista più indicato per ulteriori accertamenti. Altra caratteristica di questo Centro è il collegamento in rete del team mutispecialistico: grazie a questo sistema ogni specialista può conoscere in tempo reale il percorso diagnostico-terapeutico del singolo paziente”.


"L'ACCOGLIENZA NEI CONFRONTI DI CHI SOFFRE È UN GESTO PROFETICO"

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Il messaggio natalizio di Padre Miguel Tofful, Superiore generale dell’Opera Don Calabria, che ha incontrato gli operatori e ha visitato gli ammalati della Cittadella della Carità, offrendo una lettura “calabriana” della nascita di Gesù oggi

Il Casante padre Miguel Tofful, Superiore Generale dell’Opera Don Calabria, ha visitato nei giorni scorsi la Cittadella della Carità di Negrar, incontrando i collaboratori e visitando i reparti dell’ospedale. Nel suo messaggio natalizio, che si può leggere in allegato (vedi messaggio completo), padre Tofful ha ringraziato il personale per l’impegno e l’umanità che ciascuno mette nel suo lavoro al fianco di chi soffre e ha sottolineato che oggi per l’Opera Don Calabria il valore profetico del Natale sta nella disponibilità ad accogliere tutti e in particolare gli ultimi, gli ammalati, i dimenticati. Ecco le parole con cui il Casante augura buon Natale a tutta la Famiglia calabriana nel mondo e a tutti coloro che in questi giorni di festa si trovano presso la Cittadella della Carità:

“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’alloggio (Lc. 2,7).Il gesto di Maria nell’accogliere Gesù con tenerezza e affetto, facendogli posto nella mangiatoia, ci insegni ad accogliere tutti con dignità, in modo molto semplice, nonostante la povertà dei mezzi. Questo è profezia dell’accoglienza. Auguro a tutti voi un Buon e Santo Natale. Dio vi benedica. Un abbraccio fraterno a tutti. Padre Miguel Tofful

Sul canale video dell’Opera calabriana è possibile vedere anche il video-messaggio del Casante (vedi video)

Nella gallery le foto dell’incontro con gli operatori dell’ospedale in Sala Perez nella giornata di giovedì 20 dicembre.


Dal Giappone per apprendere la tecnica che salva le articolazioni con il grasso

Nei giorni scorsi quattro accademici giapponesi hanno assistito all’applicazione su tre pazienti del trattamento biologico per la rigenerazione della cartilagine articolare, per cui il Centro del dottor Zorzi è leader internazionale

Dal Giappone all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar per apprendere “sul campo” le tecniche per i trattamenti biologici della degenerazione della cartilagine articolare, quel processo di usura che, se non bloccato in tempo, porta inevitabilmente alla sostituzione dell’articolazione (ginocchio, spalla, anca, caviglia) con l’impianto di protesi.

 

Quattro professori della Juntendo University di Tokyo – Yoshitomo Saita, Takanori Wakayma, Sayuri Uchino e Shin Fukusato – nei giorni scorsi hanno infatti incontrato il direttore dell’Ortopedia e Traumatologia, il dottor Claudio Zorzi, e la sua équipe per assistere all’applicazione su tre pazienti di una metodica basata sull’infiltrazione direttamente nell’articolazione di cellule mesenchimali del tessuto adiposo. Lipogems – dal nome dello strumentario necessario per effettuare il trattamento – si sta infatti sviluppando anche in Giappone e gli accademici nipponici, presenti in Italia per un meeting scientifico, non hanno voluto perdere l’occasione di visitare l’ospedale di Negrar, centro che vanta la più alta casistica a livello internazionale, con circa 1.300 pazienti trattati dal 2013.

 

“E’ una terapia ben tollerata dai pazienti, che garantisce ottimi risultati – spiega il dottor Zorzi -. Ha un effetto riparatore della cartilagine, rallentando, se non bloccando, il processo artrosico in atto, eliminando anche lo stato doloroso. Questo consente di posticipare il più possibile l’impianto protesico, con vantaggi soprattutto per i pazienti più giovani, che dovrebbero altrimenti sostituire l’impianto dopo una ventina d’anni”.

 

Il tanto vituperato tessuto adiposo in realtà contiene un tesoro prezioso: una cellulamesenchimaleogni cento adipose. La cellula mesenchimale ha la capacità diattivarsi per riparare o proteggere il tessuto, in questo caso la cartilagine, sottoposto ad usura. “Il trattamento consiste nel prelevare in anestesia locale tramite liposuzione circa 50grammi di grasso dall’addome o dalle cosce – spiega il chirurgo ortopedico Daniele Screpis -. Tramite un apposito strumentario il grasso viene letteralmente shakerato, per separarlo dal sangue e da altri componenti”. Una volta effettuata questa operazione le cellule adipose vengono immediatamente infiltrate con una semplice iniezione direttamente nell’articolazione. “Basta una sola applicazione – sottolinea il dottor Screpis -. Già a due mesi vi sono i primi miglioramenti; a sei mesi dall’intervento il movimento dell’articolazione appare più fluido e il paziente riferisce una riduzione della sintomatologia dolorosa“.

 

Lipogems viene impiegato a Negrar principalmente per le patologie artrosiche del ginocchio, ma trova applicazione anche per l’anca, la caviglia,la spalla e le tendinopatie. E’ indicato quando il danno alla cartilagine è diffuso e ad uno stadio avanzato.


Neurologia: il dottor Bianconi passa il testimone di direttore al dottor Marchioretto

Il dottor Bianconi dopo 16 anni alla guida di Neurologia, che nasceva come reparto con il suo incarico, va in pensione. Al suo posto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto, da 17 anni all’ospedale di Negrar

Dicembre ha segnato l’avvicendamento alla direzione dell’Unità Operativa di NeurologiaDopo 18 anni di collaborazione con il “Sacro Cuore Don Calabria”, tra cui 16 di primariato, il dottor Claudio Bianconi ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età e alla guida del reparto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto.

 

Il dottor Marchioretto, nato a Verona nel 1967, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Verona nel 1993 e nella stessa sede universitaria si è specializzato nel 1997 in Neurologia. Ha iniziato la sua attività professionale con l’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” nel gennaio 2001. Già nel Consiglio direttivo con la carica di consigliere della Società Italiana Studio Cefalee (SISC-Sezione Triveneto), il nuovo primario è responsabile del Centro cefalee della Neurologia che si occupa della diagnosi e della cura delle cefalea e del dolore cranio-facciale secondo le linee guida dell’International Headache Society. Dal 2003 è responsabile del Centro Sclerosi Multipla, sempre all’interno della Neurologia, Centro accreditato dalla Regione Veneto per la somministrazione di terapie immunomodulanti. Dopo tre mandati triennali con la carica di tesoriere è ora componente del Direttivo dell’Ordine dei Medici chirurghi ed odontoiatri di Verona con la carica di segretario.

 

Il dottor Bianconi, 65 anni, veronese, lascia l’incarico di direttore della Neurologia, assunto il 1° gennaio del 2002 per guidare il reparto che nasceva proprio sotto la sua direzione. Laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Padova nel 1979, ha conseguito la specializzazione in Neurologia presso l’Ateneo scaligero. Prima di iniziare il suo percorso professionale al “Sacro Cuore Don Calabria”, come responsabile del Servizio di Neurologia, il 16 ottobre del 2000, ha lavorato negli ospedali di Arzignano, Zevio e Bussolengo.

 

 

Con la pensione per il dottor Bianconi inizia una nuova avventura: proseguirà infatti con maggiore assiduità e con altri incarichi l’attività sanitaria che ha svolto in questi anni nell’ambito della cooperazione internazionale. L’Opera Don Calabria gli ha affidato il compito diseguire non solo le iniziative sanitarie nelle sedi dove è presente (Angola, Brasile, Filippine, India e Santo Domingo) ma anche le nuove collaborazioni, come per esempio quelle con il Congo, il Sud Sudan e l’Ucraina.

nella foto da sinstra: il dottor Claudio Bianconi e il dottor Fabio Marchioretto


Che cos' è Mycobacterium chimaera

La carta di identità del Mycobacterium che sta suscitando allarme a causa del decesso di alcuni pazienti sottoposti a intervento a cuore aperto, ma il rischio di infezioni è stimato in 1 caso ogni 10.000 interventi. I sintomi e le terapie a disposizione

Il Mycobacterium chimaera è un microrganismo della famiglia dei micobatteri non tubercolari, presente nel terreno, nell’acqua e negli impianti idrici urbani. Normalmente non causa patologie, tuttavia in determinate situazioni sfavorevoli può trasformarsi in un pericoloso agente patogeno, soprattutto nei pazienti immunodepressi. Essendo dotato di una spessa parete cellulare è in grado di resistere a molti trattamenti farmacologici.

Il M. chimaera è stato descritto per la prima volta nel 2004 da un gruppo di ricercatori veneti e sino al 2013 veniva identificato sporadicamente in pazienti affetti per lo più da patologie polmonari nell’ambito degli isolamenti del cosiddetto Mycobacterium avium complex (MAC) di cui fanno parte il M. intracellulare e il M. avium (dal 2004 anche il M.chimaera).

 

M.chimaera e gli interventi di cardiochirurgia

Nel marzo 2013 un gruppo di ricercatori della Università di Zurigo pubblicò un articolo relativo a due casi di sepsi da M.chimaera e endocardite occorsi nella estate del 2011 in due pazienti che nel 2008, il primo, e nel 2010, il secondo, erano stati sottoposti ad interventi di cardiochirurgia con uso di circolazione extracorporea. Nell’articolo gli autori ipotizzavano che la fonte dell’infezione potesse essere ospedaliera e procedettero al campionamento sia dell’acqua dei lavabi presenti nelle sale operatorie sia delle acque di condensa dei macchinari per la circolazione extracorporea, senza peraltro poter trovare alcun riscontro positivo. Riscontro che risultò invece positivo in uno studio successivo, pubblicato su un’importante rivista internazionale di malattie infettive (Clinical Infectious Diseases) nel marzo del 2015, da cui emerse come la fonte del contagio fossero proprio gli aerosol sviluppatisi attraverso dispositivi tecnici contaminati, i cosiddetti apparecchi per ipotermia, le Heat-Cooler Units (HCU). Apparecchi che servono a regolare la temperatura del sangue durante l’intervento nelle operazioni a cuore aperto. Studi successivi evidenziarono come il problema non fosse limitato alla sola Zurigo.

 

Il rischio di infezione: 1 su 10.000 interventi

Ad oggi sono stati identificati nel mondo 185 casi di infezioni da M.chimaera, di cui 10 in Italia, legati all’uso di HCU in corso di interventi di cardiochirurgia. Il problema è apparso così serio che il Lancet, lo scorso luglio 2017, ha pubblicato un articolo il cui titolo recitava “Global outbreak of severe Mycobacterium chimaera disease after cardiac surgery“, siamo insomma di fronte ad un evento globale di infezioni gravi in pazienti che sono stati sottoposti in passato a interventi di cardiochirurgia. Tali cifre vanno però messe in relazione con il numero di procedure di circolazione extra-corporea eseguite ogni anno nel mondo che è di oltre 1.500.000 di cui 40.000 in Italia. Il rischio per intervento è quindi relativamente modesto, stimato in 1 ogni 10.000 interventi.

 

Come si riduce il rischio di infezione

A partire già dal 2015 numerose agenzie governative e intergovernative quali lo stesso Ministero della Salute e lo European Centre for Disease Prevention and Control hanno diramato direttive e diffuso raccomandazioni al fine di ridurre ulteriormente il rischio di infezione. Tra queste, per esempio l’indicazione a posizionare le HCU al di fuori delle sale operatorie o comunque separare tali unità dal flusso di aria all’interno delle sale. In nessun paese del mondo i dispositivi HCU sono stati ritirati, perché il ritiro dei macchinari e la sostituzione degli stessi non risolverebbe il problema delle infezioni ospedaliere, che sono correlate alla criticità delle corrette procedure di decontaminazione da parte delle strutture sanitarie, poiché la contaminazione può verificarsi in qualunque momento (nel sito produttivo, in fase di preparazione della macchina prima di un intervento, durante il periodo di stazionamento della macchina in ospedale tra un intervento e l’altro). Il rischio che si verifichi un caso di infezione da M.chimaera può essere ridotto adottando rigorosamente le procedure di decontaminazione suggerite dai fabbricanti di HCU e raccomandate dal Ministero della Salute.

 

I sintomi

I sintomi dell’infezione da M.chimaera compaiono a distanza di mesi o anni dall’intervento chirurgico, con una mediana di 17 mesi e un range tra 3 e 72 mesi. I segni e i sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso che perdurano da oltre due settimane e che non sono correlabili ad altre manifestazioni patologiche. Altri segni clinici importanti sono la splenomegalia (ingrossamento della milza) e la corioretinite (infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio). Il paziente con infezione da M.chimaera presenta una sintomatologia significativa e persistente nel tempo, che non deve essere confusa, visto anche il periodo dell’anno, con quella più banale di una sindrome influenzale.

 

Come avviene la diagnosi

La diagnosi definitiva si basa sull’isolamento del micobatterio. Purtroppo, essendo il M.chimaera un batterio a lenta crescita, possono essere necessarie fino a 8 settimane di coltura per giungere alla diagnosi.

 

La terapia

La terapia è complessa e di lunga durata (un anno e oltre) e si basa sull’utilizzo di una combinazione di antibiotici – da 4 a 5 in base alla gravità del quadro clinico – che comprende un macrolide, rifamicina, etambutolo, moxifloxacina o clofazimina con l’aggiunta eventuale di amikacina per via parenterale.

 

Per chi ha subito un intervento cardiochirurgico

Cosa si raccomanda alle persone che hanno subito un intervento chirurgico a cuore aperto negli ultimi anni? A chi possono rivolgersi? Ai circa 10.000 pazienti che hanno subito in Veneto un impianto (valvole cardiache artificiali o materiale protesico all’aorta) con un intervento a cuore aperto tra l’1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2017 la Regione Veneto invierà una scheda informativa contenente le informazioni sui sintomi e l’indicazione dei numeri di telefono da contattare per qualsiasi evenienza e per gli eventuali approfondimenti clinici necessari.

 

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali


Giardinaggio e bricolage, ma sempre proteggendo gli occhi

Diminuiscono gli infortuni sul lavoro grazie alle normative, ma si verificano spesso incidenti domestici con conseguenze anche gravi alla vista a causa dell’utilizzo di attrezzi, come il decespugliatore, senza l’apposita protezione

Che la propria casa non sia il luogo più sicuro in fatto di incidenti è ormai assodato. Cadute, ferite, ingestione di corpi estranei, soffocamento, avvelenamenti e intossicazioni sono sempre in agguato. E i problemi aumentano quando si aggiungono i lavori in giardino e il ‘fai da te’. In questi casi a forte rischio è anche la vista. Lo sottolinea la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che non di rado incontra sul tavolo operatorio persone con gravi danni agli occhi dovuti a una certa superficialità nell’uso di attrezzi da giardinaggio o per piccoli lavori di bricolage.

“Negli ultimi anni è diminuita significativamente l’incidenza degli infortuni sul lavoro a danno degli occhi, grazie all’introduzione delle norme di sicurezza – afferma -. Al contrario si verificano spesso incidenti in ambito domestico dovuti all’utilizzo, per esempio, di decespugliatori, senza indossare l’apposita maschera di protezione”. Nel tagliare l’erba, il decespugliatore solleva anche piccoli sassi o del pietrisco che possono entrare nell’occhio con la velocità di un proiettile.

“Quando accade è necessario intervenire chirurgicamente per togliere il corpo estraneo dal bulbo oculare – prosegue la dottoressa Pertile -. Nel caso in cui sia toccata solamente la superficie, l’intervento è relativamente semplice. Ma a causa dell’alta velocità in cui viene sollevato, il sassolino o il pietrisco potrebbe penetrare in profondità. Se ad essere colpita è la parte anteriore dell’occhio, la lesione può essere riparata con la sostituzione del cristallino o, eventualmente, con il trapianto di cornea. Se invece ha raggiunto la retina, vi è un rischio molto più alto di compromissione della vista”.

Quindi è fondamentale indossare sempre la maschera di protezione, anche quando si intende utilizzare il decespugliatore per pochi minuti. La stessa raccomandazione vale per chi si cimenta con il bricolage, maneggiando dei piccoli saldatori, che possono “sparare” schegge di metallo direttamente negli occhi. “Essendo quello del “Sacro Cuore Don Calabria” un centro chirurgico altamente specializzato – continua – trattiamo i casi più complessi inviati spesso da altri ospedali, che riguardano pazienti già sottoposti ad un primo intervento di sutura delle ferite del bulbo oculare. L’obiettivo è sempre il recupero ottimale della vista. Ma a volte il danno è così grave che è da considerarsi un successo anche solo la conservazione dell’anatomia dell’occhio”.

Più ardua è la prevenzione degli incidenti che riguardano i bambini. “Gli oggetti appuntiti sono sempre un potenziale pericolo– sottolinea l’oculista -. Matite, forbici, forchette, bastoni ma anche spigoli di giocattoli rigidi possono danneggiare gravemente l’occhio. Negli ultimi anni abbiamo visto anche alcuni casi di gravi danni causati da proiettili sparati da fucili ad aria compressa. Nel cercare di creare un ambiente sicuro per i bambini e i ragazzi, una particolare attenzione deve essere riservata a questi oggetti, perché un momento di gioco non diventi la causa di danni permanenti alla vista”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

Per approfondire il tema puoi seguire sul canale Yuotube dell’ospedale l’intervista della dottoressa Grazia Pertile ospite a Uno Mattina (vedi video)