Il difficile accesso ai farmaci per le malattie tropicali in Italia

Crescono i casi di patologie d’importazione nel nostro Paese, ma i farmaci per curarle devono essere richiesti all’estero per ogni paziente. Un congresso a Verona dove si confronteranno gli specialisti e le istituzioni per trovare possibili soluzioni
Sono 17 le malattie che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato come neglette. Rientrano nello stesso elenco non tanto perché sono clinicamente simili, ma perché godono di “scarso interesse”. Da parte dei ricercatori, delle autorità politiche e sanitarie competenti, di chi sovvenziona la ricerca e l’innovazione.
Crescono i casi di Malattie Tropicali
Sono patologie che gravitano nel Sud del mondo o meglio gravitavano solo nel Sud del mondo, perché con l’incremento dei viaggi internazionali e l’intensificarsi del fenomeno migratorio, si moltiplicano anche in Occidente i casi di patologie d’importazione. E l’Italia non fa eccezione.
Ma in Italia non ci sono i farmaci
Eppure, nonostante il quadro epidemiologico nel nostro Paese sia fortemente cambiato, in Italia (ma la situazione è simile anche in altri Paesi europei), i farmaci per la cura di queste patologie non godono dell’autorizzazione per l’immissione in commercio. Si tratta di farmaci dichiarati “essenziali” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ma non fanno parte dei farmaci che nel prontuario nazionale sono a disposizione dei cittadini. Il che significa che per curare un paziente è necessario importare il farmaco dall’estero. La normativa lo permette, ma l’iter non è semplice e la tempistica non è di certo breve. Così a cimentarsi sono i più importanti centri di Malattie Tropicali o Infettive, per i piccoli ospedali è molto più complicato.
Gli specialisti in un congresso a Verona
L’accesso ai farmaci essenziali per le malattie tropicali in Italia, è il tema sul quale i maggiori specialisti di Medicina Tropicale si confronteranno a Verona con le istituzioni sanitarie in un convegno promosso dal Centro per le Malattie Tropicali dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi. L’appuntamento è per lunedì 27 e martedì 28 novembre(vedi programma in allegato).
Le proposte alle istituzioni del farmaco
“Ci rivolgiamo al ministero della Salute, all’Istituto Superiore della Sanità, all’AIFA e ai Servizi di Assistenza Farmaceutica Regionali, che sono stati invitati al convegno, avanzando delle possibili soluzioni – afferma il professor Bisoffi -. La soluzione migliore rimane l’autorizzazione dell’immissione in commercio di questi farmaci. Poiché oggi la richiesta può essere fatta solo dall’Azienda produttrice, chiediamo venga resa possibile anche al singolo medico o ad altre istituzioni sanitarie. In alternativa siano autorizzati alcuni Centri per l’approvvigionamento, la detenzione e la distribuzione dei farmaci. Oppure, infine, il tutto sia affidato all’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze“.
Ivermectina, “wonder drug”
Il titolo della due giorni veronese è emblematico:” Invermectin days”, dal nome del farmaco che due anni fa valse il Nobel della Medicina all’irlandese Campbell e al giapponese Omura, ma che in Italia non è registrato, nonostante sia indicato per molte malattie, tanto da essere definito “wonder drug”.
La strongiloidosi, endemica in Italia
Tra queste la strongiloidosi diffusa in area tropicale, ma endemica anche in Italia. E’ dovuta a un parassita presente nei terreni agricoli prima che fosse proibito concimarli con feci umane. Si stima che solo nelle regioni del Nord siano migliaia i casi presenti nella popolazione anziana nata dopo la seconda guerra mondiale e che era solita camminare a piedi scalzi nell’infanzia. A questi si sommano i casi dei giovani migranti che arrivano in Italia. La strongiloidosi può essere asintomatica o presentare sintomi banali, come il prurito, ma quando per qualsiasi motivo le difese immunitarie vengono compromesse favorendo la proliferazione del parassita, la malattia, se non viene trattata correttamente, è quasi sempre mortale.
La scabbia, basterebbe una pillola…
L’Ivermectina è efficace anche contro la scabbia: è sufficiente una sola dose, ripetuta sue volte per debellare la banale, ma contagiosa infestazione della pelle. Attualmente vengono usate delle lozioni cutanee, di difficile gestione in ambienti come i centri di accoglienza dei migranti, dove la scabbia, per questioni igieniche, è particolarmente diffusa.
La schistosomiasi, 80 casi all’anno a Negrar
Ma il problema non riguarda solo l’Ivermectina. Non è registrato in Italia il Praziquantel per la cura della schistosomiasi, patologia di cui al mondo soffrono 240 milioni di persone. Da essa non è indenne nemmeno il viaggiatore che incautamente si bagna in fiumi o in laghi nelle regioni tropicali. In queste acque vive un parassita che una volta penetrato nel corpo del malcapitato continua a liberare uova che vengono espulse con le feci e con le urine, irritando gravemente gli organi interessati. Il Centro di Negrar negli ultimi sette anni ha seguito circa 500 casi di schistosomiasi, un’ottantina all’anno. “Solo il 10% sviluppa complicanze molto gravi – afferma il dottor Andrea Angheben della segreteria scientifica del convegno – Ma si tratta nella forma complicata, di ragazzi anche giovanissimi che si ritrovano con un cancro alla vescica o con un quadro simile alla cirrosi epatica. Malattie altamente invalidanti e costose per il sistema sanitario nazionale“.
L’Artesunato più efficace del Chinino per la malaria grave
Capitolo a parte gode l’Artesunato. Non interessa una malattia negletta, ma è il farmaco per eccellenza della malaria grave, quando cioè vi è un coinvolgimento cerebrale o un alto livello di parassitosi. L’Artesunato rispetto al Chinino abbatte il rischio di mortalità del 20% come dimostrano diversi studi di efficacia. Eppure non solo non è registrato in Italia, ma anche in altri Paesi europei in quanto l’Artesunato, prodotto solo in Cina, non riporta la certificazione di Good Manufacturing Practice (GMP) che attesta l’avvenuta produzione secondo determinati criteri vigenti a livello internazionale. Questo induce molti medici a non utilizzarlo, per non esporre il paziente ad eventuali rischi, esclusi tuttavia dalla letteratura medica. Alla malaria sarà dedicata un’intera sessione del congresso anche alla luce dei recenti casi.
“La normativa che consente l’importazione dall’estero – specifica Bisoffi – non risponde alla domanda in termini disponibilità, tempestività e diffusione del farmaco. Infatti il farmaco può essere richiesto unicamente per ogni singolo paziente sotto assunzione di responsabilità da parte del medico e a totale carico dell’ospedale richiedente. Un iter a cui si sottopongono i centri più importanti che vedono centinaia di casi all’anno di queste patologie. Ma è molto complicato per un piccolo ospedale. Inoltre là dove non è disponibile il farmaco, c’è poca sensibilità per la malattia e molti casi non vengono riconosciuti”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Una giornata dedicata alle mamme e a coloro che lo diventeranno

Ritorna per il secondo anno consecutivo l’Open Day di Ostetricia. L’appuntamento è per sabato 25 novembre dalle 10 alle 17 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco a Verona
Un’intera giornata dedicata alle future mamme e a tutte le donne che da poche settimane vivono la grande avventura della maternità. Ma l’invito è esteso anche ai papà e a coloro che presto lo diventeranno. Sabato 25 novembre, il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona ospiterà, dalle 10 alle 17, la seconda edizione dell’Open Day di Ostetricia.
Le ostetriche della Ginecologia e Ostetricia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, e le infermiere della Sezione Neonatale di Pediatria, diretta dal dottor Antonio Deganello, saranno a disposizione per illustrare il Punto Nascita dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e i servizi offerti in via San Marco a supporto della mamma e del bambino.
Si parlerà anche di parto indolore con l’anestesista dottor Leonardo Bianciardi: alle 11 e alle 15 il medico risponderà alle domande delle gestanti.
Durante la giornata sarà offerto un buffet ed sarà accessibile uno stand con una consulente di “portare i bimbi in fascia”
Al termine dell’evento, Zhannat Akmetova e Giza Group si esibiranno nella danza del ventre i cui movimenti hanno effetti benefici in gravidanza.
Per informazioni: 045.6014844/32.57-ostetriche.sanmarco@sacrocuore.it
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Dalla ricerca genetica e sulle staminali le nuove frontiere della cura del diabete

In occasione della Giornata mondiale del diabete, il diabetologo Luciano Zenari ci illustra le ricerche che potranno dare una vera e propria svolta alla cura della malattia
Sono 235 milioni le persone che nel mondo soffrono di diabete. In Italia i dati parlano di 4 milioni di ammalati e nel Veneto di circa 300mila. Sono i numeri che vengono snocciolati ogni anno, il 14 novembre, in occasione della Giornata mondiale del diabete, dimostrando che malattia è in continua espansione (si stima che nel 2030 i diabetici nel mondo raggiungeranno i 438 milioni), sia nei Paesi cosiddetti ricchi sia in quelli in via di sviluppo. Infatti in quest’ultimi assistiamo ad una progressiva urbanizzazione della popolazione, che comporta sedentarietà e maggiore disponibilità di alimenti. Di conseguenza aumentano i casi di obesità e di diabete mellito.
Alimentazione ipocalorica, movimento, mantenimento del peso forma e intervento farmacologico (dove diventa fondamentale) restano i cardini per prevenire e curare una malattia che rimane tra le cause principali delle patologie cardiovascolari, le quali, a loro volta, vantano il triste primato di mortalità nel mondo.Ma è anche la prima causa non traumatica della cecità, dell’amputazione degli arti inferiori e di ingresso in dialisi.
“Il diabete è subentrato come causa di queste complicanze ad altre malattie che attualmente sono gestite in maniera ottimale. Come il glaucoma, che rendeva le persone cieche un tempo, o le glomerulonefriti infantili, che portavano all’insufficienza renale e quindi alla dialisi. Nonostante i progressi delle terapie moderne, il diabete rimane una patologia di difficile gestione“, sottolinea il dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di Diabetologia del “Sacro Cuore Don Calabria, che ha in cura circa 5000 pazienti.
“Il diabete richiede un impegno costante sugli obiettivi di cura che non tutti riescono a mantenere – prosegue -. Impegno nell’attività motoria, nell’attenzione a tavola, nel controllo sistematico della glicemia e di tutti i fattori di rischio associati. Inoltre è una delle poche malattie in cui il paziente, una volta istruito, deve gestire in autonomia la posologia della terapia”.
Quali sono le maggiori novità in campo farmacologico?
“E’ bene precisare che i farmaci vengono prescritti solo se il cambiamento dello stile di vita non porta a risultati soddisfacenti. Possiamo disporre da tempo di farmaci ipogligemizzanti orali. Di solito la terapia di partenza è la Metformina alla quale si possono associare svariate classi di farmaci, come quella, recente e sempre orale, dei Sglt2, che hanno come effetto la perdita di glucosio attraverso le urine e un conseguente calo ponderale. Un’altra classe di farmaci estremamente interessante è quella delle Incretine (GLP-1) che favoriscono l’abbassamento della glicemia e hanno nello stesso un’azione anoressante, inducendo un senso di sazietà. Le Incretine possono essere iniettate e ultimamente è possibile la somministrazione di una solo iniezione alla settimana, a domicilio”.
Quando questi farmaci non sono sufficienti si deve ricorrere all’insulina?
“Esattamente. La ricerca medica negli ultimi anni ha messo a disposizione insuline più lente e più stabili, che quindi abbattono il rischio della complicanza più importante durante la giornata di un diabetico: l’ipoglicemia, causa di assopimento, calo della vista, incapacità di concentrazione, fino alla perdita di coscienza. Sempre riguardo alla glicemia ci sono delle novità importati nella metodologia di determinazione”.
Quali?
“Si tratta di un ausilio dedicato prevalentemente alle persone colpite da diabete di tipo 1, la forma di malattia meno frequente che insorge in età giovanile e per cui l’insulina è un salva-vita. Dal primo agosto 2017 i pazienti possono avere gratuitamente dal Servizio sanitario regionale un sensore che registra, senza pungersi il dito, la glicemia ogni minuto e archivia i dati fino a un massimo di otto ore. Il sensore, delle dimensioni di una moneta da 2 euro, è dotato di una microfibra che si inserisce sottocute, attraverso un applicatore molto semplice. Per scaricare i dati e decidere in base ad essi quale posologia di terapia assumere è sufficiente passare davanti al sensore con un apposito lettore (vedi foto)”.
In un prossimo futuro saranno a disposizione infusori che misurano il valore della glicemia e automaticamente somministrano l’insulina necessaria?
“La tecnologia ha messo a disposizione microinfusori sempre più piccoli e tecnologicamente avanzati. Un passo definitivo sulla gestione completamente automatica non è stato ancora fatto, ma è un traguardo del prossimo futuro”.
Abbiamo parlato di sviluppo farmacologico e tecnologico. Per quanto riguarda il diabete ci sono anche novità nel campo della ricerca cellulare?
“E’ già un fase di sperimentazione avanzata presso un’azienda di biotecnologie di San Diego (California) una ricerca per i pazienti affetti da diabete di tipo 1. A differenza del diabete mellito tipo 2 che ha una base genetico-familiare, quello di tipo 1 è una malattia autoimmune, cioè alcune persone producono, per cause sconosciute, anticorpi che aggrediscono le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, L’azienda statunitense è riuscita a differenziare le cellule staminali da cordone ombelicale nelle 3 linee cellulari del pancreas, precisamente in alfa cellule, che producono glucagone, in beta cellule e in delta cellule che secernono somatostatina. Questi tre tipi cellulari collocati in un apposito contenitore dalle pareti porose, tali da impedire agli anticorpi, cellule molto grandi, di entrare e aggredire le cellule “pancreatiche” che invece possono vivere e liberare gli ormoni. Il contenitore ha per ora la grandezza di un mezzo bancomat e viene impiantato sottocute”
A che punto è la ricerca?
“Lo studio sul ratto e il cane è andato molto bene. Nel cane ad un anno di distanza le cellule avevano mantenuto il 110% della loro attività secretiva. Attualmente a San Diego è in corso una sperimentazione su 40 volontari, ma stanno partendo sperimentazioni anche in altre Università statunitensi e canadesi. Ricerche simili si stanno svolgendo in Europa utilizzando cellule staminali del pancreas o del midollo osseo. Credo che queste ricerche, se andranno a buon fine, entro 5 anni daranno una svolta alla cura del diabete di tipo 1, in quanto si tratta di una sorta di trapianto del pancreas“.
La speranza quindi è nella ricerca genetica.
“Nei prossimi dieci anni le terapie attuali per il diabete scompariranno, in quanto la componente genetica molecolare sta prendendo il sopravvento. Stiamo assistendo a questo scenario in oncologia, dove la terapia non può prescindere dalla tipizzazione genetica del paziente e del tumore. Eravamo convinti che, per un’anomalia genetica, nel diabete di tipo 2 l’insufficiente produzione di insulina fosse causata dalla degenerazione e dalla morte delle beta cellule. Invece la ricerca ha dimostrato che le beta cellule cadono in una sorta di letargo, in quanto non ricevono dai mediatori i ‘segnali’ per vivere, evolversi e produrre insulina. Il passo successivo ha portato a comprendere che i segnali che dovevano giungere alle cellule erano addirittura errati. Quindi le terapie del futuro si baseranno su anticorpi monoclonali, che non cureranno più la glicemia, ma la beta cellula, affinché produca in maniera ottimale l’insulina. Assisteremo nei prossimi anni, attraverso la tipizzazione genetica, anche ad una sostanziale revisione della attuale classificazione della malattia”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Nella foto di copertina l’équipe del Servizio di Diabetologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: Anna Menegazzi (segretaria), dott.ssa Claudia Sorgato, dott. Roberto Tessari, le infermiere Maria Teresa Perlina e Barbara Maistri, Federica Scali (dietista), dott. Luciano Zenari, Loretta Tommasi (infermiera)
Non solo fine vita: le cure palliative diventano "continuative"

L’oncologo Roberto Magarotto spiega la realtà e le prospettive delle cure palliative, di cui l’11 novembre si celebra la giornata nazionale, partendo dalla storia di San Martino e del suo mantello (pallium, in latino)
La vicenda risale a 1.500 anni fa, narra la leggenda, e ha per protagonista Martino, un giovane soldato di Pannonia, sulla cui strada un giorno incrociò un vecchio, sfinito dalla stanchezza e dal freddo. Martino non ci pensò due volte e, presa la spada, tagliò il suo mantello a metà, offrendone una parte al poveretto. Improvvisamente il clima divenne mite e il cielo, da plumbeo, si colorò di azzurro.
Ha radici in questa “favola” l’Estate di San Martino, quel breve arco temporale, a partire dall’11 novembre, in cui uno dei mesi più tristi dell’anno, dal punto di vista climatico, sembra cambiare rotta. Ma l’11 novembre è anche la Giornata nazionale per le cure palliative, da quel pallium appunto, il mantello di lana che portavano già gli antichi romani per proteggersi dalle intemperie.
“Purtroppo la radice etimologica del termine palliativo si è un po’ persa e la parola ha assunto nell’accezione comune un valore limitativo, come qualcosa di ininfluente sul decorso di un evento. Invece è da quel pallium che si deve partire per capire il vero significato di cure palliative”, dice il dottor Roberto Magarotto, responsabile della Unità di Cure Palliative dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta della dottoressa Stefania Gori.
“Come il pallium proteggeva dal freddo e leniva gli stenti, così le cure palliative sono un ‘sistema di protezione’ per il paziente oncologico – prosegue l’oncologo -. Molto spesso la persona colpita da un tumore è più angosciata dalla paura del dolore e di diventare un peso per la famiglia, che da un possibile esito infausto della malattia. La possibilità di poter usufruire di cure palliative, ‘protegge’ il paziente da queste paure”.
Dottor Magarotto, in cosa consistono le cure palliative?
Le cure palliative sono il trattamento dei sintomi derivanti dalla complicazione della malattia quando essa è in fase avanzata. Il dolore innanzitutto. Ma anche la difficoltà respiratoria e i problemi intestinali (il rallentamento del transito, fino al blocco intestinale ). Tutto questo necessita competenza professionale da parte del medico oncologo che si occupa di palliazione. Il medico oncologo deve conoscere bene i farmaci contro il dolore nei dosaggi che siano realmente efficaci e negli effetti collaterali da saper gestire; deve conoscere anche quando usufruire delle tecniche anestesiologiche contro il dolore (alcolizzazione dei plessi nervosi, posizionamento di sondini spinali, cordotomie: tutte procedure che il nostro Centro di Terapia Antalgica effettua regolarmente). Lo stesso vale per quanto riguarda le problematiche respiratorie ed intestinali. Alla competenza, da cui non si può prescindere, si deve associare una valida relazione con il paziente. Relazione che ha inizio con la comunicazione al paziente della sua attuale situazione e della prognosi (momenti sempre difficili) e prosegue con la presa in carico globale del malato, tramite anche il supporto psicologico e spirituale, se richiesto. Un ‘sistema di protezione’ che assume un grande valore anche nel progetto di cure continuative, proprio dell’oncologia moderna.
In cosa si differenziano le cure continuative da quelle palliative in oncologia?
Si tratta di un’evoluzione che va di pari passo con il progresso dell’oncologia. Fino a pochi anni fa il percorso della malattia oncologica era abbastanza scontato: la diagnosi, i trattamenti che potevano sfociare in un miglioramento del paziente oppure in un rapido peggioramento fino al decesso. Oggi grazie ai farmaci innovativi alcune neoplasie (mammella, colon e prostata) si sono in un certo senso cronicizzate. Hanno un andamento ciclico con momenti in cui il paziente è libero da malattia e momenti in cui compaiono metastasi. Grazie ai farmaci queste vengono trattate, riportando il paziente a uno stato di benessere e di autonomia. In questo quadro le cure palliative non possono essere limitate solo all’ultima parte della malattia o al fine vita, ma la risoluzione della complicazione dei sintomi è fondamentale per tutto il percorso della patologia: per questo si parla di cure continuative. Nel caso del tumore del polmone avanzato si è dimostrato che associare le cure palliative alla terapia attiva fin dall’inizio aumenta anche la sopravvivenza!
Com’è strutturata l’Unità di Cure Palliative del Sacro Cuore Don Calabria?
Dei sedici posti letto che dispone l’Oncologia Medica, otto sono dedicati ai pazienti che hanno bisogno di un trattamento dei sintomi invalidanti, non praticabile a domicilio. L’Oncologia è un reparto ospedaliero, quindi, a differenza degli hospice, in cui non è previsto limite di tempo per il ricovero, noi trattiamo i casi acuti e subacuti. Dopodiché indichiamo al paziente la collocazione migliore per proseguire le cure: a casa con il supporto dell’Assistenza domiciliare o nei cosiddetti Country Hospital o in Hospice se necessario. Disponiamo anche di un ambulatorio per i pazienti che sono ancora autonomi e possono recarsi in giornata all’ospedale e svolgiamo consulenze negli altri reparti dove sono ricoverati pazienti oncologici in fase critica di malattia. Nel seguire i nostri pazienti ci avvaliamo del supporto dei professionisti del Servizio di Psicologia Clinica, specializzati in Psiconcologia. E di un sacerdote, per l’assistenza spirituale.
Le cure palliative farmacologiche si avvalgono essenzialmente di farmaci oppioidi, nei confronti dei quali nel nostro Paese è sempre esistita una sorta di diffidenza da parte anche della classe medica. Qualcosa è cambiato?
Direi di sì. Anche da parte dei pazienti, soprattutto i più giovani, che accettano questi farmaci più serenamente. Per quanto riguarda i medici, la cultura della palliazione e quindi dell’uso degli oppioidi è maggiormente diffusa, ma persistono dei pregiudizi. Medici che non hanno esperienza in materia pensano ancora che la morfina incida negativamente sul paziente, addirittura sull’aspettativa di vita. Non è vero, come prova moltissima letteratura scientifica. Un concetto che deve diventare patrimonio di tutti. Perché soffrire per un dolore non necessario, oggi non è più ammissibile.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Le infezioni chirurgiche non sono un problema solo... chirurgico

Il 2% degli interventi hanno come complicanze infezioni, che però nel 50% dei casi sono evitabili con la massima attenzione non solo in sala operatoria. Se ne parla in un convegno sabato 11 novembre al “Sacro Cuore”
Si stima che il 2% degli interventi chirurgici abbiano come complicanze le infezioni. Ma quello delle infezioni è un problema generalizzato e purtroppo molto comune, sia in ambito ospedaliero sia in quello territoriale, che si può presentare a seguito di interventi chirurgici o di prestazioni invasive o comunque in presenza di una ferita.
Tuttavia le infezioni sono un rischio che si può e si deve evitare, se è vero, come dimostrano le casistiche, che è possibile prevenire il 50% degli eventi infettivi post chirurgici.
Di “Infezioni del sito chirurgico: strategie di prevenzione e controllo” si parlerà sabato 11 novembre (a partire dalle 8.45) all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria in un convegno organizzato dal dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario e del Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO) di Negrar, e dalla dottoressa Teresa Zuppini, direttrice della Farmacia ospedaliera e membro del Comitato.
Durante il convegno interverranno, oltre agli specialisti della struttura della Valpolicella, anche il dottor Matteo Moro, direttore sanitario dell’Ospedale San Raffaele di Milano ed illustre infettivologo (vedi programma allegato).
“Affronteremo il problema infezioni nell’ottica più ampia possibile – spiega la dottoressa Zuppini – perché come in un ‘menu’ l’inizio dà l’avvio ad un ‘pranzo’ che deve avere un’evoluzione di benessere, così anche nell’approccio all’intervento chirurgico ci deve essere un’evoluzione attenta che riporti il paziente ad uno stato ottimale se non di guarigione”.
Infatti, prosegue la dottoressa, “le infezioni chirurgiche non sono un problema solo chirurgico. E’ fondamentale che durante l’intervento si mettano in atto tutti i comportamenti e si utilizzino i sussidi utili per evitare una possibile infezione. Ma è altrettanto fondamentale il trattamento più adeguato durante la degenza e nel successivo ritorno a casa dove è importantissimo il controllo nel tempo da parte del medico di medicina generale della presenza di segnali eventualmente indicanti una possibile infezione al fine di garantire un rapido intervento. Pur sapendo che non tutte le infezioni sono evitabili visto che giocano un ruolo fondamentale le condizioni del paziente stesso – conclude la dottoressa Zuppini – l’impegno degli operatori sanitari deve essere quello di conoscere le cause delle infezioni, operare al meglio e prestare la massima attenzione perché dall’intervento chirurgico fino alla completa guarigione non si manifestino complicazioni”.
Il "Sacro Cuore" unico ospedale veneto con "casa" a Bruxelles

Nei mesi scorsi è stata rinnovata la domiciliazione tra l’ospedale di Negrar e la sede di Bruxelles della Regione Veneto mediante la stipula della apposita convenzione. Ecco cosa consente una “casa” nel cuore dell’Unione Europea
Il “Sacro Cuore Don Calabria” si riconferma la prima ed unica struttura sanitaria del Veneto domiciliata presso la sede regionale europea. E’ stata rinnovata la domiciliazione tra il nosocomio valpolicellese e la sede di Bruxelles della Regione Veneto mediante la stipula della apposita convenzione.
La domiciliazione permette all’Ospedale uno specifico appoggio logistico e tecnico ed un supporto qualificato in merito a tutte le opportunità presentate dall’Unione Europea mediante l’Ufficio regionale presente in terra belga.
In altre parole fornisce consulenza per la partecipazione ai bandi della Commissione Europea relativi ai programmi continentali di finanziamento in campo sanitario, come Horizon 2020 (l’8° Programma Quadro Europeo sulla Ricerca ed Innovazione) e il Programma Salute Pubblica.
Quali sono nello specifico i vantaggi per l’Ospedale? Il servizio Helpdesk ed Europrogettazione, finalizzato al monitoraggio della pubblicazione dei bandi e nella assistenza tecnica sulla redazione dei progetti, un database pubblico, ove viene raccolta la integralità dei bandi europei ed un ‘portafoglio partner’, vale a dire un archivio di contatti con enti europei interessati nella costituzione di partenariati.
Inoltre informative periodiche, un’agenda sulle politiche europee con gli appuntamenti di rilievo sulla scena di Bruxelles e l’organizzazione di eventi di informazione in territorio veneto in merito alle opportunità europee.
La Sede di Bruxelles è membro nel Comitato delle Regioni e partecipa a network interregionali, riguardanti l’ambiente, il sociale e la ricerca ed innovazione. La domiciliazione consente in più la partecipazione agli Open Days, la settimana europea delle Regioni: un’occasione per confrontarsi sulle sfide comunitarie e il ricorso all’Osservatorio europeo sugli aiuti di Stato, uno strumento di informazione sulla normativa del Vecchio Continente.
Enrico Andreoli
Non solo diagnosi: i tanti ruoli del patologo nelle MICI

Video-intervista al professor Robert Riddell, il più illustre patologo a livello internazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI) a margine di un convegno organizzato dal “Sacro Cuore Don Calabria”
Dalla diagnosi al follow up, dal rischio di ricadute alla prevenzione delle complicanze, prima fra tutte il cancro al colon: l’analisi delle biopsie è di fondamentale importanza in molte fasi del percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti affetti da Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (in inglese Inflammatory Bowel Desease – IBD).
Un approfondimento sul ruolo del patologo e sull’importanza delle biopsie nei pazienti con IBD si può trovare nella video-intervista qui sotto al professor Robert Riddell, di Toronto, il più illustre patologo a livello internazionale per le IBD e in particolare per il morbo di Crohn e la colite ulcerosa (a destra in copertina, insieme al prof. Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica a Negrar). L’intervista è stata raccolta a margine del convegno “Focus on IBD 2017”, organizzato lo scorso 20 ottobre a Verona dal Centro per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino del “Sacro Cuore-Don Calabria”, diretto dal dottor Andrea Geccherle (vedi articolo di approfondimento).
Video-intervista a cura di
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Nella foto di copertina, il prof. Riddell insieme al prof. Zamboni
In Photo Gallery: da sinistra il dottor Mattia Barbareschi, direttore dell’Anatomia Patologica di Trento, il professor Riddel, la dottoressa Paola Castelli, patologa di Negrar, il dottor Guido Mazzoleni, direttore dell’Anatomia Patologica di Bolzano, e il professor Zamboni. I dottori Barabareschi e Mazzoleni sono intervenuti al congresso “Focus on IBD 2017”
Stefania Gori presidente nazionale degli oncologi italiani

La direttrice dell’Oncologia Medica del “Sacro Cuore Don Calabria” è la prima donna ai vertici dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) che ha una storia di oltre quarant’anni e conta 2.500 soci
Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica del “Sacro Cuore Don Calabria”, è la prima donna al vertice dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).
Presidente eletto dall’ottobre del 2015, è’ entrata in carica come presidente nazionale al termine del XIX Congresso della Società scientifica, che si è tenuto a Roma dal 27 al 29 ottobre. Al suo fianco avrà Giordano Beretta, come presidente eletto, Roberto Bordonaro, segretario nazionale, e Saverio Cinieri, riconfermato Tesoriere. Il Consiglio direttivo nazionale 2017/2019 è composto da Giuseppe Procopio, Nicla La Verde, Sergio Bracarda, Silvia Novello, Antonio Russo, Giuseppe Aprile, Lucia Del Mastro, Daniele Farci.
Stefania Gori, dopo aver lavorato nell’Oncologia Medica di Perugia, dirige dal 2013 il Dipartimento oncologico della struttura sanitaria veronese. Dal 2007 è componente del Consiglio direttivo nazionale AIOM.
“Nell’ultimo decennio abbiamo ottenuto risultati che inizialmente sembravano irraggiungibili – afferma la Presidente – . I sette obiettivi della società scientifica per i prossimi anni saranno: ridurre il carico di malattia tumorale, puntando ad un accesso sempre più ampio alle nuove terapie per tutti i pazienti su tutto il territorio; aumentare il confronto e la collaborazione con le Istituzioni sanitarie; identificare in maniera sempre più chiara e condivisa con la Società Europea di Oncologia (ESMO) del profilo dell’oncologo medico; rafforzare la posizione dell’oncologia all’interno di un Servizio Sanitario Nazionale che sta cambiando (vedi implementazione delle Reti Oncologiche Regionali); supportare la ricerca oncologica no profit; fornire adeguata informazione ai pazienti e ai cittadini (sito AIOM, sito Fondazione AIOM, media e social); rafforzare la collaborazione con le altre società scientifiche nazionali e internazionali”.
“Voglio anche intensificare e valorizzare il contributo delle colleghe– aggiunge la dottoressa Gori -. Le oncologhe nell’AIOM sono oltre mille, eppure è la prima volta che una donna diventa presidente della nostra società scientifica. È un fatto significativo“. Un impegno importante e prioritario, sottolineato dal Presidente AIOM, sarà con i soci (oltre 2.500) che rappresentano la vera forza di AIOM, e con i coordinatori regionali: con tutti loro andrà aumentato il confronto e la collaborazione.
Endometriosi: nove anni per una diagnosi, ma spesso basta un'ecografia

Al “Sacro Cuore” si tiene, per la prima volta a livello internazionale, un corso monotematico sull’ecografia pelvica transvaginale nella diagnosi e nella gestione dell’endometriosi severa, esame di cui molto spesso si sottovalutano le grandi potenzialità
Sono nove gli anni che, secondo le stime, intercorrono dal primo momento in cui una donna si reca dal medico lamentando dolori invalidanti durante il ciclo mestruale o difficoltà ad iniziare una gravidanza e una diagnosi di endometriosi.
Un lungo arco di tempo che molte delle 3 milioni di donne in Italia (150 nel mondo) colpite dalla malattia vivono in un peregrinare da un medico all’altro e da un esame all’altro: clismi opachi, risonanze magnetiche, cistoscopie, colonscopie, fino alle laparoscopie esplorative.
Una lunga lista di accertamenti (dolorosi e costosi) che spesso sottovaluta le grandi potenzialità dell’ecografia pelvicatransvaginale, esame che negli ultimi decenni ha letteralmente rivoluzionato la diagnosila gestione (chirurgica o medica) delle pazienti affette da endometriosi ovarica e profonda. Cioè quella forma di malattia che si verifica quando l’endometrio (il tessuto che si sfalda durante le mestruazioni) è presente al di fuori della sua sede naturale, l’utero, intaccando organi quali l’intestino, l’apparato urinario e i fasci nervosi pelvici.
Proprio sulla diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica, venerdì 27 ottobre all’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” si terrà, per la prima volta a livello internazionale, un corso avanzatomonotematico (programma in allegato).
Ad organizzarlo il dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, Unità Operativa Complessa di Ginecologia e Ostetricia, dell’ospedale di Negrar, e il dottor Luca Savelli, medico presso il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico, dell’Azienda ospedaliera universitaria, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (nella foto da destra).
“Il ‘Sacro Cuore Don Calabria’ è il luogo perfetto dove svolgere un corso su questo tema – afferma il dottor Savelli – essendo da tempo tra i Centri al mondo per numero di interventi chirurgici per endometriosi severa (circa 1.500 casi all’anno). Qui si sono sviluppate tecniche chirurgiche di grande rilievo e, nello stesso tempo, competenze diagnostiche che poche realtà internazionali possiedono“.
Al corso interverranno oltre ai ginecologi di Negrar e dell’Università di Bologna, anche esperti provenienti dall’Ateneo di Siena.
“L’ecografia transvaginale è un esame non invasivo, indolore, ripetibile più volte e dai costi contenuti per il sistema sanitario – spiega il dottor Ceccaroni -. Ma non di banale esecuzione, richiedendo da parte dell’operatore la capacità di non limitarsi all’accertamento di cisti ovariche, ma di andare oltre. Cioè di identificare quegli elementi che fanno presagire la presenza sotto il peritoneo di noduli di endometriosi molto aggressivi, tali da intaccare altri organi. Spesso, purtroppo, questi noduli non vengono visti e di conseguenza viene esclusa la malattia, anche se la paziente lamenta dolori e sintomi ben precisi. Con questo corso vorremmo fornire agli specialisti interessati quelle conoscenze di base di diagnostica ecografica dell’endometriosi profonda in modo che le pazienti, identificata la patologia, siano inviate il prima possibile ai Centri specializzati per il trattamento“.
Il numero dei partecipanti all’evento (150) è intenzionalmente limitato in quanto il corso avrà carattere interattivo, con una parte teorica e una pratica. Nel pomeriggio, infatti, si terranno sessioni live di esami ecografici e contemporaneamente, dalle sale operatorie dell’ospedale, di interventi chirurgici laparoscopici su pazienti con endometriosi, per dare il modo ai partecipanti di correlare gli aspetti ecografici con quelli anatomici.
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Al ritmo di "Staying Alive" si impara a salvare una vita

Gli specialisti del Centro IRC (Italian Resuscitation Council) del Sacro Cuore insegnano le tecniche di base per la rianimazione cardio-polmonare ai ragazzi delle medie di Negrar durante la settimana di sensibilizzazione promossa dal Parlamento Europeo
Una palestra affollata di ragazzi e ragazze tredicenni che fanno il massaggio cardiaco su appositi manichini al ritmo di Staying Alive, intramontabile canzone dei Bee Gees. Sarà più o meno questa la scena che si presenterà stamattina alle scuole medie Emilio Salgari di Negrar, in occasione di un corso sulle manovre rianimatorie di base promosso dal Pronto Soccorso dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretto dal dottor Flavio Stefanini, che è anche Centro di Riferimento Didattico e Formativo IRC (Italian Resuscitation Council).
L’evento fa parte della settimana “Viva!”, un’iniziativa voluta dal Parlamento Europeo per sensibilizzare la popolazione sul tema dell’arresto cardiaco. Si calcola infatti che in Europa ogni anno circa 400 mila persone siano colpite dal “cortocircuito elettrico” del cuore, di cui 60 mila in Italia. Nel 70% dei casi è presente almeno un testimone all’evento, ma solo in poche occasioni i testimoni sono in grado di iniziare le manovre di rianimazione in attesa che arrivino i soccorsi (15%).
Eppure i primi momenti, dopo un arresto, sono decisivi per salvare la persona colpita e per impedire danni cerebrali irreversibili. “In seguito ad un arresto cardio-respiratorio il sangue smette di essere pompato ai vari organi e in particolare al cervello che ne risente prima di tutti gli altri poiché ha una limitata riserva di zuccheri e ossigeno. Per questo è fondamentale eseguire il massaggio cardiaco nei primi momenti, perché se il cervello rimane senza sangue per più di 3-4 minuti aumenta fortemente il rischio di danni permanenti – dice il dottor Marco Boni, medico del Pronto Soccorso e responsabile del Centro IRC del nosocomio di Negrar – fortunatamente le manovre rianimatorie di base non sono difficili e con un po’ di formazione possono essere messe in atto da tutti“.
La lezione ai ragazzi e alle ragazze delle scuole “Salgari” prevede una prima parte teorica, durante la quale sarà spiegato cosa avviene in caso di arresto cardiaco. Seguirà la parte pratica con le manovre rianimatorie sui manichini. Il tutto al ritmo di musica… “Un buon massaggio non deve mai interrompersi e deve prevedere tra le 100 e le 120 compressioni al minuto“, sottolinea Boni. Proprio come il numero di battute della batteria in “Staying Alive”…
Il Centro IRC del Sacro Cuore è operativo dal 2009 con corsi e iniziative di sensibilizzazione sulle manovre rianimatorie sia sugli adulti sia a livello pediatrico. Ne fanno parte circa venti sanitari tra medici e infermieri. In questi anni il Centro ha promosso, in collaborazione con l’Ufficio Formazione dell’ospedale, più di 250 corsi BLSD/BLSD pediatrico sulle manovre rianimatorie di base per tutto il personale del “Sacro Cuore” con un numero totale di circa 2500 allievi formati. In tale periodo inoltre ha progressivamente introdotto corsi di rianimazione avanzata dell’adulto (50 corsi e circa 500 allievi formati) e del bambino, con il sostegno del Centro di Formazione Pediatrico Scaligero diretto dal prof. Paolo Biban.
Inoltre gli istruttori IRC tengono corsi per altre strutture sanitarie, per aziende, asili nido, scuole dell’infanzia e genitori (sul primo soccorso nel bambino) nonché per società sportive, includendo la formazione sull’uso del defibrillatore e le manovre di disostruzione in seguito a inalazione di corpi estranei. Infine c’è il lavoro divulgativo a titolo del tutto volontario che si sviluppa annualmente nei locali dell’Ospedale Sacro Cuore, nelle hall di casa Nogarè, del centro prelievi e dei poliambulatori. Infine ma non da ultimo il progetto divulgativo sempre a titolo volontario nelle scuole della Valpolicella e di Verona, che rappresenta una grande sfida, con la collaborazione di altri centri di formazione IRC come il C.d.F “Valpolicella Cuore”.
“I ragazzi sono molto ricettivi su questi temi e c’è uno studio, in Danimarca, che dimostra come dopo un’attività di formazione capillare fatta nelle scuole, a distanza di 9-10 anni sia nettamente aumentata la percentuale di persone che sopravvivono ad un arresto cardiaco con prognosi favorevole, con un raddoppio nel numero di persone che hanno ricevuto la rianimazione cardio-polmonare da personale non sanitario. Anche per questo l’European Resuscitation Council, società scientifica europea collegata all’ Italian Resuscitation Council, di cui noi siamo parte, sta promuovendo la campagna Kids Save Lives che ha come obbiettivo la divulgazione della formazione su questi temi nelle scuole”, conclude il dottor Boni.
matteo.cavejari@sacrocuore.i