Buon compleanno Cardiologia! 25 anni fa nasceva il reparto

Era il 19 ottobre del 1992. I protagonisti di allora (e di oggi) raccontano quel momento storico dell’ospedale Sacro Cuore, tra cui il primo primario, il dottor Giancarlo Salazzari: “Qualche timore, ma tanto entusiasmo e gioco di squadra”

Solo un piccolo disguido organizzativo ha impedito che l’inaugurazione della Cardiologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria coincidesse con i 500 anni esatti della scoperta dell’America, il 12 ottobre del 1992. Il taglio del nastro è avvenuto una settimana dopo, il 19 ottobre, ma dalla memoria dei protagonisti di quel momento storico affiorano timore ed entusiasmo, le stesse sensazioni di chi si inoltra in una “nuova” terra.

 

La storia comunque riporta che il “Sacro Cuore Don Calabria”, 25 anni fa, non era del tutto a digiuno in Cardiologia, intesa come specialità. Il “cuore” del reparto ha iniziato a pulsare come Servizio agli inizi degli anni Ottanta. Si effettuavano tutta la diagnostica di base (“con standard elevati per quell’epoca”, raccontano i testimoni): visite ed esami come l’Elettrocardiogramma, l’Holter, il Cicloergometro ed Ecocardiogramma. Vi operavano tre medici: i dottori Herman Guilarte e Salvatore Longo, attualmente in pensione, e il dottor Edoardo Adamo, allora giovane cardiologo e ancora operativo a Negrar.

 

“Il Servizio di Cardiologia – racconta Adamo – era aggregato alla Divisione di Medicina, dove sei letti erano riservati ai pazienti con problemi di cuore. Il primario, dottor Oreste Ghidini, era un gastroenterologo ma guardava con favore l’espansione della Cardiologia e ci stimolava all’impegno. Iniziai a frequentare il Servizio su base volontaria nel 1983 e venni assunto definitivamente nel 1987. Se mi guardo indietro sembrano passati secoli – prosegue -. Basta pensare che la reperibilità notturna si basava… sull’amicizia: tra i medici dell’ospedale ci conoscevamo un po’ tutti e quando era necessario un consulto, lo specialista di un altro reparto chiamava il cardiologo con cui aveva più confidenza!”.

 

Gli anni Ottanta furono un periodo di intenso lavoro che pose le basi per l’apertura del reparto. La svolta avvenne il 1° settembre del 1991 quando giunse al “Sacro Cuore Don Calabria” il dottor Giancarlo Salazzari con il compito di aprire il reparto e di diventarne il primario. “Ricordo che il direttore sanitario Gastone Orio venne all’ospedale di Borgo Trento, dove lavoravo, illustrandomi la proposta – ricorda Salazzari -. Non dovetti pensarci a lungo. Quando si lavora per molti anni nello stesso posto, si rischia di adagiarsi sulla quotidianità perdendo quell’entusiasmo che si dovrebbe avere in qualsiasi professione e ancora di più quando ci si occupa della salute delle persone. Fondare una Cardiologia e aiutarla a crescere mi apparvero subito degli stimoli a cui non poter rinunciare. E ho avuto ragione”.

 

Il dottor Salazzari si dette subito da fare per “arruolare” nuovi medici. “Il primario venne un giorno a cercarmi in ospedale a Verona – racconta il dottor Giulio Molon, responsabile del Servizio di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione -. Mi propose di trasferirmi a Negrar, dove dal 1991 ero consulente, tre volte alla settimana, per la lettura e la refertazione degli esami Holter. Gli risposi che la sua proposta mi rendeva felice, poiché al “Sacro Cuore” mi trovavo molto bene. In particolare mi aveva colpito l’ottimo clima tra tutto il personale e la gentilezza verso i pazienti. Inoltre conoscevo molto bene Salazzari e il suo grande valore professionale e umano. Negrar era il posto ideale per iniziare la mia professione come ospedaliero”.

 

Il fatidico taglio del nastro avvenne il 19 ottobre del 1992. Non senza l’inconveniente dell’ultimo momento, racconta Enzo Dalle Pezze, primo caposala del reparto e oggi con lo stesso ruolo presso la Speciale Unità di Accoglienza Permanente per gli stati vegetativi e la Casa di Riposo Nogarè. “Era stata fissata la data del 12 ottobre – racconta – ma ad una settimana mancavano buona parte degli arredi, pertanto l’inaugurazione fu slittata di altri sette giorni”.

 

Per la Cardiologia fu scelto il secondo piano del “Sacro Cuore” (la stessa collocazione di adesso), dove furono riservati 16 posti letto, che divennero 22 quando i cardiologi “conquistarono” anche il reparto di Malattie Tropicali, trasferito al “Don Calabria”.

 

“Abbiamo iniziato dal nulla e siamo cresciuti assieme”. Lo ripete più di una volta Dalle Pezze, al quale fa eco Alessandra Renzi, una delle prime infermiere, oggi caposala del Servizio di Cardiologia, ed Enzo Righetti, che lavora ancora in reparto.

 

“E’ il caso di dirlo: la Cardiologia mi è rimasta nel cuore – dice Dalle Pezze -. Eravamo una vera e propria squadra, molto affiatata, non solo tra noi infermieri ma anche con i medici. Provenendo dalla Riabilitazione, non conoscevo nulla della gestione del paziente cardiologico. Per entrare nel contesto, venni inviato presso la Cardiologia e l’Unità Coronarica di Borgo Trento per un’esperienza di venti giorni. Posso dire di essermi formato sul campo, confrontandomi di continuo con i colleghi e con i cardiologi”.

 

“Io provenivo dalla Divisione di Medicina – interviene Renzi – ma non ero preparata per un reparto come quello di Cardiologia. E al reparto di allora, quando nei primi anni di notte era presente solo un infermiere professionale e un operatore. Non c’era il supporto dell’attuale tecnologia. Un esempio? Non esisteva la telemetria: giorno e notte, a brevi intervalli di tempo, andavamo al letto del paziente per controllare i monitor. Ma affrontavamo le difficoltà con coraggio e la disponibilità di tutti, in primo luogo il primario”.

 

“Venivo da 15 anni di Ortopedia – afferma Righetti -. Qualche timore era inevitabile, perché l’ambito era totalmente differente, ma c’era la voglia di imparare cose nuove, di crescere professionalmente. Ricordo i primi monitoraggi, le prime somministrazioni dei farmaci con le pompe, le tante difficoltà ma anche le tante soddisfazioni. E’ stata una sfida e un’avventura”.

 

In questa avventura il professor Enrico Barbieri, l’attuale primario, fece la sua prima comparsa il 14 settembre del 1999, chiamato da Salazzari come consulente per le coronarografie. Fu la prima pietra per l’attività di emodinamica e la svolta della Cardiologia di Negrar. “Ero ricercatore presso l’Università di Verona – ricorda Barbieri – e mi chiamarono per svolgere le coronarografie in sede, prima i pazienti venivano inviati in Borgo Trento. L’esame avveniva al primo piano del “Sacro Cuore” dove ora c’è la Radiologia. Divenni primario il 1° settembre del 2001, quando Salazzari andò in pensione, e poco più di un anno dopo venne fatta la prima angioplastica”.

 

Il resto è cronaca. Dalla prima angioplastica si è passati a 310 interventi all’anno, di cui 150 in urgenza (dati 2016). L’U.O.C. di Cardiologia con le due sale di Emodinamica e i 4 posti di Terapia Intensiva Cardiologica dall’ottobre del 2016 è un Centro HUB della Rete Veneta per l’infarto miocardico, con operatività h24 per tutto l’arco dell’anno.

 

Dagli impianti di pacemaker effettuati ancora sotto la guida di Salazzari si è sviluppata invece l’attività di Elettrofisiolologia e di impiantistica. Nel 1999 i dottori Guido Canali (oggi responsabile del Servizio di Emodinamica) e Paolo Girardi (attualmente all’ospedale di San Bonifacio) fecero il primo impianto di pacemaker definitivo. Attualmente i pacemaker hanno la forma di un proiettile e stanno tutti dentro al cuore e anche i defibrillatori sono sempre più sofisticati. Infine, il Laboratorio di Ecocardiografia che mosse i primi passi negli anni Ottanta, oggi vanta la certificazione europea e si distingue nell’ambito dello studio delle patologie cardiache congenite, anche a livello fetale.

 

Che cosa è rimasto di quell’avventura di 25 anni fa? La risposta dei protagonisti della Cardiologia di ieri e di oggi è all’unisono: “La nostra Unità Operativa è diventata sempre più interventistica, ora forniamo prestazioni di altissimo livello professionale e tecnologico. Ma quello che non è cambiato è l’atteggiamento di disponibilità e di comprensione verso i pazienti. Rimane il cardine della nostra attività quotidiana”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


MICI e cancro al colon: quei campanelli d'allarme chiamati displasie

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l professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica, parla del ruolo del patologo nella presa in carico di pazienti con Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI), ruolo che è al Centro della prima edizione di “Focus On IBD 2017”

Sono 200mila le persone in Italia affette da morbo di Crohn e da colite ulcerosa, le due forme di Infiammatory Bowel Disease (IBD) – in italiano MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) – che richiedono per la loro complessità la presa in carico del paziente fin dalla diagnosi da parte di un team di specialisti. Un approccio che caratterizza le più importanti realtà cliniche dedicate a queste patologie, tra cui il Centro dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che segue circa 1.500 pazienti con 80 nuovi casi all’anno.

A Negrar ogni settimana gastroenterologi, radiologi, patologi, endoscopisti, chirurghi digestivi e, quando è necessario, oncologi si siedono attorno a un tavolo per discutere in modo collegiale la situazione di ogni paziente.

Un po’ quello che avverrà venerdì 20 ottobre all’Hotel Leon D’Oro di Verona nell’ambito del “Focus On IBD – 2017”, organizzato dal Centro MICI del “Sacro Cuore Don Calabria”, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle (in allegato il programma). Specialisti provenienti da varie realtà internazionali e nazionali faranno il punto sulle strategie di diagnosi e di gestione dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino.

 

“Vorremmo che questo diventasse un appuntamento annuale – afferma il professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica di Negrar e uno dei responsabili scentifici dell’evento (nella foto) -. Quest’anno abbiamo voluto che al centro del simposio ci fosse la figura del patologo. Questo grazie alla presenza del professor Robert Riddell, di Toronto, il più illustre patologo a livello internazionale per il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Il professore Riddell terrà due lezioni magistrali: la prima sul ruolo del patologo nella diagnosi delle IBD. La seconda verterà su displasia e cancro nelle IBD”.

 

Professor Zamboni, perché è importante il ruolo del patologo per quanto riguarda le MICI?

“La diagnosi precisa di queste patologie è fondamentale per avviare il paziente a un corretto percorso terapeutico. Non sempre è possibile stabilire con certezza se si tratta di morbo di Crohn o di colite ulcerosa, perché le due malattie possono presentare delle caratteristiche trasversali. L’approccio multidisciplinare fin dal momento della diagnosi con il contributo professionale di tutti gli specialisti riduce il numero dei casi “indeterminati”. Per contenere al minimo questi casi di difficile interpretazione, il “Sacro Cuore Don Calabria” partecipa ad un progetto interaziendale di controllo di qualità con i patologi delle Anatomie Patologiche di Trento e Bolzano. I colleghi dei rispettivi ospedali saranno tra i relatori del Congresso”.

 

Il patologo interviene solo in fase di diagnosi?

“No. Il suo contributo è fondamentale anche per verificare se il paziente risponde ai farmaci e sulle conseguenze a lungo termine della malattia, in quanto questi pazienti hanno una maggiore predisposizione a sviluppare il cancro al colon”.

 

A cosa è dovuta questa maggiore predisposizione?

“Ad oggi non si conoscono le cause delle MICI, ma è stato provato che sono una reazione abnorme del sistema immunitario a un ‘nemico’ per ora sconosciuto. Reazione che provoca un’infiammazione a livello del colon. Si tratta di malattie croniche, che possono insorgere in età pediatrica o giovanile. Pertanto un’infiammazione prolungata per 10-15 anni obbliga la mucosa a un’anomala proliferazione cellulare, aumentando il rischio di formazione di cellule neoplastiche”.

 

E’ possibile prevenire il cancro al colon di questi pazienti?

“Sì. Prima di tutto somministrando la terapia appropriata. I farmaci biologici, da alcuni anni in commercio, migliorano in modo decisivo la qualità di vita dei pazienti, in quanto controllano i sintomi: diarrea, sanguinamento nell’evacuazione e occlusione intestinale. Ma non solo: riducendo l’infiammazione, diminuiscono il rischio di insorgenza di cancro. Tuttavia questo non basta per prevenire la neoplasia. E’ necessario sottoporre il paziente a periodici esami endoscopici con biopsie mirate, per capire se è iniziata la trasformazione neoplastica dell’epitelio colico. Il campanello d’allarme è dato dalla presenza di displasia – lesione neoplastica allo stadio iniziale identificabile con l’esame istologico – che fanno passare la condizione del paziente dalla semplice predisposizione alla concreta possibilità di sviluppare il carcinoma del colon”.

 

Una volta diagnosticata la displasia come si procede?

“Proprio il professor Riddell ha sviluppato la classificazione della displasia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, distinguendola in alto grado e basso grado. A partire da questo momento, il ruolo dell’equipe multidisciplinare consiste nell’identificare la terapia più opportuna. Storicamente un paziente con displasia di alto grado, o con displasia di basso grado in più settori del colon, veniva sottoposto a colectomia totale. Attualmente, grazie alle nuove tecniche di endoscopia interventistica di cui dispone il Servizio di Endoscopia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Paolo Bocus, qualora la lesione sia identificata macroscopicamente e giudicata localmente resecabile, il paziente può avvalersi di una resezione endoscopica ed evitare l’asportazione dell’intero colon”.

 

Senza colon il paziente è costretto a vivere per sempre con la colostomia?

“No, solo per tre mesi. L’intervento avviene in due fasi: una fase demolitiva e una fase ricostruttiva, dopo circa 90 giorni, per consentire al paziente di non avere problemi di incontinenza. Grazie all’abilità e all’esperienza dei chirurghi diretti dal dottor Giacomo Ruffo, a Negrar le due fasi avvengono in laparoscopia, il che significa una ripresa più rapida del paziente e meno giorni di ospedalizzazione”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


"Vi racconto la collaborazione con il Sacro Cuore per la 'mia' Ucraina"

Il nunzio apostolico in Ucraina giovedì 19 ottobre sarà ospite di un incontro alla Società Letteraria di Verona durante il quale parlerà anche dei progetti sanitari scelti e monitorati dall’ospedale di Negrar su richiesta del Papa

“Ucraina, limbo d’Europa” è il tema dell’incontro di giovedì 19 ottobre alla Società Letteraria (via Scalette Rubiani, 1 a Verona) che vedrà come relatore d’eccezione mons. Claudio Gugerotti (nella foto), nunzio apostolico nella ex Repubblica dell’Unione Sovietica.

L’appuntamento, con inizio alle 17.30, è stato promosso oltre che dalla Società Letteraria, anche dalla Fondazione Masi, dall’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e dall’Associazione Malve di Ucraina.

Il Vescovo veronese parlerà della drammatica situazione della parte meridionale del Paese, teatro di un conflitto che perdura dal 2014 nel silenzio totale del mondo. Un silenzio assordante, squarciato solo da Papa Francesco che ha stanziato ingenti finanziamenti finalizzati a progetti umanitari per la popolazione. In particolare, le iniziative sanitarie stanno coinvolgendo l’ospedale di Negrar che ha scelto i progetti e sta monitorando la loro realizzazione (vedi: Il Sacro Cuore consulente del Papa per i progetti sanitari in Ucrania e “Il Papa per l’Ucraina: sono realtà i progetti vagliati dal “Sacro Cuore”).

Ad aprire l’incontro sarà il vicepresidente della Fondazione Masi. Porteranno i saluti il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, il sindaco della città, Federico Sboarina, e la presidente della Società Letteraria, Daniela Brunelli. Interverrà anche il dottor Claudio Bianconi, direttore della Neurologia di Negrar, che ha svolto due missioni in Ucraina, prima con un’équipe di colleghi (i dottori Zeno Bisoffi e Carlo Lorenzi e la dottoressa Teresa Zuppini, accompagnati da don Ivo Pasa, delegato per l’Europa dell’Opera Don Calabria), per acquisire informazioni dirette sulla situazione del Paese, e poi per verificare l’avanzamento dello stato dei progetti.


Con la nuova TAC esami più veloci e meno radiazioni erogate

E’ l’ultima acquisizione tecnologica della Diagnostica per Immagini: una TAC a doppia energia di ultima generazione, particolarmente indicata in ambito oncologico e cardiologico

La Diagnostica per Immagini dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Giovanni Carbognin, amplia il suo “parco tecnologico” con l’acquisizione di una nuova TAC a doppia energia, che va ad affiancarsi ad un’altra presente a Negrar dal 2012. Il nuovo macchinario è stato mostrato al presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ospite d’onore, mercoledì 4 ottobre, in occasione delle celebrazioni per la Festa di Don Calabria.

La nuova Tomografia Assiale Computerizzata è dotata di due tubi radiogeni ad alta efficienza con energia differenziata e due sistemi di rilevazione (detettori) per l’acquisizione delle immagini.

Le innovazioni tecnologiche rispetto ai modelli precedenti assicurano molti vantaggi: i principali sono una migliore definizione delle immagini in un tempo di acquisizione inferiore e, soprattutto, una marcata riduzione della dose radiante.

La nuova TAC, infatti, è in grado di acquisire 192 strati in 0,25 secondi e, dal volume acquisito, generare immagini diagnostiche su tutti i piani dello spazio, con risoluzione submillimetrica. In questo modo diventano visibili anche lesioni che con strati di maggiore spessore avrebbero avuto scarsa definizione o, addirittura, sarebbero sfuggiti alla diagnosi.

Inoltre, la macchina è in grado di bilanciare la dose di raggi X erogata al paziente sulla base del volume e del distretto anatomico da studiare, garantendo una riduzione della dose fino al 40% rispetto ad altri sistemi TC multistrato.

In ambito oncologico, oltre alla netta riduzione della dose, particolarmente importante per i pazienti che devono sottoporsi a ripetuti controlli, la doppia energia consente anche una riduzione della quantità di mezzo di contrasto, in quanto l’energia di 1 dei due tubi è particolarmente efficace nel rilevarne minime quantità: ciò, tra gli altri vantaggi, comporta minor “carico” sulla funzionalità renale, particolarmente rilevante se si considera le delicate condizioni dei pazienti.

Oltre che per le tradizionali applicazioni diagnostiche il nuovo apparecchio è particolarmente indicato per lo studio del cuore e di tutto il sistema cardiovascolareIl gantry (la struttura circolare ruotante della TAC) è infatti in grado di compiere la rotazione a 360° nel tempo di 0,25 secondi. Questo permette di “fotografare” un solo battito cardiaco nella sua interezza senza somministrare farmaci betabloccanti al paziente per rallentare la frequenza cardiaca. Un notevole valore aggiunto nella diagnostica cardiologica, in quanto finora la velocità di acquisizione delle immagini dei precedenti modelli TAC era sempre inferiore rispetto a quella del flusso del sangue e del battito cardiaco, non consentendo di fatto uno studio completo del sistema cardiovascolare.

Per l’estrema velocità di esecuzione dell’esame oltre che per la netta riduzione della dose radiante, la nuova TAC è particolarmente adatta anche ai Pazienti pediatrici, senza la necessità di ricorrere alla sedazione per impedire movimenti durante l’esame.


Appropriatezza: una "terapia" che fa bene alla salute e alla Sanità

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Si parlerà di appropriatezza clinica e farmacologica venerdì 13 ottobre al “Sacro Cuore”: il rispetto delle indicazioni di prescrizione del farmaco ha come unico obiettivo la salute del paziente

Appropriatezza e razionalizzazione delle risorse, insieme a lotta agli sprechi, sono termini entrati ormai nel lessico della politica e dell’informazione quando il tema è la sanità, sempre più costosa e sempre con meno finanziamenti a disposizione. Spesso sono parole che vengono interpretate come “tagli”, soprattutto quando il cittadino di fronte alla richiesta di un esame o di un farmaco, si sente rispondere: “Non è indicato”, ovvero non è appropriato.

Di appropriatezza clinica e farmacologica si parlerà venerdì 13 ottobre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un convegno organizzato dal Servizio di Farmacia, diretto dalla dottoressa Teresa Zuppini, e rivolto a medici, farmacisti e infermieri (in allegato il programma).

Ma cosa significa appropriatezza? “Quando si parla di scelte appropriate nella terapia medica – risponde la farmacista Lorenza Cipriano, responsabile scientifico dell’incontro – abbiamo da un lato il paziente con le sue esigenze di salute e dall’altro il rispetto delle regole del Sistema Sanitario Nazionale che prevedono la prescrivibilità dei farmaci secondo precise indicazioni. In mezzo a questi due estremi ci sono i medici e i farmacisti, con un ruolo ben definito: quello di collaborare, ciascuno con la propria professionalità e competenza, per garantire l’efficacia e la sicurezza delle terapie prescritte al paziente”. Una “combinazione virtuosa” che determina la sostenibilità del sistema-Sanità.

Se il farmaco è prescritto al di fuori delle indicazioni e dei dosaggi per i quali ne è stata valutata l’efficacia può indurre tossicità ed effetti avversi che vanno a gravare sulla salute del paziente stesso esponendolo a rischi ingiustificati – prosegue la dottoressa Cipriano -. Questo avviene soprattutto nel caso di assunzione di più farmaci che creano interazione tra di loro e con farmaci di facile accessibilità”.

Tra questi gli inibitori di pompa protonica (pantoprazolo, omeprazolo, lansoprazolo…) di cui si parlerà durante il convegno. Sono farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale per la cura/prevenzione di importanti patologie quali la gastropatia da FANS (Farmaci anti-infiammatori non Steroidei) e il trattamento delle patologie acido-correlate. La solida evidenza a supporto dell’efficacia degli inibitori di pompa protonica e il loro elevato profilo di sicurezza, almeno nel breve termine, hanno contribuito nel tempo ad un’eccessiva prescrizione di questi farmaci. Il loro impiego anche per diagnosi non documentate o non coerenti con le note dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) determinano annualmente rilevanti ricadute sul SSN.

“Per coniugare efficacia, sicurezza e sostenibilità del sistema – conclude la farmacista – rimane quindi fondamentale il rispetto delle linee guida prescrittive indicate da AIFA e dalla Regione Veneto. Ma anche la de-prescrizione e la Slow Medicine, cioè la condivisione del percorso di cura da parte di tutti gli attori in gioco: professionisti sanitari e lo stesso paziente, che deve aderire alla terapia affinché sia più efficace possibile”.


HyperArc: il "Sacro Cuore" fa scuola nei meeting internazionali

L’ospedale di Negrar è stato il primo al mondo ad utilizzare questo innovativo trattamento di radiochirurgia delle metastasi cerebrali multiple- Il professor Alongi: “I risultati preliminari sui primi pazienti sono promettenti”

In occasione della celebrazione della Festa di Don Calabria all’ospedale di Negrar – che si è tenuta mercoledì 4 ottobre – il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ha visitato la Radioterapia Oncologica.

Era presente anche il professor Stefano Maria Magrini, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica e preside della Scuola di Medicina dell’Università di Brescia, dove il professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologia del “Sacro Cuore Don Calabria, è professore associato (insieme nella Photo Gallery)

Nel bunker che ospita l’acceleratore lineare Truebeam, il professor Alongi i e vertici della struttura ospedaliera, hanno illustrato al Presidente il funzionamento di HyperArc, l’innovativo trattamento di radiochirurgia per le metastasi cerebrali multiple in una sola seduta.

Quello di Negrar è stato il primo ospedale al mondo ad utilizzare la nuova tecnica di Radiochirurgia che apre nuovi scenari terapeutici per i pazienti colpiti da numerose lesioni oncologiche cerebrali e candidabili, nella maggior parte dei casi, alla sola terapia palliativa.

Successivamente, il nuovo sistema è stato installato nei Centri di Radioterapia Oncologica di Glasgow (Scozia) e di Zurigo (Svizzera).

Il professor Alongi in questi mesi è impegnato in vari meeting internazionali. Poche settimane fa, in un evento contestuale all’apertura del Congresso dell’Associazione Americana di Radioterapia Oncologica (ASTRO) che si tenuto a San Diego (Stati Uniti), il professor Alongi, unico europeo tra i relatori, ha illustrato a una platea di oltre mille colleghi i primi risultati sui pazienti (nella Photo Gallery)

“I primi pazienti sottoposti a controllo successivo al trattamento hanno riportato risultati preliminari promettenti di risposta completa – spiega il professor Alongi -. Inoltre abbiamo dimostrato che grazie al nuovo sistema è possibile colpire in maniera circoscritta e in una sola seduta di al massimo 10 minuti più metastasi, senza coinvolgere il tessuto sano, come è più frequente con la radioterapia tradizionale. Questo rende il trattamento ben tollerato e ripetibile, senza effetti collaterali pesanti sul paziente”.

Il professor Filippo Alongi è stato relatore sullo stesso argomento al Congresso dell’Associazione Austriaca di Radioterapia Oncologica a Linz e parteciperà a un altro meeting oncologico a Berlino il 3 e il 4 novembre.


Le foto di san Giovanni Calabria a Negrar

L’8 ottobre ricorre la festa liturgica del santo veronese fondatore di tante opere in favore dei bambini abbandonati e degli ammalati, tra le quali la Cittadella della Carità. Lo ricordiamo con le foto delle sue tante visite a Negrar

Oggi, 8 ottobre, si celebra in tutto il mondo la festa liturgica di San Giovanni Calabria, il sacerdote veronese canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1999. Don Calabria, che nacque proprio l’8 ottobre 1873 e morì il 4 dicembre 1954, durante la sua vita fu iniziatore di molte opere in favore dei fanciulli abbandonati e degli ammalati. Tra queste anche la Cittadella della Carità di Negrar (vedi sito dell’Opera con il messaggio del Casante padre Miguel Tofful alla Famiglia calabriana).

 

A Negrar don Calabria arrivò nel dicembre 1933, quando accettò di farsi carico di un piccolo ricovero per anziani poveri, chiamato Sacro Cuore, dopo la morte del parroco don Angelo Sempreboni che lo aveva fondato. “Qui nascerà una grande opera”, diceva don Calabria guardando la distesa di campi dal balcone del primo nucleo del Sacro Cuore (nella zona dell’attuale pronto soccorso). Il santo aveva sempre avuto una particolare predilezione per gli ammalati, fin dai tempi del servizio militare dove era stato assegnato alla quinta compagnia di sanità presso l’ospedale militare di Verona.

 

Negli anni successivi don Calabria venne molto spesso a Negrar, anche a causa dei suoi numerosi problemi di salute negli ultimi anni di vita. Per ricordarlo nel giorno della sua festa pubblichiamo le foto delle sue tante visite alla Cittadella della Carità, alcune delle quali molto rare ed inedite.


Il presidente Zaia posa la prima pietra del "nuovo" ospedale

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In occasione della Festa di Don Calabria, hanno preso il via ufficialmente i lavori di riqualificazione dell’ospedale. Zaia: “Grazie Negrar, perché con i vostri investimenti in tecnologia e professionalità siete un’eccellenza della Sanità veneta”

Con la posa della prima pietra da parte del presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, sono iniziati ufficialmente i lavori del grande progetto di riqualificazione strutturale dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, che avranno la durata di cinque anni (vedi video con le interviste e le immagini della giornata).

La cerimonia si è tenuta questa mattinain occasione della Festa del Santo fondatore dell’ospedale, nell’area- tra il “Don Calabria” e Casa Nogarè – dove è già ben visibile il grande scavo per la realizzazione dell’ingresso generale del nosocomio.

Il Presidente Zaia, l’assessore alla Sanità veneta, Luca Coletto, e i vertici del nosocomio hanno firmato una pergamena-ricordo dell’evento che è stata inserita nella prima pietra della nuova palazzina, benedetta poi da padre Migue Tofful, superiore generale dell’Opera Don Calabria.

“I biografi ci raccontano – ha detto fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’ospedale – che don Calabria, affacciandosi a uno dei balconi del primissimo nucleo della struttura e abbracciando con lo sguardo una distesa di campi, disse: “Diventerà una cosa grande”. Fu una profezia che si è avverata nel corso degli anni. Oggi l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria è il quinto ospedale del Veneto, un polo oncologico e un Centro di riferimento a livello nazionale per molte patologie. Vi lavorano più di 2mila collaboratoriUn risultato reso possibile con notevoli investimenti in innovazioni scientifiche e tecnologiche. E per merito di tutti i collaboratori, nessuno escluso, che negli anni hanno investito qui la loro professionalità e il loro impegno. Ma anche un risultato raggiunto grazie alla condivisione di progetti e obiettivi con tutte le istituzioni, in primo luogo con la Regione. Il progetto di riqualificazione dell’ospedale – ha sottolineato – ha l’intendo di adeguare la struttura a questo straordinario sviluppo. Considerare il malato il nostro unico padrone dopo Dio, come ci ha insegnato Don Calabria, significa anche offrirgli un ambiente moderno e funzionale. E più bello, perché anche la bellezza può contribuire ad alleggerire il fardello della malattia”.

“Credo che in questo presidio l’umanizzazione sia una filosofia aziendale – ha affermato il presidente Zaia – Umanizzare le cure è importante, ma, poiché l’ospedale non è un albergo, è necessario investire in professionalità e tecnologia, come ha sempre fatto Negrar. Per questo vi ringrazio, anche perché così operando siete un argine contro la migrazione sanitaria. Non riesco a comprendere il motivo per cui un veneto dovrebbe andare a curarsi fuori regione o all’estero: la nostra Sanità è di altissimo livello avendo puntato sulle specializzazioni. Al “Sacro Cuore-Don Calabria”, per esempio, ci sono eccellenze come il Centro per le Malattie Tropicali e un Dipartimento Oncologico che in radioterapia può avvalersi di un trattamento per le metastasi cerebrali che solo tre Centri in Europa hanno“.

Il Governatore ha poi chiuso ringraziando ancora Negrar “perché è sempre stato parte integrante della comunità sanitaria e scientifica del Veneto, ha sempre saputo fare rete, un grande pregio rispetto ad altri ospedali a gestione privata”.

Nello specifico della riqualificazione dell’ospedale, è intervenuto a margine della cerimonia, l’amministratore delegato, Mario Piccinini: “Questa è una giornata storica perché abbiamo posato la prima pietra di un grande progetto che cambierà l’immagine dell’ospedale. Iniziamo dalla palazzina, ingresso generale dell’intero presidio, ma poi proseguiremo con l’ampliamento del Pronto Soccorso, una nuova collocazione dell’Oncologia, un Centro di Ricerca per le Malattie Tropicali, un Centro Congressi e un giardino pensile... Il nostro intento è quello di adeguare la struttura allo sviluppo esponenziale dal punto di vista tecnologico e professionale che l’ospedale ha avuto negli ultimi decenni. Con un occhio attento sempre a coloro che si rivolgono a noi, a cui vogliamo offrire un ospedale bello e funzionale, accessibile in tutti i suoi ambiti da percorsi coperti e facilmente raggiungibili da un unico ingresso” (vedi approfondimento sul progetto).

Dopo la posa della prima pietra, al presidente Zaia sono state mostrate le due ultime acquisizioni tecnologiche dell’ospedale. Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica e professore associato all’Università di Brescia, ha illustrato HyperArc, un innovativo sistema per il trattamento radiochirurgico delle metastasi cerebrali multiple in una sola seduta. Mentre il dottor Giovanni Carbognin, direttore della Diagnostica per immagini, ha sottolineato le applicazioni della la nuova TAC a doppia energia, particolarmente indicata per lo studio del sistema cardiovascolare: grazie alla velocità di acquisizione delle immagini riesce a fotografare un solo battito del cuore.

In Photo Galley il foto-racconto dell’evento


Obesity Day: visite gratuite con il team di specialisti dell'obesità

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Il 10 e l’11 ottobre gli specialisti saranno disposizione al Centro Diagnostico Terapeutico per colloqui informativi sull’obesità e sugli interventi per affrontarla, tra cui il supporto psicologico e la chirurgia bariatrica. E’ necessaria la prenotazione

In occasione dell’Obesity Day, la Giornata di prevenzione dell’obesità che si tiene in tutto il mondo il 10 ottobre, l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria promuove due giorni di colloqui informativi gratuiti rivolti alle persone con problemi di sovrappeso e a tutti coloro che sono interessati ad avere maggiori informazioni sulla malattia e sugli interventi per affrontarla. Fra questi il supporto psicologico e la chirurgia bariatrica.

L’appuntamento è per martedì 10 e mercoledì 11 ottobre dalle 9 alle 17 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 (Verona)dove a ricevere i cittadini sarà un team formato dalla dietista Federica Scali, dalla psicologa Eleonora Geccherle, dai chirurghi bariatrici Irene Gentile e Roberto Rossini e dal medico gastroenterologo Emanuela Fortuna (in allegato la locandina e il pieghevole esplicativo).

Non è necessaria l’impegnativa del medico di medicina generale, ma la prenotazione ai numeri 045.6013493 o 045.6013024 (dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 15).

L’obesità – che in Italia coinvolge 6 milioni di persone, il 10% della popolazione – non è un problema un mero estetico, ma rientra a pieno titolo nell’elenco delle patologie. Infatti un obeso ha un’aspettativa di vita inferiore a 10 anni rispetto a quella di un coetaneo normopeso, in quanto l’obesità è quasi sempre accompagnata da diabete, ipertensione, patologie cardiovascolari e respiratorie.

Dieta ipocalorica e costante attività fisica sono le vie maestre per ottenere un calo ponderale. Ma quando i chili in eccesso sono davvero troppi e i vari tentativi per eliminarli sono falliti più volte, può intervenire la chirurgia bariatrica.

Dal 2015 presso l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è stata avviata un’attività chirurgica per la cura dell’obesità, indicata per i pazienti con un indice di massa corporea (BMI) superiore a 40, ma anche oltre ai 35 se sono presenti altre patologie. Si rivolgono al Centro soprattutto donne (la media è di 30 anni) che nonostante molteplici tentativi non sono riuscite a perdere peso o lo hanno riacquistato, spesso con gli interessi, dopo un momentaneo dimagrimento.

A Negrar vengono effettuati due tipi d’intervento a seconda delle indicazioniIl bypass gastrico, condotto tramite il robot Da Vinci Xi, consiste nella creazione di una piccola sacca gastrica collegata direttamente al piccolo intestino. Riducendosi drasticamente l’ampiezza dello stomaco, il paziente avverte subito una sensazione di sazietà e contemporaneamente viene ridotto anche l’assorbimento del cibo.

In laparoscopia viene invece eseguita la sleeve gastrectomy che consiste nell’asportazione di gran parte dello stomaco. Questo assume la forma di un tubo collegato al duodeno. Anche la sleeve gastrectomy ha come risultato maggior senso di sazietà, non solo per la riduzione dello spazio di contenimento del cibo, ma anche perché viene asportata quella parte dello stomaco deputata alla produzione di un ormone che favorisce l’appetito.

Dopo, l’intervento, con entrambe le tecniche chirurgiche, il paziente arriva ad assumere una quantità di cibo fino a dieci volte inferire rispetto a quella consumata prima dell’operazione inducendo così un notevole calo ponderale.


Ma l’intervento fine a se stesso non è risolutivo se non accompagnato da un radicale cambiamento di stile di vita, dove il cibo non può più rappresentare una compensazione emotiva come spesso succede in molti pazienti obesi
.

Per questo l’atto chirurgico viene preceduto da uno scrupoloso studio psicologico e delle abitudini alimentari per verificare l’idoneità del paziente prima e successivamente all’intervento.

A questo proposito l’ospedale di Negrar oltre ad avere un team multispecialistico la presenza di una psicologa e di una dietista, collabora con l’Unità funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda dove il paziente può svolgere un percorso psicologico e di educazione alimentare (in regime di ricovero o in day hospital) di tre settimane prima di accedere all’intervento.


Tumori neuroendocrini: incontro per i pazienti in via San Marco

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Sabato 7 ottobre il Centro Diagnostico Terapeutico di Verona ospita un incontro dedicato alle persone con tumori neuroendocrini: si parlerà di terapie, ma anche di diritti dei malati, di sostegno psicologico e di alimentazione, con un pranzo speciale

Sono tumori rari (2,5 casi all’anno ogni 100mila abitanti) che hanno origine dalle cellule del sistema neuroendocrino. Colpiscono organi come il pancreas, l’intestino e il polmone, ma, a differenza delle altre forme neoplastiche che aggrediscono gli stessi distretti anatomici, quelli neuroendocrini hanno ampie opportunità terapeutiche e prognosi favorevoli. Tuttavia la convivenza con la malattia e il riproporsi ciclicamente la necessità di effettuare le cure, comportano pesanti ripercussioni sulla qualità di vita di chi è affetto da questi tumori, spesso persone giovani in piena attività lavorativa.

Per ribadire l’importanza di un’alleanza tra medico e paziente al fine di combattere la patologia, sabato 7 ottobre, a partire dalle 9, al Centro Diagnostico Terapeutico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco 121 a Verona (area Centro Polifunzionale Don Calabria) si terrà l’incontro “Connettiamoci!” – un gioco di parole dove NET è l’acronimo di Neuroendocrine Tumours – a cui sono invitati in particolare i malati e i loro familiari.

Ad organizzarlo l’équipe multidisciplinare dell’Ambulatorio Net dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, coordinata dal chirurgo Letizia Boninsegna, che si occupa della presa in carico del paziente dalla diagnosi alla terapia, fino al follow up. “Si tratta di neoplasie complesse che richiedono un approccio multispecialistico e metodiche diagnostico-terapeutiche all’avanguardia, per esempio nel campo della Medicina Nucleare, tutte presenti nel nostro ospedale“, sottolineano gli organizzatori (per saperne di più: L’ambulatorio per i tumori neuroendocrini).

La mattinata prevede un ampio spazio riservato alle domande dei pazienti, a cui risponderanno non solo i medici di Negrar, ma anche il vicepresidente nazionale dell’associazione Net Italy, Giorgio Piffer, e la professoressa Paola Tomassetti, una delle massime esperte di tumori neuroendocrini nel nostro Paese (in allegato il programma).

Saranno affrontati anche temi come i diritti dei malati e le tutele, in ambito lavorativo, previste dalla legge e verrà sottolineata l’importanza di un supporto psicologico, in quanto la convivenza per molto tempo con la malattia e le terapie ha ripercussioni emotive non solo sul malato ma anche su tutta la famiglia. Si parlerà infine di alimentazione, non solo dal punto di vista teorico.

Infatti grazie alla disponibilità del preside Samuele Antonio Moretti, gli chef della scuola alberghiera del Centro Servizi Formativi Stimmatini, Luca Magagnotti e Sandro Moro, aiutati dal professor Luigi Poli e dagli studenti, prepareranno alcuni piatti accompagnati dal pane d’orzo dei maestri fornai Fabio Bodini, Paolo Deganello e Nicola Zambiasi.

“Un’attenta alimentazione è molto importante per chi è affetto da tumore neuroendocrino – conclude la dottoressa Boninsegna – . Per esempio il paziente che ha subito l’intervento per un tumore neuroendocrino del pancreas, può avere problemi di intolleranza glucidica o di diabete. Mentre coloro che sono stati operati all’intestino, hanno difficoltà di transito intestinale. Questo non significa dover rinunciare al piacere della tavola. Con l’allestimento di questo pranzo vogliamo dimostrare che nonostante la malattia, è possibile assumere una dieta varia, bilanciata e gustosa“.