Le cappelle dell'ospedale saranno Porta Santa

Dal 27 settembre al 7 ottobre le cappelle della Cittadella della Carità saranno Porta Santa della Misericordia, in occasione della novena a san Giovanni Calabria. Il Superiore generale dell’Opera calabriana spiega i motivi di questo evento straordinario
Le cappelle della Cittadella della Carità di Negrar saranno Porta Santa della misericordia durante la novena in preparazione alla festa liturgica di San Giovanni Calabria, dal 27 settembre al 7 ottobre. A stabilirlo è un decreto del vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti, il quale ha concesso che sia Porta Santa anche la chiesa di San Zeno in Monte, casa madre dell’Opera fondata da don Calabria.
“Si tratta di un evento straordinario e di un’occasione per vivere da vicino l’esperienza del Giubileo indetto da Papa Francesco – dice padre Miguel Tofful, Superiore generale dell’Opera calabriana – Spero che ne potranno approfittare tante persone che frequentano la Cittadella della Carità: operatori, ammalati, familiari, volontari…” (vedi il video-messaggio completo di padre Tofful).
La Porta Santa verrà aperta proprio dal vescovo mons. Zenti martedì 27 settembre nella cappella dell’ospedale Sacro Cuoredurante la S. Messa con inizio alle ore 17. Nei giorni successivi, le porte di tutte le cappelle dell’ospedale saranno a turno Porta Santa. Il 28 e 29 settembre sarà Porta Santa la cappella del Sacro Cuore; il 30 settembre e 1° ottobre la cappella di Casa Nogarè; il 3 e 4 ottobre la cappella di Casa Clero; il 5 e 6 ottobre la cappella di Casa Perez. Infine la chiesa dell’ospedale Don Calabria sarà Porta Santa il 2 e il 7 ottobre.
Ogni mattina nella cappella della Porta Santa è prevista la recita delle lodi alle 7,30, con possibilità per tutti di partecipare. La Porta Santaverrà chiusa venerdì 7 ottobre, giorno nel quale la Cittadella della Carità celebrerà la festa di don Calabria (la festa liturgica vera e propria è il giorno dopo, 8 ottobre).
Durante il Giubileo il passaggio sotto la Porta Santa è considerato dalla Chiesa come il segno del desiderio profondo di vera conversione da parte di chi lo effettua e in questo caso, come dice Papa Francesco, è anche il modo per sperimentare l’infinita misericordia di Dio e diventare a propria volta segno di misericordia. Inoltre il passaggio della Porta Santa è condizione indispensabile per accedere all’indulgenza, unitamente a tre altre condizioni: il sacramento della confessione, la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del pontefice.
Anche nella casa madre di San Zeno in Monte sono previsti molti appuntamenti in concomitanza con la presenza della Porta Santa. A questo link è possibile trovare il programma con tutte le informazioni utili per partecipare: porta santa san zeno. Filo conduttore di tutti questi appuntamenti è il tema della misericordia sperimentata da don Calabria. Ecco cosa scriveva in proposito il santo:
“Andiamo al nostro Iddio, al nostro buon Padre e troveremo la vera pace, la vera contentezza; animo, per quanti peccati tu abbia commesso non avvilirti, non scoraggiarti; la bontà, la misericordia di Dio è grande ed ha gran braccia per ricevere tutti“.
Malati di Alzheimer: al "Sacro Cuore" una presa in carico globale

Dalla diagnosi tramite PET ai trattamenti specifici per la malattia; dagli eventi di socializzazione al supporto ai familiari. Il Centro per il Decadimento Cognitivo si prende cura del paziente non solo dal punto di vista medico, ma anche socio-sanitario.
È una presa in carico globale quella dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria nei confronti del paziente affetto dalla malattia di Alzheimer, patologia di cui il 21 settembre si celebra la Giornata mondiale. Secondo il Rapporto mondiale Alzheimer 2015 sono 46,8 milioni le persone affette da demenza nel mondo (50-60% sono casi di Alzheimer), una cifra destinata ad aumentare ogni 20 anni, con costi sociali ed economici attuali di 818 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il nostro Paese si stima che le persone malate di demenza siano oltre un milione.
Presa in carico globale del paziente.
Diagnosi, trattamenti specifici, supporto psicologico anche per i familiari, su cui pesa gran parte dell’assistenza. Ma anche occasioni di socializzazione e di stimolazione delle funzioni cognitive. Infine attività di consulenza sociale per quanto riguarda la parte di valutazione del supporto socio-previdenziale e tutela legale, oltre a quella di collegamento con i servizi del territorio a cui la famiglia del paziente può fare riferimento.
Il Centro per il Decadimento Cognitivo
A proporre tutto questo è il Centro per il Decadimento Cognitivo, un Servizio dell’Unità Operativa di Neurologia, diretta dal dottor Claudio Bianconi. L’équipe del Centro vede come responsabile la dottoressa Zaira Esposito ed è formata dal dottor Bianconi, dal geriatra Paolo Spagnolli, dalle psicologhe Cristina Baroni e Paola Poiese e dall’assistente sociale Francesca Martinelli.
La diagnosi della malattia tramite PET
Per l’ambito diagnostico le dotazioni tecnologiche della Medicina Nucleare, diretta dal dottor Matteo Salgarello, consentono di effettuare tramite imaging PET esami di ricerca della presenza anomala a livello cerebrale della proteina beta-amiloide, considerata responsabile dell’Alzheimer. Esami che saranno fondamentali per accedere in un futuro non molto lontano ai farmaci (anticorpi monoclonali) attualmente in fase di sperimentazione che hanno come obiettivo proprio la riduzione delle placche di amiloide, presenti in accumulo nei pazienti affetti da questo tipo di demenza.
L’Officina della Memoria
In attesa che la scienza faccia il suo corso e trovi una soluzione definitiva a questa patologia degenerativa del cervello, rimane fondamentale offrire ai pazienti occasioni di stimolazione cognitiva con lo scopo di mantenere funzioni come la memoria, il linguaggio, l’attenzione e le abilità esecutive. Dallo scorso anno il Centro per il Decadimento Cognitivo in collaborazione con il Museo Nicolis di Villafranca di Verona ha dato vita a “L’Officina della Memoria”, un laboratorio che ha lo scopo di offrire momenti di benessere ai pazienti e ai loro familiari, ma anche di coinvolgere la comunità relativamente a un problema che ha risvolti soprattutto sociali. La malattia nelle fasi avanzate comporta una totale non autosufficienza da parte del paziente, la cui cura oggi è quasi esclusivamente a carico della famiglia, sopraffatta da un carico emotivo e fisico spesso insostenibile.
Canzoni di un tempo al Museo Nicolis
Il prossimo evento de “L’Officina della Memoria” si terrà sabato 15 ottobre al Museo Nicolis. Aperto ai pazienti in cura presso il Centro e ai loro familiari, sarà focalizzato sul binomio musica e memoria. Grazie al maestro Andrea Giorio del CSM College i partecipanti potranno andare a ritroso nel tempo recuperando il ricordo di canzoni e di eventi ad esse legati “L’Officina della memoria” organizza anche incontri di stimolazione cognitiva diretta (cioè con esercizi specifici) rivolti ai pazienti del Centro e gruppi di supporto psicologico per i familiari. Per informazioni: 045.6013527.
elena.zuppini@sacrocuore.it
EUS, la sonda ecografica per lo studio del tubo digerente

Il dott. Paolo Bocus descrive come funziona EUS, l’esame ecoendoscopico che permette di stadiare le neoplasie a carico di esofago, stomaco, duodeno, retto, pancreas e vie biliari
Un’ecografia ad alta risoluzione fatta da dentro che permette di studiare la parete del tubo digerente e le strutture ad esso adiacenti, combinando immagini endoscopiche ed ecografiche. L’esame si chiama EUS (dall’inglese Endoscopic Ultra-Sonography) e viene realizzato grazie all’applicazione di una sonda ecografica miniaturizzata all’estremità di un endoscopio digestivo.
Questo esame, particolarmente indicato per la stadiazione delle neoplasie a carico del tubo digerente, del pancreas e delle vie biliari, rende possibile lo studio di lesioni anche molto piccole e, quando necessario, permette di effettuare agoaspirazioni eco-guidate (FNA) per eseguire un esame citologico, biochimico o immunoistochimico delle lesioni visualizzate.
EUS viene eseguito presso il Servizio di Ecoendoscopia del Sacro Cuore, inaugurato nell’ottobre 2013 e afferente all’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva diretta dal dott. Paolo Bocus. Proprio il dott. Bocus, che è uno dei massimi esperti in Italia per questa metodica, illustra nel filmato come funziona EUS e quali sono le peculiarità di questo esame.
Filmato di matteo.cavejari@sacrocuore.it
"Il malato va accolto anche a livello umano e spirituale"

Intervista a fratel Mario Bonora, che è stato presidente dell’ospedale di Negrar dal 1990 al 2014 ed è tuttora presidente ARIS, in occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa nell’Opera Don Calabria
È stato per 24 anni presidente dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, dal 1990 al 2014, ma in precedenza fratel Mario Bonora ha svolto molti altri servizi per l’Opera Don Calabria fin dagli anni Sessanta, quando entrò nella Famiglia calabriana come Fratello consacrato. In occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa, che si celebra l’8 settembre, abbiamo chiesto a fratel Bonora di raccontarci la sua esperienza nell’Opera e i suoi ricordi degli anni trascorsi a Negrar…
Fratel Bonora, cosa ricorda del suo ingresso nell’Opera di don Calabria?
Io sono di Ferrara. Quando ero ragazzino mio padre, che era capomastro, ebbe un grave incidente. La mamma doveva assisterlo, quindi non poteva seguire noi 5 fratelli. Così si cercarono per noi delle sistemazioni. Io fui accolto nella Casa che don Calabria aveva aperto nella nostra città. Avevo 12 anni.
Come fu l’esperienza del collegio?
All’inizio non ne volevo sapere, tanto che il direttore don Pietro Murari decise di rimandarmi a casa. Un giorno chiamò mia mamma e quando la vidi uscire piangente dal suo studio capii che dovevo cambiare.
Le cose sono cambiate al punto che ha scelto di diventare Fratello…
Un po’ alla volta mi sono lasciato entusiasmare dai “Fratelli”. Si dedicavano a noi ragazzi con un impegno incredibile e vivevano al nostro fianco giorno e notte, proprio secondo lo spirito del fondatore. Credo che qui stia il seme della mia vocazione. Poi, dopo le medie, andai a Verona per fare un periodo di formazione e infine entrai in noviziato.
Qual è stato il suo percorso nell’Opera prima di arrivare all’ospedale?
Nella mia formazione avevo ricevuto una preparazione di tipo pedagogico, ma fin da subito i superiori mi diedero incarichi in campo amministrativo: prima a Costozza (Vicenza), poi nella Casa di Milano e infine a Roma. Nel 1972 il Superiore generale don Adelio Tomasin mi chiese di affiancare l’economo della Congregazione, ovvero fratel Rino Nordera. Infine nel 1978, dopo il Capitolo, fui nominato economo generale.
Nel 1990 lei è arrivato a Negrar. Immagino che all’inizio non fu semplice…
L’ospedale era già una realtà molto importante e ci volle del tempo per capire bene come funzionava. Ma la cosa che mi è rimasta più impressa è l’impatto con il mondo della sofferenza e della malattia. A Negrar ho potuto imparare che la persona malata si trova in una situazione molto particolare ed ha bisogno di un accompagnamento speciale non solo a livello sanitario ma anche umano e spirituale.
Cosa le chiesero i superiori quando le affidarono l’incarico all’ospedale?
Ricordo che mi chiesero in particolare due cose. In primo luogo di collaborare affinchè l’ospedale rimanesse al passo con i tempi, sia a livello di professionalità sia di tecnologie perché questo è il modo per rendere il miglior servizio possibile ai pazienti. In secondo luogo mi chiesero di avere un’attenzione particolare per l’area socio-sanitaria accanto a quella sanitaria. E in effetti oggi l’area socio-sanitaria è una parte importante della Cittadella della Carità anche a livello numerico, con le sue tre residenze: Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero.
Cosa è cambiato nell’ospedale nei 24 anni in cui lei è stato presidente?
In questi anni l’ospedale ha camminato con i tempi grazie all’impegno di tutti. Sono state fatte tante innovazioni, sia tecnologiche sia strutturali. Sono aumentati i servizi e i collaboratori sono triplicati fino a raggiungere il numero attuale che supera le 1800 unità. L’ospedale oggi offre cure qualificate per migliaia di persone che provengono dal Veneto e da tutta Italia. Ma mi piace pensare che lo spirito sia rimasto inalterato e fedele ai valori trasmessi dal nostro fondatore san Giovanni Calabria.
Cosa rende il Sacro Cuore un ospedale “calabriano”?
Io credo che la prima caratteristica che lo rende “calabriano” sia la motivazione dei nostri operatori. A Negrar c’è davvero un’attenzione speciale alla persona ammalata in tutte le sue necessità e gli operatori in moltissimi casi se ne fanno carico con un vero spirito di servizio. In questo credo sia rimasta una profonda adesione allo spirito di don Calabria, il quale durante tutta la sua vita sentì un grande interesse per gli ammalati e gli anziani. Un altro aspetto che rende “calabriano” il nostro ospedale è il lavoro pastorale portato avanti in modo particolare dal Consiglio Pastorale Ospedaliero.
Dal 2004 lei è presidente dell’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari) che riunisce i vari enti religiosi che si occupano di sanità in Italia. Qual è a suo giudizio la funzione oggi di questi enti?
L’ARIS riunisce circa 250 enti, tra cui una trentina di ospedali, e poi vari centri di riabilitazione, RSA, case di cura, hospice, ex istituzioni psichiatriche e istituti scientifici (IRCCS). Io credo che questi enti, pur in un momento di grave crisi per molti, continuino ad assolvere un ruolo fondamentale, che è quello di assistere le persone ammalate testimoniando il Vangelo. Inoltre non va dimenticato che spesso tali istituzioni intervengono con efficacia laddove ci sono carenze nel servizio pubblico.
Quale saluto si sente di dare ai collaboratori dell’ospedale e agli ammalati che vi sono curati?
Auguro a tutti gli operatori di continuare nel loro servizio qualificato all’ammalato, mantenendo quello spirito di servizio e di umanità che rende “speciale” il Sacro Cuore. E poi non dobbiamo dimenticare che abbiamo una marcia in più. Come diceva don Calabria: “Le nostre radici sono in alto“!
Cancro: contro le false cure vince il dialogo

Stefania Gori, direttore dell’Oncologia: “Solo le cure convenzionali danno risultati scientifici e la chemioterapia oggi fa meno paura, grazie ai farmaci che controllano gli effetti collaterali”
“Solo le terapie oncologiche hanno evidenze scientifiche nella lotta contro il cancro. Contrariamente alle cosiddette cure alternative, a causa delle quali anche oggi registriamo decessi evitabili”. Scandisce le parole la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente eletto dell’Aiom, l’associazione che comprende circa 3mila oncologi italiani.
Decessi evitabili come quelli di Eleonora Bottaro, morta a soli 18 anni per una leucemia linfoblastica acuta, che poteva essere curata se la ragazza non avesse rifiutato la chemioterapia per affidarsi al “metodo Hamer”. O quello di Alessandra Tosi, colpita da tumore al seno, una delle neoplasie per le quali si registrano il maggior numero di guarigioni se trattate adeguatamente. Cure che Alessandra non ha accettato.
Sono questi solo gli ultimi capitoli di un tragico romanzo fantascientifico – in cui i morti però sono reali – dove trovano spazio oltre a “terapie” come il “metodo Hamer”, per cui il tumore è solo frutto di un trauma psicologico, la cura Di Bella, quella dello scorpione di Cuba, Stamina e tante altre che la dottoressa Gori ha incontrato lungo la sua professione di medico-oncologo.
“Il problema è che noi oncologi il più delle volte non sappiamo se il paziente in trattamento antitumorale assume anche farmaci o terapie fitoterapiche “alternative” – sottolinea -. Il paziente può comunicarcelo solo se si stabilisce un forte rapporto di fiducia. E’ molto importante che il paziente informi il medico, perché le cosiddette cure alternative potrebbero interferire con i trattamenti oncologici standard. Come AIOM, ci stiamo occupando di questa problematica, sia in ambito di congressi sia pianificando una survey conoscitiva tra i pazienti oncologici, per capire l’entità del fenomeno”.
Pochi decenni fa, molti tipi di tumori risultavano incurabili: oggi, da almeno 15 anni, la mortalità è in costante diminuzione ed alcuni tumori, come il cancro al seno, se diagnosticati precocemente e trattati adeguatamente, possono avere un’altissima percentuale di guarigione. Inoltre sono oltre 3 milioni le persone che vivono in Italia con una pregressa diagnosi di tumore. Tutti dati che dimostrano come una diagnosi sempre più precoce ed una terapia farmacologica antitumorale (chemioterapia, ormonoterapia, terapia a bersaglio molecolare), insieme all’evolversi della chirurgia oncologica e della radioterapia, rappresentino armi efficaci contro il cancro. Allora perché un paziente rifiuta le terapie convenzionali e si affida a “cure” che non hanno mai dato risultati?
“Si affidano a “cure alternative” alcuni pazienti per i quali si sono esaurite tutte le opzioni terapeutiche – risponde la dottoressa Gori – dopo essere stati trattati con chirurgia, radioterapia o chemioterapia. Sono persone che non vogliono perdere la speranza, e che comunque vogliono essere sottoposti ad un qualche tipo di terapia, non importa quale sia. In rari casi, ci sono atteggiamenti di rifiuto del trattamento standard sin dall’inizio: ma sono casi veramente molto molto rari”.
Permane oggi il timore della chemioterapia, tanto da indurre il paziente a rifiutarla? “La paura verso questa forma di trattamento, che resta comunque impegnativa per il paziente, si è fortemente ridimensionata negli ultimi venti anni. Grazie ad alcuni farmaci riusciamo a controllare gli effetti collaterali degli antiblastici, tipo la nausea ed il vomito. In varie forme metastatiche, possiamo utilizzare un solo farmaco antitumorale, riducendo al massimo le tossicità associate“.
Casi, come quelli recenti, quali riflessioni devono sollevare nella classe medica? “Il caso Di Bella, che scoppiò alla fine degli anni Novanta, fu una lezione per noi oncologi. Siamo infatti stati “costretti”, in senso positivo, a rivalutare l’importanza del rapporto con il paziente: un rapporto che deve essere non solo professionale, ma anche umano. Se il paziente non viene considerato una persona, con tutte le sue fragilità, può sentirsi solo, non compreso e rivolgersi a coloro che invece sono pronti a comunicargli questa vicinanza umana, come per esempio i propinatori di cure alternative”.
Quanto i mass media possono aiutare le persone a decidere un corretto percorso terapeutico? “Moltissimo. Sappiamo quanto i giornali, televisione e web influenzino oggi la popolazione nel campo sanitario. Ma ci deve essere uno sforzo comune a diffondere notizie corrette dal punto di vista scientifico e comunicate senza sensazionalismi. Chi legge o ascolta può essere una persona ammalata che ha il diritto di essere informata, ma non illusa da false speranze: ecco perché come AIOM e come Fondazione AIOM dal 2015 abbiamo iniziato a parlare, insieme ai giornalisti medico-scientifici, di etica della notizia.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Il trigemino non fa più male se c'è... calore

Si chiama termorizotomia trigeminale ed è un intervento di chirurgia percutanea per la cura della nevralgia del trigemino effettuato da tempo e con ottimi risultati dal Servizio di Terapia Antalgica del “Sacro Cuore”
Un ago e un po’ di calore e il viso, insieme alla vita, torna a sorridere. E’ quello che accade alle persone affette dalla nevralgia del trigemino, che si sottopongono alla termorizotomia trigeminale, una tecnica di chirurgia percutanea applicata da tempo, e con ottimi risultati, dal Servizio di Terapia Antalgica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Gerardo Serra.
“I pazienti hanno un beneficio immediato – spiega lo specialista -, soprattutto coloro che presentano una nevralgia persistente e tollerano male la terapia farmacologica”.
La nevralgia del trigemino è un dolore neuropatico a livello di uno dei nervi facciali, che, come indica il nome, ha tre branche: oftalmica, mascellare e mandibolare. Nella maggioranza dei casi la nevralgia colpisce una o due brache, molto raramente tutte e tre. Ne è colpita una persona ogni 15mila e i pazienti sono in prevalenza ultrasessantenni, quindi destinati a crescere di numero con l’aumento della vita media.
“Nonostante la nevralgia del trigemino si manifesti con sintomi ben precisi (un dolore descritto come una pugnalata o una scossa elettrica al volto che dura pochi istanti ma può ripetersi più volte al giorno) – prosegue il dottor Serra – capita non raramente che i pazienti prima di una diagnosi si rivolgano a più specialisti e siano sottoposti a numerose rimozioni dentarie, perché si attribuisce erroneamente la causa del problema a un dente malato”.
In realtà la forma più comune di nevralgia del trigemino non ha una causa e viene definita idiopatica. “Il problema deriva tuttavia da una demielizzazione del nervo – spiega ancora il medico anestesista – per questo colpisce non di rado le persone malate di sclerosi multipla”.
Il primo approccio terapeutico è quello farmacologico con la somministrazione di farmaci antiepilettici, in particolare la carbomazepina. “Purtroppo sono farmaci che hanno pesanti effetti collaterali soprattutto su anziani e malati di sclerosi multipla con nevralgia persistente nel tempo – dice il dottor Serra -. Nei primi provocano stordimento, instabilità, vertigini e perdita di memoria. Nei secondi difficoltà deambulatoria in particolare: se prima della somministrazione del farmaco sono autonomi nel camminare, iniziata la terapia spesso si riducono su sedia a rotelle. Per poi ricominciare a deambulare se il farmaco viene sospeso”.
L’alternativa terapeutica in questi casi è quello chirurgica. Uno degli interventi è la decompressione micro-vascolare, indicata solo per i pazienti per i quali la nevralgia è provocata da un conflitto vascolo-nervoso, rilevato dalla risonanza magnetica. “Si tratta di un intervento neurochirurgico che prevede l’apertura del cranio per raggiungere la radice del trigemino. Qui viene posto un patch che impedisce all’arteria di comprimere il nervo”.
Per gli altri casi, più comuni, è indicata appunto la termorizotomia trigeminale. “E’ una tecnica di chirurgia percutanea consolidata da anni – sottolinea – che si effettua ambulatorialmente con sedazione. L’obiettivo è l’eliminazione del dolore tramite una lesione termica controllata della branca del nervo interessata, che lascia inalterata la sensibilità del viso”.
Al paziente viene introdotto nel viso un ago dotato di un elettrodo, che ha il duplice scopo: quello di sottoporre il paziente a dei test elettrici per capire se la zona da trattare è quella giusta e di effettuare la lesione termica. “Il timore dei pazienti è di perdere la sensibilità del viso, di non riuscire a masticare o a trattenere la saliva. Questa tecnica riduce al minimo tali rischi. Grazie a particolari farmaci ipnotici che hanno un’azione veloce e altrettanto velocemente regrediscono, il paziente collabora per modulare a seconda della necessità la somministrazione del calore”.
Il Servizio di Terapia Antalgica – che fa parte del dipartimento di Anestesia Rianimazione e Terapia Antalgica diretto dal dottor Luigi Giacopuzzi – tratta ogni anno dai 40 ai 50 pazienti, molti provenienti da fuori regione. Il servizio dispone di una linea dedicata (045.6013947) attiva dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 14. L’équipe è formata dal dottori Gerardo Serra, Luisa Terziotti e Giorgio Merci.
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Carenza di sangue: è emergenza, non solo in estate

Il numero delle donazioni rimane stabile, ma cresce l’attività chirurgica complessa in tutta la regione. A Negrar nel primi mesi del 2016 sono state trasfuse il 23% di unità di sangue in più rispetto allo stesso periodo del 2015
Lo chiamano l’oro rosso e diventa ancora più prezioso in estate, quando i donatori vanno in vacanza e tra le cose da fare prima di chiudere le valigie non sempre scrivono: “donare il sangue”.
Ma la disponibilità di sangue sta diventando un problema durante tutto l’arco dell’anno, anche in una regione da sempre virtuosa sul fronte delle donazioni come il Veneto.
Un esempio è la stessa provincia di Verona che vanta ben 59 donazioni ogni mille abitanti, ma nei primi cinque mesi dell’anno se da un lato le donazioni sono rimaste in linea con quelle del 2015 (22.749 ovvero +1,2%), le trasfusioni di sangue sono aumentate del 6,4.%. Una sofferenza registrata giornalmente da tutto il Dipartimento trasfusionale della provincia scaligera di cui fa parte anche l’ospedale di Negrar, insieme a quello di Bussolengo, Legnago, San Bonifacio e l’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona.
“Raramente, ma è già capitato di dover posticipare un intervento chirurgico per carenza di sangue”, afferma il dottor Stefano Ciaffoni, direttore del Laboratorio di analisi cliniche e Medicina trasfusionale del ‘Sacro Cuore Don Calabria‘. “Il numero dei donatori e delle donazioni resta pressoché stabile – prosegue – ma ciò che è in continua espansione è l’attività sanitaria, soprattutto chirurgica. Come ospedale di Negrar nel primo semestre del 2016 abbiamo avuto un incremento di sangue trasfuso del 23% rispetto allo stesso periodo del 2015, anno in cui abbiamo utilizzato oltre 5.700 unità di sangue. Questo perché sono aumentati gli interventi, in particolare quelli ortopedici, urologici e oncologici. Nella nostra provincia poi si effettuano operazioni complesse come il trapianto di fegato, che richiede dalle 80 alle 100 unità di sangue, o a quello di midollo.Verona e Padova, dove l’alta specializzazione chirurgica è all’ordine del giorno, fanno fatica a rispondere al fabbisogno, relativo anche ad interventi di pazienti provenienti da fuori regione”.
A complicare ulteriormente la situazione in estate sono le febbri estive. “In particolare quella provocata dal virus West Nile – spiega il dottor Ciaffoni – trasmesso da zanzare infette presenti anche in molte zone italiane. Tramite un sistema di sorveglianza regionale, il ministero della Salute indica settimanalmente le zone pericolose eobbliga la sospensione del donatore per almeno 28 giorni se ha soggiornato anche per una sola notte in quei luoghi oppure, come sta accadendo nella nostra provincia dallo scorso 30 luglio poiché sono stati rilevati alcuni focolai di virus, tutti i donatori ad ogni donazione devono essere sottoposti obbligatoriamente ad un test di screening specifico per questo virus. Se risulta positivo, il sangue non viene utilizzato”.
A questi donatori ‘fuori gioco’ si aggiungono quelli che, durante tutto il tempo dell’anno, si recano per lavoro o turismo in Paesi dove è presente, per esempio, la malaria, il Dengue, il Chagas o il virus Zika, infezioni a causa delle quali il donatore viene fermato anche per sei mesi.
Diventa quindi sempre più importante diffondere la cultura della donazione di sangue, soprattutto tra le giovani generazioni, ambito in cui da sempre si concentrano gli sforzi delle associazioni dei donatori. A una di queste, precisamente alla Fidas, appartiene il Gruppo donatori Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, presieduto da Pietro Aldrighetti. Il Gruppo è nato nel luglio del 2008 e aderiscono ad esso oltre cento volontari, la quasi totalità dipendenti o familiari di dipendenti della struttura calabriana. Il Gruppo contribuisce con circa 200 donazioni, alle circa duemila che vengono effettuate presso al Centro trasfusionale di Negrar.
Ma chi può donare il sangue? “Tutti gli uomini e le donne in un età compresa tra i 18 e 65 anni – risponde il medico -. Naturalmente in buona salute e con uno stile di vita sano, che non contempla l’uso di stupefacenti e comportamenti sessuali a rischio. Prima di effettuare la sua prima donazione, il volontario viene sottoposto ad anamnesi, visita medica e una serie di esami. Se tutto risulta nella norma, il donatore viene ‘arruolato’. Se è un uomo può donare ogni tre mesi, se è un donna in età fertile ogni sei mesi per il sangue intero, ogni tre per il plasma, donazione che però non è possibile fare qui a Negrar”.
Il sistema trasfusionale di Verona è configurato in modo tale che il donatore può recarsi in qualsiasi punto di raccolta del Dipartimento, essendoci un unico sistema gestionale che contiene tutti i dati dei donatori.
Il Centro di raccolta del ‘Sacro Cuore Don Calabria’ effettua i prelievi dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 10.30 e ogni seconda domenica del mese con gli stessi orari. Da circa un anno è possibile – come in tutti i Centri del Dipartimento di Verona – prenotare il giorno e l’ora della donazione telefonando al numero verde gratuito 800 310611 oppure al cellulare a pagamento 339 3607451.
Il sangue una volta prelevato viene convogliato in un’unica sede, al Policlinico di Borgo Roma, dove viene lavorato e con esso realizzati tutti gli emoderivati.
“Ad ogni struttura sanitaria deve essere garantita una quantità minima stabilita in base al pregresso storico a cui si aggiunge una quota variabile a seconda delle necessità”, spiega ancora il medico. Ma il sangue in Italia è sicuro? “Assolutamente sì – risponde Ciaffoni – sebbene un margine di rischio esista sempre quando si tratta di prodotti biologici. Basti solo pensare che l‘autotrasfusione oggi è consentita per legge a pochissimi casi selezionati perché si ritiene che il rischio di questa procedura sia superiore a quello che il paziente potrebbe incorrere se trasfuso con sangue del donatore. Ancora oggi si sente di persone risarcite per avere contratto l’epatite C e l’HIV da trasfusione – conclude -. Ma si tratta di casi che risalgono prima degli anni Novanta quando non esistevano i test per individuare tali virus. Oggi si può stare tranquilli”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Sempre più pazienti utilizzano i servizi on line

Sono quasi 50mila le persone registrate sul sito www.sacrocuore.it e abilitate a consultare il proprio dossier sanitario elettronico. Centinaia i referti scaricati ogni giorno on line e attraverso i “totem” presenti in ospedale
Sempre più persone utilizzano i servizi on line messi a disposizione sul sito www.sacrocuore.it, garantendosi la possibilità di consultare i propri referti comodamente su pc, tablet o smartphone ed evitando spostamenti o eventuali attese allo sportello. I numeri parlano chiaro. Dal novembre 2012, anno in cui è partita la possibilità di consultare il proprio dossier sanitario elettronico, previa registrazione sul sito Internet dell’ospedale, sono quasi 50mila i pazienti ad essersi registrati. E ogni giorno questo numero cresce in modo significativo (mediamente con 50 nuove registrazioni nei giorni feriali e una quindicina nei giorni festivi).
Parallelamente cresce e si rafforza l’offerta dei servizi on line, con un progressivo ampliamento dei documenti consultabili e scaricabili. Attualmente, tra i servizi disponibili, c’è la possibilità di scaricare i seguenti referti: laboratorio, microbiologia, radiologia (radiografia, tac, risonanza magnetica, ecografia), medicina nucleare, cardiologia (ecg, ecocardio, visite). Per la radiologia sono disponibili anche le immagini da scaricare e mettere su cd. I referti scaricati ogni giorno sono mediamente oltre 200 nei giorni feriali, 70/80 nei giorni festivi.
L’accesso al proprio dossier sanitario elettronico è molto semplice: basta andare sul sito www.sacrocuore.it e cliccare sul pulsante “servizi on line” posto nel menu in alto. Solo per la prima consultazione è necessaria la registrazione compilando i campi richiesti, tra cui il Codice individuale di accesso che si trova sul foglio di ritiro del referto, il Codice fiscale e l’indirizzo di posta elettronica. Nelle consultazioni successive sono sufficienti il numero di Codice fiscale e la password indicata al momento della registrazione.
Da alcuni mesi, inoltre, sono presenti presso la portineria del Sacro Cuore e del Don Calabria tre Totem, ovvero apparecchiature elettroniche dalle quali è possibile stampare i referti del laboratorio e di microbiologia. Anche in questo caso la novità ha avuto un impatto importante sui pazienti, visto che ogni giorno i referti stampati dai totem sono 120/130. Per scaricarli è sufficiente seguire la procedura indicata sulla distinta verde consegnata per il ritiro. Naturalmente anche in questo caso restano possibili le altre modalità di ritiro dei referti (on line, recandosi allo sportello oppure per posta).
Un altro servizio on line ormai sempre più consolidato è quello per richiedere la spedizione a casa dei barattoli per la raccolta dei campioni necessari per gli esami parassitologici da effettuare presso il Laboratorio di Parassitologia del Centro per le Malattie Tropicali. Si tratta di un servizio nato nel marzo scorso e che ha permesso la spedizione finora di 184 kit. L’accesso al servizio, come per il dossier sanitario, si effettua cliccando sul menu “servizi on line” posto sulla home page www.sacrocuore.it.
Volontari in ospedale sulle orme di don Calabria

Compie 15 anni il gruppo di volontariato dell’Opera Don Calabria presente nella Cittadella della Carità. Un anniversario nel segno della formazione e del servizio “in punta di piedi” al fianco degli ammalati
Compie 15 anni il gruppo di volontariato dell’Opera Don Calabria operante all’interno della Cittadella della Carità di Negrar. La sezione venne infatti fondata nel 2001 per iniziativa dei due religiosi calabriani don Elvio Damoli e fratel Matteo Ponteggia (che al tempo era vice presidente dell’ospedale).
Oggi il gruppo del volontariato è composto da 44 persone che a turno mettono a disposizione il loro tempo libero per svolgere una serie di preziosi servizi nelle varie strutture dell’ospedale. In particolare i volontari sono presenti tutti i giorni nelle tre residenze dell’area socio-sanitaria della Cittadella della Carità: Casa Perez, Casa Clero e Casa Nogarè. Alcuni di loro prestano servizio anche presso i reparti di Riabilitazione e di Geriatria, rispettivamente al terzo e al quarto piano dell’ospedale Don Calabria. Inoltre viene garantita una presenza presso la Speciale Unità di Accoglienza che ospita le persone in stato vegetativo. Il gruppo fa parte dell’Associazione di Volontariato Calabriano “Francesco Perez”, ente al quale sono iscritti oltre 700 volontari che prestano servizio nelle varie Case italiane dell’Opera Don Calabria.
Il lavoro dei volontari all’interno dell’ospedale consiste prima di tutto nel far compagnia agli ammalati, offrendo loro la possibilità di dialogare ed essere ascoltati. Poi ci sono vari altri servizi, sempre concordati con il personale dei reparti. Spesso i volontari trasportano i pazienti che non possono muoversi da soli, ad esempio portandoli in giardino oppure a fare esami e visite quando necessario. In altri casi danno un supporto agli operatori durante i pasti o fanno attività di animazione. Alla domenica ci sono poi da eseguire i trasporti per portare gli ammalati a Messa.
“Il volontariato all’interno di un ospedale è molto diverso da altri tipi di volontariato – dice Francesco Nordera, segretario del gruppo – Infatti qui non si tratta solo di fare dei piccoli servizi, ma di comprendere nel profondo gli ammalati che abbiamo davanti, cogliendo la sofferenza che li affligge e cercando di entrare in empatia con loro. Inoltre bisogna saper entrare in contatto con i familiari e con il personale del reparto. Non è un lavoro facile e c’è bisogno di essere preparati. Per questo cerchiamo di dedicare tempo ed energie alla formazione“.
Proprio la formazione rappresenta un tratto distintivo del gruppo di volontariato calabriano. Durante l’anno vengono organizzati incontri con cadenza mensile, nei quali si promuove la riflessione sugli aspetti psicologici e spirituali del servizio in ospedale, grazie anche all’aiuto dei formatori Camilliani.
“A livello di spiritualità il modello al quale i volontari si richiamano è quello di san Giovanni Calabria – dice don Gaetano Gecchele, religioso calabriano e assistente ecclesiastico del gruppo – Non solo don Calabria diceva che, all’interno di un ospedale, l’ammalato è dopo Dio il nostro vero padrone, ma anche compiva azioni di carità concreta verso i malati. Ad esempio sappiamo che una delle sue prime azioni caritative da giovane fu di fondare la Pia Unione per il sollievo degli ammalati poveri, creata insieme al conte Francesco Perez“.
Il "Sacro Cuore" partner nella preparazione dei nuotatori olimpici

Grazie a un’applicazione innovativa della densitometria, l’ospedale di Negrar ha condotto un progetto pilota che ha orientato la preparazione atletica di dieci nuotatori azzurri, otto sono presenti alle Olimpiadi
L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar ha collaborato con la Federazione italiana nuoto per la preparazione atletica di alcuni fra i più importanti componenti della Nazionale che scenderanno in vasca alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.
Dieci nuotatori del Centro federale di Verona e di quello di Bolzanosono stati protagonisti di uno studio innovativo sottoponendosi periodicamente a una Densitometria Total Body, un esame tradizionalmente conosciuto per lo studio del metabolismo osseo al fine di prevenire l’osteoporosi.
Nel caso degli azzurri, grazie a un progetto pilota che ha utilizzato un densitometro di ultima generazione – apparecchio che il “Sacro Cuore Don Calabria” dispone sia in ospedale sia nel Centro diagnostico di via San Marco a Verona – è stato possibile valutare la composizione corporea di ogni atleta, cioè la percentuale di massa grassa e di massa magra (muscolo, liquidi corporei e massa ossea) e orientare di conseguenza la preparazione atletica e l’alimentazione degli sportivi. Si tratta del primo studio di questo genere in Italia su nuotatori professionisti.
L’équipe medica della Diagnostica per immagini, diretta dal dottor Giovanni Carbognin, ha iniziato la raccolta dei dati nel giugno del 2015 al Centro diagnostico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco in accordo con la Federazione italiana nuoto, sottoponendo all’esame dieci atleti. Ben otto si sono qualificati ai Giochi Olimpici di Rio. I dati sono stati forniti allo staff medico-sportivo della Federazione che li ha utilizzati per perfezionare la forma fisica degli azzurri.
“Si tratta di un’applicazione innovativa dell’esame densitometrico – spiega il dottor Carbognin – che permette di valutare l’efficacia delle diverse fasi di allenamento in base alla misurazione della massa magra e grassa. Essendo in grado di misurare la composizione per ogni distretto corporeo, il densitometro rileva anche eventuali asimmetrie, per esempio tra un arto e l’altro, consegnando ai preparatori dati importanti per eventuali modifiche dei carichi in palestra o in vasca”.
“Questo utilizzo della densitometria è uno strumento prezioso anche per capire se l’atleta si alimenta in modo corretto”, prosegue il dottor Andrea Nardi, ideatore e realizzatore del progetto. “Abbiamo pianificato le tappe di effettuazione del test in relazione a particolari esigenze del singolo atleta e prima delle varie fasi di avvicinamento all’evento olimpico (Campionati italiani, europei, World Series) in modo da correlare i dati fisici con i risultati agonisti”.
Qual è lo stato di forma dei nuotatori azzurri? “La prima misurazione è avvenuta poche settimane prima degli ultimi Campionati del mondo che si sono tenuti a Kazan’ l’anno scorso – risponde Nardi -. Poiché in questa occasione la squadra azzurra ha fatto incetta di medaglie (3 ori, 3 argenti e 8 bronzi) lo stato di forma degli atleti in partenza per la Russia è stato fissato come il valore top da raggiungere per Rio de Janeiro. E direi che in questo senso è stato fatto un buon lavoro”.