Anche la bella stagione porta i suoi mali

Sbalzi di pressione, inconvenienti dovuti all’aria condizionata, gastroenteriti, colpi di sole e di calore. L’estate con le belle giornate porta anche i suoi acciacchi. Dal Pronto Soccorso di Negrar alcune regole per prevenirli e contrastarli
Ogni stagione porta le sue malattie. Se d’inverno impazzano l’influenza, le infiammazioni e le infezioni delle vie respiratorie e i virus intestinali, d’estate a “primeggiare” nei Pronto Soccorso sono le conseguenze causate dalle alte temperature che, soprattutto se associate a tassi alti di umidità, provocano un aggravarsi di patologie già esistenti e malesseri anche in persone in buona salute. I soggetti più a rischio restano i bambini e gli anziani, i quali, rispettivamente per il basso peso e per l’attenuarsi dello stimolo della sete, vanno incontro più facilmente alla disidratazione.
Attenzione alla pressione
“Contrariamente a quanto si pensa – spiega il dottor Maurizio Pozzani, direttore del Pronto Soccorso dell’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” – sono soggetti a episodi presincopali o sincopali non tanto le persone con la pressione arteriosa bassa, ma quelle ipertese in terapia, le quali con il caldo possono subire un brusco calo di pressione, sentendosi male, fino allo svenimento“. La regola aurea è sempre quella che impone al paziente un consulto con il medico prima di decidere su qualunque variazione della terapia. Anche quando si è in vacanza. “Al mare la pressione del sangue subisce sempre una certa diminuzione – prosegue il medico -. Sia perché la pressione barometrica è più alta, sia perché c’è un clima caldo e ventilato che favorisce la vaso-dilatazione. Soprattutto se si percepisce del malessere, è bene misurarla spesso, magari in farmacia, e poi, se risulta particolarmente bassa rispetto alla consuetudine, rivolgersi al medico”. Lo stesso se si sale in montagna oltre i 900 metri, dove invece la pressione tende ad aumentare, manifestandosi spesso con il sintomo del mal di testa. Anche qui il “fai da te” farmacologico è largamente sconsigliato.
Colpi di sole e di calore
Il sole è una fonte di benessere per il nostro organismo e per il nostro umore. Ma quando ci si espone direttamente ai raggi solari a lungo, senza protezione della pelle e del capo si può incorrere in un colpo di sole: la temperatura corporea può salire oltre i 38° e possono verificarsi delle scottature. Il colpo di calore invece si manifesta quando la temperatura esterna è alta e la persona non riesce a disperdere sufficientemente calore attraverso la sudorazione. I soggetti più a rischio sono i bambini e gli anziani. I sintomi del colpo di sole e di calore, che spesso sono associati, sono febbre alta, cefalea, nausea, irritabilità, confusione mentale, e, nei casi più gravi, perdita di coscienza e collasso cardio-circolatorio. Quando accade è necessario abbassare immediatamente la temperatura della persona colpita portandola in un luogo fresco, avvolgerla in panni bagnati e rivolgersi a un medico.
Gli sbalzi di temperatura
Se il caldo provoca disagio, la via del benessere non è quella di ingerire cibi e bevande ghiacciate quando si è accaldati o rendere gli ambienti dei veri circoli polari abbassando eccessivamente l’aria condizionata. “I colpi di freddo causati dagli alimenti o dalla temperatura esterna – prosegue il dottor Pozzani – sono spesso causa di una forma diarroica improvvisa, che si risolve in poco tempo. Ma anche di congestione,cioè il blocco della digestione, che associa assieme mal di stomaco, sudori freddi, vomito, capogiri fino allo svenimento e nei casi più gravi all’arresto cardiaco. Ai primi sintomi è consigliabile ripristinare la temperatura dell’addome coprendosi e ingerendo dei liquidi caldi o a temperatura ambiente“. L’aria condizionata tenuta a basse temperature è anche causa di vertigini: infatti il passaggio dal luogo freddo a quello caldo può essere all’origine di un disequilibrio dell’orecchio interno che si manifesta con un senso di malessere e di capogiro. “Come in tutte le cose anche in questo caso la regola è quella del buon senso – sottolinea il direttore del Pronto Soccorso -. L’aria condizionata è una risorsa quando ci sono giornate torride, ma va tenuta a una temperatura di pochi gradi inferiore a quella esterna. Si hanno benefici immediati attivando anche il solo deumidificatore, cioè togliendo l’umidità presente nell’ambiente”.
Le gastroenteriti
Un capitolo a parte meritano le gastroenteriti, patologie a livello dello stomaco e dell’intestino, che causano nausea, vomito e diarrea. “D’estate la natura delle gastroenteriti può essere virale e batterica – afferma il dottor Pozzani – dovuta soprattutto all’assunzione di bevande e cibi non conservati adeguatamente. In particolare quando c’è caldo è consigliabile evitare, se non si è sicuri di come è avvenuta la conservazione, alimenti facilmente deteriorabili come per esempio creme, salse e latticini“. Di solito “la gastroenterite si risolve in pochi giorni: l’importante è contrastare la disidratazione assumendo liquidi e sali minerali per compensare quelli persi“.
Di diversa causa sono le cosiddette gastroenteriti del viaggiatore. Nella maggior parte dei casi il responsabile è l’Escherichia coli enterotossigeno, un patogeno presente nelle acque per uso domestico di zone prive di sistemi di depurazione: Africa, Asia, America Latina, Messico e Medio Oriente. Bere solo acqua e bevande confezionate in bottiglia, assumere esclusivamente alimenti cotti e frutta da sbucciare sono gli unici modi per evitare di rovinarsi la sognata vacanza esotica.
elena.zuppini@sacrocuore.it
EBUS, la sonda ecografica per la stadiazione del tumore al polmone

Un videobroncoscopio di ultima generazione, dotato di una piccola sonda ecografica, permette di vedere dall’interno le strutture adiacenti alla trachea e ai bronchi. Un filmato descrive il modo in cui questo esame innovativo viene eseguito al Sacro Cuore
Si chiama EBUS (Endobronchial Ultrasound) ed è un videobroncoscopio di ultima generazione capace di visualizzare dall’interno le strutture adiacenti alla trachea e ai bronchi come i linfonodi, i vasi, l’esofago e il cuore. Tutto questo grazie a una piccola sonda ecografica che si trova all’estremità dello strumento usato per l’esame.
EBUS rappresenta una tra le più moderne metodiche diagnostiche endoscopiche ed è disponibile già da oltre due anni al “Sacro Cuore Don Calabria”, presso il Servizio di Endoscopia Toracica, diretto dal dottor Carlo Pomari. Nel 2015 sono stati effettuati oltre 100 esami di questo tipo, mentre nel corso del 2016 siamo già a circa 50, con una sensibilità diagnostica del 98,5% e un’idoneità dei campioni prelevati pari al 99,95%.
Il valore aggiunto di questo esame è dovuto al fatto che grazie alla guida ecografica è possibile effettuare agoaspirazioni mirate di linfonodi e neoformazioni sospette, anche esterni all’albero bronchiale, con grande precisione e con la possibilità di studiare e stadiare in modo completo eventuali patologie tumorali a carico dei polmoni. Inoltre tale procedura viene usata nella diagnosi di altre patologie quali: metastasi linfonodali di altri organi, linfomi, sarcoidosi, tubercolosi ed altre malattie infettive.
Ma come funziona in concreto EBUS? Com’è composta l’equipe multidisciplinare presente in sala durante questo esame eseguito in Day Hospital? Cosa deve sapere il paziente? Lo spiegano il dottor Carlo Pomari e la dottoressa Simona Paiano nel filmato allegato alla videogallery, dove l’esame viene mostrato in modo dettagliato nei suoi vari passaggi.
Diabete mellito: la vita è più dolce contando i carboidrati

I carboidrati sono il nutriente che influenza maggiormente la glicemia dopo i pasti. Il Servizio di diabetologia propone dei corsi teorico-pratici per imparare a contarli e regolare di conseguenza l’assunzione di insulina
Quanti grammi di carboidrati contiene un etto di pasta con le verdure? Una fetta di pane oppure una brioche? È una domandainteressante per una dieta equilibrata, ma che diventa fondamentale per coloro che sono affetti da diabete di tipo 1, il cosiddetto diabete mellito che colpisce anche i bambini, e sono costretti ad assumere insulina. Perché i carboidrati risultano essere il nutriente che maggiormente influenza la glicemia nelle due ore che seguono il pasto.
Ma come si “contano” i carboidrati? Lo hanno illustrato nel primo corso teorico-pratico che si è tenuto lo scorso 1° luglio, il dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di diabetologia del “Sacro Cuore Don Calabria” affiancato dalle dietisteChiara Anselmi e Giselle Flores che hanno coordinato la parte relativa al laboratorio. Il gruppo di lavoro, a cui hanno partecipato una decina di pazienti con i loro familiari, sarà ripetuto il prossimo 30 settembre per chi fosse interessato.
“La conta dei carboidrati – spiega la dottoressa Anselmi – è una strategia utilizzata in ambito diabetologico per una gestione più flessibile dell’insulina. Essa supera i vecchi schemi a dose fissa del farmaco che obbligavano il paziente all’assunzione di una quantità costante di carboidrati che si andava ad adattare all’insulina in uso”.
L’obiettivo della conta dei carboidrati è proprio quello di portare il paziente insulino-dipendente a capire cosa sono i carboidrati, quali alimenti li contengono, a saperli quantificare “nel piatto” e di conseguenza a variare la dose di insulina in relazione ai carboidrati contenuti nel singolo pasto. Si va quindi ad identificare il “rapporto insulina-carboidrati” che permette di stabilire quanti grammi di carboidrati vengono “metabolizzati” da un’unità di insulina. Un valore che viene fornito inizialmente dal diabetologo e poi rivalutato nel corso della terapia dalla dietista. Esso varia in relazione all’età, al peso corporeo e alla sensibilità personale all’insulina.
Per facilitare la “conta”, viene fornito ai pazienti del materiale informativo tra cui un dietometro, in versione anche etnica per i cittadini stranieri. Qui l’interessato trova il tipo di alimento, la porzione di riferimento e i grammi di carboidrati contenuti in essa. Per esempio 60 grammi di pasta all’ortolana condita con 100 grammi di verdure contiene 52 grammi di carboidrati.
Quindi se il “rapporto insulina-carboidrati” ha stabilito che per quel paziente è necessaria un’unità di insulina per metabolizzare 10 grammi di carboidrati significa che dopo 60 grammi di pasta all’ortolana lo stesso paziente deve assumere cinque unità di farmaco.
Per gli alimenti confezionati tutto è molto più semplice, perché il quantitativo di carboidrati viene indicato sulla scatola insieme agli altri componenti del prodotto.
Un po’ più complicato è invece quando il pasto viene consumato fuori casa. “Per questo durante il corso invitiamo il paziente ad allenare l’occhio e toccare con mano gli alimenti per capire senza l’aiuto della bilancia quanto consiste una porzione di pasta o una fetta di pane. Con un po’ di impegno e attraverso delle strategie che mostriamo, il calcolo diventa poi una semplice abitudine”, sottolinea Anselmi.
La soluzione fuori casa potrebbe essere quella di limitarsi a della carne ai ferri e a un po’ di insalata… “Non è una soluzione, perché il nostro corpo può estrarre zuccheri anche dalle proteine e dai grassi – conclude la dietista -. Se il pasto non è bilanciato il 60% delle proteine può trasformarsi in zuccheri, facendo salire la glicemia. È un meccanismo di difesa che il nostro organismo mette in atto, perché il cervello e i globuli rossi traggono alimento dal glucosio.Un po’ quello che succede nelle diete ipocaloriche: privandolo degli zuccheri, il nostro corpo va ad acquistarli nel tessuto adiposo o nella parte magra, cioè nel muscolo, dove ci sono molte proteine. Anche per i diabetici, come per tutti del resto, una dieta equilibrata resta fondamentale”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Accreditamento istituzionale: il "Sacro Cuore" promosso a pieni voti

Si è conclusa con l’assegnazione del massimo punteggio la visita degli ispettori regionali per il rinnovo dell’Accreditamento regionale, la verifica dei requisiti che deve avere una struttura per operare nel Ssn. Un risultato che è sinonimo di qualità
Promosso a pieni voti. 100/100 è infatti il punteggio complessivo finale assegnato all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria dal Gruppo tecnico multidisciplinare di valutazione della Regione Veneto per il rinnovo dell’Accreditamento istituzionale.
Dal 13 al 15 giugno un gruppo di 17 valutatori regionali dell’Ulss 20, 21 e 22 ha effettuato la verifica sia con la direzione sia recandosi personalmente in ogni Unità operativa. Il massimo punteggio conferma il risultato raggiunto tre anni fa, quando è avvenuta l’ultima verifica come stabilisce la legge.
L’Accreditamento istituzionale è il processo con il quale le strutture autorizzate, pubbliche e private, e i singoli professionisti che ne facciano richiesta, acquisiscono lo status di soggetto idoneo ad erogare prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali per conto del Servizio sanitario nazionale.
Secondo i criteri stabiliti dalla legge regionale 22/2002, l’Accreditamento è la verifica di tutti i requisiti necessari a una struttura per operare nella rete sanitaria pubblica del Veneto.
A conclusione della tre giorni, i valutatori hanno espresso personalmente alla direzione un giudizio ampiamente positivo, sia per la soddisfazione dei requisiti regionali, sia per l’accoglienza e la professionalità riscontrata durante la visita in tutto il personale.
“È senza dubbio un ottimo risultato – afferma l’amministratore delegato, Mario Piccinini – raggiunto con la partecipazione e la collaborazione di tutto il personale, nessuno escluso. Per noi è la conferma del buon lavoro finora svolto e un incentivo a proseguire in questa direzione. Per le persone che scelgono di curarsi nella nostra struttura si tratta un’ulteriore garanzia di qualità”.
Tumore al seno: il "Sacro Cuore" quinto ospedale veneto per numero di interventi

Sono 300 gli interventi chirurgici di tumore al seno eseguiti all’anno dall’Unità di Chirurgia Senologica, il 70% di tipo conservativo. Un traguardo numerico che è sinonimo di qualità. Ecco perché
Con circa 300 interventi oncologici annui, il “Sacro Cuore Don Calabria” si colloca al quinto posto tra gli ospedali veneti che trattano chirurgicamente il cancro alla mammella. Un risultato numerico che è sinonimo di qualità, raggiunto nonostante la struttura di Negrar non sia Centro di Screening, a differenza dell’Istituto oncologico veneto, dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e degli ospedali di Treviso e Vicenza che precedono il nosocomio calabriano per numero di interventi.
“Nella logica del Cancer Care Center, qual è l’ospedale di Negrar, l’approccio anche per il tumore al seno è quello multidisciplinare“, spiega il dottor Alberto Massocco, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgica Senologica. “Ogni paziente viene presa in carico da un team di specialisti, coordinati dal Dipartimento oncologico, di cui fanno parte radiologi, anatomopatologi, oncologi, chirurghi senologi, chirurghi plastici, radioterapisti e medici nucleari. È scientificamente provato che i Centri dove viene praticata quotidianamente questa collaborazione registrano un numero superiore di guarigioni».
L’approccio multidisciplinare consente innanzitutto un percorso diagnostico-terapeutico molto rapido: dalla diagnosi all’intervento chirurgico passano nella maggioranza dei casi al massimo due settimane, con la possibilità di accedere al percorso anche tramite il Numero Verde per la cura del tumore 800 143 143. Inoltre sono possibili procedure che tengano conto anche della qualità della vita della paziente e dell’impatto che un intervento al seno può avere su una donna.
«Il 70% degli interventi che pratichiamo è di tipo conservativo – sottolinea Massocco – e quando si richiede la mastectomia quello di Negrar è uno dei pochi centri in Italia a praticare la ricostruzione definitiva della mammella nello stesso intervento in cui viene effettuata la mastectomia grazie all’uso di una membrana di derma rigenerato di origine animale. Un procedimento che viene eseguito in stretta collaborazione con i chirurghi plastici ed è indicato quando è possibile conservare il complesso areola-capezzolo”, spiega Massocco.
Inoltre, la collaborazione con gli anatomopatologi consente l’esame intraoperatorio del linfonodo sentinella, cioè il primo linfonodo dell’ascella che potrebbe ricevere le cellule cancerose. “Il prelievo del linfonodo sentinella è una procedura standard – spiega il chirurgo – ma non in tutti gli ospedali viene analizzato nell’arco di 40 minuti durante l’intervento. Questo permette nel caso di positività di togliere subito gli altri linfonodi senza sottoporre la paziente a un ulteriore intervento se fosse necessario“.
Quando è indicata la radioterapia intraoperatoria è prevista la presenza in sala operatoria anche dei radioterapisti.
La Chirurgia Senologica del Sacro Cuore Don Calabria esegue anche la mastectomia bilaterale profilattica nelle donne portatrici dei geni Brca1 e Brca2. L’accesso all’intervento avviene dopo consulenza genetica.
Il ritorno della paziente alle quotidiane attività dipende dal tipo di intervento. «Un intervento di quadrantectomia (l’asportazione di una porzione di ghiandola mammaria, la cute sovrastante ed una porzione della fascia del muscolo grande pettorale, ndr) con il prelievo del linfonodo sentinella richiede una degenza di uno o due giorni ed una settimana di convalescenza – conclude il dottor Massocco -. La mastectomia con ricostruzione prevede un ricovero di circa 6 giorni ed una convalescenza di circa un mese e mezzo».
La Chirurgia Senologica fa parte di Senonetwork, rete che comprende i centri italiani a maggior volume di attività.
elena.zuppini@sacrocuore.it
La terapia del sorriso con i clown in corsia

I “clown-dottori” sono presenti al Sacro Cuore tutte le sere dal lunedì al venerdì, principalmente nei reparti dove ci sono bambini, come otorinolaringoiatria e pediatria, ma talvolta anche in Medicina generale e Gastroenterologia
“Entro nella stanza dove è ricoverato un bambino nuovo che non conosco. Mi avvicino e mi inginocchio di fianco a lui. Solo allora scopro che è cieco. Inizia a toccarmi con allegria, partendo dalla parrucca e dal naso finto. Quando arriva agli occhialoni, me li toglie e se li mette. Si gira verso la mamma e dice convinto: ʽEcco mamma, adesso ci vedoʼ. Mi hanno detto che si è tenuto gli occhiali addosso per un’intera settimana”.
Il clown si commuove mentre racconta questa storia che ha vissuto tempo fa durante il suo turno di servizio in Pediatria. I clown sono ormai da 15 anni una presenza colorata e rassicurante nelle corsie del Sacro Cuore. Vanno a trovare i pazienti, soprattutto bambini ma non solo, tengono loro compagnia e cercano di donare un sorriso pur nella malattia. Sempre con discrezione e in punta di piedi.
Attualmente i clown sono presenti in ospedale tutte le sere dal lunedì al venerdì, generalmente in sei per turno dalle 19.30 alle 21. Due di loro visitano i bambini ricoverati nel reparto di Otorinolaringoiatria (ORL) e quattro vanno in Pediatria. L’unica eccezione è il martedì, quando i clown prestano servizio in Medicina generale e Gastroenterologia con gli adulti. Inoltre una o due volte a settimana alcuni vengono al mattino, sempre nel reparto di ORL dove fanno compagnia ai bambini in attesa di operazione, e in Pediatria dove accompagnano i nuovi arrivati in attesa di ricovero.
Sono diverse le associazioni di clown presenti sul territorio che di tanto in tanto prestano servizio al Sacro Cuore, ma quella più consolidata all’interno del nosocomio è l’associazione “InVita un Sorriso – clown dottori onlus”. “Quando abbiamo iniziato nel 2001 eravamo in 11. Oggi siamo in 167 e operiamo in varie realtà sociali e sanitarie – dice Daniela Brunaccini, alias dottoressa Spumiglia, presidente dell’associazione -. Il nostro servizio è totalmente volontario. Ci sono medici, infermieri, impiegati, professionisti, pensionati, studenti… anche persone che ci hanno conosciuto mentre erano ricoverate e poi hanno deciso di diventare clown-dottori”.
Cosa fanno in concreto i clown in corsia? “La discrezione è una parte fondamentale del nostro lavoro – dice la “dottoressa Spumiglia” -. Parliamo con il personale ospedaliero che ci indica in quali stanze possiamo entrare, ovviamente solo se i pazienti e i loro familiari sono d’accordo. Con i bambini stiamo in stanza una ventina di minuti. Si scherza, si fanno piccole magie, magari si regala un palloncino o un giochetto. Non entriamo mai nello specifico della malattia. Con gli adulti invece è diverso. Con loro parliamo molto e soprattutto ascoltiamo”.
Per diventare “clown-dottore” si frequenta un corso (l’associazione ne organizza due all’anno). Dieci incontri dove gli aspiranti clown vengono formati su vari aspetti, primo fra tutti la relazione con il paziente. Un’altra parte fondamentale del percorso formativo è l’affiancamento in corsia a un collega clown, assolutamente indispensabile prima di potersi muovere in autonomia.
Racconta un altro clown: “Entriamo in una stanza dov’è ricoverata una signora di una certa età. Siamo in due. Vicino a lei c’è la figlia che ci saluta. La signora si gira verso di noi tutta seria e ci apostrofa con una frase di Charlie Chaplin: ʻUn giorno senza sorriso è un giorno persoʼ. Io guardo la mia collega. ʻSì è vero – dico – comunque in fatto di sorrisi per oggi siamo a buon puntoʼ. La signora ci guarda e il suo volto serio si addolcisce. A questo punto interviene la figlia. ʻVoi siete a buon punto– dice – ma per mia madre questo è il primo sorriso della giornataʼ“.
Melanomi: quando il sole diventa un nemico

Tre illustri ortopedici statunitensi a Negrar per apprendere una tecnica innovativa di chirurgia rigenerativa della cartilagine del ginocchio riguardo alla quale il Sacro Cuore annovera la più ampia casistica
L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria fa scuola anche negli Stati Uniti nell’ambito della chirurgia rigenerativa ortopedica, in particolare per il trattamento dei difetti della cartilagine.
Nelle scorse settimane tre tra i più illustri chirurghi ortopedici statunitensi hanno assistito ad un intervento chirurgico nel corso del quale il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia di Negrar, ha utilizzato un’innovativa tecnica di chirurgia rigenerativa che sfrutta il tessuto adiposo per la cura della condropatia degenerativa della cartilagine del ginocchio, una sofferenza del rivestimento dell’articolazione dovuta ad usura da sovraccarico. Colpisce con sintomi dolorosi in particolare gli sportivi, ma non solo, e se non curata porta all’artrosi del ginocchio e all’intervento di protesi.
Gli ospiti americani in sala operatoria erano i dottori Champ Baker della Hughston Clinic di Columbus (Georgia), Claude T. Moorman della Duke University di Raleigh (North Carolina) e Robert Stanton di Fairfield del Connecticut. Ad affiancare il dottor Zorzi erano presenti i colleghi Vincenzo Condello, Vincenzo Madonna e Arcangelo Russo.
Il dottor Zorzi è stato uno dei primi ortopedici ad applicare questa tecnica e dispone della più ampia casistica, avendo trattato e seguito nel successivo follow up circa 200 pazienti in due anni.
Si tratta di una tecnica che utilizza il tessuto adiposo come naturale e fisiologico contenitore di cellule mesenchimali adulte (MSC). Essendo cellule staminali adulte, quindi capaci di differenziarsi in cellule connettivali, esse sono un accelerante rigenerativo nei processi di riparazione del tessuto danneggiato della cartilagine.
Al paziente viene prelevata per liposuzione una piccola quantità di grasso dall’addome o dalla coscia, che viene successivamente microfratturata attraverso un dispositivo medico ideato e brevettato dalla Lipogems, un’azienda italiana che opera nel campo delle biotecnologie, da cui la tecnica prende il nome.
Una volta ridotto in piccole dimensioni e privato dei frammenti oleosi ed ematici, il tessuto adiposo viene iniettato nell’articolazione colpita da degenerazione della cartilagine. Di fatto si tratta di un autotrapianto del grasso del paziente. Le cellule mesenchimali contenute in esso, attraverso complessi biochimici del tutto naturali, “guideranno”una volta iniettate le cellule del tessuto articolare sostenendo il naturale processo di rigenerazione tessutale.
E’ un intervento mininvasivo che si risolve in una sola seduta operatoria. Per qualche giorno il paziente deve usare le stampelle per muoversi, ma dopo una settimana può camminare senza supporto.
Se il ginocchio fa male, la cura arriva dal tessuto adiposo

Tre illustri ortopedici statunitensi a Negrar per apprendere una tecnica innovativa di chirurgia rigenerativa della cartilagine del ginocchio riguardo alla quale il Sacro Cuore annovera la più ampia casistica
L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria fa scuola anche negli Stati Uniti nell’ambito della chirurgia rigenerativa ortopedica, in particolare per il trattamento dei difetti della cartilagine.
Nelle scorse settimane tre tra i più illustri chirurghi ortopedici statunitensi hanno assistito ad un intervento chirurgico nel corso del quale il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia di Negrar, ha utilizzato un’innovativa tecnica di chirurgia rigenerativa che sfrutta il tessuto adiposo per la cura della condropatia degenerativa della cartilagine del ginocchio, una sofferenza del rivestimento dell’articolazione dovuta ad usura da sovraccarico. Colpisce con sintomi dolorosi in particolare gli sportivi, ma non solo, e se non curata porta all’artrosi del ginocchio e all’intervento di protesi.
Gli ospiti americani in sala operatoria erano i dottori Champ Baker della Hughston Clinic di Columbus (Georgia), Claude T. Moorman della Duke University di Raleigh (North Carolina) e Robert Stanton di Fairfield del Connecticut. Ad affiancare il dottor Zorzi erano presenti i colleghi Vincenzo Condello, Vincenzo Madonna e Arcangelo Russo.
Il dottor Zorzi è stato uno dei primi ortopedici ad applicare questa tecnica e dispone della più ampia casistica, avendo trattato e seguito nel successivo follow up circa 200 pazienti in due anni.
Si tratta di una tecnica che utilizza il tessuto adiposo come naturale e fisiologico contenitore di cellule mesenchimali adulte (MSC). Essendo cellule staminali adulte, quindi capaci di differenziarsi in cellule connettivali, esse sono un accelerante rigenerativo nei processi di riparazione del tessuto danneggiato della cartilagine.
Al paziente viene prelevata per liposuzione una piccola quantità di grasso dall’addome o dalla coscia, che viene successivamente microfratturata attraverso un dispositivo medico ideato e brevettato dalla Lipogems, un’azienda italiana che opera nel campo delle biotecnologie, da cui la tecnica prende il nome.
Una volta ridotto in piccole dimensioni e privato dei frammenti oleosi ed ematici, il tessuto adiposo viene iniettato nell’articolazione colpita da degenerazione della cartilagine. Di fatto si tratta di un autotrapianto del grasso del paziente. Le cellule mesenchimali contenute in esso, attraverso complessi biochimici del tutto naturali, “guideranno”una volta iniettate le cellule del tessuto articolare sostenendo il naturale processo di rigenerazione tessutale.
E’ un intervento mininvasivo che si risolve in una sola seduta operatoria. Per qualche giorno il paziente deve usare le stampelle per muoversi, ma dopo una settimana può camminare senza supporto.
La sfida di una gestione efficiente e profetica

I gestori delle case calabriane in Italia, tra cui l’ospedale di Negrar, si sono riuniti a Maguzzano (Bs) per un incontro di formazione sul rapporto tra la gestione delle attività e lo spirito del fondatore nel mondo attuale
“Guardate alle anime. Ecco il nostro compito! Guardate a tutte le anime, ma in modo speciale alle più povere e più abbandonate, quelle che sono la predilezione di Dio”.
[…] “Felici le riunioni alle quali presiede la luce e il consiglio dello Spirito Santo. Tutto si faccia nella carità e nel fraterno amore, allora Gesù sarà con noi”.
Queste due citazioni di san Giovanni Calabria esprimono bene il senso e il contesto nel quale i gestori dell’Opera Don Calabria in Italia si sono incontrati a Maguzzano (Bs) il 9 e 10 giugno scorsi. L’assemblea ha visto la partecipazione di circa 70 religiosi e collaboratori laici che dirigono le case fondate da don Calabria, di cui fa parte anche la Cittadella della Carità di Negrar con le sue attività sanitarie e socio-sanitarie.
Durante l’incontro si è parlato di come coniugare una gestione efficace ed efficiente delle attività con la dimensione profeticapropria di un carisma come quello calabriano. Sul canale video dell’Opera Don Calabria (doncalabria1) sono disponibili i filmati integrali delle relazioni, tutte di altissimo livello. Ecco il collegamento diretto per vedere i filmati: filmati assemblea gestori 2016.
Questi gli interventi contenuti nei filmati:
MONS. EZIO FALAVEGNA – La gestione come segno profetico nel mondo di oggi
ROBERTO CANU – I consigli di gestione: dal lavoro in gruppo al lavoro di gruppo
SALVINO LEONE – L’attualizzazione del carisma nella gestione di una organizzazione religiosa
FRATEL GEDOVAR NAZZARI – Il piano di gestione come strumento per la costruzione di un’opera di discepoli-fratelli-missionari
DON IVO PASA – Il piano di gestione della Delegazione Europea San Giovanni Calabria
Per un breve profilo dei relatori: ALLEGATO 1
Per un elenco delle case calabriane in Italia: ALLEGATO 2
I bimbi adottati in Congo a Negrar per le visite

È il Centro per la salute del bambino adottato del Sacro Cuore Don Calabria a seguire i bambini congolesi vittime di una travagliata vicenda di adozione: un unicum in Italia per la stretta collaborazione con il Centro per le malattie tropicali
Stanno arrivando alla spicciolata a Negrar dopo essere giunti finalmente in Italia. Sono i bambini della Repubblica Democratica del Congo, vittime di un’incredibile vicenda di adozione che, dopo il blocco deciso da Kinshasa nel 2013, ha tenuto per anni molte famiglie italiane con il fiato sospeso.
Gli ultimi diciotto bimbi sono sbarcati nel nostro Paese lo scorso 10 giugno e sono attesi, come gli altri giunti precedentemente, al Centro per la salute del bambino adottato della Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal dottor Antonio Deganello.
Attualmente sono in corso le visite dei bambini arrivati il 7 maggio e il 2 giugno scorsi, fra quali sono stati riscontrati un caso di malaria e un altro di malaria con parassitosi. Gli accertamenti medici sui bambini del Congo al “Sacro Cuore Don Calabria” sono diventati ormai una consuetudine, iniziata nel 2014 quando i dottori Gianmario De Stefano e Giorgio Zavarise, responsabili del Servizio, hanno visitato e curato il primo gruppo giunto in Italia.
Sono ventiquattro i Centri italiani ospedalieri di riferimento per i bambini adottati provenienti da altri Paesi, ma quello di Negrar ha una peculiarità che lo distingue dagli altri. Il Centro è nato ufficialmente nel 2002, tuttavia da sempre la Pediatria opera in stretta collaborazione con il Centro per le Malattie tropicali (CMT) e il relativo Laboratorio.
“Questo ci consente – spiega il dottor Zavarise – di avvalerci delle conoscenze dei medici del CMT e di poter ottenere una diagnosi entro un’ora per malattie come, per esempio, la malaria. Inoltre grazie al Laboratorio possiamo effettuare in loco le analisi dei campioni biologici per accertare o meno la presenza di parassitosi. Anzi possiamo avere i risultati sui campioni prima che il bimbo venga da noi, grazie al Servizio on line che permette di ricevere a casa i contenitori per la raccolta e di rispedirli a Negrar per le analisi”.
Il Centro segue il protocollo nazionale del Gruppo di lavoro del bambino migrante affiliato alla Società italiana di pediatria. “La quasi totalità dei nostri pazienti sono bambini adottati da famiglie che provengono da tutta Italia – spiega ancora il dottor Zavarise-. I figli di immigrati vengono seguiti dai canali ‘classici’ della Sanità pubblica, mentre finora non abbiamo visto minori profughi”. Il primo filtro è l’ambulatorio che esegue 500 visite all’anno, i ricoveri sono circa la metà.
Il continente di maggiore provenienza dei giovani pazienti è l’Africa (Etiopia in testa, poi Burkina Faso, Mali, Costa D’Avorio, Kenia e Congo), seguono l’India, il Vietnam, la Mongolia la Cina, l’America Latina (Brasile, Colombia, Ecuador, Bolivia e Cile) e l’Europa (soprattutto Russia e Polonia).
“Ci troviamo di fronte a un ampio ventaglio di possibili patologie – afferma il pediatra -. Insieme ad altri due Centri italiani, abbiamo deciso di differenziare i protocolli in base alla provenienza del bambino, tenendo fermi alcuni esami fondamentali. Questo permette un’azione mirata e un’accurata gestione delle risorse economiche“.
Nella consapevolezza, sottolinea e conclude Zavarise, “che quasi sempre abbiamo di fronte bambini con un vissuto difficile che non hanno bisogno di ulteriori traumi, quali sono le visite e i prelievi per i più piccoli. Quindi non è necessario, salvo urgenze, ‘aggredire’ il bambino con un immediato check up medico e sottoporlo a una batteria di accertamenti non indicati dalla provenienza e dal complessivo stato di salute del piccolo. Contrariamente c’è il rischio di costringerlo a rivivere quella condizione di istituto da cui spesso egli proviene”.
(nella foto allegata da sinistra il dottori Gianmario De Stefano, Giorgio Zavarise e Francesco Doro)