Quando il mal di testa condiziona la vita

L’emicrania è al primo posto tra le patologie invalidanti prima dei 50 anni. Gli attuali farmaci per prevenire gli attacchi e la novità sul mercato di un farmaco biotecnologico
Non chiamatelo solo mal di testa. Sono 7 milioni, circa il 12% della popolazione, gli italiani che soffrono di emicrania. Si tratta di una forma di cefalea primaria – legata cioè alla natura dell’individuo e non un sintomo di altre malattie – che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha collocato al primo posto tra le patologie invalidanti, in termini di frequenza, prima dei 50 anni di età. Coloro che ne soffrono, infatti, sono afflitti da un numero variabile di attacchi al mese – quando superano i 15 per almeno tre mesi l’ emicrania viene definita cronica – che li costringono ad assentarsi dal lavoro e da tutte le altre attività quotidiane e cercare conforto nel proprio letto, al buio e nel silenzio assoluti.
“E’ una della patologie ‘anti-sociali’ per eccellenza: l’emicranico non solo è costretto ad una qualità di vita pessima, ma spesso non viene creduto o è considerato come un peso dai colleghi di lavoro, dagli amici e tavolta anche dai propri familiari. La cura del paziente cefalgico comporta quindi una presa in carico globale, anche psicologica, della persona”, spiega il dottor Fabio Marchioretto (nella foto), direttore della Neurologia e responsabile dell’Ambulatorio cefalee, dal quale all’anno passano circa 500 persone, tra prime visite e controlli.
Sono soprattutto donne (in un rapporto di 3 a 1 rispetto agli uomini) e il picco di prevalenza della patologia è tra i 30 e i 50 anni, l’arco temporale di massima progettualità individuale, familiare e lavorativa, che richiede impegno e non è certo priva di stress. Dopo i 50 anni l’emicrania come intensità di dolore e frequenza tende a diminuire sia per i cambiamenti ormonali nella donna (menopausa) sia, in entrambi i sessi, per la stabilità che solitamente subentra in tutti gli ambiti della vita.
Quindi lo stile di vita è un fattore di rischio?
“Data la costituzionalità emicranica, qualunque condizione di squilibrio psico-fisico più che un fattore di rischio è un un fattore scatenante”, risponde il dottor Marchioretto. “Tra i fattori scatenanti ci sono quindi il periodo premestruale nella donna; per entrambi i sessi l’insonnia ma anche il sonno prolungato; lo stress ma pure l’eccessivo rilassamento (la famosa ’emicrania del fine settimana’); i pasti abbondanti ma nello stesso modo anche il digiuno incide moltissimo. Pertanto la prima forma di profilassi dell’emicrania, per ridurne gli attacchi, è uno stile di vita sano ed equilibrato.
Quanto la familiarità è un fattore di rischio?
Per l’emicrania si riconosce una connotazione familiare. Più specificatamente l’emicrania è una patologia poligenica, cioè a determinarla vi concorrono più geni. Di conseguenza ogni emicranico possiede la ‘sua’ emicrania e a questo sottende la necessità di un differente e personalizzato trattamento farmacologico.
Come viene diagnosticata l’emicrania?
Anche la diagnosi non è semplice, in quanto non possiamo avere riscontri oggettivi né attraverso esami specifici né tramite elementi di tipo semeiologico o indagini strumentali (a differenza dei polmoni, per esempio, il cervello non si può auscultare). Per questo motivo negli anni Settanta, la International Headache Society (IHS), massimo riferimento a livello mondiale per quanto riguarda lo studio delle cefalee, ha diramato le prime linee guida diagnostiche della malattia. Ora siamo alla terza edizione.
Cosa contengono queste linee guida?
Innanzitutto la classificazione di tutte le forme di cefalea conosciute con i relativi criteri diagnostici che offrono la massima sensibilità e specificità per la diagnosi. Per esempio secondo l’IHS, la diagnosi di emicrania viene effettuata rispettando i seguenti criteri:
1) Intensità forte del dolore.
2) Durata dell’episodio doloroso tra le 4 e le 72 ore.
3) Almeno un criterio tra carattere pulsante del dolore e localizzazione unilaterale.
4) Almeno un criterio tra fotofobia, fonofobia, nausea e vomito.
5) Nella fase di stato, il dolore è accentuato dal movimento e dai cambi posturali.
In cosa consiste la terapia?
Come è stato detto, ogni emicranico possiede la ‘sua’ emicrania. Pertanto la terapia – sia quella preventiva sia quella al bisogno per controllare gli attacchi – è una sorta di ‘abito su misura’, realizzato adeguando e adattando il trattamento e la posologia in base alla risposta individuale. Attualmente per la profilassi abbiamo a disposizione quattro tipi di farmaci di prima linea: un betabloccante (cioè un vaso dilatatore); l’amitriptilina, un antidepressivo triciclico che alza la soglia del dolore; la flunarizina, un calcioantagonista; il topiramato, un antiepilettico. Tutti e quattro, con modalità diverse, intercettano il meccanismo eziologico dell’emicrania. Fondamentale è l’alleanza terapeutica medico-paziente: la cura dipende da un’ interazione positiva tra paziente e medico, ognuno deve fare la sua parte nell’intento comune di contrastare l’emicrania; il paziente è invitato a tenere un diario dove annotare la durata degli attacchi, il farmaco analgesico assunto durante l’attacco, l’efficacia di questo farmaco ed eventuali effetti collaterali, possibili fattori scatenanti, come cibi assunti o periodo mestruale… Se con questi farmaci di prima linea non si ottengono risultati soddisfacenti si passa al trattamento di seconda linea con la tossina botulinica riservata alle forme ad alta frequenza.
Come viene somministrata?
La tossina botulinica viene iniettata con delle piccole iniezioni sottocute a livello della fronte, dei muscoli delle tempie, dei muscoli posteriori e del collo. La tossina botulinica viene ripetuta ogni 12 settimane e il trattamento non ha importanti effetti collaterali, a fronte di una sensibile diminuzione degli episodi dolorosi. E’ indicata per l’emicrania cronica ed è messa a disposizione dal Servizio sanitario nazionale solo nel caso che i farmaci di prima linea non siano efficaci e il paziente non tragga beneficio nemmeno dagli antidolorifici, rischiando di cadere nell’abuso.L’azione antinocicettiva della Tossina botulinica e quindi l’effetto nel trattamento dell’ emicrania rimane ancora in grande parte sconosciuta: diversi dati ne suggeriscono una genesi multifattoriale con effetti sulle fibre muscolari per il blocco della giunzione neuro muscolare ma anche sulle fibre nervose autonomiche e dolorifiche
Ci sono delle novità dal punto di vista farmacologico?
Da poco abbiamo a disposizione sul mercato, ma non ancora convenzionato con il Ssn, anche un farmaco di terza linea. E’ un anticorpo monoclonale anti CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide), un peptide che è implicato nel meccanismo fisio-patogenetico dell’emicrania. Si tratta di un passo avanti decisivo nella profilassi dell’emicrania, ma essendo biologico, è un farmaco ad alto costo e il suo impiego, all’interno del Ssn, sarà regolato da una serie di restrizioni
Dieci seminaristi al servizio di anziani e ammalati

In luglio e agosto due gruppi di studenti dell’Università della Santa Croce di Roma, provenienti da ben 9 Paesi diversi, prestano servizio in supporto ad educatori e operatori di Casa Nogarè, Casa Clero e Casa Perez
Dieci studenti provenienti da nove Paesi diversi. Sono i seminaristi del Collegio Sede Sapientiae di Roma che in questa calda estate 2019 hanno scelto di fare un’esperienza di servizio alla Cittadella della Carità di Negrar. Si tratta di una tradizione ormai ventennale che si rinnova nei mesi estivi e durante le vacanze di Natale e di Pasqua, quando ai giovani del Collegio viene data la possibilità di mettersi alla prova nell’assistenza ad anziani e ammalati a Casa Clero, Casa Perez e Casa Nogarè.
Nel mese di luglio hanno prestato servizio i primi cinque giovani, di età compresa fra i 19 e i 27 anni. I seminaristi sono impegnati in supporto agli educatori dalle 8.30 alle 17.30 dal lunedì al venerdì. Il resto del tempo lo trascorrono insieme alla comunità religiosa, seguiti in particolare dal vice presidente dell’ospedale don Waldemar Longo.
Sono tanti gli impegni e le mansioni da svolgere, sempre in accordo con gli educatori: trasporto degli ospiti che non possono muoversi da soli, allestimento delle stanze per attività ludico-ricreative, animazione dei momenti di preghiera, laboratori e momenti di svago, supporto durante i pasti…
Ma l’aspetto più significativo è il contatto con gli ospiti. “Gli ospiti spesso hanno voglia di raccontarsi e di ricordare e una parte importante del nostro lavoro qui è proprio l’ascolto – dice Federico, argentino, impegnato a Casa Clero – in queste settimane ho scoperto che tante delle persone qui hanno avuto incarichi importanti nella loro vita, sono stati parroci, professori, responsabili di seminari. Ed ora fanno un grande sforzo per adattarsi alla loro situazione di anziani e ammalati”.
A Casa Nogarè hanno prestato servizio Joel, indiano, e Jershom, filippino. Anche per loro il rapporto con gli ospiti è stato sorprendente. “Tra i nostri compiti c’era quello di curare la preghiera in filodiffusione che viene recitata alla mattina – raccontano – poi sono stati molto belli i momenti dei giochi. Ad esempio abbiamo scoperto il gioco delle bocce, che non conoscevamo, oltre alla briscola e la tombola”.
Infine ci sono Josè Angel, proveniente dal Messico, e Patrick, dal Ghana, che sono stati impegnati a Casa Perez. Tra i momenti particolari, qui, ci sono il laboratorio di falegnameria e le uscite al mercato del paese. “Gli ospiti, con il supporto degli educatori, fanno dei lavori di artigianato molto belli. Adesso stanno lavorando per allestire una mostra di presepi verso Natale“, dicono i due seminaristi. E poi c’è l’imperdibile appuntamento con la musica, ogni martedì… “Giuseppe che suona il basso, Sergio la batteria, Gianfranco che canta e le donne che ballano i ritmi degli anni Sessanta. Sono momenti intensi – sottolineano – che permettono di vincere la solitudine e trascorrere del tempo in serenità nonostante le difficoltà“.
Esaurito questo primo turno di servizio con il mese di luglio, in agosto è in arrivo il secondo gruppo di ragazzi. E ricomincia il giro del mondo. Ci saranno Dean dal Sudafrica, Luis Zambrano dall’Ecuador, Benito dal Venezuela, James dalle Filippine e Koa dal Vietnam.
Insonnia da caldo, come combatterla

Il caldo in estate è uno dei nemici del buon riposo, ma si possono adottare delle semplici regole per non alzarsi più stanchi della sera prima. E anche l’alimentazione ha la sua importanza come spiega il neurologo Gianluca Rossato
L’ insonnia da caldo è il nemico numero uno del riposo in estate. Le temperature elevate, e la sudorazione conseguente, rendono l’addormentamento un vero e proprio “incubo”. L’insonnia da caldo colpisce circa il 40% degli adulti italiani. È la prima causa di stanchezza e sonnolenza diurna perché disturba e interrompe l’abituale ritmo sonno-veglia.
“La melatonina, l’ormone che favorisce il sonno, viene prodotta dopo il tramonto con l’arrivo del buio ed è favorita da un’ottimale temperatura corporea: durante le ore notturne questa si abbassa di circa un grado, ma se la temperatura dell’ambiente in cui si dorme è più elevata, ecco che riuscire a prendere sonno diventa difficoltoso”, spiega il dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del sonno.
Cosa fare quindi per dormire bene nonostante l’afa estiva?
Attenzione alle temperatura della stanza e a cosa si mangia a cena
“E’ consigliabile fare una doccia tiepida prima di andare a dormire; abbassare la temperatura della camera, accendendo con un leggero anticipo il condizionatore o il ventilatore. Anche un’alimentazione adeguata è importante, evitando a cena cibi poco digeribili e optando invece per pietanze che possono stimolare la sintesi della serotonina come pasta, riso, orzo, ma anche lattuga, radicchio e cipolla. Infine è bene ridurre il consumo di carne (per la presenza di tirosina) e di spezie, ma soprattutto di caffè e di altre sostanze stimolanti come il fumo e l’alcol.
Con caffé, fumo e alcol non si dorme bene
“Infatti, se tutti sanno che il caffè ‘fa restare svegli’, pochi conoscono le proprietà stimolanti del fumo e molti hanno la convinzione erronea che l’alcol favorisca il sonno – precisa il dottor Rossato -. Il fumo di sigaretta contiene la nicotina, una sostanza stimolante per il cervello, che può indurre l’insonnia. Le bevande alcoliche, contrariamente al fumo, favoriscono l’addormentamento ma hanno l’effetto collaterale di indurre i risvegli precoci. In pratica si crolla sul letto immediatamente ma dopo 2-3 ore arriva l’insonnia”. La soluzione? “Smettere di fumare anche per gli altri effetti nocivi della sigaretta, e assumere alcol con moderazione, almeno non 3 ore prima di andare a dormire”, conclude il dottor Rossato.
Sinus pilonidalis: oggi la chirurgia lascia solo piccole cicatrici

Un’anomala crescita di peli nella zona dei glutei può rendere complicata la vita. Oggi grazie alle tecniche chirurgiche mini-invasive la malattia pilonidale viene tenuta sotto controllo senza le estese escissioni di pelle ancora, purtroppo, praticate
Si chiama sinus pilonidalis o malattia pilonidale. Consiste in una o più cavità o tragitti fistolosi nella parte bassa della colonna vertebrale che si sviluppano fra la cute e lo strato adiposo sottocutaneo fino, talvolta, alla fascia muscolare. Pur essendo una patologia benigna, quando si presenta può creare sintomi invalidanti come dolore, stato febbrile accompagnato da malessere diffuso, e possono comparire anche secrezioni sierose, purulente e maleodoranti.
Quando la terapia è peggiore della malattia
Fino a pochi anni fa la terapia chirurgica era perfino peggiore della malattia, in quanto venivano praticate solo escissioni di tessuto molto ampie e profonde, con la creazione di ferite estese e dolorose che impiegano mesi a guarire, costringendo il paziente a perdere settimane di lavoro e di scuola. Per i ragazzi, infatti, che appartengono alla fascia di età in cui la malattia ha maggiore incidenza, l’intervento esteso viene di solito programmato a fine anno scolastico per evitare numerose assenze sui banchi di scuola. Senza considerare l’aspetto psicologico, dovuto a cicatrici deturpanti che a volte richiedono l’intervento del chirurgo plastico.
Al “Sacro Cuore” solo tecniche mini-invasive
All’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria sono state invece adottate da tempo tecniche chirurgiche mini-invasive tali da consentire la pulizia della cavità/fistola attraverso piccole incisioni, permettendo così la ripresa immediata dell’attività quotidiana. Ma da cosa è provocata la malattia pilonidale?
Le cause della malattia
Come indica il nome, essa è causata dalla crescita anomala dei peli che nel solco intergluteo si sviluppano internamente, invece che all’esterno. Essendo rivestiti di cheratina, provocano una reazione infiammatoria del tessuto circostante, causando un’infezione. La malattia può presentarsi come una raccolta di peli e pus localizzata nel solco intergluteo o farsi strada internamente attraverso il tessuto sottocutaneo nella direzione del solco o verso la regione coccigea/sacrococcigea o verso i glutei. In questo caso si forma una fistola, con un orifizio di uscita anche lontano alcuni centimetri da quello di entrata. Raramente può verificarsi un percorso verso il basso (in direzione dell’ano). Quando accade, è necessario effettuare una diagnosi differenziale per distinguere la malattia pilonidale dalle fistole di origine anale che richiedono una terapia diversa.
Soggetti a rischio
La malattia pilonidale colpisce principalmente giovani maschi dai 15 ai 25 anni (con un rapporto rispetto alle donne di 3 a 1). Gli altri fattori predisponenti sono in particolare l’irsutismo dei glutei, il sovrappeso, la conformazione anatomica della regione sacro-coccigea, gli stili di vita sedentari, la scarsa igiene locale e un’attività lavorativa o sportiva che comporta una particolare sollecitazione del zona del coccige (equitazione, canottaggio, ciclismo…). Infatti durante la Seconda guerra mondiale il sinus pilonidalis veniva definito jeep disease (malattia della jeep) in quanto colpiva i soldati statunitensi che restavano intere giornate seduti in auto, sottoposti al continuo traumatismo provocato dal fondo stradale.
Come si presenta
Tra i segni e i sintomi più comuni con i quali si presenta il sinus pilonidalis vi sono: la tumefazione spesso dolente; l’arrossamento; le secrezioni, la febbre e il malessere diffuso; le infezioni e gli ascessi ricorrenti; uno o più orifizi fistolosi nel solco intergluteo, talvolta rinvenibili solo dopo un’attenta osservazione o depilazione, talvolta disposti a “corona di rosario”, spesso contenenti peli sporgenti.
L’unica terapia è quella chirurgica
Come tutte le malattie, anche quella pilonidale alterna fasi di acuzie a fasi di cronicizzazione. La fase di acuzie, quando si sviluppa l’ascesso, è il momento doloroso della malattia che richiede una soluzione rapida tramite l’incisione della tumefazione e il drenaggio del pus. Questo tuttavia non risolve nel 50% dei casi la malattia, perché ciò avvenga è necessario ripulire minuziosamente la tasca di raccolta e questo è possibile solo con un successivo piccolo intervento chirurgico.
I vantaggi delle tecniche mini-invasive
“La chirurgia mini-invasiva, oltre a comportare cicatrici molto piccole, quindi una rapida guarigione, presenta vantaggi in caso di recidiva. Infatti sia la chirurgia mini-invasiva sia quella con escissioni profonde e molto ampie non escludono il ripresentarsi della malattia. Ma mentre nel primo caso è possibile intervenire nuovamente con le stesse tecniche senza particolari problemi, nel secondo caso, invece, la cicatrice estesa comporta un’ampia area di tessuto fibroso su cui poi è difficile operare nuovamente”, spiegano i dottori Nicola Cracco (nella Photo Gallery a sinistra), responsabile della Chirurgia proctologica, e Simone Orlandi (nella Photo Gallery a destra), proctologo del Centro malattie retto-intestinali. Tutte le tecniche mini-invasive vengono eseguite in sale operatoria per interventi ambulatoriali con anestesia locale accompagnata da sedazione. La dimissione avviene dopo poche ore.
Fistulotomia più marsupializzazione
“E’ la procedura chirurgica indicata quando siamo in presenza di fistole inferiori ai 5 centimetri – spiega il dottor Nicola Cracco -. La fistola viene aperta per tutta la sua lunghezza, pulita del materiale purulento, ben curettata e cuciti i due lembi di cute al pavimento della fistola. Il risultato è una piccola cicatrice, che non richiede particolari medicazioni, e permette al paziente di riprendere il giorno dopo le normali attività anche quelle sportive, con, nella maggior parte dei casi, assenza di dolore”.T
Tecnica Epsit
“Tale tecnica è indicata in caso di fistole superiori ai 5 centimetri di lunghezza – spiega il dottor Simone Orlandi – e viene effettuata sotto visione con l’inserimento di fistuloscopio (un cistoscopio pediatrico modificato) attraverso piccole aperture in prossimità dell’area in cui è stata individuata l’infezione. La visione diretta ha un grande vantaggio perché consente di verificare eventuali diramazioni della fistola che altrimenti non sarebbero visibili. Inoltre permette una rimozione completa dei peli tramite una pinza e la pulizia accurata del tessuto attraverso un brush. Successivamente, tramite l’impiego di un elettrodo monopolare, viene distrutta la cavità e effettuata l’emostasi dei capillari, prevenendo così perdite di sangue che renderebbero problematica la guarigione. L’intervento non prevede la chiusura delle fessure, perché se ciò avvenisse in presenza di eventuali residui di detriti favorirebbe la creazione di una nuova colonia di batteri e quindi una nuova infezione. Inoltre le aperture facilitano la gestione autonoma della ferita da parte dei paziente con semplici lavaggi di soluzione fisiologica. Il controllo post operatorio avviene dopo una settimana, e successivamente dopo un mese, due mesi e sei mesi”.
Tecnica Lord-Millar
“Prende il nome dai due chirurghi che la inventarono nel 1965, il dottori Lord e Millar – riprende il dottor Cracco -. Viene applicata quando la malattia non è fistolizzata ma è caratterizzata da una semplice raccolta nel solco intergluteo. Si procede ampliando l’orifizio della cisti (Pit mediano) quanto basta per entrare con un apposito strumento. Tramite esso l’area viene pulita dai peli e dal tessuto infiammatorio di granulazione, in modo da consentire la guarigione. Quel che resta è uno o più buchetti di mezzo centimetro di diametro che anche in questo caso non danno dolore, sono facilmente medicabili e non impediscono una normale e veloce ripresa dell’attività scolastica, lavorativa e sportiva. La guarigione completa, dopo poche sedute di medicazione avviene di solito entro un mese”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Abbronzarsi fa bene, ma non troppo

Esporsi ai raggi solari fa bene alla nostra salute, ma il sole va preso con moderazione e adottando degli accorgimenti. Come ci spiega la dermatologa Federica Tomelleri in un’intervista televisiva
Il sole è un grande alleato della nostra salute. L’esposizione alla luce sole, infatti, consente l’assorbimento della vitamina D, fondamentale per il benessere dell’osso soprattutto per la donna in post menopausa e rafforza la risposta immunitaria. Inoltre il sole influisce molto anche sul nostro buonumore.
Tuttavia i raggi ultravioletti sono un fattore di invecchiamento della nostra pelle e se ci esponiamo senza i dovuti accorgimenti possiamo imbatterci in eritemi o in dolorose scottature che aumentano il rischio di sviluppare tumori dermatologici, tra cui il melanoma.
Sì quindi ai bagni di sole, ma con buon senso. La dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia, in un’intervista televisiva sull’emittente Telearena indica come beneficiare degli effetti positivi del sole, senza mettere a rischio la salute della nostra pelle.
Ecco come nascono i radiofarmaci impiegati in Medicina Nucleare

Con il dottor Giancarlo Gorgoni entriamo all’interno della palazzina che ospita la Radiofarmacia con Ciclotrone per scoprire cosa sono e come vengono prodotti i radiofarmaci per le diagnosi PET
Cos’è un radiofarmaco? A cosa serve? Come viene prodotto? Il dottor Giancarlo Gorgoni, in un video, ci mostra come vengono realizzati i cosiddetti traccianti impiegati per le diagnosi PET.
Dal 2014 è attivo presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore un servizio di Radiofarmacia con Ciclotrone, uno dei acceleratori variabili di protoni più grandi d’Europa (19 MEV). Il Ciclotrone è un acceleratore di particelle in grado, tramite una reazione nucleare, di produrre radioisotopi, necessari alla realizzazione di radiofarmaci.
Grazie a questa dotazione, l’IRCCS di Negrar è stato riconosciuto dalla Regione Veneto Centro hub per la produzione di Radiofarmaci per le Medicine Nucleari del Veneto Occidentale.
Inoltre il Servizio diretto dal dottor Gorgoni vanta progetti di ricerca per la produzione di nuovi radiofarmaci in collaborazione con le Università di Padova, Verona, Milano, Bologna e con l’Istituto nazionale di Fisica Nucleare di Legnaro (Padova).
Tra le prestigiose collaborazioni anche quella con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica con sede a Vienna, l’Agenzia dell’Onu che si occupa dello sviluppo dell’energia nucleare a scopo pacifico. Grazie a questa collaborazione, il Centro di Negrar è meta di studiosi provenienti da ogni parte del mondo, che vengono a trascorrere un certo periodo di tempo a fini formativi.
Un tocco di bellezza per affrontare la malattia

Da 20 anni il laboratorio di Arteterapia Umanistica è parte integrante del percorso di riabilitazione dei pazienti al “Sacro Cuore Don Calabria”. Viaggio tra i dipinti che decorano molti ambienti dell’ospedale raccontando la storia di chi li ha realizzati
All’ingresso del laboratorio di Arteterapia Umanistica c’è un dipinto molto colorato dove prevalgono le forme geometriche squadrate (foto 1). L’ha realizzato Lorenzo, un paziente tetraplegico che riusciva a dipingere solo con la bocca. Sulla parete dell’ufficio economato, pochi metri più in là, fa bella mostra l’opera prima di Greta, intrisa dei colori viola e oro (foto 2). Greta è gravemente afasica, cioè non riesce più a comunicare con la parola in seguito a un’emorragia cerebrale. Comunica, con fatica, dipingendo.
Chissà quante storie come quelle di Lorenzo e di Greta ci sarebbero da raccontare. Sono le storie di centinaia di pazienti che, negli ultimi vent’anni, hanno preso parte al laboratorio di Arteterapia Umanistica nel Dipartimento di Riabilitazione diretto dal dottor Renato Avesani. “Nel laboratorio arrivano persone che si trovano in condizione di disabilità dopo un incidente, un trauma o una malattia – spiega Charlotte Trachsel, Arteterapeuta Umanistica che porta avanti questo lavoro fin dal novembre 1999 – L’Arteterapia Umanistica è un intervento di aiuto nell’ambito clinico con finalità terapeutica e riabilitativa. E’ un lavoro che interviene sui processi con l’obiettivo di integrare il più possibile mente e corpo rispettando l’unicità delle persone e con fiducia profonda nelle risorse intrinseche dell’essere umano”.
Oggi i lavori del laboratorio sono esposti in molti luoghi nella Cittadella della Carità, assolvendo a due compiti fondamentali: decorare i corridoi e gli uffici con un tocco di bellezza, ma soprattutto dare testimonianza della storia di chi li ha realizzati. Oltre a quelli esposti nel Dipartimento di Riabilitazione, se ne trovano ad esempio nei reparti di Cardiologia e ORL, nelle sale d’attesa dei poliambulatori a Casa Nogarè, in uffici vari, all’ingresso del reparto di Odontoiatria, in Oculistica, in Terapia Intensiva… (vedi carrellata di dipinti).
In qualche caso, come nell’Unità di Riabilitazione Intensiva, sono esposti lavori realizzati dai familiari dei pazienti ricoverati a Casa Nogarè in stato vegetativo e di minima responsività. Infatti il laboratorio coinvolge spesso le persone vicine agli ammalati, creando opportunità di relazione e di vicinanza al di là della malattia. Altre volte le opere dei pazienti sono utilizzate per realizzare gli auguri natalizi dell’ospedale o per campagne informative su temi di interesse sanitario, come la pulizia delle mani. In tutti i casi vengono usati colori naturali di alta qualità, gouache e gouache resonance, adatti a persone che hanno gravi disabilità.
“Attualmente in media partecipano al laboratorio 18 pazienti al giorno, singolarmente o in gruppo – prosegue Charlotte – per loro questo approccio diventa un mezzo per comunicare e per esprimere le emozioni, integrandosi al lavoro di riabilitazione in equipe con fisiatri, fisioterapisti, logopedisti etc...”.
Ogni dipinto racconta una storia. Come quella di Alice, rimasta disabile a causa di un’ischemia dopo il parto. O quella di Maria, paziente tetraplegica che aveva partecipato al primo laboratorio ed è tornata dopo 20 anni al Sacro Cuore per salutare chi l’aveva ospitata nel primo periodo dopo la caduta in moto. O ancora quella di Andrea che prima dell’incidente non amava dipingere, ma dopo il laboratorio ha deciso di frequentare l’istituto d’arte.
Sono storie complesse, quelle raccontate dai dipinti. Storie di esistenze trasformate dalla malattia, per le quali la malattia stessa può anche divenire opportunità di una nuova vita più piena.Talvolta questo strumento aiuta a riannodare almeno in parte i fili sottili che collegano il “prima” e il “dopo”. E questo lo sanno bene i genitori di Pietro, un giovane che era rimasto paraplegico a causa di una neoplasia. Ha partecipato al laboratorio di Arteterapia Umanistica e ha realizzato un’unica opera, un paesaggio ormai non più terrestre realizzato con i colori gouache. Dopo la morte di Pietro, mamma e papà hanno voluto il dipinto per averlo in casa, sempre vicino a sè.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
* le storie sono vere, ma tutti i nomi utilizzati nell’articolo sono di fantasia
Il "Sacro Cuore" fa scuola nella laparoscopia ginecologica avanzata

L’Ospedale al centro di un corso internazionale a cui parteciperanno un centinaio chirurghi ginecologici provenienti da 23 Paesi. Interventi in diretta e pratica su cadavere delle tecniche nerve-sparing nel trattamento dell’endometriosi e dei tumori
Dal 9 al 12 luglio l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria sarà al centro di un corso di chirurgia addomino-pelvica avanzata e anatomia chirurgica laparoscopica su cadavere, promosso da ISSA (International School of Surgical Anatomy), diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna – U.O.C di Ostetricia e Ginecologia. L’evento ha carattere internazionale e vi parteciperanno, tra corsisti e docenti, oltre cento chirurghi provenienti da 23 Paesi del mondo.
“L’obiettivo è l’insegnamento e il perfezionamento delle metodiche chirurgiche avanzate, quali le tecniche nerve-sparing nel trattamento di patologie infiltranti, come l’endometriosi e i tumori ginecologici. Tali tecniche coniugano il corretto approccio anatomico con la radicalità chirurgica e con la mini-invasività della laparoscopia, al fine di preservare le funzioni intestinali, uro-genitali e sessuali della donna. Si riduce così il tasso di disfunzioni severe, tutelando la qualità di vita post operatoria”,spiega il dottor Ceccaroni, presidente del corso insieme al dottor Shailesh Puntambekar, (nella foto a sinistra insieme al dottor Ceccaroni) luminare indiano della chirurgia laparoscopica oncologica ginecologica.
“Si tratta del più grande corso internazionale che preveda la dimostrazione delle tecniche attraverso la chirurgia in diretta e la pratica delle stesse, da parte dei corsisti, su cadavere. E’ l’unico evento europeo formativo accreditato dell’AAGL, la Società mondiale di chirurgia laparoscopica“, prosegue Ceccaroni.
Le attività pratiche di dissezione anatomica su 15 cadaveri verranno effettuate presso il Centro Iclo Teaching and Research Center di Verona, dove i partecipanti seguiranno l’intero corso. Gli interventi chirurgici, invece, saranno in diretta dalle sale operatorie dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, con il dottor Ceccaroni, insieme ai medici di Negrar – Francesco Bruni, Giovanni Roviglione, Daniele Mautone e Roberto Clarizia – e ad altri illustri chirurghi ginecologici del panorama nazionale e internazionale. Altri due interventi saranno invece trasmessi dal Medical Center at Magee Womens Hospital di Pittsburg con il dottor Ted Lee e dalla Clinica Malzoni di Avellino con il dottor Mario Malzoni.
Il quarto giorno del corso prevede l’attività chirurgica su simulatori e su cadavere con un master avanzato di sutura laparoscopica.
Caldo e malattie cardiache: come comportarsi?

In un’intervista-video il cardiologo Giulio Molon interviene sui rischi dovuti alle alte temperature per le persone cardiopatiche, ma anche chi non ha problemi di salute deve avere certi accorgimenti
Le temperature torride di questi giorni mettono a dura prova il nostro fisico. Ma ad essere più a rischio di conseguenze sulla salute dovute al caldo sono i soggetti più fragili: anziani, bambini e persone affette da patologia. Tra queste i cardiopatici.
Il dottor Giulio Molon, responsabile del Servizio di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione, spiega in un’intervista al Tg di Telearena quali sono gli accorgimenti che devono adottare coloro che soffrono di malattie cardiache.
Ma anche chi sta bene deve fare un po’ di attenzione: svolgere attività fisica sotto il solleone è decisamente sconsigliabile…
Il "Sacro Cuore Don Calabria" si prende cura anche dell'ambiente

Una scelta “green” quella dell’Ospedale di Negrar che parte da lontano e che culmina oggi con l’adozione del cogeneratore e con una nuova palazzina dotata di un sistema fotovoltaico, tale da renderla quasi autonoma da altre fonti di energia
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria “cura” la salute dei cittadini anche attraverso la salvaguardia dell’ambiente. Una “scelta green” quella del nosocomio di Negrar iniziata oltre vent’anni fa e culminata oggi con la realizzazione della nuova palazzina, che sarà terminata entro l’estate. La struttura di quattro piani diventerà l’unico ingresso dell’ospedale e ospiterà il Punto prelievi, l’Area donatori e il Servizio pre-ricovero chirurgico oltre agli uffici amministrativi.
La nuova struttura è dotata di un sistema fotovoltaico con una capacità di 100 kW, tale da renderla quasi completamente autonoma da altre fonti di energia. Inoltre da pochi mesi è in funzione un cogeneratore che da un unico vettore energetico, il metano, produce energia termica ed elettrica, con un risparmio all’anno, in termini di emissioni in atmosfera, di circa 2 milioni e 325mila tonnellate di anidride carbonica rispetto alla stessa produzione energetica con centrali termo-elettriche convenzionali.
“Il risparmio energetico per noi è sempre stata una scelta etica prima che economica – afferma l’amministratore delegato, Mario Piccinini -. Noi siamo un ospedale quindi ci occupiamo della salute dei cittadini anche contribuendo ad abbattere uno dei più importanti fattori di rischio di molte patologie, qual è l’inquinamento”.
Era il 1995 quando l’ospedale di Negrar si è dotato di tecnologie in grado di economizzare il consumo di energia elettrica in base alla richiesta contingente (tecnologie inverter) e di lampade a basso consumo. “Credo che siamo state una delle prime strutture sanitarie ad adottare le lampade a led, quando questi dispositivi avevano un costo di certo non conveniente”, spiega Paolo Martini, coordinatore dell’Ufficio Tecnico del “Sacro Cuore Don Calabria”.
Lo stesso per il combustibile della centrale termica. “La nostra centrale deve essere alimentata da due differenti combustibili – prosegue il tecnico -. Uno principale e un altro che subentra in caso di mancanza del primo, altrimenti rischieremmo di lasciare al freddo l’intero ospedale. Già prima che la normativa proibisse di usare come primo combustibile il btz (un olio derivante dal petrolio a basso tenore di zolfo), noi abbiamo fatto una scelta ‘pulita’, seppur più onerosa, adottando come primo combustibile il metano e accantonando il btz per le emergenze”.
Con l’installazione delle alte tecnologie per il trattamento dei pazienti e la climatizzazione di tutti i reparti, i consumi di energia elettrica hanno subito negli ultimi anni un’escalation (oggi il fabbisogno energetico medio è di 2.500 Kw fino a picchi di 4.500 Kw in estate), tale da portare alla decisione di dotare l’ospedale di un cogeneratore.
“In termini molto semplici si tratta di un motore alimentato a metano che produce contemporaneamente energia elettrica e termica – spiega ancora Martini -. Siamo diventati così auto-produttori di elettricità, ma non autonomi. Quella che acquistiamo, tuttavia, proviene da fonti rinnovabili: eolica, fotovoltaica ed idroelettrica”.