L'attesa in oncologia: la testimonianza dei pazienti

Venerdì 5 ottobre Verona celebra la III Giornata nazionale di Psico-oncologia con un convegno, aperto alla cittadinanza, dal titolo “I tempi delle attese in oncologia” durante il quale pazienti e psico-oncologi confronteranno il loro vissuto
L’attesa in oncologia: l’attesa di una diagnosi, l’attesa della comunicazione ai familiari, l’attesa della terapia, l’attesa del medico, dello psicologo con cui confrontarsi. Si parlerà di questo venerdì 5 ottobre presso la Società Letteraria di Verona (Piazzetta Scalette Rubiani 1) ad iniziare dalle 13. (in allegato il programma)
L’incontro rientra negli eventi della III Giornata nazionale della Psico-oncologia ed è organizzato dalla Sipo (Società italiana di Psico-oncologia) del Veneto e del Trentino Alto Adige in collaborazione con l’Ordine degli psicologi del Veneto e con Fondazione Aiom (Associazione italiana oncologia medica).
Il convegno, aperto alla cittadinanza, nasce anche da un progetto comune dell’Unità S.Dipartimentale di Psicologia clinica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, diretta da Luisa Nadalini, e il Servizio di Psicologia Clinica dell’Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, guidato da Giuseppe Deledda che è anche coordinatore della SIPO Veneto-Trentino Alto Adige.
L’evento è rivolto in particolare ai pazienti, alle associazioni di volontariato attive sul territorio ed ai professionisti. “Il tempo delle attese in oncologia”, questo il titolo del convegno, vuole essere un momento di confronto tra gli operatori e gli psiconcologi, ma anche di testimonianza per chi si trova a vivere una fase particolarmente delicata della vita. L’attesa, e il disagio se non l’ansia che comporta, sarà raccontata in una tavola rotonda dai pazienti attraverso la voce delle associazioni che li rappresentano. Da un’altra tavola rotonda emergerà il vissuto dei psico-oncologi, che indicheranno anche quali strategie psicologiche assumere per vivere il momento dell’attesa in oncologia nel modo più sereno possibile.
La benedizione dell'IRCCS per la festa di don Calabria

Lunedì 8 ottobre, in occasione della festa liturgica del fondatore, il Casante dell’Opera padre Miguel Tofful impartirà la benedizione inaugurale dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le malattie infettive e tropicali
Lunedì 8 ottobre l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria celebrerà la festa liturgica del suo fondatore, San Giovanni Calabria, con la benedizione inaugurale dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali, impartita dal Casante dell’Opera calabriana, padre Miguel Tofful.
Alla cerimonia, che si terrà alle 11 presso il reparto di Malattie infettive e tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi, interverranno l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, la dirigente della Direzione Generale della ricerca e dell’innovazione in Sanità del Ministero della Salute, Maria Novella Luciani, e il direttore generale della Sanità del Veneto, Domenico Mantoan.
Sarà presente anche il direttore scientifico dell’IRCCS, Pier Carlo Muzzio, già professore ordinario all’Università di Padova. Il professor Muzzio è alla guida del Comitato tecnico-scientifico composto da esperti di fama internazionale che saranno presentati durante la mattinata.
Alle 12 il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, presiederà la celebrazione eucaristica nella cappella del Don Calabria.
Il riconoscimento di IRCCS da parte del Ministero della Salute porta la data del 23 maggio scorso, a poco più di trent’anni dalla storica giornata del 18 aprile del 1988 quando Papa Giovanni Paolo II posava la prima pietra della Fondazione Don Calabria per le malattie tropicali. Nella stessa visita alla diocesi scaligera, il Pontefice polacco beatificava il sacerdote veronese che dedicò la sua vita ai “dimenticati”, così come sono “dimenticate” dalla ricerca la gran parte delle patologie di cui si occupa il nuovo IRCCS. Nella festa liturgica dell’8 ottobre si ricorda la sua nascita avvenuta nel 1873.
In tre decenni di storia il Dipartimento di malattie infettive e tropicali, già Centro per le malattie infettive e tropicali, ha raccolto la più alta casistica nazionale nell’ambito delle malattie tropicali e parassitarie. Un’eccellenza che ha portato il Ministero della Salute ad includere quella di Negrar nelle 50 strutture nazionali con finalità di ricerca che deve trovare necessariamente sbocco in applicazioni terapeutiche. L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è il terzo IRCCS del Veneto, dopo l’Istituto Oncologico Veneto di Padova e il San Camillo di Venezia, specializzato nella neuroriabilitazione.
Un'alleanza internazionale per eliminare la rabbia

Oggi si celebra la Giornata mondiale della rabbia, una malattia antica e terribile che ancora oggi miete molte vittime nei Paesi poveri, soprattutto bambini. Una campagna dell’OMS si propone di eliminarla entro il 2030
Ogni giorno nel mondo circa 100 persone si ammalano di rabbia, poco meno di 40 mila in un anno di cui il 40% bambini (dati OMS).La quasi totalità di queste persone muore fra atroci sofferenze a distanza di pochi giorni dai primi sintomi. Infatti la rabbia, di cui oggi si celebra la giornata mondiale, è una malattia per la quale non esiste terapia dopo che si è manifestata. Esiste invece un vaccino, efficace e sicuro, che può essere somministrato in via preventiva ma è efficace anche se viene dato dopo un possibile contagio, purchè la somministrazione sia tempestiva. Il vaccino viene fatto anche al Sacro Cuore, dove nel corso del 2017 sono state somministrate una trentina di profilassi pre-esposizione per viaggiatori che si recavano in luoghi a rischio.
“La rabbia è un’infezione causata da un virus che attacca il sistema nervoso centrale, provocando un’infiammazione dell’encefalo. Il virus può colpire praticamente tutti i mammiferi e si trasmette attraverso il contatto con saliva infetta di animali malati”, dice il dottor Andrea Rossanese, responsabile dell’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori presso l’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria, servizio che fa parte del Centro per le Malattie Tropicali diretto dal professor Zeno Bisoffi. Nella quasi totalità dei casi la trasmissione all’uomo avviene a causa del morso di un cane. Molto più raramente il contagio può avvenire a causa di pipistrelli e altri animali selvatici o domestici.
In Italia la rabbia non è più presente da alcuni anni, nè tra gli uomini nè tra gli animali. Qualche raro caso di animale selvatico malato, volpi in particolare, si è verificato al confine con la Slovenia, ma si è trattato di episodi sporadici e contenuti rapidamente attraverso i sistemi di sorveglianza e prevenzione zooprofilattica. In genere il contagio viene eradicato vaccinando la popolazione animale attraverso apposite esche.
In tutta l’Europa occidentale la rabbia è quasi scomparsa, mentre la stragrande maggioranza dei contagi umani avviene nelle aree rurali dei Paesi poveri, motivo per cui la rabbia è considerata malattia tropicale negletta. In particolare le zone dove si verificano più casi sono la Cina e l’India, ma in generale tutta l’Africa sub-sahariana, l’Asia Centrale e il Sud-est asiatico sono aree a rischio.
I SINTOMI
L’incubazione della rabbia nell’uomo, dopo l’esposizione al virus, può variare da una settimana a un anno, ma mediamente i sintomi compaiono dopo 1-2 mesi. In una prima fase si presentano sintomi aspecifici, come febbre, cefalea e nausea. Segue la fase di encefalite vera e propria, con momenti di iperattività, aggressività, spasmi, allucinazioni e febbre anche molto alta. Con il passare dei giorni l’encefalite si aggrava sempre di più, provocando neurite, difficoltà nella deglutizione, paralisi fino alla morte. In un quarto dei casi il decorso è meno violento, manifestandosi con una paralisi progressiva.
IN CASO DI MORSO
Nonostante la rabbia sia praticamente scomparsa nel nostro Paese, ciò non toglie che qualche caso sporadico tra gli animali sia possibile. Per questo se una persona viene morsa da un cane o altro animale è sempre opportuno rivolgersi ad un medico o a un presidio ospedaliero. L’ideale sarebbe tenere sotto osservazione l’animale per 10-14 giorni, così da accertarsi che non sviluppi la malattia. In ogni caso gli ospedali di riferimento in ogni provincia tengono alcuni cicli completi di vaccino anti-rabbico, in modo da poterlo somministrare anche dopo l’esposizione al rischio se il medico valuta che sia opportuno. Il vaccino, sia preventivo che post-esposizione, viene somministrato con cicli di iniezioni intramuscolari o intradermiche. Nel caso di quello post-esposizione le dosi sono più numerose e nelle situazioni di maggior rischio possono essere integrate con iniezioni di immunoglobuline (secondo le linee guida dell’OMS). Un’altra profilassi di grande importanza, dopo il morso, è una pulizia accurata della ferita perché questo riduce le probabilità di trasmissione del virus. Nel mondo annualmente vengono somministrati 15 milioni di vaccini post-esposizione, salvando presumibilmente centinaia di migliaia di persone dal contagio.
IN CASO DI VIAGGIO IN ZONE A RISCHIO
Per qualsiasi viaggio in zone a rischio non è da escludere l’opportunità di un vaccino preventivo contro la rabbia. Infatti un morso di cane è sempre possibile, specie laddove ci siano tanti cani randagi. Tuttavia la scelta è spesso soggettiva. “Molto dipende dal tipo di viaggio – prosegue il dottor Rossanese – ovviamente maggiore è la durata maggiore può essere l’utilità di una vaccinazione, specie se si prevede di stare molto all’aperto. Ma anche se uno fa diversi viaggi di breve durata in zone a rischio si può valutare la profilassi anti-rabbica. Inoltre il vaccino è indicato per chi viaggia in zone rurali e per lavoro si trova a contatto con gli animali. In ogni caso, quando si prevede di fare un viaggio in zone esotiche, è sempre opportuno consultare un ambulatorio di medicina dei viaggi per fare insieme al medico le opportune valutazioni“.
“ZERO MORTI DI RABBIA ENTRO IL 2030”
La presenza di un vaccino efficace per gli uomini e per gli animali ha portato gli organismi internazionali a porsi l’obiettivo di eradicare la rabbia. Nel 2015 l’OMS ha lanciato la campagna “Zero morti di rabbia entro il 2030”, in collaborazione con l’Organizzazione per la Salute Animale (Oie), la FAO e l’Alleanza globale per il controllo della rabbia (GARC). Tra gli obiettivi della campagna, nella quale rientra anche la giornata mondiale che si celebra oggi, c’è proprio lo sviluppo di un’azione congiunta sugli animali, con una progressiva immunizzazione soprattutto dei cani, e sugli uomini, promuovendo la vaccinazione pre e post-esposizione che in molti luoghi rappresenta un problema a causa dei costi del vaccino.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
E' solo un'ernia addominale, ma è necessario operare

L’ernia addominale è una patologia benigna, ma l’unico trattamento è quello chirurgico, che oggi si avvale di tecniche tradizionali e mini-invasive come illustra la dottoressa Elisa Bertocchi della Chirurgia generale
All’occhio inesperto si presenta come una tumefazione, un rigonfiamento a livello dell’inguine, del femore o dell’ombelico – quasi sempre fastidioso e spesso doloroso – che all’inizio rientra con una lieve pressione o semplicemente quando ci si distende. Stiamo parlando dell’ernia, la situazione in cui un viscere fuoriesce dalla parete del muscolo o del tessuto che normalmente lo contiene. Nella maggioranza dei casi le ernie riguardano la parete addominale e si sviluppano attraverso un canale naturale, come l’ernia inguinale e l’ernia crurale, oppure attraverso un’area di debolezza della parete addominale. L’ernia è una patologia benigna che richiede tuttavia, per essere risolta, un trattamento chirurgico.
Quella inguinale è l’ernia più frequente, con un’incidenza di circa il 3% nelle donne e del 27% negli uomini. L’ernia femorale (o curale) è invece meno comune di quella inguinale ed interessa soprattutto il sesso femminile. Sia l’ernia inguinale che l’ernia femorale sono causate da una debolezza muscolare che può essere presente fin dalla nascita (ernie congenite, non necessariamente diagnosticate in età pediatrica) oppure può essere dovuta a ripetuti sforzi fisici ed all’indebolimento della parete addominale dovuto all’età (ernia acquisite). Altre cause includono l’obesità e la gravidanza.
Tra le ernie addominali ci sono anche quelle ombelicali (localizzate nella zona dell’ombelico), le ernie epigastriche (situate nell’area addominale tra il margine inferiore dello sterno e l’ombelico) ed i laparoceli ovvero ernie che si manifestano in corrispondenza di una cicatrice chirurgica.
La diagnosi delle ernie della parete addominale è clinica, avviene mediante visita medica. Lo studio pre-operatorio dei laparoceli può prevedere l’esecuzione di un’ecografia della parete addominale o di una TC addome senza mezzo di contrasto per definire il contenuto erniario e in modo preciso le dimensioni del difetto erniario stesso, elementi essenziali per la successiva scelta di approccio chirurgico.
Per l’ernia addominale è sempre indicato l’intervento chirurgico?
“L’ernia addominale è una patologia benigna trattabile però solamente con l’intervento chirurgico. Si può decidere di non intervenire e di tenerla sotto controllo solo quando è molto piccola e completamente asintomatica e riducibile. In presenza di fastidio e soprattutto di dolore è necessario ripararla per non incorrere in complicanze”, risponde la dottoressa Elisa Bertocchi, medico chirurgo della Chirurgia generale dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Giacomo Ruffo.
Quali sono queste complicanze?
Le complicanze più rilevanti sono l’incarceramento e lo strozzamento. In entrambe queste situazioni il contenuto erniario, generalmente rappresentato dall’intestino, viene intrappolato nell’ernia e non è più riducibile in addome. Ciò provoca dapprima un quadro di occlusione intestinale fino al vero e proprio strozzamento, quando l’intestino bloccato nell’orifizio erniario dal quale è fuoriuscito, non riceve più apporto di sangue andando incontro ad una sofferenza ischemica a volte non reversibile. Queste situazioni richiedono un intervento chirurgico in urgenza. Maggiormente soggette alla complicanza dello strozzamento sono le ernie crurali.
Che tipo di intervento chirurgico viene effettuato?
Le ernie della parete addominale posso essere riparate con un approccio tradizionale, per via laparotomica, oppure mediante la chirurgia laparoscopica. L’ernia inguinale monolaterale viene generalmente riparata mediante procedura tradizionale. L’intervento prevede una piccola incisione nella regione inguinale interessata dall’ernia, la ricollocazione del viscere erniato nella sua sede naturale, ovvero l’addome, e la riparazione del difetto erniario mediante l’apposizione di una rete in materiale sintetico (non riassorbibile o solo parzialmente riassorbibile) che serve a rinforzare la parete addominale nel punto in cui si era indebolita. L’ernia crurale, a seconda delle dimensioni del difetto erniario, può essere riparata per via diretta con dei punti di sutura oppure mediante l’apposizione di una rete appositamente sagomata “a tappo” che prende il nome di “plug”. Si tratta di un intervento ambulatoriale di day surgery, in anestesia generale o spinale, con esecuzione di blocchi nervosi selettivi nella sede operatoria che permettono un buon controllo del dolore post-chirurgico. L’intervento può essere eseguito anche in anestesia locale. Anche per le ernia ombelicale viene utilizzato un intervento di plastica protesica che prevede l’esecuzione di una piccola incisione peri-ombelicale.
Quando si procede per via laparascopica?
La plastica laparoscopica è indicata per le ernie inguinali bilaterali e le ernie recidive. Nel primo caso perché la chirurgia tradizionale (per via laparotomica) obbligherebbe ad effettuare due incisioni chirurgiche di dimensioni più grandi in entrambe le regioni inguinali con una ripresa post operatoria meno rapida oppure a procedere alla riparazione del difetto bilaterale attraverso due interventi chirurgici. La laparoscopia rappresenta un trattamento mininvasivo di accesso alla cavità addominale mediante tre piccole incisioni chirurgiche (1 cm e 0,5 cm) che permette la riparazione contemporanea del difetto erniario bilaterale con un minimo insulto alla parete addominale ed una più rapida ripresa post-operatoria. Nel caso delle ernie inguinali recidive la laparoscopia è indicata perché permette di procedere alla riparazione del difetto erniario tramite una via chirurgica che non è stata precedentemente percorsa e quindi con il rischio di minori complicanze. La plastica laparoscopica è un intervento in day hospital ed in anestesia generale che prevede il ricovero di una notte. La laparoscopia rappresenta anche l’approccio di scelta per la riparazione dei laparoceli, salvo nei casi in cui questi presentino voluminose dimensioni.
Dopo l’intervento quando il paziente può tornare alle normali attività quotidiane?
Si raccomanda al paziente di non fare sforzi fisici e di sollevare pesi per circa tre settimane dall’intervento chirurgico pur potendo condurre una vita attiva e dinamica.
La malattia di Alzheimer è ereditaria?

Il 21 settembre si celebra la Giornata mondiale dell’Alzheimer: con la neurologa Zaira Esposito facciamo il punto su una malattia che nella maggior parte dei casi non è ereditaria e sull’utilità di esami e test genetici per una diagnosi precoce
Il 21 settembre è la Giornata dedicata in tutto il mondo alla malattia di Alzheimer, una forma di demenza che secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce nel mondo tra i 21 e i 25 milioni di persone. Anche in Italia ha dimensioni rilevanti: secondo l’Istat circa 1 milione di italiani sono affetti da questa malattia e il numero dei nuovi casi è in crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione. L’Alzheimer è una patologia che “ruba” letteralmente la persona, privandola della memoria, della sua personalità e della sua autonomia. L’espressione “con il paziente si ammala tutta la famiglia” fotografa il quadro reale dell’impegno psicologico e fisico necessario per l’assistenza al congiunto colpito dalla malattia. Sui familiari oltre a gravare l’angoscia per il futuro del proprio caro (il decorso della malattia può durare svariati anni) aleggia anche la preoccupazione che la patologia, per cui non esiste cura risolutiva, possa essere ereditaria. Su questo tema facciamo chiarezza con la dottoressa Zaira Esposito, neurologa, responsabile del Centro decadimento cognitivo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria.
Chi sono i soggetti ad alto rischio di sviluppare la malattia?
I soggetti a maggior rischio sono gli anziani. L’età rappresenta il principale fattore di rischio non modificabile. La malattia colpisce in genere dopo i sessantacinque anni e, con l’ulteriore avanzare dell’età, la sua incidenza aumenta in modo esponenziale. Esistono tuttavia una serie di fattori di rischio modificabili che sono associati allo stile di vita e sui quali è possibile agire precocemente. Ciò ha ancora più valore se si considera che, nonostante la malattia si manifesti clinicamente in età senile, nella maggior parte dei casi i processi neurodegenerativi a livello cerebrale iniziano molti anni prima.
Quali sono i fattori di rischio modificabili?
I principali fattori di rischio modificabili sono la scarsa attività fisica o scarse attività di svago (fisiche, mentali, sociali), la bassa scolarità, il fumo, l’assunzione di alcol, la carenza di vitamine, il diabete, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, la perdita di udito in età matura, la depressione. Prevenire e/o curare tali patologie, partecipare ad attività culturali e di svago mantenendo allenati fisico e cervello, coltivare relazioni sociali evitando l’isolamento, adottare uno stile di vita sano potrebbe ridurre in modo significativo il rischio di ammalarsi grazie al consolidamento della “riserva cognitiva”. Consideriamo che nel nostro cervello il numero di neuroni è di gran lunga superiore a quello necessario allo svolgimento delle funzioni cerebrali. Queste cellule di riserva possono imparare a svolgere nuove funzioni sostituendo quelle che muoiono a causa della neurodegenerazione.
La malattia di Alzheimer ha origine genetica?
Solo in una minoranza di casi (non superiore al 5%), la malattia di Alzheimer ha un’origine genetica con esordio più frequente in età presenile (prima dei 60-65 anni). Nella maggior parte dei casi la malattia si presenta in forma sporadica, cioè senza ereditarietà tra le generazioni di una famiglia, ed ha un esordio dopo i 65 anni. Nel 60% delle forme ad esordio precoce la malattia compare in due o più persone appartenenti alla stessa famiglia; tali forme sono denominate familiari. Di queste solo il 13% è causato dalla presenza di una mutazione genetica ed è trasmesso con modalità autosomico dominante (ogni successore di un soggetto portatore della mutazione ha il 50% di probabilità di ereditarla) con alta penetranza.
Che differenza c’è tra genetica e familiarità?
La familiarità è quella condizione per cui più membri della stessa famiglia sono affetti da una malattia in quanto predisposti a causa di fattori genetici, ma anche perché esposti ai medesimi fattori ambientali. Oltre alle mutazioni genetiche responsabili delle forme a trasmissione mendeliana, esistono fattori genetici di suscettibilità, ovvero geni che regolano la probabilità di insorgenza di una malattia.
I nuovi radiofarmaci permettono con esami PET di diagnosticare eventuali depositi di beta-amiloide (la proteina che viene ritenuta responsabile della malattia) sulle cellule neuronali. Scientificamente ha senso che un familiare di un malato di Alzheimer si sottoponga a questi esami?
Secondo le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro Intersocietario Italiano per l’Utilizzo dell’Imaging di Amiloide nella Pratica Cinica, la PET amiloide non è indicata per individui asintomatici, anche in presenza di familiarità per demenza. Al momento attuale, l’utilizzo della PET amiloide in individui asintomatici o pazienti con disturbo cognitivo soggettivono in individui a rischio (ad esempio portatori di mutazioni genetiche o storia familiare), dovrebbe essere limitato all’ambito di ricerca
Cosa pensa di eventuali test genetici?
Ritengo che l’analisi genetica sia utile per la diagnosi precoce nei casi di malattia di Alzheimer ad esordio giovanile o di malattia di Alzheimer familiare, ma anche per identificare soggetti pre-sintomatici a rischio che potrebbero essere inseriti in sperimentazioni cliniche per valutare l’efficacia di nuovi farmaci. Tuttavia è fondamentale ottenere prima una storia dettagliata e accurata della famiglia, identificando le famiglie con storie coerenti con trasmissione mendeliana, piuttosto che famiglie con ereditarietà complessa. È inoltre essenziale effettuare tali indagini nel contesto di un counselling genetico che fornisca l’adeguato supporto psicologico, medico ed educazionale. Infatti le ripercussioni, a volte anche al di là dell’esito del test, possono essere profonde sia sul piano psicologico, che emotivo e relazionale.
Quali sono i sintomi che dovrebbero indurre un sospetto di Malattia di Alzhaimer?
All’esordio della malattia di Alzheimer la persona è autonoma, può continuare a lavorare, guidare e occuparsi delle proprie mansioni abituali, ma tende a compiere alcuni errori che dovrebbero rappresentare il “campanello d’allarme”. Generalmente i primi sintomi a comparire sono i disturbi di memoria: la persona dimentica eventi avvenuti di recente, gli appuntamenti, le incombenze come pagare le bollette, i numeri di telefono noti, la lista della spesa, la pentola sul fuoco, perde oggetti di uso comune talora incolpando gli altri se non trova qualcosa, tende a colmare le proprie lacune mnesiche con falsi ricordi. Altri sintomi comuni all’esordio della malattia sono la tendenza a perdere il “filo del discorso” oppure la capacità di pensare in modo astratto e i cambiamenti del carattere. Se le alterazioni comportamentali più gravi in genere si manifestano nelle fasi successive della malattia, all’esordio sono comuni modifiche caratteriali/comportamentali che possono presentarsi anche prima dei sintomi cognitivi. Ad esempio la persona può manifestare ansia o preoccupazione inusuale in occasione di situazioni che si discostano dalle abitudini, può ridurre le attività cui si interessava in passato, perdere l’iniziativa, chiudersi in se stessa, ridurre le relazioni sociali, presentare labilità emotiva, maggiore irascibilità e presentare comportamenti “irrispettosi”. E’ importante non sottovalutare tali aspetti soprattutto se rappresentano un cambiamento rispetto al passato e rivolgersi a un medico specialista.
Nella Photo Gallery: l’équipe del Centro di Decadimento Cognitivo
Da sinistra: dottor Paolo Spagnolli (geriatra), Anna Menegazzi (segretaria), dottoressa Zaira Esposito (neurologa), dottoressa Cristina Baroni (psicologa), dottoressa Paola Poiese (psicologa-psicoterapeuta), dottor Claudio Bianconi (direttore della Neurologia) e dottoressa Francesca Martinelli (assistente socialie)
Alla dottoressa Pertile il premio dei chirurghi europei della retina

Il direttore dell’Oculistica di Negrar è stato insignito dalla EVRS del premio “Reja Zivojnovic”, conferito annualmente ad uno specialista oftalmologo che a livello mondiale si è distinto nell’ambito della chirurgia vitrio-retinica
La dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, è stata insignita dalla Società Europea di Vitreo-Retina (EVRS) del premio “Reja Zivojnovic”, conferito annualmente ad uno specialista oftalmologo che a livello mondiale si è distinto nell’ambito della chirurgia vitrio-retinica. La cerimonia di consegna si è tenuta in occasione del congresso annuale dell’EVRS che ha avuto luogo a Praga dal 30 agosto al 2 settembre.
La dottoressa Pertile è la prima donna a ricevere questo prestigioso riconoscimento in 18 anni di vita del premio, dedicato a un pioniere della chirurgia vitreo-retinica, il dottor Zivojnovic, appunto. Al dottor Richard Spaide di New York è andato invece l’EVRS Award per i suoi studi sulla diagnostica delle patologie retiniche.
Cinquantadue anni, originaria di Asiago, dal 2003 è a capo dell’Oculistica di Negrar, dopo aver conseguito la specializzazione all’Università di Maastricht (Olanda) e aver lavorato dal 1999 al 2003 presso il Middelheim Hospital di Anversa (Belgio). Chirurgo di fama internazionale, fa parte dell’équipe per la realizzazione della retina artificiale fotovoltaica tutta “made in Italy”, progetto a cui partecipano il gruppo del professor Guglielmo Lanzani, fisico del Politecnico e direttore del Centro di nanoscienze e tecnologia dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) di Milano e quello del professor Fabio Benfenati, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e neurotecnologie dell’IIT di Genova (vedi articolo di approfondimento sul tema).
Sotto la sua guida, l’Oculistica del “Sacro Cuore Don Calabria” è diventata Centro di riferimento del Veneto per le malattie della retina e polo di attrazione da tutta Italia, con oltre il 60% dei pazienti con malattie retiniche provenienti da fuori regione.
Durante il congresso la dottoressa Pertile ha tenuto due relazioni.La prima relativa a 12 anni di esperienza dell’Oculistica di Negrar nel campo del trapianto autologo di coroide ed epitelio pigmentatoche viene effettuato in casi selezionati di degenerazione maculare senile che non possono beneficiare della terapia con iniezioni intraoculari. Si tratta di un intervento complesso che consiste nel trapianto di un lembo di coroide prelevato dalla periferia dello stesso occhio e posizionato al centro della retina, in modo da ripristinare l’apporto metabolico alla macula. Il trapianto autologo ha fornito inoltre importanti informazioni sulla possibilità di successo di un eventuale trapianto di epitelio proveniente dalla banca dei tessuti. L’altra relazione tenuta dalla dottoressa Pertile era incentrata sulle difficoltà tecniche della chirurgia nell’occhio affetto da miopia elevata e le strategie per superarle.
A Negrar il secondo incontro degli ospedali di don Calabria

Il 18 e 19 settembre il Sacro Cuore ospita i rappresentanti dei quattro nosocomi gestiti dall’Opera calabriana nel mondo: oltre all’ospedale della Valpolicella ci sono le strutture di Marituba (Brasile), Luanda (Angola) e Manila (Filippine).
Un’occasione per conoscersi e per creare sinergie al servizio degli ammalati e dei sofferenti in diverse parti del mondo, nel solco del Carisma di san Giovanni Calabria. E’ questo il significato del secondo incontro degli ospedali calabriani, in programma a Negrar martedì 18 e mercoledì 19 settembre e organizzato dall’Amministrazione Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.
All’evento partecipano i dirigenti delle quattro strutture sanitarie gestite dall’Opera Don Calabria in quattro diversi continenti: oltre al Sacro Cuore Don Calabria ci sono l’Hospital Divina Providência di Marituba (Brasile), l’Hospital Divina Providência di Luanda (Angola) e la Brother Francisco Perez Clinic di Manila (Filippine).
L’incontro si aprirà con un intervento del Superiore Generale dell’Opera, padre Miguel Tofful, sul tema del servizio agli ammalati così come voluto da don Giovanni Calabria. A seguire le varie strutture si confronteranno sui temi della formazione del personale, del rapporto con le istituzioni pubbliche nei Paesi di provenienza, delle rispettive sfide nel campo dell’assistenza sanitaria. L’obiettivo di fondo è quello di promuovere uno scambio di conoscenze e pratiche per sviluppare progetti di collaborazione. A tal proposito ci sarà uno spazio particolare per la presentazione del reparto di Malattie Infettive e Tropicali del Sacro Cuore, per il quale è stato dato il riconoscimento di IRCCS all’ospedale di Negrar. Un riconoscimento che apre nuove prospettive di sinergia con gli altri ospedali calabriani, tutti collocati in aree tropicali.
GLI OSPEDALI CALABRIANI: UN PO’ DI DATI
Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar: è un Ospedale classificato (cioè equiparato a un ospedale pubblico sebbene a gestione privata), presidio ospedaliero della Regione Veneto e non profit. Comprende 508 posti letto a cui se ne aggiungono 365 dell’area socio-sanitaria. E’ il quinto ospedale del Veneto per numero di ricoveri: nel 2017 sono stati effettuati 30.500 ricoveri e 1.340.000 prestazioni ambulatoriali. Comprende la gran parte delle specialità e in molti settori è un centro di riferimento di livello nazionale e internazionale.
Ospedale Divina Providencia di Marituba: è operativo dal 1997 a Marituba, centro abitato che fa parte dell’area metropolitana di Belem, città con un milione e mezzo di abitanti nella regione amazzonica. I posti letto sono 126, divisi tra i reparti di chirurgia, medicina, ostetricia, pediatria, terapia intensiva neonatale e terapia intensiva adulti. Nel 2017 i ricoveri sono stati 7.438, mentre sono state fornite oltre 90mila prestazioni ambulatoriali. L’HDP fa parte del “Sistema Único de Saúde” brasiliano, l’equivalente del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Marituba, che vive le contraddizioni e le difficoltà della periferia brasiliana, è diventata la sede di un centro di cure ospedaliere e di cura di media e alta complessità. È uno dei pochi ospedali al di fuori di Belem, con una reale possibilità di fornire servizi ospedalieri di elevata complessità. Da circa nove anni il Ministero della Salute gli ha assegnato il titolo di “Ospedale Amico del Bambino”, per il forte impegno del servizio pediatrico a promuovere e praticare l’allattamento al seno.
Ospedale Divina Providencia di Luanda: nasce nel 1994 come piccolo ambulatorio nella periferia della capitale angolana, dove durante la guerra civile conclusasi solo nel 2002, andavano ammassandosi migliaia di profughi provenienti dalle regioni interne del paese, teatro principale degli scontri. Oggi questa zona periferica è una delle più popolate di Luanda in cui si stima che risiedano oltre 2 milioni di persone.
L’ospedale funziona in una vera e propria rete sanitaria che comprende 5 centri di salute decentralizzati, situati nei quartieri periferici, dove viene offerta l’assistenza sanitaria di 1º livello. L’unità centrale riceve i pazienti più gravi trasferiti dai Centri o da altre strutture sanitarie. Qui l’assistenza offerta è di 2º livello, caratterizzata dalla presenza di personale medico specializzato, mezzi diagnostici e prestazioni polivalenti. Nello stesso spazio dell’ospedale esiste una struttura che ospita due servizi di trattamento dei pazienti con HIV/AIDS e TB, nonché un centro per la lotta alla malnutrizione infantile.
L’HDP è diventato il punto di riferimento per il trattamento di patologie più complesse: sono disponibili servizi di internamento di pediatria, medicina, infettivologia e malnutrizione. Vengono prestate anche visite specialistiche, tra le quali, stomatologia, pneumologia, endocrinologia, dermatologia, gastroenterologia, ginecologia, urologia e ortopedia. L’ospedale centrale ha 136 posti letto divisi tra medicina, malattie infettive, pediatria, centro nutrizionale terapeutico. Nel 2017 i ricoveri sono stati 5.492, mentre quasi 90mila le visite effettuate, a cui sono da aggiungere le prestazioni dei centri di salute (123.515 visite, 76.758 vaccini, 55945 esami di laboratorio, 40.329 prestazioni di vigilanza nutrizionale).
Brother Francisco Perez Clinic di Manila: è un poliambulatorio fondato nel 1994 dai Poveri Servi della Divina Provvidenza con il prezioso aiuto dell’U.M.M.I. (Unione Medico Missionaria Italiana). La clinica si trova alla periferia di Manila, accanto alla parrocchia e alla scuola gestite dall’Opera calabriana. L’obiettivo principale della BFPC è quello di garantire alla popolazione meno abbiente le cure primarie ma anche alcuni servizi specialistici a cui difficilmente avrebbero accesso. Il centro, poiché non prevede l’ospedalizzazione dei pazienti, funziona dal mattino fino a tardo pomeriggio dal lunedì al sabato. I servizi forniti includono visite mediche e dentistiche, radiografie, ecografie, esami di laboratorio, la profilassi per la cura della tubercolosi e un dispensario farmaceutico. Nel corso del 2017 i pazienti ricevuti sono stati 15.195, con 13.575 visite effettuate nelle varie specialità presenti.
La chirurgia nelle malattie infiammatorie croniche dell'intestino

Grazie all’approccio mininvasivo e a tecniche ricostruttive, la chirurgia per la malattia di Crohn e la colite ulcerosa non fa più paura. Un congresso internazionale organizzato dal gruppo multispecialistico MICI di Negrar
La chirurgia non è più l’estrema opzione terapeutica nel trattamento delle patologie infiammatorie croniche dell’intestino (malattia di Crohn e Colite ulcerosa), ma una delle opzioni nel percorso di cura che hanno come obiettivo, assieme ai farmaci biologici di ultima generazione, di garantire la qualità di vita del paziente. Questo grazie a un approccio sempre meno invasivo e all’affinamento di tecniche ricostruttive che, come nel caso della Colite ulcerosa, consentono al paziente di condurre una vita normale anche dopo l’asportazione del colon e del retto.
Proprio la “Strategia chirurgica nell’era dei farmaci biologici” è il tema al centro del Focus On IBD 2018 che si terrà venerdì 14 settembre (dalle ore 9) all’hotel Leon D’Oro di Verona. L’appuntamento sulle Inflammatory Bowel Disease (in italiano MICI, Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino), giunto alla seconda edizione, è organizzato dai dottori Andrea Geccherle, Giacomo Ruffo, Paolo Bocus e dal professor Giuseppe Zamboni del gruppo multidisciplinare dell’IRCCS-Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (programma allegato)). Evidenze scientifiche, infatti, hanno dimostrato che la presa in carico del paziente da un team composto da gastroenterologi, endoscopisti, chirurghi e anatomopatologi consente risultati maggiori nella cura di patologie di cui in Italia sono affette circa 150mila persone (12.300 nel Veneto e oltre 3mila nell’Ulss 9 Scaligera). Il Centro per le Malattie infiammatorie croniche dell’intestino del “Sacro Cuore”, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle, segue circa 1.300 pazienti con 300 nuove visite all’anno.
Al Congresso internazionale sarà presentata un’esperienza di multidisciplinarietà allargata al personale infermieristico da parte del St. Mark’s Hospital di Londra. Ospedale dove 40 anni fa è stata effettuata la prima Pouch, cioè la ricostruzione dell’invaso del retto in pazienti con colite ulcerosa sottoposti a proctolectomia, cioè all’asportazione dell’ultimo tratto dell’intestino e/o del colon. L’intervento, grazie al quale viene evitata una stomia permanente viene effettuato in laparoscopia dalla Chirurgia generale di Negrar, diretta dal dottor Giacomo Ruffo.
Il ricorso alla chirurgia per i pazienti affetti da MICI è una complicanza frequente dovuta alle conseguenze dell’infiammazione (di origine autoimmune) che provoca ulcere e fistole intestinali. Si stima che circa il 70% delle persone colpite dal morbo di Crohn sia sottoposto nella vita ad almeno un intervento; il 20% per coloro che soffrono di Colite ulcerosa. “In particolare per il morbo di Crohn deve essere pianificata una strategia chirurgica al fine di evitare resezioni plurime dell’intestino che potrebbero sfociare nella complicanza del cosiddetto intestino corto, cioè la mancanza di tratti estesi dell’intestino deputati all’assorbimento di elementi nutrizionali fondamentali”, spiegano gli organizzatori.
Il ricorso alla chirurgia per la gran parte dei pazienti con morbo di Crohn è dovuto agli ascessi o alla fistole perianali, infezioni invalidanti a partenza dalla parete dell’ano-retto, che guadagnano i tessuti circostanti e tendono pian piano a farsi strada verso la cute perianale. La sessione conclusiva del congresso sarà dedicata alle ultime tecniche di trattamento di queste complicanze (tra cui l’utilizzo di cellule staminali). La chirurgia della malattia perianale è una peculiarità del Centro di Negrar che dispone di équipe specializzate sia in interventi ambulatoriali sia in sala operatoria.
Comitato Italiano Paralimpico e "Sacro Cuore" insieme per lo sport senza barriere

Viene ufficializzato oggi a Negrar un accordo tra il Dipartimento di Riabilitazione del “Sacro Cuore” e il Comitato Italiano Paralimpico per favorire la pratica di sport a livello anche agonistico tra i pazienti con disabilità motoria acquisita
L’esempio più eclatante è quello di Bebe Vio, che a causa di una meningite fulminante ha perso molte delle proprie funzionalità motorie, ma non si è arresa e ha trovato nello Fioretto una grande occasione di rinascita, fino a diventare un simbolo di tutto lo sport italiano. Di storie come la sua ce ne sono tante, magari meno note ma ugualmente straordinarie. Come quella di Federico Falco, costretto su una sedia a rotelle a seguito di un incidente, ricoverato per lungo tempo presso la il Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria e oggi nazionale di tennistavolo paralimpico, pronto per partecipare alle olimpiadi di Tokyo 2020.
Altre storie come queste potrebbero nascere grazie ad una nuova convenzione tra ospedale di Negrar e il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), per promuovere lo sport tra i pazienti che hanno acquisito una disabilità motoria in seguito ad un trauma e sono ricoverati nel reparto di Riabilitazione del nosocomio della Valpolicella. L’accordo sarà ufficializzato oggi al “Sacro Cuore Don Calabria”, in concomitanza con una gara di orienteering organizzata all’interno dell’ospedale per i pazienti dell’Unità Spinale. Sarà presente anche il vicepresidente del CIP Veneto, Giovanni Izzo.
La convenzione prevede che il CIP metta i propri tecnici a disposizione dei pazienti della Riabilitazione interessati a intraprendere uno sport paralimpico, offrendo loro una consulenza e, quando necessario, anche la strumentazione necessaria alla pratica scelta. I destinatari sono in particolare i pazienti adulti con patologie neurologiche (mielolesioni, gravi cerebrolesioni acquisite, malattie cerebrovascolari) in carico presso il “Sacro Cuore Don Calabria”.
L’idea alla base dell’iniziativa è che lo sport, praticato a livello amatoriale o agonistico, offra un grande supporto alla riabilitazione delle persone con una disabilità motoria acquisita, contribuendo al mantenimento dello stato di salute e alla prevenzione di ulteriori problemi. “All’interno del nostro reparto proponiamo già da tempo appuntamenti settimanali con la pratica sportiva amatoriale e collaboriamo già con molte società del territorio che fanno parte della Federazione Sport Paralimpici, come basket, tennistavolo, nuoto, tiro con l’arco e altri – spiega il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di Riabilitazione – ora con questa convenzione pensiamo di proporre, naturalmente solo per chi lo desidera, un avvio ad un’attività anche agonistica con tecnici e strumenti adeguati”.
Proprio la gara di orienteering in programma oggi alle ore 14 nel giardino dell’ospedale (ritrovo ore 13) rappresenta la conclusione delle attività extraospedaliere, in particolare sportive, praticate durante l’anno dai pazienti dell’Unità Spinale, diretta dal dottor Giuseppe Armani. Durante l’evento gli utenti in carrozzina saranno impegnati su un percorso disegnato appositamente all’interno dell’ospedale. La gara si svolgerà su 15 punti distribuiti tra spazi comuni interni e parco esterno del nosocomio. La partecipazione sarà a coppie, in quanto ogni utente sarà affiancato da un volontario, anch’egli in carrozzina, del Galm Verona (Gruppo di Animazione dei Lesionati Midollari), associazione che da molti anni collabora con l’Ospedale e che, proprio all’interno del Servizio di Riabilitazione, ha uno sportello settimanale con presenza del suo presidente, Aldo Orlandi. Con questa presenza ed altre iniziative si occupa di dare supporto a coloro che sono affetti da lesione al midollo spinale a Verona e provincia.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Avviso di selezione per medici infettivologi

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria indice una selezione riservata a medici specialisti in malattie infettive o titoli affini per attività di ricerca clinica presso il Dipartimento di malattie infettive e tropicali
È indetta una selezione, per titoli ed eventuale colloquio, finalizzata alla stipulazione di n. 4 contratti di prestazione d’opera, ai sensi degli artt. 2222 e segg. del codice civile, sotto forma di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, riservato a medici specialisti in malattie infettive o titolo affine e finalizzato all’espletamento di attività clinica e di ricerca e presso il Dipartimento di Malattie infettive etropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria, nell’ambito del Progetto “Miglioramentodell’approccio diagnostico e della gestione delle NTDs in area endemica e non”.
In allegato (link) l’avviso di selezione con la modalità e i termini di presentazione della domanda (ENTRO IL 15 SETTEMBRE 2018). Per maggiori informazioni di carattere tecnico contattare il professor Zeno Bisoffi (zeno.bisoffi@sacrocuore.it, tel. 0456013326) o la dottoressa Dora Buonfrate (dora.buonfrate@sacrocuore.it, tel. 0456013326)