Nell'alternanza scuola-lavoro s'impara a salvare vite

Gli istruttori del Centro di Formazione IRC dell’Ospedale hanno formato 24 ragazzi di un liceo cittadino che a loro volta sono andati nelle scuole e nei grest ad insegnare le manovre di rianimazione cardipolmonare
L’ultimo appuntamento di questo inizio d’estate sarà domani, lunedì 18 giugno, al Grest della parrocchia di San Zeno, lo storico rione veronese. Gli istruttori del Centro di Formazione IRC (Italian Resuscitation Council) dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria faranno però solo da supervisori: ad insegnare le manovre di rianimazione cardiopolmonare ai ragazzini di quinta elementare e della prima e seconda media ci penseranno ventiquattro ragazzidella terza classe del Liceo Fracastoro che, nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, hanno ottenuto il brevetto di istruttori non sanitari di BLSD. Un acronimo che significa Basic Life Support and Defibrillation e indica quelle manovre salvavita, compreso l’uso del defibrillatore automatico, che se vengono attuate prontamente in caso di arresto cardiaco salvano appunto la vita.
I giovani istruttori non saranno alla loro prima esperienza: hanno già insegnato come si attua correttamente un massaggio cardiaco a un centinaio di studenti della scuola media di Parona e a cinquanta dell’Istituto comprensivo Pertini del Salval. Poi si sono recati nella parrocchia di Santa Maria Regina, in via Pancaldo, per “istruire” un centinaio di animatori del Grest, ragazzi che andavano dalla prima alla quarta superiore. Adesso è la volta del Grest di San Zeno.
Il progetto di alternanza scuola-lavoro in un ambito così particolare s’inserisce in un’iniziativa più ampia, promossa dalla campagna europea “Kids save live” (patrocinata dall’OMS) e che da anni è portata avanti in Italia all’IRC. “Il nostro intento è quello di introdurre l’insegnamento della rianimazione cardio-polmonare nei programmi scolastici delle scuole italiane – spiega il dottor Marco Boni, responsabile del Centro IRC di Negrar -. La letteratura medica spinge con forza a divulgare la cultura della rianimazione tra i ragazzi delle medie e delle superiori, per addestrare il maggior numero di persone a soccorrere le vittime dell’arresto cardiaco approntando le manovre rianimatorie di base nei primi attimi dell’evento”.
In Danimarca i corsi BLSD sono stati introdotti nelle scuole già nel 2001. Questo ha fatto sì che in dieci anni le rianimazioni con esisti positivi effettuate da testimoni dell’arresto cardiaco siano passate da una percentuale del 21,1% al 44,9%, triplicando così la sopravvivenza di tali pazienti (dal 2,9% al 10,2%). In Italia la percentuale di soccorso da parte di persone presenti sul luogo dell’evento è del 15%, nonostante il 70% degli arresti cardiaci avvenga in presenza di qualcuno. “L’arco di tempo per scongiurare il decesso o esiti altamente invalidanti provocati dall’arresto cardiaco è di tre o quattro minuti. Difficilmente l’ambulanza può giungere sul posto così velocemente”, sottolinea il dottor Boni.
Il progetto proposto al liceo Fracastoro prevedeva due step. Il primo finalizzato al conseguimento della certificazione ufficiale di un corso BLSD organizzato da istruttori IRC con il superamento di un test teorico finale e una prova pratica di rianimazione su manichino. Il secondo era rivolto ai ragazzi che in possesso dei requisiti minimi e sufficientemente motivati avessero voluto proseguire per diventare istruttori. Il perfezionamento del percorso di istruttori è proseguito con due affinacamenti a istruttori esperti in corsi ufficiali IRC per poi iniziare autonomamente ad istruire nelle scuole e nelle altre sedi. La durata dell’intero percorso per l’anno scolastico appena concluso era di 30 ore obbligatorie; altre 20 opzionali equamente divise per il prossimo anno scolastico e quello successivo.
Parte la causa di beatificazione di don Luigi Pedrollo

Domenica 17 giugno con una S. Messa a San Zeno in Monte si aprirà ufficialmente la fase diocesana dell’inchiesta per portare agli altari il primo successore di san Giovanni Calabria che ebbe un ruolo importante anche nello sviluppo del “Sacro Cuore”
Si apre ufficialmente la fase diocesana della causa di beatificazione di don Luigi Pedrollo, che fu per oltre 40 anni il più stretto collaboratore di don Calabria e dopo la sua morte ne raccolse il testimone alla guida dell’Opera da lui fondata. La cerimonia di apertura è prevista per la mattinata di venerdì 15 giugno in curia a Verona, alla presenza del vescovo mons. Giuseppe Zenti, del Superiore generale dell’Opera padre Miguel Tofful e dei membri designati dal vescovo per far parte del Tribunale diocesano.
L’apertura pubblica della causa avverrà invece domenica 17 giugno alle 10,30 con una S. Messa presieduta dal vescovo a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera.
Don Pedrollo fu chiamato a guidare l’Opera subito dopo la morte del fondatore, avvenuta nel dicembre 1954. Proprio sotto la sua guida venne costruito l’ospedale geriatrico dedicato a don Calabria. La prima pietra del geriatrico venne posta il 17 giugno 1955 dopo che il Consiglio generale presieduto da don Pedrollo diede l’approvazione definitiva. Negli anni successivi il primo successore di don Calabria seguì da vicino i progressi nei lavori a Negrar (vedi foto 1), fino all’inaugurazione avvenuta il 12 settembre 1958 con la benedizione dell’allora vescovo di Verona mons. Giovanni Urbani.
Negli anni trascorsi da Superiore generale, fino al 1967, don Pedrollo dimostrò grande carisma e capacità organizzativa. In particolare fu lui ad aprire l’Opera alle missioni, nel 1959, realizzando un antico sogno di don Calabria. Fu sempre lui, inoltre, a dare nuovo impulso all’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana), ente di cooperazione internazionale che ha tuttora la sede nella Cittadella della Carità (vedi foto 2).
“È una grande gioia l’apertura di questa causa – dice padre Miguel Tofful, Superiore generale della Congregazione calabriana – don Luigi Pedrollo ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita e poi nella continuazione dell’Opera. Ha incarnato la figura del prete “apostolico” così come l’aveva concepita don Calabria: umile, attento ai poveri, innamorato del Vangelo e con una fiducia incrollabile nella Provvidenza”.
La fase diocesana della causa di beatificazione prevede che i membri del tribunale designati dal vescovo, in questo caso guidati da don Tiziano Bonomi, prendano in esame i documenti scritti da don Pedrollo e ascoltino le testimonianze di chi lo ha conosciuto, così da verificare se abbia esercitato in modo eminente le virtù teologali e cardinali. Se alla fine il responsabile incaricato dal vescovo darà parere favorevole, tutto il materiale passerà a Roma all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi. Se anche qui il parere sarà favorevole, il Papa potrà decidere che il Servo di Dio venga dichiarato Venerabile. A quel punto ci sarà la fase più delicata, in quanto per la beatificazione dovrà essere riconosciuto un evento miracoloso, come una guarigione inspiegabile, attribuibile all’intercessione del Venerabile.
TARE: la radioterapia intraepatica per la cura del tumore al fegato

Sfere radioattive somministrate direttamente nella lesione provocano la necrosi del tumore: al “Sacro Cuore” è stata creata un’équipe multidisciplinare per una procedura complessa, che necessita di dotazioni tecnologiche sofisticate di Medicina Nucleare
Tra i trattamenti loco-regionali per il tumore al fegato, la metodica più recente è la TARE (Trans-Arterial Radio-Embolization o radioembolizzazione epatica). Si tratta di una radioterapia intraepatica attuata attraverso la somministrazione direttamente nella lesione tumorale di microsfere insolubili di vetro addizionate con il radioisotopo Ittrio 90. Le microsfere emanano radiazioni Beta che provocano la necrosi delle cellule neoplastiche e quindi la distruzione del tumore.
Al “Sacro Cuore” un’équipe specializzata
La TARE è un procedura molto complessa, anche nella fase di preparazione, attuata solo in pochi centri italiani che dispongono di apparecchiature sofisticate di Medicina Nucleare (PET, Scintigrafia con TC e Scintigrafia Total Body) e di sale di Emodinamica autorizzate ad ospitare procedure con radiofarmaci. Richiede inoltre un’équipe multispecialistica che al “Sacro Cuore Don Calabria” è formata dal gastroenterologo-epatologo Alberto Masotto, dall’oncologo Alessandro Inno, dagli angiodinamisti Giuseppe Taddei e Eugenio Oliboni, dai medici nucleari Matteo Salgarello e Joniada Doraku, dai fisici medici Fabrizia Severi e Stefano Pasetto e, per i tumori neuroendocrini, dal chirurgo Letizia Boninsegna. Finora sono stati sottoposti a TARE, una trentina di pazienti, cinque dei quali affetti da metastasi originate da tumori neuroendocrini.
Per quali pazienti è indicataLa TARE
La TARE è indicata soprattutto nei casi selezionati, in base a linee guida internazionali, di tumore primitivo epatico (epatocarcinoma), in pazienti con trombosi portale (per cui non è possibile procedere con la chemioembolizzazione-TACE) o in pazienti sottoposti ad altri trattamenti loco-regionali dai quali non si sono avuti risultati positivi. Prima dell’introduzione della TARE, l’unica terapia possibile per questi pazienti era quella farmacologica con Sorafenib, la cui efficacia, in termini di sopravvivenza media è minore rispetto a quella registrata grazie alla TARE. Inoltre la TARE può essere utilizzata per i Colangiocarcinomi, tumori epatici che originano dalle cellule biliari, non operabili, e per le metastasi epatiche vascolarizzate non responsive alla chemioterapia e non operabili. Per quanto riguarda i tumori neuroendocrini, non tutti i pazienti possono accedere alla TARE, ma solo coloro che presentano metastasi epatiche ipervascolarizzate di dimensioni medio-grandi e possono avere beneficio da un trattamento localizzato sul fegato.
La TARE si attua in due fasi
Prima fase: la “mappatura”
Il paziente viene sottoposto all’interno delle sale di Emodinamica ad angiografia epatica, un procedimento intrarterioso, con accesso dall’arteria femorale e da questa al fegato tramite l’arteria epatica. Grazie a un microcatetare viene iniettato un mezzo di contrasto che ha lo scopo soprattutto di mettere in evidenza eventuali shunt epato-gastrici o epato-polmonari, cioè vasi che portano sangue dal fegato allo stomaco o dal fegato ai polmoni. In caso di presenza di shunt epato-gastrici, i vasi devono essere chiusi tramite delle spirali, per impedire che il radiofarmaco giunga allo stomaco provocando un’ulcera gastrica emorragica. In caso di shunt polmonari, invece, è fondamentale che il trattamento con TARE rimanga al di sotto di un determinato dosaggio di radiazioni per non provocare una polmonite attinica. L’esame con cui viene verificata la chiusura degli shunt intestinali o la presenza di quelli polmonari è la Scintigrafia Total Body con TC tramite l’infusione di Tecnezio 99. Eseguito questo esame, dalla Medicina Nucleare il paziente ritorna in Emodinamica dove viene “fotografata” l’esatta posizione del catetere, che sarà rispettata al momento dell’infusione del radiofarmaco. Il paziente viene poi dimesso e richiamato in ospedale dopo due settimane. Nel frattempo viene calcolata la dose del radiofarmaco. Poiché le microsfere addizionate con Ittrio 90 giungono a Negrar dal Canada, dove il radioisotopo viene prodotto da una centrale atomica, la dose importata deve tener conto del decadimento delle radiazione emesse dal radiofarmaco che intercorre dal momento della produzione fino a quello della somministrazione,
Seconda fase: infusione del radiofarmaco
L’infusione delle microsfere direttamente nelle lesione tumorale avviene sempre, tramite catetere, per via intrarteriosa. Effettuata la procedura di infusione, dalla sala di Emodinamica il paziente viene portato poi in Medicina Nucleare per essere sottoposto a PET al fine di verificare se il radiofarmaco ha raggiunto in modo corretto l’area tumorale. Il ricovero dopo il trattamento (due-tre giorni) non richiede isolamento, perché il radiofarmaco emana radiazioni che hanno una penetrazione tessutale di 2,5 millimetri, quindi non escono dal corpo del paziente stesso.
Effetti collaterali
La TARE non comporta particolari effetti collaterali, se non una sindrome di astenia che perdura per alcuni giorni ed è sopportata facilmente dal paziente.
Nella foto: da sinistra la dottoressa Joniada Doraku (medico nucleare), il dottor Stefano Pasetto (fisico medico), il dottor Alberto Masotto (epatologo), la dottoressa Letizia Boninsegna (chirurgo), il dottor Matteo Salgarello (medico nucleare), il dottor Giuseppe Taddei (angiodinamista), la dottoressa Fabrizia Severi (fisico medico) e il dottor Maurizio Corso (coordinatore del Servizio di Emodinamica)
Endometriosi profonda: quei segnali svelati dall'ecografia transvaginale

Si tiene al “Sacro Cuore Don Calabria”, la seconda edizione del corso avanzato di Diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica per fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente la malattia
Se l’evoluzione in senso bi e tridimensionale dell’ecografia trasvaginale ha rivoluzionato la diagnostica dell’endometriosi profonda, a fare la differenza è ancora l’occhio attento dello specialista. A lui spetta il compito, aiutato dalla tecnica, di saper scorgere i “campanelli d’allarme” di un endometrio (la cui sede naturale è l’utero) infiltrato in organi come le ovaie, le tube, l’intestino, l’apparato urinario e perfino i nervi che hanno origine nella parte terminale della colonna vertebrale. Condizione che se protratta nel tempo richiede trattamenti chirurgici demolitivi, al fine di migliorare la qualità di vita della paziente, compromessa da anni di dolori invalidanti dovuti all’improprio sfaldamento del tessuto endometriale dentro l’addome e la pelvi durante le mestruazioni.
Proprio la corretta diagnostica ecografica di una malattia, che colpisce solo in Italia 3 milioni di donne, è al centro della seconda edizione del corso avanzato che si tiene venerdì 12 ottobre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. La giornata di studio è organizzata dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, O.U.C. Ostetricia e Ginecologia-International School of Surgical Anatomy , di Negrar, e dal dottor Luca Savelli del Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.
Anche quest’anno il programma prevede gli interventi degli specialisti, seguiti da collegamenti in diretta con gli ambulatori di ecografia e con le sale operatorie, per favorire la correlazione tra gli aspetti ecografici e anatomici degli stessi casi. Tra i relatori anche la professoressa Lil Valentin, della Malmo University (Svezia), una delle più grandi ricercatrici mondiali nel campo dell’ecografia per la diagnosi di endometriosi ed oncologica (vedi programma).
“Il nostro obiettivo è quello di fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente l’endometriosi profonda – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si tratta di una malattia complessa che molto spesso si ‘svela’ solo se si va oltre a una falsa apparenza di normalità dei tessuti. Se non fosse così, le stime non direbbero che trascorrono in media sette anni dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi. In mezzo giorni e giorni di sofferenza, fertilità spesso compromessa e spese enormi per il servizio sanitario nazionale a causa di esami strumentali inutili, quando è sufficiente un’ecografia trasvaginale. Il nostro centro dispone della più alta casistica internazionale di interventi per endometriosi severa (1.500 all’anno) e il 70% delle pazienti che giungono da noi hanno avuto una diagnosi sbagliata o sono state considerate sane”.
Per migliorare la diagnostica dell’endometriosi, l’ospedale di Negrar ha acquisito un nuovo software (“Fly-Thru”) che, tramite l’elaborazione di immagini ottenute mediante l’ecografia 3D, consente la ricostruzione virtuale della cavità uterina senza ricorrere ad esami invasivi come l’isteroscopia. Tramite questa tecnica è possibile studiare anche il volume delle tube, la cui riduzione o aumento può essere un segnale di malattia endometrica.
Durante il corso verrà illustrata metodica dello studio ecografico per endometriosi con riferimento ai segni ecografici certi e ai cosi detti “soft markers” – segni sospetti per la presenza di endometriosi. Questi segni di endometriosi ovarica, profonda e peritoneale possono essere valutati secondo lo schema IDEA – proposto nello studio multicentrico internazionale nel quale è coinvolto anche il Dipartimento diretto dal dottor Ceccaroni – che studia il ruolo dell’ecografia nella diagnosi dell’endometriosi e nella sua stadiazione ecografica.
Metastasi spinali: il "Sacro Cuore" ospedale pilota in Europa con un'innovativa radioterapia

Inaugurato ufficialmente un nuovo sistema di radioterapia dedicato alle metastasi della colonna vertebrale che ha l’obiettivo non solo di ridurre il dolore, ma di eliminare le lesioni quindi di incidere sulla sopravvivenza del paziente
In occasione della Festa patronale del Sacro Cuore, che si celebra oggi, è stato inaugurato ufficialmente all’ospedale di Negrar un innovativo sistema di Radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale, utilizzato per la prima volta in Europa nell’aprile scorso proprio dalla Radioterapia Oncologica del Sacro Cuore, diretta dal professor Filippo Alongi.
Alla presentazione sono intervenuti il presidente dell’ospedale calabriano, fratel Gedovar Nazzari, l’amministratore delegato, dottor Mario Piccinini, il direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, e naturalmente il professor Alongi che ha illustrato il valore aggiunto di questo nuova terapia a cui sono già stati sottoposti dieci pazienti. Più tardi anche l’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, ha voluto rendersi conto di persona della nuova opportunità per molti pazienti con tumore avanzato.(nella video Gallery le interviste e nella PhotoGallery alcune immagini della mattinata).
Novalis-Elements Spine SRSL
L’innovativo trattamento si basa su un software – Novalis-Elements Spine SRS – integrato all’acceleratore lineare TrueBeam. Il sistema è in grado di ricostruire l’anatomia della vertebra colpita dalla lesione tumorale fondendo le immagini di TAC e Risonanza Magnetica, e quando è necessario anche quelle della PET. Ma la vera particolarità di questo software è che esso individua con precisione millimetrica il segmento malato della vertebra e la regione vertebrale dove potrebbe propagarsi la malattia, (comparti ossei della vertebra), procedimento che prima veniva realizzato “manualmente” dal medico specialista in Radioterapia. In altre parole Novalis-Elements Spine SRS amplia informaticamente le competenze dello specialista migliorando l’accuratezza del trattamento, in modo tale da permettere di concentrare sul target tumorale un’alta dose di radiazioni, senza interessare il midollo spinale, situato a pochi millimetri dalla metastasi. Una differenza sostanziale rispetto alla radioterapia tradizionale, che non consentendo una tale precisione si limita a un trattamento palliativo, cioè all’irradiazione a basse dosi dell’intera vertebra per prevenire (o ridurre) il sintomo dolore e la frattura vertebrale che potrebbe causare la metastasi e non per eliminare la lesione tumorale. L’irradiazione a basse dosi è necessaria per non danneggiare il midollo spinale e quindi non compromettere le terminazioni nervose che regolano la mobilità degli arti. Con il nuovo software la radioterapia diventa radiochirurgia, comportandosi come il bisturi del chirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva, senza richiedere nessuna forma di sedazione.
Cosa sono le metastasi alla colonna vertebrale
Le metastasi sono gruppi di cellule maligne che si staccano dal tumore originario e vanno, attraverso il sangue e le vie linfatiche, a collocarsi in organi diversi da quello dove si è formato il cancro. Le metastasi, nella maggior parte dei casi, sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del tumore che inizialmente è localizzato, cioè limitato all’organo dove si è formato. Un terzo dei pazienti nel corso della malattia metastatica presenta un coinvolgimento osseo, il 70% dei quali a livello della colonna vertebrale. In particolare le donne colpite da cancro alla mammella e gli uomini affetti da neoplasia prostatica. Dolore e cedimento vertebrale sono i maggiori sintomi, molto spesso invalidanti.
Per chi è indicato il trattamento
Il trattamento è riservato a pazienti selezionati, in buone condizioni generali e affetti al massimo da cinque metastasi (non necessariamente tutte collocate alla colonna) derivanti da un tumore primitivo già curato chirurgicamente e/o farmacologicamente.
Efficacia e risposta del trattamento
L’efficacia sintomatologica, cioè la remissione del sintomo dolore, può avvenire nell’immediato o dopo alcune settimane dalla fine del trattamento. Per quanto riguarda la risposta visualizzabile dalle immagini, si può valutare ripetendo una Risonanza Magnetica o una Pet a partire da 45/60 giorni dalla conclusione della terapia. I risultati dei primi trattamenti saranno presentati dal professor Alongi nel corso della Conferenza europea di Radiochirurgia che si terrà a settembre a Monaco di Baviera.
Il primo paziente
Ad applicare per prima in Europa l’innovativo trattamento è stata la Radioterapia Oncologica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal professor Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia. Il primo paziente è un uomo con tumore alla prostata già trattato chirurgicamente e con in corso la terapia ormonale. Presentava una sola metastasi a livello lombare che è stata trattata con il nuovo sistema senza effetti collaterali.
La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria”
La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria” tratta ogni anno un migliaio di pazienti, il 20% dei quali proviene da altre regioni, in particolare dalle regioni centro-meridionali, ma anche dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, realtà sanitarie qualificate. Si avvale di tre acceleratori lineari, tra cui il Truebeam, che consente l’applicazione di trattamenti ipofrazionati (con durata minore) irradiando alla massima intensità il tumore e risparmiando al tempo stesso i tessuti sani limitrofi. E’ stata la prima al mondo ad utilizzare un’innovativa tecnica di radiochirurgia (HyperArc) che consente di trattare contemporaneamente più metastasi cerebrali in soli dieci minuti. La Radioterapia Oncologica di Negrar è sede della scuola di Specializzazione in Radioterapia dell’Università di Brescia dove il direttore Alongi insegna come professore associato.
Dall'alcol alle sfere radioattive: i trattamenti locali del tumore epatico

L’Epatologia interventistica dispone di diversi trattamenti realizzati direttamente sull’organo malato, che vengono scelti a seconda delle condizioni del paziente e del numero/grandezza dei noduli tumorali
L’epatocarcinoma (HCC) è il tumore maligno più frequente del fegato, con un’incidenza nel mondo di 750mila nuovi casi all’anno. Solo in Italia nel 2017 sono stati registrati 13mila nuovi pazienti.
Per l’epatocarcinoma la medicina dispone di opzioni terapeutiche basate su procedure loco-regionali che hanno lo scopo, impiegate anche in modo combinato, di cronicizzare la malattia e aumentare la sopravvivenza che a cinque anni è ancora solo del 20%. Infatti l’epatocarcinoma è un tumore ad alta percentuale di recidiva. Da qui l’importanza del vaccino che si sta sperimentando anche al Sacro Cuore Don Calabria (vedi articolo).
Cause dell’epatocarcinoma
Il 70% di questi tumori è riconducibile a fattori di rischio noti e tra questi i più frequenti sono l’infezione da virus dell’epatite C, da virus dell’epatite B (per cui esiste il vaccino) e da abuso di sostanze alcoliche. Si stima che il 95% dei casi di epatocarcinoma deriva da complicanze della cirrosi epatica dovuta principalmente all’alcol, anche se stanno aumentando i tumori primitivi del fegato per steatosi (il cosiddetto fegato grasso) e per diabete.
I trattamenti loco-regionali
L’epatocarcinoma è raramente una malattia tumorale sistemica, presenta cioè localizzazioni extraepatiche solo in piccola percentuale di casi, inoltre non è responsiva alla chemioterapia. Ottimi risultati in termini di sopravvivenza si hanno con il trapianto epatico (nel 6% dei casi) e in buona percentuale con la resezione chirurgica del tumore (possibile solo nel 10-20% dei casi), ma quando il trapianto e la chirurgia non sono attuabili per il grado di malattia o per la condizione e l’età del paziente, vengono utilizzati i trattamenti loco- regionali .
L’Epatologia interventistica ha a disposizione le seguenti terapie loco-regionali che si dividono in:
1. Percutanee
a) PEI (Percutaneous Ethanol Injection o Alcolizzazione Epatica)
b) RFTA (Radiofrequency Thermal Ablation o termoablazione) con onde a radiofrequenza o a microonde
2. Intrarteriose
a) TACE (Transcatheter Arterial Chemoembolization o chemioembolizzazione epatica)
b) TARE (Trans Arterial Radio Embolization o radioembolizzazione epatica)
“Per il trattamento loco-regionale del tumore al fegato, l’epatologo, coadiuvato da un’équipe multidisciplinare, è una sorta di sarto che cuce l’abito su misura: la decisione terapeutica di impiegare quello o l’altro trattamento, oppure entrambi, è dettata da molti fattori come le condizioni del paziente, la dimensione e la localizzazione sul fegato del nodulo tumorale, o dei noduli, da eliminare”, afferma il dottor Alberto Masotto, responsabile della Struttura semplice di Epatologia interventistica della Gastroenterologia del Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Paolo Bocus. “L’obiettivo è quello di aumentare la sopravvivenza del paziente, intervenendo con tutte le armi terapeutiche a nostra disposizione affrontando il tumore come una malattia cronica”.
Alcolizzazione Epatica (PEI)
E’ una tecnica che consiste nell’iniezione percutanea di etanolo direttamente nel nodulo tumorale. Non richiede ospedalizzazione e viene eseguita in anestesia locale. Il numero delle sedute e la quantità totale di alcol iniettata varia in base alle dimensioni e alle caratteristiche della lesione e dalla compliance del paziente (capacità di sopportare la metodica). La PEI è indicata nella fase precoce o molto precoce della malattia, in pazienti non trattabili chirurgicamente (trapianto o resezione epatica) o con termoablazione. E’ efficace in presenza di un nodulo di al massimo 3 centimetri o 3 noduli inferiori ai 3 cm.
Termoablazione (RFTA)
Per ottenere la necrosi del nodulo tumorale, il trattamento sfrutta il calore provocato da onde a radiofrequenza (RF) o microonde. Al “Sacro Cuore Don Calabria” la termoablazione viene effettuata in sala operatoria con anestesia generale, sia per agire in ambiente sterile, sia per ottenere una ottima centratura della lesione. In generale il trattamento di termoablazione è indicato per pazienti in classe A o B di Child (un sistema di punteggio utilizzato per valutare la gravità delle epatopatie croniche, in particolar modo la cirrosi epatica) che non presentano metastasi a distanza, non hanno lesioni in vicinanza della colecisti e della capsula epatica. I risultati migliori si hanno con noduli fino a 3 centimetri per un massimo di 3 lesioni, ben identificabili ecograficamente.
Termoablazione con onde a radiofrequenza
La radiofrequenza è indicata per i tumori primitivi del fegato (epatocarcinoma), non localizzati in prossimità dei grossi vasi: la dispersione del calore causata dal sangue richiederebbe infatti un aumento della temperatura che avrebbe come effetto la carbonizzazione del tessuto. Molti studi clinici, invece, hanno evidenziato la scarsa efficacia della radiofrequenza per le metastasi originate da altri tumori. Le cause sono ancora sconosciute.
Termoablazione con microonde
Contrariamente dalla termoablazione a radiofrequenza, quella con microonde, in quanto più potente, può essere impiegata anche per le metastasi di altri tumori e per noduli in vicinanza dei vasi arteriosi. L’ago viene inserito non al centro della lesione, ma al limite della stessa andando a distribuire il calore (fino a 100°) in modo uniforme su tutta l’area tumorale. I tempi di esecuzione sono più brevi rispetto alla radiofrequenza, ma il trattamento con microonde può provocare la stenosi delle viene biliari anche a distanza di mesi e comporta un alto rischio di trombosi della vena porta e delle vene sovraepatiche.
TACE o chemioembolizzazione epatica
La chemioembolizzazione epatica è una procedura mini-invasiva che comporta l’infusione per via intrarteriosa di un farmaco antiblastico inserito in micro particelle (Hepasfere). La procedura è indicata per epatocarcinomi di stadio intermedio, non aggredibili con tecniche percutanee. Viene utilizzata anche come trattamento neo-adiuvante in attesa del trapianto.
La TACE è preceduta da un’angiografia epatica con liquido di contrasto per visualizzare la rete vascolare intraepatica dell’arteria epatica che irrora la massa tumorale. L’esame radiologico avviene, previa anestesia locale, con l’inserimento di un catetere a livello del linguine per raggiungere attraverso l’arteria femorale, l’arteria epatica. Una volta visualizzata la vascolarizzazione del nodulo neoplastico, con la stessa procedura vengono iniettate più selettivamente possibile delle microsfere “cariche” di farmaco chemioterapico (doxorubicina) che agiscono in duplice modo: da un lato provocano la chiusura dei vasi arteriosi determinando un ischemia parziale (nel fegato l’ossigeno arriva anche attraverso il sistema venoso portale), dall’altra rilasciano localmente il farmaco chemioterapico. Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli provocati dal farmaco antiblastico somministrato in vena (sintomatologia facilmente controllabile grazie ai farmaci), mentre il ricovero dura in media due giorni ed entro una settimana il paziente può riprendere l’attività quotidiana.
Il rischio maggiore della TACE rimane la trombosi della vena porta. Conseguenza, che, se si verifica, non consente la ripetizione del trattamento. Infatti la chemioembolizzazione può comportare l’ostruzione dell’arteria epatica, ma questo non compromette la funzionalità del fegato in quanto l’organo è vascolarizzato dalla vena porta e dal sistema dei vasi che afferiscono ad essa.
Venerdì 8 giugno la Cittadella della Carità in festa per il Sacro Cuore

Sarà presentato un innovativo trattamento di radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale con il quale l’ospedale di Negrar ha trattato il primo paziente in Europa
Venerdì 8 giugno l’ospedale di Negrar e tutta la Cittadella della Carità celebrano come da tradizione la festa patronale del Sacro Cuore. In occasione di questa importante ricorrenza sarà presentato un nuovo sistema di Radioterapia Oncologica per il trattamento delle metastasi alla colonna vertebrale, che è stato utilizzato per la prima volta in Europa proprio dal “Sacro Cuore Don Calabria”.
Dall’aprile scorso l’ospedale di Negrar ha infatti acquisito “Novalis-Elements Spine SRS”, un sistema integrato all’acceleratore lineare, che apre nuove prospettive terapeutiche per pazienti altrimenti candidabili solo a un trattamento palliativo. Con l’applicazione di alte dosi di radiazioni mirate con precisione millimetrica esclusivamente sulla lesione tumorale da colpire, preservando il midollo spinale, la Radioterapia si comporta come il bisturi del neurochirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva.
L’obiettivo è un’azione radicale sulla metastasi, con risultati positivi non solo sulla eliminazione o riduzione del sintomo dolore e sulla prevenzione dei cedimenti vertebrali, come avviene con la radioterapia tradizionale. Ma mirando allo spegnimento del focolaio di malattia a livello della colonna vertebrale, il nuovo trattamento può incidere sul prolungamento della sopravvivenza del paziente con patologia oncologica avanzata.
L’innovativa tecnica sarà presentata alle autorità e alla stampa dal professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica e professore associato all’Università di Brescia, presso la Radioterapia Oncologia alla presenza dell’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, e della direzione dell’ospedale (ore 11). Il Responsabile della Delegazione Europea dell’Opera Don Calabria, don Ivo Pasa, impartirà la benedizione inaugurale a cui seguirà la Messa presieduta dal vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, nella cappella del Sacro Cuore.
Con la sigaretta va in fumo anche la salute

Il 31 maggio è la Giornata mondiale senza tabacco: il fumo di sigaretta è uno dei maggiori fattori di rischio per molte malattie, come spiega in un video la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica di Negrar
“Tabacco e malattie cardiache” è il tema scelto quest’anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Giornata senza tabacco che si tiene in tutto il mondo il 31 maggio. Un tema che mette in luce quanto il consumo di sigarette sia uno dei fattori di rischio più impattanti sulla salute del nostro cuore: le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo per patologia.
Ma non solo. Al fumo di sigaretta è imputabile il 33% delle neoplasie, percentuale che sale 85-90% per quanto riguarda il tumore al polmone, di cui in Italia si registrano circa 41mila nuovi casi all’anno (dati AIOM e AIRTUM). Il 33% delle nuove diagnosi interessa il sesso femminile a dimostrazione che il consumo di tabacco non è una cattiva abitudine che appartiene esclusivamente agli uomini. In Veneto per esempio i casi di tumore nel sesso femminile sono passati da 871 ogni anno nel periodo 2008-2010 a 1.250 nel 2017. Mentre si registra un lieve calo negli uomini, che sembrano più sensibili alle campagne antifumo.
Come dimostrano importanti dati epidemiologici, il rischio aumenta con il numero di sigarette fumate e con la durata dell’abitudine al fumo. Il rischio relativo dei fumatori rispetto ai non fumatori aumenta di circa 14 volte rispetto ai non fumatori e di 20 volte nel caso dei forti fumatori (più di 20 sigarette al giorno). Altrettanto importanti studi scientifici hanno dimostrato che la sospensione del fumo di sigaretta produce nel tempo una forte riduzione del rischio.
Nel video la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), quanto sia importante la diffusione di una cultura “antifumo” anche grazie a campagne mirate affinché le giovani generazioni non intraprendano il consumo di sigaretta e si prenda coscienza della pericolosità di questa cattiva abitudine per la salute del nostro corpo e per qualità di vita.
Può interessarti:
Festa della famiglia della Cittadella della Carità

Domenica 3 giugno presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria si terrà la tradizionale Festa della Famiglia dedicata a tutti i collaboratori della “Cittadella della Carità”
Domenica 3 giugno, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria (via San Zeno in Monte 23-Verona), si terrà Festa della Famiglia dedicata a tutti i collaboratori della “Cittadella della Carità”, di cui fa parte l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e le strutture socio-sanitarie (Casa Nogarè, Casa Perez e Casa del Clero).
Un appuntamento tradizionale e “uno di quei momenti in cui maggiormente possiamo sperimentare il nostro essere un gruppo unito dai medesimi valori lasciati in eredità dal nostro Santo Fondatore”, sottolinea fratel Gedovar Nazzari, presidente della “Cittadella della Carità”.
L’inizio della giornata è previsto alle 9.30 con un momento di accoglienza a cui seguirà il saluto della direzione. Alle 10.30 don Valdecir Tressoldi, incaricato della Formazione dell’Opera Don Calabria e superiore della Casa Madre, terrà un intervento su “Lo spirito di famiglia nell’Opera Don Calabria”.
Alle 11 sarà celebrata la Messa, presieduta da don Ivo Pasa,responsabile della Delegazione Europea San Giovanni Calabria. La mattinata si concluderà con un momento conviviale.
Chirurgia laparoscopica anche per i tumori ginecologici avanzati

Interventi radicali sul tumore con tecniche mini-invasive che consentono una rapida ripresa della donna: l’esperienza della Ginecologia del ‘Sacro Cuore’ sarà illustrata in convegno questo sabato
La presa in carico delle pazienti affette da tumori ginecologici è al centro del convegno che si terrà questo sabato 26 maggio nella sala congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar. Organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (in primo piano nella foto di copertina), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e la qualità della vita della donna della Ginecologia e Ostetricia del ‘Sacro Cuore Don Calabria’, l’incontro scientifico ha un duplice obiettivo: fare il punto sull’attività dell’ospedale di Negrar nell’ambito della ginecologia oncologica e fornire ai ginecologi ambulatoriali del territorio gli elementi diagnostici per indirizzare in caso di necessità le donne ai Centri oncologici di riferimento, come il nosocomio calabriano.
“Dal 2016 siamo strutturati formalmente come un Cancer Care Center – spiega il dottor Ceccaroni – e come tale disponiamo di tutte le specialità per la diagnosi, il trattamento e il follow up della donna affetta da neoplasia ginecologia. Infatti al convegno saranno presenti i direttori delle Unità operative che nella logica della multidisciplinarietà intervengono nel trattamento della paziente oncologica: Ginecologia, Oncologia, Radiologia, Anatomia Patologica, Chirurgia Generale, Urologia, Medicina Nucleare e Radioterapia. Ma avremo anche come relatori specialisti dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e del Sant’Orsola di Bologna“. (vedi programma)
Dottor Ceccaroni, quali sono i tumori ginecologici più diffusi?
Sicuramente il tumore dell’ovaio e quelli dell’utero, i quali, a loro volta, si suddividono in tumore della cervice e dell’endometrio, cioè il tessuto che riveste l’utero Le neoplasie dell’ovaio e dell’endometrio colpiscono in media le donne intorno ai 55-65 anni. Le prime registrano in Italia 4mila casi all’anno, le seconde 5mila. Il tumore della cervice, invece, colpisce maggiormente tra 35 e i 55 anni con un’incidenza di 27 casi ogni 100mila donne. Non molto tempo fa le cifre erano diverse.
In che senso?
Il pap test introdotto come screening ha radicalmente cambiato la storia del tumore alla cervice dell’utero nei Paesi sviluppati dove, fino a pochi anni fa, era il tipo di tumore più diffuso tra la popolazione femminile. Rilevando le lesioni in fase precancerosa, il pap test consente di intervenire prima che si formi il tumore. In futuro potremmo avere un numero ancora inferiore di casi, grazie all’introduzione in Italia nel programma di vaccinazione del vaccino contro l’HPV, virus responsabile di questa forma di cancro. Oggi purtroppo vediamo tumori avanzati al collo dell’utero nella donne provenienti dai Paesi in via di sviluppo dove la prevenzione è inesistente.
Il convegno è diviso in tre sessioni, la prima è riservata appunto alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Per il tumore all’endometrio e all’ovaio come avviene?
Per il cancro all’endometrio, la prevenzione e la diagnosi precoce si effettua per via isteroscopica, cioè con l’introduzione attraverso il collo dell’utero di una videocamera miniaturizzata che permette di localizzare eventuali lesioni sospette ed nel caso procedere con una biopsia. La diagnosi isteroscopica è molto importante, ma lo è altrettanto quella ecografica. Anche per il tumore all’ovaio, il più aggressivo delle tre forme tumorali che raramente è possibile diagnosticare in stadi precoci perché non dà sintomi precisi. Durante il convegno vedremo quali sono i criteri ecografici per considerare sospetta una cisti ovarica.
Nella prevenzione del tumore ovarico, la genetica sta diventando fondamentale, soprattutto nel caso dei tumori ereditari.
Da più di un anno il nostro ospedale effettua il test genetico per la ricerca delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nell’ereditarietà del tumore alle ovaio e al seno. Al test non vengono sottoposte tutte le donne, ma solo le pazienti che appartengono a categorie a rischio per storia familiare o personale e dopo un’attenta valutazione da parte del genetista oncologo. Stabilire la presenza della mutazione è molto importante per la donna malata al fine di un eventuale utilizzo terapeutico di peculiari farmaci per cui la mutazione BRCA rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento. Ma anche per le parenti più strette (madre, figlie e nipoti) per le quali si può stabilire un programma di prevenzione personalizzato.
Il trattamento chirurgico è invece protagonista della seconda sessione del convegno
La Ginecologia che dirigo oggi è in grado di proporre la chirurgia laparoscopica, quindi mini-invasiva, anche per certi specifici sottogruppi di pazienti con tumori avanzati all’ovaio. Ma nello stesso tempo applichiamo tecniche, come il linfonodo sentinella, che consentono di effettuare chirurgie conservative o di modulare la radicalità chirurgica. Ad esempio per conservare l’apparato produttivo in pazienti giovani e con tumori iniziali. Applichiamo anche tecniche nerve-sparing, ossia che consentono una radicalità chirurgica del tumore, risparmiando le fibre nervose che regolano le funzioni vescicali, intestinali, sessuali, con conseguente miglioramento della qualità di vita post-operatoria. Tecniche per cui il nostro è uno dei centri più conosciuti a livello internazionale.
La chirurgia laparoscopica per il cancro all’ovaio ha la stessa efficacia di quella tradizionale in termini di asportazione del tumore e di sopravvivenza?
Sì e lo abbiamo dimostrato anche in uno studio prospettico che abbiamo presentato alla comunità scientifica internazionale e pubblicato lo scorso ottobre su “Surgical Endoscopy”. Con la laparoscopia si raggiungono gli stessi obiettivi ma con notevoli vantaggi: una paziente che ha subito un intervento laparoscopico dopo tre giorni può essere sottoposta a chemioterapia. Con la tecnica tradizionale, a cielo aperto, dopo un mese. Si guadagna tempo che significa sopravvivenza. Sono interventi complessi che nel nostro ospedale hanno radici in una grande tradizione laparoscopica, affinata anche grazie al trattamento chirurgico dell’endometriosi avanzata, di cui siamo centro di riferimento, e alla collaborazione multidisciplinare, fondamentale quando si tratta di interventi che interessano più distretti anatomici.
La tecnica del linfonodo sentinella, di cosa si tratta?
E’ la stessa che viene utilizzata per il tumore al seno. Negli interventi di carcinoma dell’endometrio si ricerca, tramite un procedimento che si serve di un colorante, il primo linfonodo che potrebbe essere interessato da cellule cancerose. Lo si asporta, da entrambi i lati della pelvi, e lo si fa analizzare in tempo reale. Se il risultato è negativo, si può evitare una linfoadenectomia, un procedimento chirurgico più demolitivo.
Il dopo intervento. Chirurgie complesse e terapie, come la radioterapia e la chemioterapia, lasciano in segno…
Ci sono molti aspetti da considerare del dopo intervento: la frequenza dei controlli, la gestione del dolore pelvico cronico, l’impatto fisico e psicologico della paziente giovane quando la menopausa è indotta e molto altro. Ogni paziente è una storia clinica e umana a sé che deve essere valutata attentamente per mettere in campo tutti gli interventi necessari – terapeutici, riabilitativi, nutrizionali, antalgici..- al fine dii garantire una buona qualità di vita.
elena.zuppini@sacrocuore.it