Il messaggio di don Calabria per gli ammalati

In occasione della 24ma giornata mondiale del Malato, il Superiore generale dell’Opera Don Calabria rivolge parole di incoraggiamento ai pazienti, ai loro familiari e agli operatori
In occasione della 24ma giornata mondiale del Malato, che si celebra oggi 11 febbraio, il Superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Miguel Tofful, ha rivolto un video-messaggio a tutti gli ammalati della Cittadella della Carità di Negrar, ai loro familiari e agli operatori sanitari che li assistono. Nel breve intervento, riportato qui sotto nella video-gallery, padre Tofful esprime la vicinanza della famiglia calabriana a tutti i sofferenti, citando le parole di papa Francesco e del fondatore san Giovanni Calabria. Sempre nella video-gallery, a tal proposito, è riportata la registrazione di alcune parole originali di don Calabria sul tema della sofferenza che tanto gli stava a cuore.
Nel pomeriggio di oggi, inoltre, la ricorrenza verrà celebrata nella Cittadella della Carità con una S. Messa alle ore 16.00 presso la chiesa dell’ospedale Don Calabria, presieduta dal parroco di Negrar don Luca Masin. I volontari dell’Unitalsi saranno a disposizione per il trasporto degli ammalati in chiesa. Al termine della celebrazione ci sarà il consueto rinfresco nel tunnel che unisce l’ospedale Don Calabria al Sacro Cuore.
La giornata mondiale del Malato, che tutta la Chiesa cattolica celebra nella ricorrenza della Madonna di Lourdes, venne istituita da papa Giovanni Paolo II nel 1993. Il tema di quest’anno, proposto da papa Francesco, prende spunto dal brano evangelico delle nozze di Cana: “Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria – «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5)”.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Qui le persone in stato vegetativo sono a casa

La Cittadella della Carità ospita una speciale unità di accoglienza per le persone in stato vegetativo, la prima nata nel Veronese
Il 9 febbraio del 2009 moriva Eluana Englaro, la giovane donna vissuta in stato vegetativo per 17 anni a causa di un incidente stradale, il cui decesso è sopraggiunto dopo la sospensione della nutrizione artificiale a seguito della decisione della magistratura. In questa data dal 2011 viene celebrata la Giornata nazionale degli stati vegetativi.
Una condizione di cui la Cittadella della Carità si occupa direttamente dal 2001, anno in cui è stata creata presso Casa Nogarè la prima Speciale unità di accoglienza permanente (Suap) del Veronese dedicata proprio ai pazienti in stato vegetativo o di minima responsività (filmato allegato con i contributi di Graziano Bottura, direttore di struttura, del dottor Giorgio Carbognin, responsabile medico di Casa Nogarè, del dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione, e della dottoressa Rosalba Dall’Olio, dirigente dei Servizi socio-sanitari).
La Suap comprende dodici posti letto che non soddisfano assolutamente la richiesta del territorio, nonostante la presenza nel Veronese di altre strutture simili. Il turnover è infatti quasi inesistente perché la maggior parte degli ospiti vi rimane fino al decesso, il che significa, per quelli più giovani, anche decine di anni. Non esiste infatti una normativa regionale di riferimento che stabilisca i limiti temporali della permanenza.
“Le Suap sono nate per rispondere alle esigenze dei pazienti più giovani e dei traumatizzati cranici che richiedevano uno standard di assistenza e di protezione elevato – spiega il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione -. Nel tempo i traumi cranici dovuti essenzialmente a incidenti stradali sono diminuiti e si è dato accesso a tutte le condizioni di stato vegetativo di varia origine (infarti, arresti cardiaci, emorragie cerebrali…) e non più in relazione all’età. Nel 2016 c’è ancora bisogno di questo standard elevato di protezione? Farei dei distinguo. Le persone più anziane avrebbero il diritto di essere collocate nelle case di riposo, mentre queste unità dovrebbero essere riservate ai casi più selezionati. Cioè a persone giovani che hanno bisogno di una maggior sorveglianza, non solo assistenziale, ma anche in vista di ‘eventuali’ risvegli”.
Renzo Dalle Pezze da otto anni è il coordinatore del personale della Speciale unità, la “famiglia adottiva” dei pazienti ricoverati. È agli infermieri e agli operatori che spetta la cura costante di questi fragili pazienti, esposti a qualsiasi complicazione. L’assistenza è svolta con dedizione, professionalità ed efficienza, tanto che nessun paziente soffre di piaghe da decubito.
“Ogni giorno accudiamo persone con cui non possiamo comunicare e questo comporta una serie di “fatiche” psicologiche ed emotive importanti – afferma Dalle Pezze – alle quali si va a sommare il rapporto quotidiano con i parenti. Ci facciamo carico delle domande, delle paure, delle richieste di padri, madri, mariti e mogli e veniamo resi partecipi delle problematiche presenti nelle singole famiglie che la malattia ha fatto emergere o ha contribuito a dilatare. Soprattutto i genitori dei ragazzi sono presenti ogni giorno e per loro non esiste altro mondo se non quello dentro queste mura, dove c’è il loro ‘bambino’. Sono coscienti della dura condizione del loro caro, ma dai discorsi emerge sempre la speranza che le cose possano cambiare… Sono costantemente in una condizione di attesa. Ho lavorato in altri reparti, ma questo è veramente ‘un altro mondo’, dove si tocca con mano l’insondabilità del mistero dell’uomo”.
Testo: elena.zuppini@sacrocuore.it
Filmato: matteo.cavejari@sacrocuore.it
Virus Zika: per ora nessun allarme in Italia

Virus Zika: per ora nessun allarme in Italia
Prudenza nei viaggi per le donne in gravidanza e incremento in Veneto della sorveglianza delle febbri estive a causa della presenza in Italia della zanzara “tigre
Al momento nessun allarme in Italia per il virus Zika che invece sta provocando seri problemi sanitari in Sudamerica. Solo prudenza per le donne in gravidanza e un incremento della sorveglianza sulle febbri estive per impedire che l’agente patogeno (isolato per la prima volta nel 1947 nella foresta di Zika, in Uganda) non si diffonda anche in Italia a causa della presenza della zanzara tigre. Il messaggio rassicurante arriva dal dottor Federico Gobbi (nella foto), medico del Centro per le Malattie tropicali, diretto da dottor Zeno Bisoffi, Centro di riferimento per le patologie d’importazione della Regione Veneto.
“Si tratta di una patologia simile alla Dengue e alla Chikungunya. Causa una sindrome simil-influenzale caratterizzata da febbre, dolori alle articolazioni e congiuntivite; solo una persona contagiata su cinque sviluppa la malattia. Il quadro clinico si risolve in pochi giorni anche senza ospedalizzazione”, sottolinea il medico. L’attenzione deve essere rivolta soprattutto alle donne in attesa di un bambino. “In Brasile l’anno scorso si sono registrati quasi 4mila casi di microcefalia fetale, contro i 147 dell’anno precedente – prosegue il dottor Gobbi -. Questo fa ipotizzare, perché non c’è ancora la certezza scientifica assoluta, la correlazione tra il virus e le nascite di bambini con un insufficiente sviluppo del cranio”.
Alle donne in gravidanza quindi “deve essere decisamente sconsigliato di recarsi in zone dove lo Zika è presente da tempo (Africa, Asia e Oceania) a cui si devono aggiungere adesso anche il Centro e Sud America. Inoltre non è consigliabile concepire un figlio in quei Paesi”.
E per gli altri viaggiatori? Si raccomandano le solite precauzioni che devono essere adottate anche per proteggersi dal contagio di altre malattie che hanno come vettori le zanzare (oltre alla Dengue e alla Chikungunya anche la Malaria). “Cercare di evitare le punture di zanzara tramite repellenti cutanei, zanzariere e abiti lunghi e chiari. Se entro le due settimane dal rientro si manifesta febbre anche non alta, è bene rivolgersi al medico. Tutte precauzioni importanti per non ammalarsi e nello stesso tempo per evitare di diventare inconsapevolmente importatori del virus in Italia” afferma l’infettivologo.
Anche se sono stati riportati in letteratura alcuni casi sporadici di trasmissione sessuale, la trasmissione del virus avviene principalmente attraverso la puntura di zanzara Aedes. Sicuramente un vettore molto efficace è Aedes aegypti, presente in Asia, Africa e Sudamerica, ma non in Italia. “In Italia dal 1990 abbiamo la zanzara Aedes albopictus, la comune “tigre”, che appartiene alla stessa famiglia di Aedes aegypti e può quindi trasmettere il virus da persona a persona se punge un soggetto infetto “.
“Proprio per evitare che lo Zika diventi endemico anche nelle nostre zone – conclude il medico – la Regione Veneto ha deciso di allargare la sorveglianza delle febbri estive, di cui Negrar è uno dei coordinatori del Servizio, anche a questo virus che si aggiunge al Dengue, Chikungunya e West Nile”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
L'impegno dei cappellani ospedalieri per il Giubileo

Ogni lunedì dalle 9 alle 12 un sacerdote è a disposizione nella chiesa del Sacro Cuore per impartire il sacramento della confessione durante l’Anno Santo della Misericordia
In occasione dell’Anno Santo della Misericordia indetto da papa Francesco, i cappellani della Cittadella della Carità di Negrar hanno deciso di rendere il sacramento della confessione più accessibile per tutti coloro che frequentano l’ospedale. Per questo ogni lunedì dalle 9 alle 12, durante tutto il periodo giubilare, un sacerdote sarà a disposizione nella chiesa del Sacro Cuore, situata dietro al pronto soccorso nella parte più antica del nosocomio.
“Il vicariato della Valpolicella ci ha proposto di istituire un ‘punto confessione’ all’interno dell’ospedale e noi abbiamo accettato volentieri – dice don Gaetano Gecchele, sacerdote dell’Opera Don Calabria e responsabile della pastorale ospedaliera -. Naturalmente potrà accedervi chiunque: ammalati, visitatori, personale ospedaliero e più in generale gli abitanti della zona“.
La presenza dei cappellani è da sempre una caratteristica peculiare dell’ospedale calabriano, in linea con i fini istituzionali del nosocomio e con la convinzione del fondatore san Giovanni Calabria, secondo il quale l’ospedale deve essere un luogo di cura non solo per il corpo ma anche per lo spirito. Attualmente ci sono cinque cappellani che fanno da assistenti spirituali nelle varie strutture della Cittadella della Carità. Ogni cappellano è a disposizione per impartire i sacramenti ai malati o semplicemente per fare un colloquio con chi ha bisogno di assistenza e conforto.
L’istituzione del “punto confessione” al lunedì mattina rappresenta solo una delle iniziative intraprese dalla pastorale ospedaliera con lo sguardo sul giubileo. “Già in Avvento abbiamo proposto alcuni incontri formativi sul tema giubilare – conclude don Gecchele -. Ora l’esperienza si ripeterà in Quaresima, con quattro incontri che si terranno al giovedì a partire dal 18 febbraio, sempre in Sala Perez alle 17. Il tema saranno le opere di misericordia, corporali e spirituali, con la guida di padre Angelo Brusco“.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Tradotta anche in arabo la "App del cuore"

La App, ideata dal dottor Giulio Molon, fornisce un valido supporto per i portatori di pacemaker e defibrillatori
Ha una nuova grafica ed è stata tradotta in sette lingue (inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese, russo e arabo) la prima e unica App per i portatori di pacemaker e defibrillatori impiantabili, ideata nel 2013 dal dottor Giulio Molon, responsabile della struttura semplice di Elettrofisiologia e cardiostimolazione del Sacro Cuore Don Calabria, insieme all’ingegner Sergio Datteri.
MyPacemaker (questo il nome dell’applicazione per IPhone scaricabile gratuitamente dall’App Store) è un valido supporto per migliorare la quotidianità e la gestione di pazienti dotati di dispositivi che facilitano la funzionalità del cuore: solo in Italia si stimano circa 60mila impianti all’anno di pacemaker e circa 5mila defibrillatori.
Finora MyPacemaker ha registrato 2.417 download, la maggior parte dei quali negli ultimi mesi vengono effettuati negli Stati Uniti (qui sotto, nella videogalley, il video tutorial per l’utilizzo della App)
MyPacemaker è stata concepita per diverse funzioni. “Innanzitutto – spiega il dottor Molon – è una sicura alternativa al tesserino fornito al paziente dall’ospedale che ha effettuato l’impianto, in cui sono contenuti i dati anagrafici del portatore e le caratteristiche del pacemaker o del defibrillatore. Un documento che la persona deve sempre tenere con sè, soprattutto nell’eventualità di un malore e quindi di un ricovero urgente. Spesso però lo dimentica, anche nei controlli periodici, ed essendo di cartoncino a lungo andare diventa illeggibile. Il telefonino invece farebbe fronte a tutto questo”.
Nell’App, inoltre, è possibile inserire la terapia che il paziente assume, e che non di rado ricorda in modo vago, e il nome di un famigliare da chiamare in caso di bisogno, quello del cardiologo o dell’ospedale di riferimento.
L’applicazione è stata studiata infine per fornire utili informazioni al fine di aiutare il paziente a risolvere eventuali difficoltà quotidiane dovute alla sua condizione. In caso di lontananza da casa per vacanza o per lavoro diventa anche facile trovare l’ospedale più vicino alla propria posizione consultando la mappa di MyPacemaker.
E per i pazienti più anziani che di solito non usano telefonini di ultima generazione? “In genere sono seguiti dai loro figli – conclude il cardiologo -. L’App è una risorsa anche per i familiari che con comodità possono portare con sè tutte le informazioni che vengono richieste dai medici in occasione dei periodici controlli clinici e strumentali o in caso di ricovero del loro caro”.
Ulteriori informazioni su MyPacemaker e sull’attività che il dottor Giulio Molon effettua in ospedale si possono trovare sul sito www.aritmologo.it, in cui è riservato uno spazio dove l’utente può porre le proprie domande.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Risonanza Magnetica cardiaca: video-interviste sul convegno

Risonanza Magnetica cardiaca: video-interviste sul convegno
Grande partecipazione al convegno “Risonanza Magnetica cardiaca: istruzioni per l’uso” che si è tenuto sabato 16 gennaio in Sala Perez
Sala Perez al completo e numerosi convegnisti in video conferenza al Centro di formazione e solidarietà per il convegno “Risonanza magnetica cardiaca: istruzioni per l’uso” che si è svolto sabato 16 gennaio all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro – organizzato dal professor Enrico Barbieri, direttore dell’Unità operativa di Cardiologia, e dal dottor Giovanni Carbognin, direttore del Dipartimento di diagnostica per immagini – ha visto la partecipazione di esperti delle più importanti scuole italiane di Cardiologia e Radiologia (nella Photo Gallery i relatori)
Nel primo filmato, riportato qui sotto, la dottoressa Antonella Cecchetto, cardiologa dell’Unità operativa di Cardiologia dell’ospedale di Negrar, traccia l’ampia panoramica degli ambiti cardiologici in cui la RM è un fondamentale strumento diagnostico.
Il dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello sport, sempre del nosocomio calabriano, interviene invece sul ruolo importante della Risonanza Magnetica per escludere il sospetto di cardiopatia nel momento del rilascio di un certificato di idoneità sportiva agonistica ma anche non agonistica.
Nel secondo filmato la dottoressa Alessandra Frigiola, cardiologa presso il Guy’s & St. Tomas’s Hospital di Londra, parla delle cardiopatie congenite, anomalie del cuore con le quali un neonato nasce e che nel 25% dei casi richiede un intervento immediato. Ne sono affetti l’1% per cento circa dei neonati.
* Video-interviste a cura di matteo.cavejari@sacrocuore.it
Il calore che cura l'adenomiosi

I dottori Marcello Ceccaroni e Stefano Scarperi firmano il primo studio al mondo pubblicato sull’utilizzo della termoablazione con radiofrequenza per la cura dell’adenomiosi, una patologia ginecologica invalidante.
Porta la firma del dottor Marcello Ceccaroni e del dottor Stefano Scarperi, rispettivamente direttore e medico del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna (Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia) dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il primo studio al mondo pubblicato (in allegato il testo) sull’utilizzo della termoablazione con radiofrequenza per la terapia non invasiva dell’adenomiosi, patologia ginecologica benigna, spesso invalidante, la cui terapia fino a pochi anni fa si limitava all’intervento di isterectomia.
Lo studio multicentrico è stato pubblicato sul Journal of the Society of Laparoendoscopic Surgeons (JSLS), la rivista ufficiale della Società americana di laparoscopia. Lo studio ad oggi ha coinvolto 60 donne tutte candidate all’asportazione dell’utero e ha avuto la durata di tre anni. Il dottor Ceccaroni ha dato il suo contributo per la parte scientifica, mentre il dottor Scarperi ha coordinato la ricerca ed eseguito i trattamenti essendo il Sacro Cuore Don Calabria – già centro di riferimento per la terapia chirurgia dell’endometriosi – , l’unico ospedale in Italia ad offrire questa terapia.
L’adenomiosi si manifesta quando il tessuto endometriale (la mucosa che riveste la parte interna dell’utero soggetta a modifiche durante il ciclo mestruale) invade il miometrio, cioè la parete muscolare dell’utero. La patologia è causa di mestruazioni dolorose e molto abbondanti, di perdite ematiche fuori dal periodo mestruale, di dolore durante i rapporti sessuali ed infine di infertilità. La prevalenza riguarda il 20-25% delle pazienti che sono state sottoposte a isterectomia e si manifesta soprattutto in donne in tarda età riproduttiva, dai 40 ai 50 anni.
Fino a pochi anni fa, la terapia per adenomiosi sintomatica si limitava all’intervento di asportazione dell’utero, quando la patologia non rispondeva alla cura ormonale. L’evoluzione della diagnostica per immagini – come l’ecografia transvaginale e la risonanza magnetica – ha permesso di ottenere informazioni molto più precise circa la presenza e il volume dell’adenomiosi.
Tra le nuove terapie la termoablazione con radiofrequenza, diventata nell’ultimo decennio degli anni Novanta un’opportunità terapeutica internazionalmente condivisa, in particolare per il trattamento di tumori solidi non asportabili e più recentemente, per il trattamento chirurgico conservativo dei fibromi uterini. Da circa 4 anni la termoablazione con radiofrequenza viene usata anche per la cura dell’adenomiosi e i ginecologi di Negrar sono i primi a pubblicare i risultati del trattamento.
“Ci serviamo di un particolare ago a radiofrequenza (la foto nella Gallery) che viene inserito nell’utero sotto guida laparoscopica – spiega il dottor Scarperi -. Una volta centrata la lesione si produce un riscaldamento dell’adenomiosi ad una temperatura di 98°. A questa temperatura il tessuto malato va incontro ad un fenomeno di apoptosi”. Si tratta di una sorte di “morte cellulare programmata”, un processo fisiologico delle cellule che non provoca traumi immediati ma permette la “trasformazione” del tessuto malato per lasciare posto ad una piccola cicatrice. Transizione che nel caso del trattamento dell’adenomiosi avviene nell’arco di tre mesi.
“Le donne sottoposte a termoablazione con radiofrequenza dopo la terapia riferiscono di una riduzione drastica dei sintomi – sottolinea il medico – che corrisponde ad un’altrettanta riduzione del tessuto dell’endometrio nella parte esterna dell’utero. Alcune hanno potuto realizzare il sogno di diventare madri”. L’intervento avviene in una sola seduta e la paziente viene dimessa il giorno seguente se non vi sono motivi per prolungare il ricovero.
L’Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia è centro di riferimento nazionale per la terapia chirurgica dell’endometriosi, con circa 1.500 interventi annuali, di cui 700 di endometriosi severa e si pone, anche grazie a questa tecnologia, come leader nel trattamento completo dell’endometriosi e dell’adenomiosi.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Da Negrar a Luanda: "missionari" in camice bianco

Tre operatori del “Sacro Cuore Don Calabria” lavoreranno per un anno all’ospedale Divina Providencia dell’Opera calabriana
Da Negrar a Luanda con la trepidazione di rincontrare una terra, quella africana, che hanno già conosciuto e che, raccontano, “è capace di donarti più di quanto sei in grado di dare”. Sergio Cavagna, infermiere del Pronto Soccorso, Angelo Peretti, tecnico di laboratorio dell’Anatomia Patologica, e Gian Paolo Chiecchi, infermiere della Medicina generale, entro gennaio si recheranno per un anno (“rinnovabile”, sottolineano all’unisono) in Angola per lavorare nell’ospedale Divina Providencia dell’Opera Don Calabria, punto di riferimento per i più poveri in un quartiere, quello di Golf, che conta 1 milione di abitanti. Con loro anche Angela Chesini, moglie di Gian Paolo, collaboratrice dell’Ummi, l’Unione medico missionaria italiana, l’organizzazione non governativa legata al “Sacro Cuore Don Calabria”.
Giovedì 7 gennaio la direzione e i colleghi dell’ospedale di Negrar hanno voluto salutarli con una messa celebrata nella cappella del santo fondatore, a cui ha partecipato anche Stefania, tecnico di laboratorio. “Per un anno farò parte di un comunità veronese di suore di clausura – racconta Stefania -. Anche questa è una terra di missione, da dove potrò aiutare con la preghiera e con le opere caritative le tante persone che anche in città come le nostre hanno bisogno di sostegno. Poi? Deciderà il Signore…”.
Per Sergio e Angelo il viaggio verso Luanda è un ritorno. “Ho lavorato nell’ospedale Divina Providencia per tre anni, dal 2001 al 2003 – sottolinea Sergio Cavagna, 49 anni, di origini trentine -. Per altri due anni (dal 2006 al 2008) sono stato in Mozambico con il Cuamm-Medici con l’Africa e successivamente per un anno in Guinea Bissau. Forse quella della missione è la mia vera strada… A Luanda opererò in un Centro di formazione per infermieri, quindi sarà un lavoro più didattico che sanitario”.
Nel nosocomio angolano Angelo Peretti, 30 anni, è ormai “di casa”: “Per me è la terza volta: ci sono stato per un mese, poi per sei mesi, e adesso per un lasso di tempo adeguato… Lavorerò sempre come tecnico, ma in un laboratorio di analisi chimico-cliniche”. Entrambi definiscono l’esperienza precedente “molto bella, in un contesto sanitario totalmente differente a quello a cui siamo abituati”. “Dagli angolani c’è tanto da imparare – dice Angelo – soprattutto per quanto riguarda il loro modo di concepire la vita. Vivono il momento con una certa serenità e vanno avanti con quel poco che hanno”. “Sono persone molto orgogliose – prosegue Sergio – quindi bisogna entrare nel loro mondo con rispetto. Ma hanno il pregio, a differenza di noi, di andare all’essenziale, anche per quanto riguarda il rapporto con l’altro”.
Anche per Gian Paolo, 34 anni, e Angela, 28 anni, la realtà missionaria non è una novità. Oltre a far parte di gruppi missionari parrocchiali, Gian Paolo è stato in Kenia per tre anni con la Comunità Papa Giovanni XXIII, mentre Angela è stata un mese in Bolivia. “Volevamo vivere questa esperienza assieme – raccontano -. In contesti come quelli africani s’impara a non dare per scontata la nostra quotidianità: come dormire sotto un tetto, mangiare tutti i giorni o disporre di cure mediche. S’impara ad essere grati alla vita per quello che abbiamo”.
L’ospedale Divina Providência di Luanda, fondato nel 1994, è convenzionato con il sistema sanitario angolano ed è inserito in un quartiere dove esiste una sola struttura sanitaria pubblica e molte cliniche private, inaccessibili, quest’ultime, per le moltissime persone povere del popoloso quartiere. Conta oltre 100 posti letto distribuiti in tre reparti: medicina generale, pediatria e centro nutrizionale per far fronte alla malnutrizione infantile. Inoltre sono stati riservati degli spazi per la cura della tubercolosi e dell’Aids, patologie molto diffuse in Angola. L’ospedale offe anche visite specialiste (stomatologia, ortopedia e optometria), trasfusioni, analisi chimico-cliniche ed esami radiologici. Nel 2013 sono stati eseguiti 218.461 esami di laboratorio e 10.533 radiografie.
Una parte fondamentale del lavoro sanitario della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza nel quartiere Golf è la rete dei posti di salute. Operano infatti cinque poliambulatori sparsi sul territorio, che si occupano dei casi che non richiedono il ricovero. Nei posti di salute vengono effettuate visite generali, pediatriche e prenatali, analisi del sangue e soprattutto vaccinazioni. Nel 2013 le vaccinazioni sono state 57.565. L’Opera Don Calabria è presente in Angola dal 1982 e le case calabriane si trovano a Luanda, Benguela, Saurimo, Uige, Huambo, Kuimbae Mukonda. Le attività, oltre a quella ospedaliera, sono di tipo sociale (in particolare con accoglienza di bambini), parrocchiale e vocazionale.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Nella foto di copertina, da sinistra, Angelo Peretti, Sergio Cavagna, Angela Chesini e Gian Paolo Chiecchi. Nella Photo Gallery alcune immagini dell’ospedale Divina Providencia di Luanda
Dalle cardiopatie congenite ai tumori: la RM cardiaca

Sulle potenzialità della Risonanza Magnetica in campo cardiologico si parlarà in un convegno il 16 gennaio organizzato dalla Cardiologia e dal Dipartimento di Diagnostica per immagini
Morti improvvise che colpiscono sul terreno di gioco ragazzi giovanissimi o addirittura atleti. Vengono di solito attribuite a cardiopatie congenite di difficile prevenzione con i tradizionali esami cardiologici. Oggi, grazie all’evoluzione tecnologica, la Risonanza Magnetica può dare un prezioso contributo alla diagnosi precoce di tali malattie (nella video gallery un filmato mostra come funziona l’esame).
Sulle grandi potenzialità dell’applicazione della Risonanza Magnetica in ambito cardiologico, e non solo per quanto riguarda la medicina dello sport, si parlerà sabato 16 gennaio in un convegno organizzato in sala Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria dal direttore della Cardiologia, il professor Enrico Barbieri (foto 1), e dal direttore del Dipartimento di Diagnostica per immagini, il dottor Giovanni Carbognin (foto 2). Durante la mattinata – che ha inizio alle 8.30 – si alterneranno gli interventi di specialisti provenienti dalle più importanti scuole di Cardiologia e Radiologia come l’Università di Verona e quella di Padova, la Fondazione toscana G. Monasterio, l’IRCSS San Matteo di Pavia, l’IRCSS San Raffaele di Milano e Guy’s & St Thomas’ Hospital di Londra, con la dottoressa Alessandra Frigiola. (Per informazioni ed iscrizioni al convegno: http://formazione.sacrocuore.it/CorsiDettaglio.aspx)
“Attualmente nel nostro Dipartimento effettuiamo circa otto Risonanze Magnetiche cardiologiche alla settimana – spiega il dottor Carbognin – con una delle tre RM riservata a questo ambito grazie al suo particolare software. Negli ultimi tempi stiamo registrando un aumento di pazienti inviati dal medico dello sport, in quanto la Risonanza Magnetica si sta imponendo come completamento delle tradizionali indagini cardiologiche, tra cui l’ecocardiogramma. Infatti pur essendo un esame non invasivo, è in grado di valutare la funzionalità cardiaca e nello stesso tempo di effettuare la caratterizzazione tessutale, cioè capire se il tessuto miocardico è normale o patologico, ad esempio per sostituzione fibrotica o adiposa o, ancora, sofferente a causa di una cattiva vascolarizzazione. Performance che aiutano lo specialista cardiologo ad intercettare anche quelle cardiopatie congenite che spesso sono la causa di morte improvvise in persone giovani e sane. Tanto che si sta valutando la possibilità di introdurre l’esame con la Risonanza Magnetica nello screening per l’attività agonistica”.
Ma l’impiego della RM cardiaca è previsto anche nello studio di una molteplicità di condizioni patologiche. “Tra queste vengono annoverate la malattia delle coronarie, del muscolo cardiaco, delle valvole, del pericardio, del ritmo cardiaco e anche dei tumori, seppur rari, del cuore” afferma il professor Barbieri. Infatti grazie a una complessa rielaborazione delle immagini eseguita con software dedicati, prosegue il cardiologo, “è possibile calcolare una serie di parametri come i volumi cardiaci, la massa miocardica e la funzione globale dei ventricoli, i flussi valvolari e i loro eventuali difetti, la valutazione della perfusione miocardica durante la somministrazione del mezzo di contrasto sotto stress indotto farmacologicamente. Questa particolare modalità di studio serve ad evidenziare eventuali condizioni di ischemia miocardica, cioè la malattia coronarica, non evidente in condizioni di riposo. Inoltre, l’utilizzo del mezzo di contrasto consente di definire l’entità del danneggiamento del muscolo in seguito ad un infarto”.
L’esame all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria viene condotto in équipe “per ottenere il massimo risultato dall’indagine diagnostica – sottolinea il dottor Carbognin -. Più è precisa l’indicazione clinica e la richiesta posta del medico cardiologo, più sarà accurata la risposta del medico radiologo. Tanto che nel nostro ospedale il referto viene presentato al paziente in doppia firma: quella del radiologo e del cardiologo”
elena.zuppini@sacrocuore.it
Oltre mille "invisibili" curati al Sacro Cuore

Ci sono molti profughi, ma anche minori stranieri e semplici immigrati tra le persone che ogni anno vengono accompagnate nel loro percorso di cura dall’Ufficio aiuti umanitari sanitari dell’ospedale di Negrar
C’è Khalid, un giovane di 30 anni proveniente dal Gambia, con lo status di rifugiato, che quando è arrivato all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria aveva letteralmente i capelli bianchi per la fame. Poi c’è Marius, piccolo ragazzino residente nell’Est europeo, alla disperata ricerca di una terapia per l’osteosarcoma che gli è stato da poco diagnosticato. E Lia, la bambina giunta a Negrar dall’Africa per delle cure ortopediche, alla quale dopo gli esami di routine è stato identificato il virus dell’Aids. Oppure Costantin, l’operaio rumeno che a Ferragosto ha attraversato la Valpolicella in bici con la figlioletta appena nata adagiata in una scatola di cartone sul portapacchi, perché la piccola stava male e aveva bisogno di un aiuto.
I nomi sono tutti di fantasia, ma le storie sono vere. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. È l’elenco delle oltre mille persone che ogni anno vengono assistite al Sacro Cuore Don Calabria anche se non sono coperte dal Sistema sanitario nazionale. Sono soprattutto immigrati che vivono in condizioni di estrema povertà. In genere si trovano al di fuori del sistema perché sono in attesa dello status di rifugiati, oppure perché non hanno seguito l’iter burocratico in modo corretto o in alcuni casi hanno bisogno di cure prima che il percorso di regolarizzazione sia completato.
Per assistere queste persone, nel 2005 l’ospedale negrarese ha attivato l’Ufficio aiuti umanitari sanitari, raccogliendo l’eredità del lavoro di accoglienza avviato da fratel Matteo Ponteggia, religioso calabriano all’epoca vicepresidente del nosocomio e scomparso prematuramente.
Da quando l’ufficio si è strutturato, le richieste di aiuto sono andate sempre aumentando, con una vera e propria impennata a partire dalla primavera 2014 in concomitanza con l’emergenza profughi. Lo scorso anno le persone assistite sono state 1.058, mentre nei primi otto mesi del 2015 il numero è salito a 1.100, con una grande prevalenza di rifugiati e richiedenti asilo. Spesso queste persone sono indirizzate verso il Sacro Cuore Don Calabraia per la presenza del Centro di Malattie tropicali che può dare una consulenza qualificata anche su eventuali patologie specifiche della loro terra d’origine.
“Le prime richieste di aiuto sanitario relative ai profughi sono arrivate nell’aprile 2014, con la mediazione del Cesaim (Centro per la Salute degli immigrati, ndr) – spiega Alessandra Bisin, responsabile operativa dell’Ufficio aiuti umanitari del Sacro Cuore Don Calabria -. Abbiamo iniziato con il far fronte alle cure delle persone apparentemente più bisognose, per poi impostare nel tempo un percorso di screening sanitario completo, comprendente le analisi del sangue, quelle delle feci e delle urine e la radiografia al torace. In questo modo ci siamo resi conto di chi aveva bisogno di ulteriori cure e ci siamo dati da fare per accompagnare queste persone nel loro percorso sanitario“.
Compito dell’ufficio è dunque di favorire un lavoro di rete all’interno dell’ospedale, coinvolgendo i vari reparti e organizzando le cose in modo che non siano penalizzati gli altri cittadini che hanno diritto a ricevere le prestazioni. Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia, ovvero il dialogo con le istituzioni chiamate a farsi carico dei profughi: dalle comunità di accoglienza alla Questura, dal Comune alla Prefettura, dai distretti sanitari alle organizzazioni caritative.
Un altro campo di intervento riguarda i minori stranieri non accompagnati. Nel corso del 2014 sono state fornite 469 prestazioni sanitarie rivolte a questi ragazzi che in genere sono ospiti delle comunità di accoglienza dell’Opera Don Calabria. In altri casi l’Ufficio aiuti umanitari porta avanti progetti specifici rivolti a bambini stranieri che hanno bisogno di cure particolari, ma non possono permettersele perché poveri o perché nel loro Paese non sono disponibili trattamenti adeguati. Una parte degli aiuti, infine, riguarda persone italiane costrette a venire a Negrar da altre regioni d’Italia per ricevere cure non disponibili nel loro luogo d’origine. Come nel caso di Rosa, una ragazza proveniente dal Sud Italia affetta da una malattia rara e costretta ogni anno a lunga permanenza al Sacro Cuore Don Calabria.
“In tutte le richieste di aiuto che arrivano c’è una sofferenza di fondo e c’è una domanda di sostegno anche spirituale – dice don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale e responsabile degli “aiuti umanitari”, che lo scorso anno ha raccolto il testimone dal suo confratello don Ivo Pasa che aveva seguito l’ufficio per quasi dieci anni -. Sono convinto che questa attività sia una delle più belle espressioni della nostra missione di aiuto ai più bisognosi. Una missione che, in linea con quanto voleva il nostro fondatore, mette al centro la persona nella sua globalità“.
La persona al centro, dunque. Come Khalid, che dopo un mese di ricovero ha di nuovo i capelli neri. O come Marius, che sta ancora combattendo contro l’osteosarcoma, ma è meno solo di prima. Anche perché Rosa, la ragazza italiana affetta da una malattia rara, un giorno ha chiesto che le procurassero un rosario ed ora continua a pregare per lui.
matteo.cavejari@sacrocuore.it