La Cittadella della Carità ospita una speciale unità di accoglienza per le persone in stato vegetativo, la prima nata nel Veronese

Il 9 febbraio del 2009 moriva Eluana Englaro, la giovane donna vissuta in stato vegetativo per 17 anni a causa di un incidente stradale, il cui decesso è sopraggiunto dopo la sospensione della nutrizione artificiale a seguito della decisione della magistratura. In questa data dal 2011 viene celebrata la Giornata nazionale degli stati vegetativi.

Una condizione di cui la Cittadella della Carità si occupa direttamente dal 2001, anno in cui è stata creata presso Casa Nogarè la prima Speciale unità di accoglienza permanente (Suap) del Veronese dedicata proprio ai pazienti in stato vegetativo o di minima responsività (filmato allegato con i contributi di Graziano Bottura, direttore di struttura, del dottor Giorgio Carbognin, responsabile medico di Casa Nogarè, del dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione, e della dottoressa Rosalba Dall’Olio, dirigente dei Servizi socio-sanitari).

La Suap comprende dodici posti letto che non soddisfano assolutamente la richiesta del territorio, nonostante la presenza nel Veronese di altre strutture simili. Il turnover è infatti quasi inesistente perché la maggior parte degli ospiti vi rimane fino al decesso, il che significa, per quelli più giovani, anche decine di anni. Non esiste infatti una normativa regionale di riferimento che stabilisca i limiti temporali della permanenza.

“Le Suap sono nate per rispondere alle esigenze dei pazienti più giovani e dei traumatizzati cranici che richiedevano uno standard di assistenza e di protezione elevato – spiega il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di riabilitazione -. Nel tempo i traumi cranici dovuti essenzialmente a incidenti stradali sono diminuiti e si è dato accesso a tutte le condizioni di stato vegetativo di varia origine (infarti, arresti cardiaci, emorragie cerebrali…) e non più in relazione all’età. Nel 2016 c’è ancora bisogno di questo standard elevato di protezione? Farei dei distinguo. Le persone più anziane avrebbero il diritto di essere collocate nelle case di riposo, mentre queste unità dovrebbero essere riservate ai casi più selezionati. Cioè a persone giovani che hanno bisogno di una maggior sorveglianza, non solo assistenziale, ma anche in vista di ‘eventuali’ risvegli”.

Renzo Dalle Pezze da otto anni è il coordinatore del personale della Speciale unità, la “famiglia adottiva” dei pazienti ricoverati. È agli infermieri e agli operatori che spetta la cura costante di questi fragili pazienti, esposti a qualsiasi complicazioneL’assistenza è svolta con dedizione, professionalità ed efficienza, tanto che nessun paziente soffre di piaghe da decubito.

“Ogni giorno accudiamo persone con cui non possiamo comunicare e questo comporta una serie di “fatiche” psicologiche ed emotive importanti – afferma Dalle Pezze – alle quali si va a sommare il rapporto quotidiano con i parenti. Ci facciamo carico delle domande, delle paure, delle richieste di padri, madri, mariti e mogli e veniamo resi partecipi delle problematiche presenti nelle singole famiglie che la malattia ha fatto emergere o ha contribuito a dilatare. Soprattutto i genitori dei ragazzi sono presenti ogni giorno e per loro non esiste altro mondo se non quello dentro queste mura, dove c’è il loro ‘bambino’. Sono coscienti della dura condizione del loro caro, ma dai discorsi emerge sempre la speranza che le cose possano cambiare… Sono costantemente in una condizione di attesa. Ho lavorato in altri reparti, ma questo è veramente ‘un altro mondo’, dove si tocca con mano l’insondabilità del mistero dell’uomo”.

Testo: elena.zuppini@sacrocuore.it
Filmato: matteo.cavejari@sacrocuore.it