Radiazioni per il tumore anche contro la fibrillazione atriale: l'innovativo trattamento all'IRCCS di Negrar

Nuova frontiera per la fibrillazione atriale: la radioterapia utilizzata abitualmente per la cura dei tumori, potrebbe essere un’alternativa per il trattamento delle aritmie cardiache. Questa è la cardiologia del futuro, già presente al “Sacro Cuore Don Calabria” che, dopo aver avviato nel 2020 il trattamento radioterapico nella tachicardia ventricolare recidivante, oggi è uno dei primi 5 centri al mondo ad applicare la stessa metodica per la fibrillazione atriale.
Una sola seduta di 10 minuti indolore per correggere il difetto elettrico del cuore dall’esterno, con alte dosi
di radiazioni, senza effetti collaterali né ricovero. È la soluzione che arriva dall’IRCCS di Negrar dove Giulio Molon, Direttore dell’UOC di Cardiologia, e Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia, hanno arruolato e trattato, due mesi fa, i primi due pazienti affetti da recidiva di fibrillazione atriale, utilizzando la radioterapia impiegata tradizionalmente per la cura dei tumori.
Si tratta di un trattamento innovativo, nell’ambito dello studio clinico sperimentale TRAST-AF, che prevede l’arruolamento di 15 pazienti, e che potrebbe nel prossimo futuro essere una alternativa terapeutica all’intervento di ablazione della fibrillazione atriale.
Fibrillazione atriale: causa principale di ictus e scompenso cardiaco
“La fibrillazione atriale colpisce dieci milioni di persone in Europa e 800mila in Italia. Si tratta dell’aritmia cardiaca più diffusa tra la popolazione generale, la cui incidenza è proporzionale all’aumentare dell’età ed è una delle cause principali di ictus e di scompenso cardiaco: si porta via il 25% dell’efficacia di ‘pompa’ del cuore, provocando stanchezza, affanno e mancanza di forze” spiega Molon, Direttore della Cardiologia e coordinatore dello studio TRAST-AF.
Una procedura che non richiede ricovero e sedazione
Attualmente i pazienti con fibrillazione atriale vengono sottoposti a una procedura che prevede l’introduzione di un catetere attraverso l’arteria femorale. La punta del catetere eroga radiofrequenza ed elimina le parti di tessuto responsabili delle aritmie, collocate in un’area delicata in cui le vene polmonari entrano nell’atrio sinistro “Una procedura non chirurgica ma comunque invasiva, lunga e fastidiosa per il paziente che richiede ricovero e sedazione – osserva Molon – La radioterapia invece indirizzando il fascio di radiazioni ionizzanti ad alte dosi contro le cellule responsabili dell’aritmia, ottiene la stessa cicatrizzazione dell’area, interrompendo il corto circuito che causa la fibrillazione, ma non è invasiva, è indolore e il trattamento viene effettuato in una sola seduta della durata massima di 10 minuti. Dopodiché il paziente può tornare tranquillamente a casa” sottolinea il cardiologo.
Monitoraggio con un elettrocardiogramma a distanza
“Nei mesi successivi al trattamento i pazienti hanno effettuato uno stretto monitoraggio con ripetuti elettrocardiogrammi comodamente da casa, oltre alla compilazione di un diario elettronico clinico trasmesso via web. Abbiamo infatti dotato i pazienti di un nuovo dispositivo che consente semplicemente appoggiando due dita su un sensore di ottenere un rapido tracciato del battito cardiaco. Questo esame viene trasmetto istantaneamente al cardiologo che può verificare in qualsiasi momento il buon funzionamento del cuore. L’obiettivo è quello di assistere il paziente in maniera continuativa anche al domicilio, cercando di limitare gli accessi in struttura. – riferisce Niccolò Giaj Levra, specialista in Radioterapia Oncologica e referente per i trattamenti cardiologici presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata. “Attualmente i due pazienti su cui siamo intervenuti non hanno riportato effetti collaterali significativi. Questi iniziali risultati ci spingono a proseguire nella sperimentazione con l’arruolamento di altri pazienti, per definire meglio l’efficacia del trattamento radioterapico ablativo sul cuore, e i benefici in termini di qualità di vita sui pazienti oltre all’implementazione della telemedicina”.
La radioterapia: dall’ambito oncologico a quallo cardiaco
“Il Dipartimento di radioterapia oncologia avanzata dell’IRCCS Negrar vanta una dotazione tecnologica tra le più avanzate a livello internazionale – afferma Filippo Alongi, Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore ordinario all’Università di Brescia – Il livello di precisione del trattamento garantito da acceleratori lineari, ci consente di irradiare non solo tumori primitivi o metastatici, senza danneggiare i tessuti circostanti, ma anche altri tessuti anomali, come quelli che scatenano le fibrillazioni atriali e ventricolari, salvaguardando il più possibile gli organi limitrofi. Le cellule colpite – prosegue l’esperto – subiscono un danneggiamento tale da indurre l’interruzione dell’aritmia cardiaca”.
Nella foto di copertina:
da sinistra il professor Filippo Alongi, il dottor Giulio Molon e il dottor Niccolò Giaj Levra
Giornata Mondiale dell'Endometriosi: l'IRCCS di Negrar posa la sua panchina gialla

In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi. Nel 2022 la Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, ha effettuato 1.200 interventi, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione
In occasione della Giornata mondiale dell’endometriosi, che si celebra il 28 marzo, questa mattina l’IRCCS di Negrar ha collocato nei giardini della struttura una panchina gialla, colore simbolo universale della malattia che esprime la necessità di tenere “accesi i riflettori” su una patologia spesso sottovalutata che tuttavia colpisce solo in Italia 3 milioni di donne. Ragazze la cui qualità di vita è pesantemente condizionata da una malattia causata dalla presenza dell’endometrio (il tessuto che riveste la cavità uterina e si sfalda durante le mestruazioni) fuori dalla sede naturale: intestino, apparato urologico, nervi pelvici… Condizione che comporta dolori invalidanti e che, se tardivamente diagnosticata, può essere causa di infertilità.
Negrar, Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi: nel 2022, 1.200 interventi, il 70% su pazienti provenienti da fuori regione
Il “Sacro Cuore Don Calabria” dal 2019 è Centro di riferimento regionale per cura della malattia, ma lo sviluppo di tecniche chirurgiche laparoscopiche all’avanguardia e il numero dei casi complessi trattati ogni anno pongono l’Unità Operativa Complessa di Ginecologia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, tra i centri di livello internazionale. Nel 2022 gli interventi chirurgici sono stati 1.200, il 70% dei quali su pazienti provenienti da fuori regione. Ma sono circa 15mila le donne che complessivamente ogni anno si rivolgono a Negrar a causa dell’endometriosi.
Alla breve cerimonia erano presenti il Presidente dell’Ospedale, fratel Gedovar Nazzari, l’Amministratore Delegato, Mario Piccinini, e il direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia, dottor Marcello Ceccaroni. Alla fine il vicepresidente, padre Miguel Tofful, ha impartito la benedizione.
La targa con la frase di Seneca, collocata sulla panchina: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”
La panchina, che si trova nei giardini tra Casa Nogarè e l’Ospedale Don Calabria, riporta un QrCode con un’intervista al dottor Ceccaroni e una targa sulla quale è scritta una delle frasi più note del filosofo romano Seneca: “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto”. E’ stata scelta per sottolineare quanto ancora troppo spesso chi soffre di endometriosi debba attendere anni (in media una decina) per una diagnosi. Anni durante i quali le pazienti non sono credute e il cui dolore fisico viene spesso attribuito a cause psicosomatiche. Come ha testimoniato la veronese Cecilia Santoro, 45 anni, presente al ‘taglio del nastro’, che solo dopo ben 14 anni di sofferenza ha potuto dare un nome alla sua malattia. Cecilia da alcuni anni è paziente del Centro del dottor Ceccaroni: grazie alle cure ha raggiunto una buona qualità di vita.

Dottor Piccinini : “Uno dei primi Centri al mondo ad occuparsi di endometriosi”
“Il Sacro Cuore Don Calabria è stato uno dei primi centri al mondo ad occuparsi di endometriosi, quando ancora il mondo della ginecologia ignorava questa mattina – ha detto il dottor Piccinini – Un primato che dobbiamo a un pioniere della chirurgia laparoscopica ginecologica, il dottor Luca Minelli, direttore della Ginecologia dal 1996 al 2014, precocemente scomparso nel 2020. Il dottor Ceccaroni ne ha raccolto il testimone, sviluppando un Centro multidisciplinare, coordinato dalla Ginecologia a cui concorrono varie specialità tra cui la chirurgia generale e l’urologia, la radiologia, l’anatomia patologica, la riabilitazione e altre. Dal 2019 è Centro di riferimento regionale per la cura dell’endometriosi ed è conosciuto e apprezzato a livello mondiale, anche grazie all’attività della Scuola internazionale di anatomia chirurgica (ISSA) fondata dal dottor Ceccaroni con sede in questo ospedale. La presa in carico multidisciplinare e trattamenti chirurgici con tecniche innovative non sono i soli fiori all’occhiello del reparto di Ginecologia. Le molte testimonianze di pazienti che provengono da ogni parte d’Italia (e dall’estero) riportano una realtà fatta di competenza e professionalità, ma anche di tanta attenzione ed empatia per la loro condizione. Da parte di tutto il personale: medici, infermieri, operatori sanitari e amministrativi. E questo è un grande motivo di orgoglio”.

Dottor Ceccaroni: “Il vero nemico è la diagnosi tardiva”.
“Paradossalmente, la diagnosi tardiva è il nemico principale, più della stessa malattia, delle donne affette da endometriosi”, afferma il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’UOC di Ginecologia e Ostetricia. “Si stima che dal momento in cui sorgono i primi sintomi alla diagnosi passano dai 7 ai 12 anni, durante i quali la malattia avanza, tra enormi sofferenze, potendo arrivare anche a coinvolgere in modo severo intestino, apparato urinario, nervi pelvici. L’endometriosi – sottolinea – è un “incendio” che scoppia nell’addome della donna tutti i mesi per 14 volte all’anno. Un ritardo diagnostico di 10 anni è causa di circa 140 “incendi”, che si traducono in dolori lancinanti, assenze scolastiche e lavorative, compromissione della fertilità, depressione, rinuncia ad una normale adolescenza e vita di coppia. E soprattutto si traducono in conseguenze sulla salute, con la necessità spesso di effettuare interventi chirurgici anche aggressivi, e per molte sulla capacità procreativa”.
“Care ragazze, ribellatevi quando vi dicono che è normale avere il ciclo mestruale doloroso”
E’ necessario quindi tenere accesi i riflettori sulla malattia, soprattutto dal punto di vista culturale. “Il medico di medicina generale così come il pediatra di libera scelta sono i primi che possono vedere nei sintomi riferiti dalle loro giovani pazienti qualcosa di anomalo e indirizzarle in un centro specializzato. Lo stesso vale per il ginecologo ambulatoriale”, sottolinea il primario. Recentemente il dottor Ceccaroni e il suo team sono stati convolti anche nel Progetto endometriosi, promosso da Agenas e dal ministero della Salute che ha come obiettivi la formazione proprio di queste figure mediche fondamentali per la diagnosi precoce e l’informazione nelle scuole. “Le ragazze non devono rassegnarsi al dolore mestruale, soprattutto se si ripete tutti i mesi – ribadisce il dottor Ceccaroni -. Provocatoriamente dico sempre alle giovani che incontro: ribellatevi se le vostre nonne e le vostre mamme vi dicono che quel dolore è normale, perché non vi è nulla di normale. Rivolgetevi al medico, e se anche questo vi dice che è tutto a posto, ma voi continuate a stare male, non arrendetevi”.
Cecilia Santoro: “La mia via crucis lunga quattordici anni per avere una diagnosi”

Un invito che è stato ribadito anche da Cecilia Santoro, veronese di 45 anni. Soffre di endometriosi da quando ne aveva 15, ma solo a 29 ha incontrato dei medici che hanno dato un nome alla sua malattia. “Io ho avuto la fortuna di avere accanto una famiglia e un fidanzato, oggi mio marito, che mi hanno sempre creduto e sostenuto – racconta – Ma non è stato facile da adolescente vivere condizionata totalmente dall’endometriosi e non essere capita. Quando mi assalivano i dolori andavo a scuola imbottita di farmaci; non facevo sport; rinunciavo a vacanze o a uscite con gli amici se cadevano nei giorni del ciclo. Ma la cosa peggiore era che non venivo presa sul serio dai medici. Mi dicevano che stare male con le mestruazioni era normale, che avevo una soglia del dolore bassa… Qualcuno mi ha persino detto che il mio dolore era psicosomatico, sintomo di altri problemi”. Dopo 14 anni di via crucis tra un medico e l’altro è arrivata la diagnosi. “In un primo tempo sono stata curata con i farmaci, ma poi ho subito un intervento d’urgenza per substenosi intestinale, causata dall’infiltrazione dell’endometriosi nell’intestino”, prosegue Cecilia referente Ape, Associazione Progetto Endometriosi. “Dopo due anni il secondo intervento sempre all’intestino. Tuttavia i dolori continuavano insieme a difficoltà intestinali. Finché non ho conosciuto il dottor Ceccaroni e la sua équipe, da cui sono seguita con competenza ed enorme umanità. Posso dire che oggi ho raggiunto una buona qualità di vita”.
Covid-19: cruciale nella protezione dal virus lo sviluppo degli anticorpi IgM generati dal vaccino

Due ricerche realizzate dall’Università di Verona e dall’IRCCS di Negrar evidenziano che Il rilevamento della risposta anticorpale IgM specifica dopo la vaccinazione potrebbe essere utilizzata come evidenza di una migliore immunità protettiva nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, e costituirebbe un importante indicatore da prendere in considerazione nelle decisioni di sanità pubblica quali la definizione dei programmi di vaccinazione per i soggetti e le categorie più a rischio.
Lo sviluppo di anticorpi IgM generati dalla vaccinazione contro il SARS-CoV-2 è associato ad una migliore risposta immunitaria e ad un minor rischio di infezione: è quanto emerge da due ricerche condotte dall’Università di Verona e dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Vr). La presenza di IgM specifiche contro la proteina Spike del coronavirus in seguito alla vaccinazione potrebbe quindi rappresentare un valido “correlato di protezione”, ovvero un indicatore del livello di protezione garantito dalla vaccinazione, fornendo indicazioni sulla efficacia vaccinale e su quando somministrare eventuali dosi di richiamo.
I ricercatori hanno misurato il livello di anticorpi IgM e IgG specifici in una popolazione di circa 1.900 operatori sanitari, di cui circa 300 con una precedente infezione da SARS-CoV-2. Le IgM, così come le IgG, sono prodotte dal nostro sistema immunitario per combattere le infezioni o a seguito della vaccinazione, con la quale si introduce nell’organismo del paziente un antigene contro il quale si vuole indurre una risposta immunitaria oppure, come nel caso dei vaccini a mRNA, le istruzioni per farlo produrre dalle cellule umane. Le IgM costituiscono la risposta più immediata, la “prima linea” di difesa contro una nuova infezione, mentre le IgG vengono prodotte in grandi quantità negli stadi successivi dell’infezione, rimanendo in circolo per più tempo, e rappresentano la nostra memoria immunologica, che si attiva in caso di una nuova infezione da parte di un virus già incontrato, anche a distanza di anni.
Dall’analisi dei prelievi effettuati è emerso che i soggetti con una risposta coordinata all’infezione, che producevano cioè sia IgM che IgG specifiche per la proteina Spike del virus, mostravano un livello di anticorpi più elevato e una maggiore capacità di neutralizzare il virus. In molti altri casi invece le IgM apparivano dopo le IgG o non comparivano affatto, probabilmente perché l’infezione o la vaccinazione SARS-CoV-2 potrebbe aver risvegliato nell’organismo dei pazienti la “memoria” di infezioni recenti ad opera di uno degli altri quattro coronavirus umani endemici, quelli del comune raffreddore.
I ricercatori, ad ulteriore supporto di questa ipotesi, hanno dimostrato che i soggetti che dopo la prima e la seconda dose avevano sviluppato IgM specifiche contro la proteina Spike del SARS-CoV-2 avevano anche un livello più elevato di IgG, sia nell’immediato che nei follow-up a più lungo termine. Per di più, la maggior parte dei soggetti che avevano sviluppato le IgM non hanno contratto l’infezione, suggerendo così che la produzione di IgM possa essere collegata ad una migliore risposta immunologica e quindi ad un minor rischio di infezione. Pertanto, il rilevamento della risposta anticorpale IgM specifica dopo la vaccinazione potrebbe essere utilizzata come evidenza di una migliore immunità protettiva nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2, e costituirebbe un importante indicatore da prendere in considerazione nelle decisioni di sanità pubblica quali la definizione dei programmi di vaccinazione per i soggetti e le categorie più a rischio.
“Il nostro studio ha evidenziato la presenza di una risposta anticorpale ‘non convenzionale’, osservata in soggetti che non avevano mai incontrato il virus SARS-CoV-2”, afferma Chiara Piubelli, responsabile della ricerca biomedica del Laboratorio di Microbiologia e Malattie Tropicali dell’IRCCS di Negrar. “L’assenza di produzione di IgM era associata ad una minore produzione di IgG che neutralizzano il virus e tale differenza si manteneva nel tempo, anche dopo la dose booster. L’identificazione di questa risposta anticorpale ‘non convenzionale’ apre interessanti scenari di approfondimento, al fine di arrivare ad una migliore caratterizzazione dei fattori che influenzano la risposta al vaccino.”
“L’imprinting immunologico, noto anche come ‘peccato originale antigenico’, consiste nella propensione del sistema immunitario ad utilizzare preferenzialmente la memoria immunologica basata su una precedente infezione quando si incontra una nuova versione di un dato patogeno”, spiega Donato Zipeto, professore associato di Biologia molecolare dell’Università di Verona. “Questo ci dice che il nostro sistema immunitario considera il SARS-CoV-2 come un virus ‘simile’ ai coronavirus del raffreddore incontrati in precedenza: nonostante questa relativa ‘somiglianza’, tutti abbiamo ben presente i danni sanitari, sociali ed economici causati da questa pandemia. Immaginiamo solo cosa potrebbe succedere se un futuro salto di specie coinvolgesse un virus completamente diverso e totalmente nuovo. Bisognerà fare il possibile per evitare che questo possa accadere.”
Prosegue l'impegno dell'Opera in Ucraina vicino ai bambini sconvolti dalla guerra

Tre centri diurni, una piattaforma educativa online e la distribuzione di aiuti grazie al sostegno dall’Italia. Sono queste le principali attività portate avanti dalla Fondazione Don Calabria Ucraina nelle città di Kharkiv, Cernihiv e Stryi, mentre sempre più bambini e famiglie sono segnati dai traumi provocati dall’invasione russa che prosegue ormai da oltre un anno.
Un anno fa, subito dopo l’invasione russa, anche le attività della Fondazione Don Calabria Ucraina si sono trovate a dover fronteggiare l’emergenza del conflitto (vedi articolo). Grazie agli aiuti provenienti dall’Italia, con progetti sostenuti dall’Opera che hanno visto generosamente impegnato anche il personale del “Sacro Cuore”, gli operatori della Fondazione sono riusciti in questi mesi a dare continuità alla loro attività di aiuto a centinaia di bambini e famiglie in difficoltà, superando enormi problemi.
I collaboratori calabriani sul campo ci riferiscono che in Ucraina la vita prosegue a singhiozzo, seguendo il ritmo dei bombardamenti che a turno colpiscono un po’ tutto il territorio. Qualcuno li chiama con ironia “la discoteca”, perché spesso le bombe arrivano di notte con rumori e luci che ricordano vagamente l’atmosfera tipica di alcuni locali notturni.
Tantissimi sono i profughi interni, fuggiti dalle zone dove si combatte per rifugiarsi in aree solo appena più sicure. Innumerevoli le famiglie divise, i bambini separati dai genitori oppure orfani, le donne sole con i mariti al fronte, gli anziani strappati alle loro case. Si possono solo immaginare i traumi che queste persone hanno affrontato e affrontano ogni giorno, anzi ogni ora perché qui si vive nella precarietà più assoluta, in attesa di una sirena o di un botto che fa crollare il cielo sopra la testa. Con le persone più fragili, come gli orfani e i disabili, che sono doppiamente in difficoltà e molto spesso non possono contare su nessun aiuto.
È in questo contesto che la Fondazione Don Calabria Ucraina è impegnata a dare un sostegno materiale e psicologico a tanti bambini e ai loro genitori. Prima del 24 febbraio 2022 le attività della Fondazione erano concentrate su Kharkiv e si rivolgevano in particolare ai bambini e alle famiglie in difficoltà a causa del conflitto nel Donbass che andava avanti dal 2014. Dopo l’invasione russa dello scorso anno, Kharkiv è stata tra le città più martoriate dai bombardamenti e la maggior parte degli abitanti ha dovuto cercare rifugio altrove. Alcuni operatori della Fondazione si sono trasferiti in altre città ucraine e anche la maggior parte dei bambini sono scappati.
Ma nonostante le gravi difficoltà la Fondazione Don Calabria Ucraina, sostenuta dall’Opera in Italia e da molti benefattori, ha continuato a dare sostegno concreto sul territorio adattandosi alla situazione così mutevole e agli enormi bisogni della popolazione. Attualmente le sedi operative sono tre: a Kharkiv nella parte orientale del Paese al confine con la Russia, a Cernihiv che si trova a 150km a nord di Kiev verso il confine con la Bielorussia, e infine a Stryi, vicino a Leopoli nella parte occidentale a pochi km dalla Polonia.
I centri diurni
In ognuna delle sedi operative è attivo un centro diurno che funziona da lunedì a sabato. Questi centri rappresentano un’oasi per molti bambini che qui possono svolgere attività di formazione e scolarizzazione di base, laboratori, lavori di gruppo. Ma il sostegno più importante è senza dubbio quello psicologico. La guerra comporta lutti, sofferenze, separazioni e traumi difficili da superare. Ecco dunque che gli operatori della Fondazione hanno ritenuto fondamentale proporre momenti di consulenza psicologica per bambini e genitori, gruppi di parola per le madri costrette a emigrare senza i mariti, sessioni di arteterapia dove le persone possono esprimere attraverso l’arte i propri disagi ed elaborare le paure.
Le attività online
Dal momento che uscire di casa è rischioso e non sempre la situazione lo permette, si è pensato di sviluppare anche una proposta di sostegno online. Per questo la Fondazione ha sviluppato una piattaforma educativa dove poter svolgere alcune attività a distanza con i bambini e le consulenze psicologiche rivolte agli adulti. Sulla piattaforma si fanno lavori con gruppi di parola e gruppi di approfondimento su tematiche educative, sessioni di arteterapia, seminari di formazione per operatori e volontari, incontri individuali di supporto ai genitori colpiti dalle ostilità.
La distribuzione di aiuti
Un terzo filone del lavoro eseguito dalla Fondazione è la distribuzione di aiuti, iniziata poco dopo lo scoppio del conflitto per portare generi di prima necessità a coloro che hanno perso tutto. Grazie al materiale arrivato in particolar modo dall’Italia sono stati distribuiti generi alimentari, vestiti e attrezzature educative a decine di famiglie. Ecco un breve riepilogo degli aiuti consegnati nel 2022:
- acquisto e consegna di alimentari al centro De Paul per i senzatetto e alla stazione di Kharkiv per 40 persone senza fissa dimora
- acquisto e distribuzione di materiale didattico/educativo (12 scatole da 40 kg ciascuna) per 20 bambini nei rifugi presso le stazioni della metropolitana
- distribuite a Kharkiv 50 tonnellate di vari generi di prima necessità, quali cibo, prodotti per igiene e vestiti per oltre 4,500 persone
- acquisto e consegna di 50 pacchi alimentari alla popolazione del villaggio di Rohan, nel distretto di Kharkiv, rimasta sotto occupazione russa nella zona di guerra
- acquisto e consegna di 50 pacchi alimentari agli sfollati interni di Stryi
- acquisto e consegna di medicinali di urgenza per 40 persone a Stryi
- acquisto e consegna di 90 set di biancheria intima e un fornello da cucina per 40 bambini (da 1 a 3 anni) accolti in ospedale a Stryi ed evacuati dalla regione di Zaporizhzia
Le perle dell’Opera
Si calcola che attraverso il progetto portato avanti dalla Fondazione Don Calabria Ucraina in questo anno tremendo di guerra si sia riusciti a raggiungere oltre mille bambini (300 nei centri diurni e 900 nelle attività online), ai quali bisogna sommare 600 adulti dei territori non occupati e circa 80 operatori e volontari che hanno partecipato alle attività di formazione.
Il tutto grazie all’impegno eroico di 9 operatori, tra educatori, psicologi e tecnici, guidati dal coordinatore Ruslan Lavlinskyi, che con competenza e grande sacrificio mantengono un contatto con i bambini e i genitori garantendo una presenza capace di infondere speranza in una realtà dove già sopravvivere ogni giorno è una conquista.
Demenza: un percorso di cura per affrontare la malattia con meno paura

“La demenza da diverse prospettive” è il titolo dell’incontro organizzato mercoledì 22 marzo alle 16 nella Sala Fr. Perez dell’Ospedale di Negrar dal Centro per i disturbi cognitivi e le demenze e Alzheimer Italia Verona. Il convegno vuole porre anche l’accento sulla possibilità di un percorso di cura che porti ad affrontare la malattia con coraggio senza sentirsi abbondonati e questo grazie a un sostegno medico, sociale e di volontariato. Le iniziative rivolte ai pazienti e alle famiglie del Centro per i disturbi cognitivi e le demenze di Negrar e di Alzheimer Verona
Si stima che in tutto il mondo siano 50 milioni le persone che soffrono di demenza, di cui il 60% di malattia di Alzheimer. E poiché uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo della malattia è l’età anziana, si ipotizza che i malati diventeranno 130 milioni nei prossimi 30 anni. Purtroppo non è ancora disponibile una terapia farmacologica efficace nel curare la malattia, esiste tuttavia la possibilità di rallentare l’evoluzione del decadimento cognitivo grazie ai farmaci attualmente disponibili che agiscono in sinergia con strategie e attività finalizzate a preservare le abilità residue del paziente.
Un obiettivo che accomuna il Centro per i disturbi cognitivi e le demenze dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria e Alzheimer Italia Verona, promotori del convegno aperto alla cittadinanza dal titolo “La demenza da diverse prospettive”, in programma mercoledì 22 marzo alle 16 nella Sala Fr. Perez dell’Ospedale di Negrar (clicca qui per il programma)
L’incontro vuole sì sviluppare attraverso l’intervento di vari specialisti (neurologi, psicologi e psicoterapeuti, geriatri e assistenti sociali) la complessità del paziente con decadimento cognitivo, ma vuole porre anche l’accento sulla possibilità di un percorso di cura che porti ad affrontare la malattia con coraggio senza sentirsi abbondonati e questo grazie a un sostegno medico, sociale e di volontariato.
“Demenza senza paura” è infatti il titolo dell’intervento della dottoressa Zaira Esposito, responsabile del Centro di Negrar, che nel 2022 ha effettuato 666 visite di cui 203 con nuovi pazienti. La neurologa affronterà il tema della demenza attraverso l’arte, in particolare con gli autoritratti del pittore statunitense William Utermohlen, affetto da Alzheimer, che ha rappresentato se stesso lungo gli anni della malattia. E con gli scatti del fotografo olandese Alex Ten Napel che immortalano i volti delle persone ammalate. “Si sostiene che la demenza sia una patologia che ruba l’identità alla persona – sottolinea – ma guardando questi visi a nessuno verrebbe in mente che siano uomini o donne senza identità. Anzi, sono persone con tutte le loro caratteristiche, emozioni e risorse inaspettate che noi dobbiamo far emergere”.
A questo scopo il Centro per i disturbi cognitivi e le demenze nel 2015 ha dato vita all’Officina della Memoria, una serie di iniziative che hanno la finalità, anche attraverso l’attività fisica, “di rafforzare le abilità cognitive motorie residue, incrementare l’uso di strategie di compensazione, sempre nell’ottica di aumentare il senso di autosufficienza e benessere sia in persone sane, a scopo preventivo, sia in coloro che hanno dei lievi deficit cognitivi”, spiega la dottoressa Esposito. “Inoltre vengono proposti incontri di formazione per i familiari con lo scopo di trasmettere conoscenze e fornire strategie per prendersi cura al meglio del proprio caro”.
La famiglia è infatti protagonista del percorso di cura del paziente, ma molto spesso, se non sostenuta, rischia anch’essa di ammalarsi a causa del forte impatto della patologia sull’intero sistema di vita familiare. Un tema che nel corso del convegno sarà affrontato dal punto di vista psicologico e medico, ma anche pratico con le indicazioni dell’assistente sociale e la presentazione dei servizi per le famiglie offerti gratuitamente da Alzheimer Italia Verona, l’associazione di volontariato, diretta da Maria Grazia Ferrari. Fondata nel 1998, è presente sul territorio veronese con 17 sedi dove sono attivi centri di sollievo per anziani affetti da decadimento cognitivo che offrono gratuitamente attività di stimolazione cognitiva e occupazionale, ginnastica dolce, musicoterapia, iniziative ludico-ricreative e di socializzazione. Gli incontri sono guidati da psicologi, educatori, fisioterapisti, musicoterapisti e volontari formati, con l’intento di mantenere per il paziente il maggior livello di benessere possibile.
Giornata mondiale del sonno: dormire bene è un pilastro della nostra salute

In occasione della Giornata mondiale del sonno, sabato 18 marzo gli specialisti del Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS di Negrar sono a disposizione della cittadinanza per colloqui informali sui vari disturbi che impediscono un buon riposo. L’appuntamento è al Centro diagnostico terapeutico di via San Marco 121 a Verona
Il sonno è essenziale per la salute. Lo slogan coniato per la Giornata mondiale del sonno, che si celebra il 17 marzo, riassume, forse più di altri, l’importanza di un buon riposo per vivere bene. Un principio cardine che da sempre guida anche le attività formative rivolte alla popolazione che il Centro di Medicina del sonno dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria organizza in occasione della Giornata mondiale.

Quest’anno l’appuntamento è per sabato 18 marzo al Centro diagnostico terapeutico di via San Marco 121 (Verona), dove dalle 9.30 alle 12.30 gli esperti del Centro di Negrar, di cui è responsabile il dottor Gianluca Rossato, sono a disposizione dei cittadini per colloqui informali e gratuiti. Non serve la prenotazione.
I tre pilastri della salute: sana alimentazione, esercizio fisico e sonno di qualità
“Il sonno è uno dei tre pilastri della salute insieme all’alimentazione sana e all’esercizio fisico. Un sonno che deve essere valutato anche sotto l’aspetto qualitativo, cioè deve essere continuo e profondo”, spiega il dottor Rossato, alla guida dell’unico del Centro del Veneto certificato Aims (Associazione italiana di medicina del sonno) a cui accedono circa 1500 pazienti all’anno.
Dormire male fa male anche alla linea
Dormire bene, infatti, aiuta la memoria e lo studio, rafforza il sistema immunitario, facilita la liberazione del cervello dalle tossine e l’organismo da virus e batteri. “E’ anche un supporto fondamentale per prevenire il sovrappeso o l’obesità – sottolinea il neurologo – perché non solo il comfort food è un modo per far passare le notti insonni, ma anche perché nel corso della notte il nostro corpo produce l’ormone della sazietà, senza il quale durante il giorno abbiamo più fame e siamo più attratti dai cibi spazzatura”.
Un disturbo del sonno: le gambe senza risposo
Sono tre le patologie del sonno maggiormente responsabili di tutti gli effetti negativi che il cattivo riposo comporta alla nostra salute. La prima è l’insonnia, il disturbo del sonno più diffuso al mondo: si stima che ne soffra il 10% della popolazione. Molto diffusa è anche la Sindrome delle apnee ostruttive, origine della frammentazione del sonno e quindi non solo di gravi conseguenze sulla salute, ma anche causa di molti incidenti stradali e sul lavoro. “Una delle patologie poco conosciute e diagnosticate è la sindrome delle gambe senza riposo – riprende il dottor Rossato -. Circa il 5-7% della popolazione manifesta disagio e irrequietezza agli arti inferiori durante il riposo, tali da non poter dormire. Si tratta di una patologia curabile con farmaci specifici, in grado di cambiare la vita del paziente perché eliminano completamente il disturbo o lo riducono così tanto da consentire al soggetto di riposare”.
Quando rivolgersi allo specialista?
Quando una persona “che fa fatica a dormire” dovrebbe rivolgersi allo specialista? “Si tratta di insonnia nel momento in cui è presente almeno uno dei seguenti tre fattori: difficoltà all’addormentamento, sonno frammentato e risveglio molto presto al mattino – risponde – Se questo avviene almeno tre volte alla settimana nell’arco di un mese siamo in presenza di un insonnia acuta, se invece persiste per oltre tre mesi si tratta di una forma cronica”. E nel caso in cui la sera non si riesca a guardare un film senza crollare sul divano? “Può non significare nulla. Ma se questo viene sommato al fatto che si ha bisogno di riposare al pomeriggio e ci si addormenta quasi sempre durante una riunione o una conferenza allora siamo in presenza di un sonno patologico. Quando la famosa scala di Epworth della sonnolenza segna un punteggio di 11, allora è necessario correre ai ripari”, conclude il dottor Rossato.
Influenza aviaria: "Il virus è sorvegliato a vista, ma per ora non c'è allarme"

Con la moria di molti uccelli selvatici ritorna l’incubo aviaria, soprattutto tra gli allevatori di animali da cortile. Per quanto riguarda l’uomo, finora non sono stati registrati casi di infezione intraumana, ma solo causata da volatili. Tuttavia resta alta l’attenzione della comunità scientifica al fine di monitorare mutazioni del virus A/H5N1 che potrebbero favorire un adattamento dell’agente patogeno nell’uomo. In Italia è nata una rete di Laboratori di virologia e di Istituti zooprofilattici, di cui fa parte anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria
Con il decesso di molti gabbiani sulle rive del lago di Garda e su quelle del fiume Adige a Verona, si ritorna a parlare di influenza aviaria, che nel 2005 aveva messo in crisi l’industria avicola italiana a causa di un’epidemia diffusa tra gli animali da cortile. Storica l’immagine del giornalista Lamberto Sposini che in diretta sul Tg di Canale 5 addenta una coscia di pollo per rassicurare gli spettatori (e i consumatori) dell’innocuità della carne di pollame, se consumata cotta (come si dovrebbe fare sempre).
Il timore del salto di specie
Il timore – dopo l’incubo Covid-19 – è che il virus A/H5N1, responsabile della maggior parte dei focolai di influenza aviaria nel mondo, possa fare il salto di specie (il cosiddetto spillover) e acquisire la capacità di trasmettersi in maniera efficace da persona a persona creando un’ondata pandemica.
Dai volatili selvatici a quelli da cortile
L’influenza aviaria è una patologia altamente contagiosa propria dei volatili selvatici. In particolare le anitre selvatiche sono un serbatoio privilegiato per la diffusione del contagio tra gli animali da cortile.
Trasmissione da animale all’uomo
Dopo il 2005 il virus ha continuato a circolare, provocando un centinaio di decessi di esseri umani, soprattutto bambini, in Paesi – come la Cina, l’Egitto e la Turchia – dove la promiscuità tra uomini e volatili è molto diffusa.
Il contagio dei mammiferi
Tuttavia a creare allarme anche tra gli esperti è stata la scoperta in Galizia, nell’ottobre del 2022, di una mutazione rara del virus A/H5N1 all’interno di un allevamento di visoni, mutazione che avrebbe favorito l’adattamento del virus ai mammiferi.
Non ci sono casi di trasmissione da uomo a uomo
Di pochi giorni fa, inoltre, la notizia che in Cambogia sono stati segnalati due casi di infezione da A/H5N1 nella stessa famiglia, ma il virus sequenziato dall’Istituto Pasteur di Phnom Penh non presentava le stesse mutazioni favorevoli ai mammiferi come quello dei visoni ed in ogni caso non sembra essersi trattato di un caso di trasmissione da uomo ad uomo, ma si ritiene che entrambi i soggetti abbiano contratto l’infezione da animali infetti.
Parola d’ordine: sorveglianaza

“Fortunatamente l’A/H5N1 ha caratteristiche tali per cui la trasmissione da volatile a uomo è molto difficile ed è ancora più difficile quella interumana. Non per questo dobbiamo abbassare la guardia”, sottolinea il dottor Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar. “Come ci ha insegnato il Covid-19, i virus mutano – sottolinea – Pertanto occorre rafforzare in primo luogo la sorveglianza nei parchi e negli allevamenti, anche per evitare danni economici ingenti. E’ fondamentale disporre della fotografia di quello che sta succedendo, perché solo così è possibile agire prontamente su eventuali focolai che potrebbero interessare l’uomo. Una delle prime azioni preventive da prendere da parte della popolazione è quella di non toccare mai uccelli moribondi o morti”.
La rete dei laboratori e degli istituti zooprofilattici per monitorare i virus

“Il numero di focolai negli uccelli ha subito un’impennata vertiginosa negli ultimi due anni rispetto al totale dei 5 anni precedenti. Sono sempre più frequenti le segnalazioni di casi di infezione da influenza di origine aviaria in mammiferi, questo potrebbe indicare un adattamento del virus a questi ospiti”, dice la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile del Laboratorio di Virologia, sempre dell’IRCCS di Negrar. “La comunità scientifica di tutto il mondo monitora molto da vicino questo fenomeno e in Italia – conclude – grazie anche ai finanziamenti relativi del Pnrr è stata potenziata la rete di sorveglianza dei laboratori di ricerca virologica, di cui fa parte anche quello dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria, rete che coinvolge anche gli Istituti zooprofilattici in una reale visione One Health”.
Toxoplasmosi: a rischio non solo la donna in gravidanza, ma anche i viaggiatori

L’IRCCS di Negrar è uno degli autori di uno studio che dopo molti anni traccia una mappatura della Toxoplasmosi in Italia. Dalla ricerca emerge che una percentuale di italiani testati erano positivi a ceppi non autoctoni in Italia – e più pericolosi – del protozoo responsabile dell’infezione. Si tratta di viaggiatori che nei Paesi a rischio hanno consumato carne cruda o non ben cotta. La Toxoplasmosi si configura quindi non solo una patologia di genere nel periodo della gravidanza, ma anche di interesse da parte della medicina dei viaggi.
La Toxoplasmosi viene generalmente associata alla donna in gravidanza e alla dieta priva di alimenti crudi che per nove mesi la futura mamma deve assumere per non incorrere nell’infezione molto pericolosa per il feto. In realtà la Toxoplasmosi entra di diritto tra le “patologie del viaggiatore” che richiedono formazione per chi parte e attenzione nei confronti di chi torna. A dirlo è lo studio Toxoplasma gondii Serotypes in Italian and Foreign Populations: A Cross-Sectional Study Using a Homemade ELISA Test, condotto dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, insieme all’Ateneo della città lombarda e pubblicato sulla rivista scientifica Microorganisms.
Si tratta della prima indagine epidemiologica, seppur parziale, che dopo molti anni viene effettuata in Italia sulla Toxoplasmosi e che ha rilevato tra i soggetti a rischio i viaggiatori uomini tornati da zone dove è prevalente la forma più grave di infezione. Proprio per la caratteristica dello studio, che ha fatto emergere quanto la Toxoplasmosi non sia solo una patologia femminile associata alla gravidanza, l’Istituto Superiore della Sanità ha voluto inserire un estratto dell’indagine nella Newsletter di gennaio dedicata alla Medicina di genere con il titolo Distribuzione epidemiologica dei sierotipi di T. gondii nella popolazione italiana e straniera residente in Italia: differenza di genere.
I diversi ceppi del Toxoplasma gondii
Ma che cos’è la Toxoplasmosi? Si tratta di un’infezione provocata dal protozoo Toxoplasma gondii (T. gondii), che può essere trasmesso all’uomo tramite animali come il gatto o il topo, ma soprattutto ingerendo carne cruda o verdura venuta in contatto con feci feline infette e non lavata adeguatamente. Di T. gondii esistono diversi ceppi. In Europa (quindi in Italia) e nel Nord America è endemico il ceppo II che dà origine prevalentemente ad un’infezione asintomatica oppure a sintomi aspecifici come febbre associata a gonfiore dei linfonodi, malessere, stanchezza, mal di testa, mal di gola, senso di “ossa rotte” che si risolvono da soli senza intervento farmacologico. Più raramente l’infezione acuta può causare disturbi oculari come offuscamento della vista e dolore agli occhi, causati da una corioretinite che richiede diverse settimane di trattamento antiparassitario e cortisonico.
L’infezione da ceppo II: se contratta in gravidanza è pericolosa per il feto
Ma se l’infezione viene acquisita in gravidanza può provocare conseguenze molto gravi sulla maturazione del feto fino l’aborto spontaneo o la morte in utero. Per questo tra gli esami previsti per la gestante è compreso mensilmente anche il test della toxoplasmosi e la donna è invitata a non assumere alimenti crudi per tutta la gestazione se l’esame sierologico non rileva una precedente infezione. Infatti chi contrae la toxoplasmosi è protetto per tutto l’arco della vita.
I ceppi più virulenti e patogeni sono autoctoni in Brasile, Messico e Africa
In Brasile, Messico e Africa a prevalere sono invece i ceppi I e III, che presentano caratteristiche di elevata virulenza e bassi/medi livelli di patogenicità. A questi, soprattutto in Sud America, si associano i ceppi ricombinanti-misti (che cioè presentano caratteristiche sia del ceppo I sia del III) responsabili di gravi forme di manifestazione acuta polmonare e oculare. La retinite focale necrotizzante da toxoplasmosi è un fenomeno molto diffuso in Brasile, soprattutto tra i bambini ai quali causa dolore oculare, offuscamento della vista e cecità
Ma con i viaggi i protozoi non restano nei Paesi d’origine

“Tuttavia in un’epoca di viaggi, di lavoro o ludici, non possiamo limitare i ceppi più patogeni solo ad alcuni Paesi”, afferma la dottoressa Sara Caldrer, biologa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar e una delle autrici dello studio. “A confermarcelo è proprio la ricerca che abbiamo condotto con l’obiettivo di valutare la distribuzione epidemiologica dei ceppi di T. gondii in Italia nei pazienti che si sono rivolti ai Centri di Negrar e di Pavia, testando in totale 188 soggetti di cui 95 stranieri”.
Oltre il 18,5% degli italiani testati positivi ai ceppi non autoctoni
Come era prevedibile, il ceppo II è risultato essere il più diffuso nella popolazione italiana mentre il ceppo I e III si è dimostrato prevalente nel gruppo degli stranieri, soprattutto tra gli africani e sudamericani. “Sorprendentemente nel 14,5% degli italiani analizzati sono stati riscontrati i ceppi I-III e nel 4% dei casi un ceppo ricombinante misto. Inoltre, una grande differenza è risultata evidente stratificando la popolazione italiana rispetto al genere. Infatti, una quota rilevante di maschi italiani è risultata positiva per il ceppo I-III (22,2%) e per ceppi ricombinanti misti R/M (6,7%). Questi ceppi non autoctoni risultano invece essere meno frequenti nella popolazione femminile, che è stata arruolata nello studio per lo più durante lo screening per la toxoplasmosi in gravidanza”, sottolinea la biologa.
I soggetti più a rischio: i maschi viaggiatori
Cosa quindi possiamo dedurre? “Questi risultati supportano l’ipotesi che i maschi italiani potrebbero aver contratto l’infezione viaggiando in un zone in cui circola un ceppo diverso da quello autoctono italiano, ingerendo alimenti crudi contaminati. E’ un dato importante – sottolinea – perché innanzitutto la toxoplasmosi da malattia del genere femminile si configura come una patologia di interesse della ‘medicina dei viaggi’.
Quindi chi si sottopone a una consulenza medica prima di partire per un viaggio in Paesi a rischio deve essere educato e formato non solo ad astenersi da liquidi, se non in bottiglia, ma anche da cibi crudi o non ben cotti. In particolare le gravide sieronegative alla toxoplasmosi dovrebbero evitare di viaggiare nei Paesi dove sono evidenti scarse condizione igienico sanitarie o dove le forme gravi di toxoplasmosi sono prevalenti (ad esempio Brasile). “In secondo luogo – prosegue – di fronte a un viaggiatore da poco tornato in Italia con sindrome febbrile associata a ingrossamento dei linfonodi del collo, nella diagnosi differenziata deve essere contemplata anche la toxoplasmosi, soprattutto se compaiono anche sintomi visivi”.
In quest’ultimo caso, una valutazione oculistica tempestiva e l’eventuale somministrazione di pirimetamina, sulfadiazina e cortisone consente di abbattere il rischio di danni oculari permanenti e di ricorrenza della malattia. “Il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar ha seguito insieme al reparto di Oculistica della dottoressa Grazia Pertile numerosi pazienti affetti da toxoplasmosi oculare acuta o riattivazione, confermando l’importanza della collaborazione multidisciplinare nella gestione delle gravi malattie infettive”, sottolinea Caldrer.
Uno studio epidemiologico sulla presenza dei ceppi di T. gondii in Italia
I dati rilevati dalla ricerca pubblicata su Microorganisms hanno dato vita a uno studio multicentrico coordinato dall’Università di Pavia a cui partecipano l’IRCCS di Negrar e le Unità Operative e Complesse di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza e di Bari e il Dipartimento di Ricerca traslazionale dell’Università di Pisa. Lo scopo è quello di ampliare l’indagine epidemiologica a tutto il territorio nazionale, al fine di avere una mappatura più completa possibile dei ceppi di Toxoplasma gondii circolanti in Italia ed effettuare un’adeguata correlazione con le manifestazioni cliniche.
Scuola di metodologia della ricerca clinica dell'IRCCS di Negrar: più di 500 sanitari preparati in nove anni

La Scuola di metolodologia della ricerca clinica, giunta quest’anno alla nona edizione, ha l’obiettivo di fornire agli operatori sanitari (non solo medici) gli strumenti non solo per fare ricerca clinica ma anche per leggere in maniera critica le pubblicazioni scientifiche sulle quali poi è basata l’attività quotidiana. Gli iscritti provengono dalle più prestigiose realtà sanitarie italiane,
E’ giunta alla nona edizione la Scuola di Metodologia clinica dell’IRCCS Ospedale Cuore Don Calabria, istituita nel 2014 dalla dottoressa Stefania Gori, allora presidente AIOM, per offrire agli oncologi gli strumenti non solo per fare ricerca clinica ma anche per leggere in maniera critica le pubblicazioni scientifiche sulle quali poi è basata l’attività quotidiana del medico. Nel tempo la Scuola ha ampliato la sua attenzione verso operatori sanitari di altri ambiti, non solo di quello oncologico, formando in nove anni 500 tra medici, infermieri, data manager, epidemiologi, biologi… di importanti realtà sanitarie italiane. (vedi il video qui sotto)
L’edizione 2023 – con la direzione e la segreteria scientifica rispettivamente della dottoressa Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’IRCCS di Negrar, e del dottor Giovanni Pappagallo, epidemiologo clinico – vede iscritti provenienti dall’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli, dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, dall’IRCCS De Belli di Castellana Grotte (Bari), dalla Fondazione CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica) e dall’ICS Maugeri di Pavia, dall’IRCCS San Raffaele di Milano, dall’IRCCS Giovanni Paolo II di Bari e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona. Inoltre la Scuola gode di prestigiosi patrocini tra cui Alleanza Contro il Cancro, il più grande network di ricerca oncologica in Italia, e dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il corso comprende 11 giornate e si sviluppa in moduli autonomi, frequentabili anche singolarmente, durante i quali si svolgono lezioni frontali e lavori di gruppo.
I primi due si sono tenuti il 20-21 gennaio e il 10-11 febbraio ed erano finalizzati a fornire ai partecipanti le basi per la strutturazione di un progetto di ricerca clinica, a partire da un quesito clinico fornito dagli stessi.
I moduli seguenti affronteranno temi specifici:
- Revisioni sistematiche e metanalisi (10-11 marzo)
- Linee guida per la pratica clinica (21-22 aprile)
- I confronti diretti (11 maggio)
- Studi osservazionali (12-13 maggio)
Questi i docenti dell’Edizione 2023:
Emilio Bria, Oncologia, IRCCS Policlinico Gemelli (Roma)
Cristina Bosetti, Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” – Milano
Fulvio Calise, professore di Chirurgia Generale dell’Università del Molise, Direttore del Centro di Chirurgia Epato-Biliare, Ospedale Pineta Grande – Castel Volturno (CE)
Michela Cinquini, Unità di Revisioni Sistematiche e Linee Guida- Dipartimento di Oncologia, IRCCS Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- Milano
Pierfranco Conte
Responsabile Rete Oncologica Veneto (ROV)
Ettore D’Argento, Oncologia, IRCCS Policlinico Gemelli (Roma)
Veronica Andrea Fittipaldo, IRCCS Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- Milano
Stefania Gori, Oncologia Medica, IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – Negrar (VR)
Cristina Mazzi, Nucleo di Ricerca Clinica – IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – Negrar (VR)
Federica Miglietta, Oncologia Medica 1, IRCCS Istituto Oncologico Veneto- Padova
Ivan Moschetti, Unità di Revisioni Sistematiche e Linee Guida- Dipartimento di Oncologia, IRCCS Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- Milano
Oriana Nanni, IRCCS Istituto Romagnolo per la Cura dei Tumori “Dino Amadori”, Mendola (FC)
Fabrizio Nicolis, direttore sanitario, IRCCS IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – Negrar (VR)
Dott. Giovanni L. Pappagallo, epidemiologo clinico e responsabile della segreteria scientifica della Scuola di Metodologia Clinica.
Valter Torri, IRCCS Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”- Milano
Giulio Zuanetti, Abaut Farma, Milano
Il corso si tiene al Centro di Formazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’iscrizione può essere fatta on line al sito web http://formazione.sacrocuore.it/Index.aspx. E’ previsto un numero massimo 25 partecipanti per modulo.
Una mostra itinerante porta don Calabria in tutto il mondo

Nei giorni scorsi è partita da San Zeno in Monte la mostra itinerante che porterà alcuni oggetti appartenuti a san Giovanni Calabria in tutti i territori dove sono presenti le case e le attività dell’Opera. La mostra arriverà anche alla Cittadella della Carità nel prossimo settembre, dopo essere stata in tutti e cinque i continenti
Si intitola “Terra&Sangue” la mostra itinerante che attraverserà tutte le missioni dell’Opera Don Calabria in occasione del 150° anniversario della nascita del Fondatore. La terra è quella di San Zeno in Monte, che il santo definiva “terra santa e benedetta”, mentre il sangue è quello di don Calabria, che viene esposto in una fiala all’interno di un reliquiario a forma di faro realizzato dall’artista veronese Albano Poli, Ex allievo dell’Opera.
Oltre a questi due elementi la mostra porterà in giro per il mondo alcuni oggetti appartenuti a don Calabria,scelti perchè rappresentano alcuni aspetti della sua spiritualità e del suo Carisma. Si tratta di scarpe, occhiali, orologio, portafogli, lettera autografa e stola. La mostra è partita ufficialmente lo scorso 8 febbraio da San Zeno in Monte, quando il Casante don Massimiliano Parrella ha consegnato al Delegato per l’Europa don Valdecir Tressoldi le due valigie e lo zainetto che contengono tutti gli oggetti e il materiale necessario per l’allestimento.
Nei giorni scorsi la mostra è già stata montata nelle comunità di Roma, Napoli, Lamezia Terme, Palermo e Ferrara. Le prossime tappe saranno la Romania e il Portogallo, dopodichè ci sarà il trasferimento in Kenya e Angola. Nel mese di settembre, dopo aver toccato tutti i continenti, la mostra tornerà a Verona e sarà anche a Negrar nei giorni che porteranno alla celebrazione del 150° anniversario della nascita che cade il prossimo 8 ottobre, in occasione della festa liturgica di don Calabria.
Maggiori informazioni sulla mostra e sul suo percorso si possono trovare sul sito dell’Opera a questo link: https://www.doncalabria.it/news/mostra-itinerante–499/