150° anniversario di don Calabria: il programma delle celebrazioni

Dal 25 settembre all’8 ottobre c’è un fitto calendario di eventi aperti a tutti per ricordare san Giovanni Calabria nel 150° anniversario della nascita. Si comincia con una tavola rotonda alla Gran Guardia. Tra le altre iniziative: un concerto del Piccolo Coro dell’Antoniano al teatro Filarmonico, un nuovo percorso turistico-spirituale sui luoghi del santo nel centro città con Web App dedicata, un podcast in 5 puntate che racconta la sua vita. Inoltre San Zeno in Monte diventerà santuario
L’APERTURA IN GRAN GUARDIA
Iniziano lunedì 25 settembre alla Gran Guardia di Verona le celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di san Giovanni Calabria, il fondatore dell’omonima Opera, nato l’8 ottobre 1873. L’evento di apertura è la tavola rotonda “Verona e Giovanni Calabria, una storia di passione e di fedeltà” (inizio alle ore 17,00 con ingresso libero e aperto a tutti). Interverranno mons. Domenico Pompili, vescovo di Verona, il prof. Stefano Zamagni, economista e docente all’università di Bologna, don Massimiliano Parrella, Casante dell’Opera calabriana, e il prof. Gian Paolo Marchi, docente emerito dell’Università di Verona.
Durante l’incontro si parlerà della vita di don Calabria e di come il suo carisma sia entrato nel cuore di Verona e dei veronesi non solo per l’aspetto religioso ma anche in ambito economico e sociale. Ci saranno inoltre alcune video-testimonianze di persone che hanno conosciuto il santo e ne serbano un ricordo vivo.
IL PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE PER IL 150°
Le celebrazioni, patrocinate dal Comune e dalla Diocesi di Verona, proseguiranno nei giorni successivi fino a culminare con la Messa solenne di domenica 8 ottobre, giorno del 150° anniversario, quando la Casa Madre di San Zeno in Monte diventerà “Santuario San Giovanni Calabria”.
Tutte le informazioni sul programma dei festeggiamenti si possono trovare a questo link sul sito dell’Opera: PROGRAMMA CELEBRAZIONI 150°.
Il secondo appuntamento, dopo la Gran Guardia, coinvolge direttamente anche l’IRCCS di Negrar. Infatti mercoledì 27 settembre a San Zeno in Monte ci sarà un simposio dedicato a quelle che don Calabria definiva “le perle dell’Opera”, cioè le persone in difficoltà a causa della povertà, della malattia e del disagio. Per l’occasione dialogheranno i responsabili delle principali attività sociali e sanitarie dell’Opera a Verona, tra cui l’ospedale, con i rappresentanti delle istituzioni (inizio alle ore 10,00 presso l’auditorium della Casa Madre).
Un evento dedicato alle famiglie e ai bambini è quello di sabato 30 settembre, quando il Piccolo Coro dell’Antoniano si esibirà al Teatro Filarmonico (info per i biglietti su www.doncalabria.org). Prima del concerto ci sarà un emozionante collegamento in diretta con i bambini di una missione dell’Opera in Kenya, in rappresentanza di tutti i bambini ancora oggi accolti e sostenuti nel nome di don Calabria nel mondo.
WEB APP “AMATA VERONA” E PRENOTAZIONE DELLA VISITA GUIDATA AI LUOGHI CALABRIANI
Altra novità di rilievo è la Web App “Amata Verona. Un santo e la sua città” che sarà inaugurata sabato 7 ottobre. Si tratta di un percorso turistico-spirituale attraverso nove luoghi decisivi per la vita di don Calabria, dalla casa natale in Vicolo Disciplina, dietro Piazza Bra, fino alla chiesa di Sant’Anastasia dove vennero celebrati i funerali, per terminare sulla terrazza panoramica di San Zeno in Monte. In prossimità dei luoghi significativi, lungo questo percorso, c’è una tabella con QR Code che permette a chiunque di seguire il percorso sul telefono accedendo a informazioni, mappa, foto e video d’epoca. Per il giorno dell’inaugurazione sarà possibile effettuare il percorso a piccoli gruppi. I luoghi saranno aperti e visitabili con accoglienza a cura della Famiglia Calabriana in partnership con la Fondazione Verona Minor Hierusalem (iscrizione sul sito dell’Opera al seguente link: PRENOTAZIONI VISITA GUIDATA 7 OTTOBRE).
PODCAST
All’inizio di ottobre verrà lanciato inoltre un nuovo podcast in 5 puntate, realizzato da Podcast Italia Network, con un emozionante e intensissimo racconto della vita di don Calabria, disponibile gratuitamente su tutte le principali piattaforme di ascolto online.
FRANCOBOLLO CELEBRATIVO
Gli eventi si concluderanno, come detto, domenica 8 ottobre con la celebrazione a San Zeno in Monte, la tradizionale benedizione della città dalla terrazza e l’erezione a santuario. E’ prevista anche l’emissione di uno speciale francobollo di Poste Vaticane e un annullo filatelico di Poste Italiane. Sul piano strettamente religioso, inoltre, la tradizionale novena in preparazione alla festa verrà vissuta con diverse celebrazioni previste in varie chiese della città. L’inaugurazione sarà venerdì 29 settembre con il vespro solenne in Cattedrale.
Alzheimer: prendersi cura anche del caregiver, la "vittima nascosta" della malattia

Il 21 settembre è la Giornata mondiale della malattia di Azheimer, una patologia che porta a un progressivo decandimento cognitivo rendendo la persona completamente non autosufficiente. Per questo si tratta di una patologia che colpisce non solo il malato ma di riflesso l’intero nucleo familiare e in particolare il caregiver, la persona dedicata quasi esclusivamente all’assistenza del paziente. E’ la “vittima nascosta” della malattia di cui ogni programma di cura deve tenere conto. Le iniziative del Centro disturbi cognitivi e demenze dell’IRCCS di Negrar.
In occasione della Giornata mondiale per l’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre, il nostro CDCD (Centro Disturbi Cognitivi e Demenze), coordinato dalla dottoressa Zaira Esposito, propone una riflessione sulla figura del caregiver ovvero “colui che si prende cura” e sui possibili rischi che la malattia del proprio caro può esercitare su chi lo assiste, suggerendo alcune misure da mettere in campo al fine di sostenere il caregiver e, di conseguenza, tutto il nucleo familiare e il malato.
Si stima che in tutto il mondo siano 50 milioni le persone che soffrono di demenza. E poiché uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo della malattia è l’età anziana, si ipotizza che i malati diventeranno 130 milioni nei prossimi 30 anni. Le malattie neurodegenerative sono patologie che si caratterizzano anche per il loro lungo decorso e le persone colpite necessitano di un prolungato processo di cura assistenziale.
La figura del caregiver e la sua importanza
Dall’esordio della patologia fino alle fasi più gravi, le persone più vicine ai malati affetti da decadimento cognitivo sono generalmente i familiari. La malattia di un proprio caro rappresenta uno dei momenti più critici per la famiglia, in quanto essa non coinvolge solo il malato, ma tutta la rete familiare. Questo perché il decorso dell’Alzheimer o della demenza in generale determina un progressivo aumento della dipendenza del malato da una o più persone, comportando un cambiamento nelle dinamiche e nei ruoli familiari.
Il compito del caregiver cambia in relazione alle fasi della malattia. All’inizio gli viene richiesto un aiuto soprattutto emotivo e un sostegno per le attività più complesse del vivere quotidiano (guidare, assunzione della terapia, compiere movimenti bancari…).
Successivamente, l’assistenza diviene legata alla perdita delle autonomie di base e fisiologiche, spesso in modo costante (lavarsi, vestirsi…). Inoltre al familiare si richiede la gestione dei disturbi comportamentali che spesso complicano la malattia e influiscono sulla persona del malato e su chi se ne prende cura, come i disturbi del sonno, della condotta, l’agitazione, l’aggressività, i deliri e le allucinazioni.
Solitamente le donne assumono il ruolo di caregiver molto più frequentemente rispetto agli uomini. Considerando che spesso la persona che assiste ricopre anche altri ruoli (professionali, familiari e genitoriali) tale incarico e impegno ha delle ripercussioni anche sul piano affettivo ed emotivo, fisico (sonno, sforzi fisici, ecc), sociale ed economico.
Per queste motivazioni, la persona che si prende cura del malato viene da alcuni definita come la “vittima nascosta”. Molto spesso, infatti, si pone enfasi solo ed esclusivamente sulla persona colpita dalla patologia, dimenticandosi delle ripercussioni psico-fisiche che la patologia può avere sul familiare. Ogni programma di cura dovrebbe pertanto tenere conto di tale realtà ed occuparsene.
I rischi della malattia sul caregiver (burden),
Sul familiare la malattia può avere un effetto rilevante in molteplici ambiti:
- Effetti psicologici: depressione, ansia, insonnia e difficoltà di concentrazione, sofferenza e disorientamento, bassa autoefficacia percepita, senso di impotenza, diminuzione del tempo da dedicare al lavoro e al resto della famiglia, con la sensazione di sentirsi “catturato” nel ruolo;
- Effetti sulla salute: affaticamento, riduzione del tempo per la cura di sé, alto uso di psicofarmaci, elevati valori di pressione arteriosa, compromissione della risposta immunitaria, aumento dei livelli ematici di trigliceridi e del colesterolo;
- Effetti sulle relazioni sociali: isolamento sociale, alto senso di responsabilità, progressiva perdita di relazione comunicativa con il familiare malato;
- Effetti sulla attività lavorativa e finanziaria: costi diretti (spese- farmaci, ospedale, perdita del lavoro, costo dell’assistente familiare), indiretti (adattare la casa, risorse non prodotte a causa della malattia) e intangibili (energie, sofferenza fisica, tempo);
- Peggioramento della qualità della vita, sia in termini di benessere che in termini di desideri/valori
Cosa si può fare?
- Ascoltare e accogliere i propri limiti;
- Ricordare a se stessi che si è importanti per sé e per il malato,
- Non temere i giudizi altrui,
- Ascoltare i campanelli di allarme rigurdanti la sfera fisica o psicologica, riferirli al medico, chiedere ed accettare aiuto;
- Consentirsi il diritto di una pausa, richiedere delle sostituzioni momentanee ma con cadenza regolare, al fine di recuperare sè stessi e i propri affetti o hobbies
- Preservare la rete di relazione sociale;
- Informarsi e formarsi. La conoscenza della malattia e dei disturbi che ne conseguono portano ad una migliore comprensione, tolleranza e gestione delle situazioni complesse;
- Ricercare routine che diano sicurezza a entrambi (sia caregiver che malato)
- Informarsi su iniziative (associazioni, centri diurni) presenti sul territorio
Il CDCD dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per sostenere le persone malate e i loro caregiver propone una serie di iniziative svolte dalle psicologhe Cristina Baroni e Cecilia Delaini, come i colloqui per i familiari e i gruppi di stimolazione cognitiva per le persone con decadimento cognitivo
Il ruolo fondamentale del paziente per la sicurezza dei processi di cura

Domenica 17 settembre è la Giornata mondiale della sicurezza delle cure che quest’anno sottolinea quanto sia importante il coinvolgimento diretto del paziente affinché il processo di cura si sviluppi positivamente senza particolari eventi avversi. Gli strumenti adottati dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
“Coinvolgere i pazienti per la sicurezza dei pazienti”. E’ il tema proposto quest’anno dall’Organizzazione mondiale della Sanità per la Giornata della sicurezza del paziente (World Patient Safety Day) che si celebra questa domenica 17 settembre. L’obiettivo della ricorrenza, istituita nel 2019, è quello di esortare tutti i Paesi a mantenere alta l’attenzione e l’informazione sul problema della sicurezza delle cure e della persona assistita. Sicurezza che non può prescindere dal coinvolgimento diretto dei pazienti e delle loro famiglie.
Non a caso lo slogan del 2023 è “Far sentire la voce dei pazienti” (Elevate the voice of patients) scelto dall’OMS per invitare a intraprendere le azioni necessarie al fine di garantire che i pazienti siano partner attivi nei propri percorsi di cura e siano coinvolti dalle strutture di governance nella co-progettazione di politiche e strategie tese alla sicurezza delle cure.
È infatti dimostrato che quando i pazienti vengono trattati come partner durante il processo di cura, si ottengono vantaggi significativi in termini di sicurezza, soddisfazione e risultati di salute. Svolgendo un ruolo attivo, i pazienti possono contribuire sia alla sicurezza delle loro cure che a quella del sistema sanitario nel suo complesso.
“Il coinvolgimento dei pazienti per la sicurezza delle cure si concretizza nell’offrire a loro la possibilità di dare voce ad aspettative e preferenze”, spiega il dottor Davide Brunelli, risk manager dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “Questo innanzitutto offrendo informazioni corrette in merito ai trattamenti proposti, nell’idea che il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura, come ribadito dalla legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (219/2017)”.
Per quanto riguarda più specificatamente l’IRCCS di Negrar, grande rilevanza hanno i questionari di soddisfazione che dal 2003 vengono sottoposti ai pazienti. “Sono strumenti preziosi che contribuiscono a individuare i miglioramenti da apportare ai processi organizzativi”, afferma il medico.
Il coinvolgimento dei pazienti passa anche attraverso l’informazione e la loro educazione. “Il sito istituzionale (www.sacrocuore.it) contiene video per aiutare il paziente a vivere la fase delicata delle dimissioni ospedaliere, magari dopo un intervento chirurgico che richiede la gestione per esempio dei drenaggi o una fase di riabilitazione”, sottolinea il dottor Brunelli.
“E’ stata anche realizzata un’APP che aiuta il paziente ad aderire al protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery- Il migliore recupero dopo la chirurgia) dove il paziente è protagonista in tutte le fasi del suo percorso chirurgico: prima dell’intervento, durante il ricovero e dopo le dimissioni – prosegue il medico -. ERAS rappresenta la chiara dimostrazione di quanto il coinvolgimento del pazienti migliori il processo terapeutico: l’applicazione del protocollo per i tumori al colon retto e per la chirurgia bariatrica ha portato alla riduzione delle complicanze chirurgiche e delle giornate di degenza e un ritorno più rapido alla vita quotidiana da parte del paziente”.
Nessun coinvolgimento è possibile senza l’ascolto. Per il secondo anno il Sacro Cuore Don Calabria propone laboratori di Medicina narrativa che aiutano i sanitari a meglio comprendere il vissuto dei pazienti, le loro preoccupazioni e le loro attese.
L'IRCCS di Negrar è un Cancer Center: a dirlo è la più grande rete oncologica europea

“L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria rispetta gli standard di qualità di un Cancer Center e di un istituto di ricerca”. E’ quanto riporta la targa che certifica il titolo di Centro di cura dei tumori ottenuto dall’OECI che, con i suoi 140 membri, è la più grande rete europea in ambito oncologico. Ne fanno parte alcuni dei maggiori Istituti del continente impegnati nella lotta contro il cancro. Quelli italiani sono 13 tra cui l’Istituto Nazionale Tumori e l’Istituto Europeo Oncologico di Milano, il “Regina Elena” di Roma e il “Pascale” di Napoli. In regione l’unico certificato è l’Istituto Oncologico Veneto. L’IRCCS di Negrar è tra i pochi ospedali presenti nel network che non si occupano esclusivamente di diagnosi e cura del cancro.
Il prestigioso riconoscimento internazionale è stato ottenuto a conclusione di un iter intrapreso volontariamente dall’IRCCS e durato due anni, durante i quali il board dell’OECI ha valutato, anche con visita in sede, l’attività oncologica del Sacro Cuore, rilevando i punti di forza e chiedendo, per altri, l’adeguamento a standard condivisibili a livello internazionale con i più grandi centri di cura e di ricerca dei tumori.
L’importanza della certificazione per il paziente è stata illustrata questa mattina in una conferenza stampa nella sala convegni del Sacro Cuore Don Calabria.

“L’OECI oltre ad essere la più grande rete europea degli istituti oncologici, è anche la più importante a livello mondiale. Opera in Europa ma molti istituti di altri continenti fanno riferimento ad essa per adottare standard di qualità di cura simili o per ipotizzare la costituzione di network come l’OECI che possano integrare al meglio le comunità oncologiche”, ha affermato il direttore generale dell’Organizzazione, Claudio Lombardo. “Fin dalla sua costituzione avvenuta nel 1979 ad opera di Umberto Veronesi, l’OECI ha avuto come obiettivo quello di fornire a tutti i malati oncologici dell’Europa le stesse opportunità di cura e favorire collaborazioni nei protocolli di ricerca”.

“Pertanto l’accreditamento OECI rappresenta un valore aggiunto per la Rete Oncologica Veneta e per la presa in carico del paziente affetto da tumore della nostra regione”, ha sottolineato Alberto Bortolami del Coordinamento Regionale per le Attività Oncologiche (CRAO)-Rete Oncologica del Veneto. “Il riconoscimento di Cancer Center significa che l’IRCCS di Negrar soddisfa i più elevati standard elaborati a livello europeo negli ambiti della cura e dell’assistenza, della ricerca scientifica e dell’innovazione, della prevenzione e della formazione accademica e post-laurea. Vengono premiati, in particolare, il carattere innovativo e la varietà delle cure offerte, secondo un approccio multidisciplinare che è parte integrante anche della Rete Oncologica del Veneto. Approccio che mette al centro le esigenze del paziente e dei suoi familiari, elaborando un piano terapeutico su misura, a partire dagli ultimi sviluppi della ricerca svolta al proprio interno e in collaborazione con altri partner regionali”.

“La certificazione di Cancer Center non è solo una questione di prestigio, ma è parte integrante della nostra storia da sempre a servizio del paziente, in quanto rappresenta una garanzia della qualità delle cure e dell’assistenza a vantaggio di chi è affetto da questa malattia. Il riconoscimento europeo è anche un’opportunità per l’Ospedale di ulteriore crescita grazie al confronto e alla sinergia con le più grandi realtà oncologiche europee. E questo va sempre a beneficio del paziente”, ha sottolineato l’amministratore delegato Mario Piccinini

L’ingresso nell’OECI è il traguardo di un percorso di sviluppo almeno ventennale come ha illustrato il direttore sanitario Fabrizio Nicolis. “Oggi sono presenti in una sola struttura tutte le specialità di diagnosi, cura e riabilitazione per il paziente adulto affetto da tumore. L’acquisizione di professionalità e di tecnologia innovativa e spesso unica in Italia ha portato una crescita progressiva dell’attività assistenziale: nel 2022 sono stati 17mila i pazienti oncologici che si sono rivolti a questo ospedale per diagnosi e/o cura di una patologia neoplastica (con una crescita media del 7% in 5 anni) e 2.700 gli interventi oncologici, di cui il 21,7% da fuori regione. La crescita ha riguardato anche l’attività di ricerca: ad oggi sono in corso 113 studi clinici condotti da 11 diverse unità operative”.
Un modello organizzativo multidisciplinare per la cura del paziente
Determinante per lo sviluppo è stata l’adozione di un modello organizzativo multidisciplinare strutturato come una rete trasversale ai Reparti e ai Servizi coinvolti nella diagnosi e nella cura delle patologie oncologiche. Nel 2016 è stato attivato anche un “Numero Verde per la cura dei tumori (800 143 143)” per facilitare l’iter diagnostico-terapeutico del paziente con diagnosi o sospetta diagnosi di neoplasia.
Un iter che, secondo la letteratura scientifica, per essere efficace deve basarsi su due cardini: la presa in carico tempestiva e multidisciplinare del paziente.
Tempestiva presa in carico: una nuova piattaforma informatica

“Per garantire ulteriore tempestività abbiamo predisposto una piattaforma informatica finalizzata alla presa in carico del paziente che si rivolge per la prima volta al “Sacro Cuore Don Calabria” con una diagnosi (o sospetta) oncologica o con una recidiva tumorale”, ha spiegato il dottor Davide Brunelli, vicedirettore sanitario dell’IRCCS di Negrar. “L’informatica ci viene incontro nel rendere più fluida, per esempio, la comunicazione dei casi tra i Servizi di diagnosi (radiologia, endoscopia digestiva, medicina nucleare…) e gli specialisti delle Unità Operative, affinché il paziente sia sottoposto ad ulteriori accertamenti o a una prima visita specialistica entro 48 ore. Il sistema diviene inoltre un prezioso strumento di verifica dell’efficacia stessa del percorso per ulteriori interventi di miglioramento”.
Quando l’organizzazione fa la differenza

“In questi anni l’IRCCS di Negrar ha visto crescere le competenze professionali e le tecnologie, ma ha anche migliorato l’organizzazione con la creazione e sviluppo dei Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM), nei quali un team di medici di diverse specialità discutono il caso di malattia neoplastica che per la sua complessità non può essere presa in carico da un solo specialista”, ha spiegato la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento Oncologico. “Una simile organizzazione determina beneficio per il paziente: migliore assistenza, aumentata aderenza del percorso diagnostico-terapeutico dettato dalle Linee Guida nazionali e internazionali e aumento della sopravvivenza, maggiore opportunità di arruolamento in studi clinici (quindi accesso alle cure innovative)”. Ricadute positive anche sul fronte della ricerca: l’acquisizione di dati clinici dai diversi specialisti favorisce la nascita di nuovi studi.
Nel corso della conferenza stampa alcuni specialisti hanno illustrato alcune peculiarità dell’attività oncologica.
Medicina Nucleare: dalla Diagnosi alla cura

La Medicina Nucleare oltre agli esami diagnostici effettua trattamenti con radiofarmaci per le metastasi ossee del tumore della prostata e per neoplasie neuroendocrine. A fine anno è previsto anche il via libera da parte di Aifa di un innovativo radiofarmaco, il Lutetium-177 (177Lu)–PSMA-617, per la cura del tumore della prostata metastatico e resistente alla terapia ormonale, per il quale l’IRCCS di Negrar ha tutte le caratteristiche per diventare centro somministratore: competenza nell’ambito dei radiofarmaci, (è sede anche di una Radiofarmacia con ciclotrone), numero dei pazienti (nel 2022 quelli oncologici sono stati 3.600 di cui il 29% da fuori regione) e per la presenza di un reparto di degenza riservato ai pazienti sottoposti a trattamento radioattivo. “Uno studio internazionale (Vision) ha dimostrato un aumento significativo della sopravvivenza globale e della sopravvivenza libera da progressione di malattia nei pazienti che sono stati trattati con il nuovo radiofarmaco rispetto a coloro che sono stati sottoposti alle terapie standard” ha detto il direttore, dottor Matteo Salgarello. “Siamo di fronte a una novità rilevante. Nel 2022 le nuove diagnosi di tumore alla prostata in Italia sono state 40.500. Si stima che il 10-20% dei pazienti siano o diventino resistenti alle cure ormonali. In numeri assoluti il Lutezio – 177 potrebbe interessare una platea che va dai 4mila agli 8mila pazienti”.

Tumori solidi: profilo molecolare e predisposizione genetica dei tumori
Sull’attività di diagnosi delle alterazioni genetiche cioè di origine eredo-familiare, che comportano un rischio rilevante di malattia tumorale si è soffermato il dottor Giulio Settanni, responsabile del Laboratorio di patologia molecolare dell’Anatomia Patologica diretta dal professor Giuseppe Zamboni. “Il test su sangue viene effettuato su soggetti non necessariamente affetti da tumore e dopo che l’anamnesi della genetista oncologa (la dottoressa Valeria Viassolo) ha indicato che la persona ha un rischio rilevante, per storia personale e/o familiare, di contrarre una malattia neoplastica legata all’alterazione di uno o più geni. I più noti sono i geni BRCA1 e BRCA2 per quanto riguarda i tumori della mammella e dell’ovaio. Quelle eredo-familiari sono una piccola percentuale delle forme neoplastiche, ma la conoscenza delle alterazioni genetiche che le provocano permette di mettere in atto tutte le azioni preventive o di diagnosi precoce”.

La moderna radioterapia guidata dalle immagini RM
Ritornando sul fronte delle cure il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi, nel 2022 ha trattato 1.551 pazienti di cui il 36% da fuori regione. La Radioterapia – Centro di riferimento regionale – dispone di quattro acceleratori lineari ad altissima precisione. Fra questi Unity, integrato con una Risonanza Magnetica ad alto campo che consente di colpire le lesioni tumorali c
La preparazione all’intervento chirurgico migliora gli esiti: il percorso ERAS

Ha concluso gli interventi la dottoressa Elisa Bertocchi, della Chirurgia generale diretta dal dottor Giacomo Ruffo illustrando il protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) applicato per gli interventi di chirurgia colon rettale. L’obiettivo del protocollo è il recupero post chirurgico rapido, tramite un’ottimale condizione pre-operatoria del paziente e una precoce mobilizzazione e alimentazione post chirurgica. Grazie a questo protocollo (per il quale quello di Negrar è Centro qualificato Eras Society) sono state ridotte drasticamente le complicanze post-chirurgiche e sono diminuiti i giorni di degenza, in media da 6 a 4.
L'AD dell'IRCCS Sacro Cuore, Mario Piccinini, riconfermato presidente dell'ARIS Triveneto

Si tratta del quarto mandato quinquennale consecutivo alla guida dell’Associazione religiosa degli Istituti socio-sanitari del Veneto, della Provincia autonoma di Trento e del Friuli Venezia Giulia. Sedici strutture, tra cui due IRCCS. “Ringrazio gli associati per la loro rinnovata fiducia. La mia presidenza porterà avanti le diverse istanze degli istituti Aris, coadiuvata da un Consiglio in cui siederà un rappresentante per ogni differente tipologia di struttura”.
L’Amministratore Delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, Mario Piccinini è stato rieletto, per il quarto mandato quinquennale consecutivo, presidente dell’Aris Triveneta, l’Associazione religiosa degli Istituti socio-sanitari.
L’elezione, all’unanimità, è avvenuta nei giorni scorsi a Negrar dove erano riuniti i delegati di sedici strutture sanitarie cattoliche del Veneto, della Provincia Autonoma di Trento e del Friuli Venezia Giulia. Fra queste, due Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il “Sacro Cuore Don Calabria”, per la disciplina delle Malattie Infettive e Tropicali, e il “San Camillo” di Venezia per la Neuroriabilitazione. L’Aris Triveneta comprende anche cinque ospedali classificati , cioè equiparati al pubblico, centri di riabilitazione, Rsa e case di cura. Per un numero complessivo di 2.157 posti letto.
Mario Piccinini, laureato in Giurisprudenza, dal 1975 lavora al “Sacro Cuore Don Calabria” dove ha ricoperto l’incarico di direttore del personale e di direttore amministrativo, prima di essere nominato, nel 2015, amministratore delegato. Dallo scorso 31 maggio è coordinatore nell’Aris nazionale dei 14 IRCCS associati. Complessivamente in Italia le strutture aderenti sono oltre 260, tutte non profit (gli eventuali utili di bilancio vengono impiegati per l’attività istituzionale) perché appartenenti ad associazioni religiose.
“Innanzitutto ringrazio gli associati per la loro rinnovata fiducia”, afferma il dottor Piccinini. “La mia presidenza porterà avanti le diverse istanze degli istituti Aris, coadiuvata da un Consiglio in cui siederà un rappresentante per ogni differente tipologia di struttura”.
Se in generale la sanità italiana è in affanno per le sempre minori risorse a fronte di cure sempre più costose e di un aumento esponenziale di prestazioni, per quella non profit si sommano le difficoltà di sempre. “Le strutture sanitarie religiose per legge sono equiparate al pubblico, ma di fatto non vengono considerate tali anche se la loro attività rientra nella programmazione delle Regioni – afferma il dottor Piccinini – Questa contraddizione si traduce in una disparità di trattamento economico sia da parte dello Stato che delle Regioni. I fondi straordinari stanziati (un esempio, ma è uno dei tanti, sono quelli per il rinnovo dei contratti del personale) non contemplano mai le strutture private convenzionate. La nostra sola fonte di finanziamenti rimangono i DRG, i rimborsi che percepiamo per ogni prestazione effettuata. Con la sola tariffa dobbiamo coprire il costo dell’esame o dell’intervento e ricavare un margine per gli investimenti strutturali e tecnologici. Investimenti che invece per le strutture pubbliche vengono finanziati a parte. Il sistema potrebbe essere anche sostenibile, se i DRG venissero adeguati ai costi della sanità attuale aumentati esponenzialmente a causa dell’inflazione. E invece sono fermi da tanto tempo”.
Altro problema scottante sono le liste di attesa. “Da anni le nostre strutture devono fare i conti con i budget regionali che influiscono sulle liste di attesa, diventate oggi gravose per il cittadino anche a causa della pandemia Covid, e non solo. Il governo ha destinato fondi straordinari per il loro abbattimento, ma, nonostante la massima disponibilità, i nostri ospedali sono stati coinvolti solo marginalmente”, conclude il presidente ARIS.
I pazienti dell'Unità Spinale al Santuario della Corona con il supporto dell'Ordine di Malta

Un’uscita particolare quella che hanno vissuto sei pazienti dell’Unità Spinale: grazie al supporto logistico dell’Ordine di Malta hanno potuto visitare il Santuario della Madonna della Corona a Ferrara di Monte Baldo (Verona). “Anche il tempo vissuto fuori dall’ospedale fa parte del percorso di riabilitazione di questi pazienti. Queste occasioni dimostrano praticamente che nonostante la grave invalidità è possibile ritornare a una vita di inclusione sociale”, dice la dottoressa Elena Rossato, direttore della Medicina Fisica e Riabilitazione.
Nell’ambito del progetto “Turismo sociale inclusivo del Veneto” venerdì 1 settembre sei pazienti dell’Unità Spinale dell’IRCCS di Negrar, diretta dal dottor Giuseppe Armani, hanno visitato il Santuario della Madonna della Corona di Ferrara di Monte Baldo.
Il progetto, istituito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con la Regione Veneto e coordinato per la provincia di Verona dall’Ulss 9, ha come obiettivo “la promozione di azioni per favorire l’accessibilità e l’inclusione della persona con disabilità e la sua famiglia nel contesto sociale, attraverso Iniziative a carattere culturale e turistico, esperienze di tirocini lavorativi, attività per il tempo libero e lo sport”.
Ad accompagnare i pazienti, la dottoressa Elena Rossato, direttore della Medicina Fisica e Riabilitazione, e alcuni componenti della Delegazione veronese dell’Ordine di Malta, partner del progetto, che hanno assicurato il supporto logistico all’iniziativa.
Il dottor Antonio Giovinazzi e gli infermieri, Alessandro Ortombina e Giannella Stocher del Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta) hanno presidiato, insieme alla fisioterapista dell’Unità Spinale, Annalisa Gobbetti, la parte sanitaria.
Il gruppo è stato accolto dal rettore del Santuario, mons. Martino Signoretto, che ha illustrato agli ospiti la storia di un luogo di culto dedicato alla Madonna che sembra sorgere dalla roccia del Monte Baldo e delle opere d’arte in esso contenute.
“Il percorso riabilitativo dei lesionati midollari che viene effettuato dal ‘Sacro Cuore Don Calabria’ ha sempre contemplato dei momenti all’esterno dell’ospedale dove questi pazienti, purtroppo, rimangono per molto tempo”, spiega la dottoressa Rossato. “Anche con il supporto dei volontari Galm (Gruppo animazione lesionati midollari) sono state organizzate giornate in montagna, perfino sulla neve, in luoghi turistici o dedicati allo sport terapia – prosegue -. Lo scopo è quello di dimostrare al paziente che, in maniera diversa, cioè su una carrozzina, è possibile fare moltissime cose, che apparentemente sembrano precluse. In altre parole che è possibile ritornare ad una vita di inclusione sociale anche dopo un grave trauma o una malattia che preclude l’uso parziale o totale degli arti. Anche la visita al Santuario della Madonna della Corona, grazie al progetto ‘Turismo sociale inclusivo del Veneto’ e alla generosa disponibilità dell’Ordine di Malta, rientra in questo percorso riabilitativo, oltre ad essere un’occasione di arricchimento spirituale e culturale per tutti noi che vi abbiamo partecipato”.
Corso per operatori socio-sanitari: ultimi giorni per iscriversi


Non tutte le zecche che mordono sono infette: l'esame per scoprirlo

Non tutte le zecche sono infette. Il solo modo per saperlo è non buttare lo sgradito ospite una volta estratto (guarda il video) e farlo analizzare presso l’Istituto Zooprofilattico della propria regione o rivolgendosi a laboratori specializzati anche in questo ambito. Come l’IRCCS di Negrar: in cinque giorni lavorativi il referto
Morso di zecca. Niente panico. La buona notizia è che non tutte le zecche sono infette. Il solo modo per saperlo è non buttare lo sgradito ospite una volta estratto (guarda il video) e farlo analizzare presso l’Istituto Zooprofilattico della propria regione o rivolgendosi a laboratori specializzati anche in questo ambito.
Il Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’IRCCS di Negrar esegue l’identificazione della zecca mediante osservazione microscopica diretta: per fare ciò è necessario riporre la zecca preferibilmente integra in un barattolo pulito con la chiusura a vite come quello per la raccolta delle urine e consegnarlo presso il centro prelievi, unitamente all’apposito (clicca qui per scaricarlo). Il referto con la risposta di identificazione zecca è disponibile sul dossier sanitario in 5 giorni lavorativi.
Se invece non è stato possibile conservare e far analizzare la zecca, è necessario tenere sotto osservazione la zona interessata dal morso. La comparsa di un arrossamento occasionale non deve preoccupare, in quanto regredisce in 1-2 giorni dopo la rimozione della zecca. Invece se nell’arco di 6 settimane si presentano i seguenti sintomi è necessario recarsi in Pronto Soccorso per la valutazione infettivologica (al “Sacro Cuore Don Calabria” dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13):
- Eruzione cutanea circolare che si allarga progressivamente superando i 5 cm di diametro;
- Febbre con temperatura superiore ai 37,8 °C, dolori muscolari o articolari diffusi (simil-influenzali), stanchezza intensa
- Forte cefalea e persistente, tremori, vertigine, formicolii alle braccia e alle gambe, confusione
Sarà poi il medico ad indicare gli esami da eseguire e l’eventuale terapia. Il Laboratorio di Microbiologia effettua esami diagnostici su sangue, escara/biopsia e liquor per la ricerca diretta e indiretta di batteri e virus che possono essere trasmessi dal morso della zecca. Tutte le informazioni clicca qui
Per l’encefalite da zecche (TBE) è disponibile il vaccino, che all’IRCCS di Negrar viene somministrato nell’ambito dell’Ambulatorio di Medicina dei Viaggi in occasione dell’anamnesi pre-viaggio
West Nile: 1 caso grave su 1000 infettati. La prevenzione dalle punture di zanzare è la (sola) migliore difesa

L’estate 2023 non si prospetta “calda” sul fronte West Nile Virus, presente in Italia fin dal lontano 1998. Per ora non sono disponibili per contrastrare l’infezione né terapie specifiche né vaccini. L’unica arma è la prevenzione dalle punture delle zanzare, soprattutto per le persone immunodepresse, come gli anziani e coloro che sono affetti da patologie. L’IRCCS di Negrar effettua tutti gli esami diagnostici per l’accertamento della malattia e sul fronte della ricerca sono in corso degli studi sulla patogenesi dell’infezione.
Puntuale come il caldo, anche in questa estate rovente è arrivata l’emergenza West Nile Virus. Anche se, almeno fino a questo momento, emergenza non è. E molto probabilmente non lo sarà, visto che il primo caso di infezione umana da virus del Nilo Occidentale della stagione è stato registrato in Emilia-Romagna nel mese di luglio in provincia di Parma. A stagione estiva inoltrata. Il confronto è con il 2018 e il 2022, anni caratterizzati da numerosi casi di malattia neuro-invasiva e di decessi, quando le prime infezioni sono state segnalate all’inizio di giugno. Tuttavia la cautela è d’obbligo: il virus, scoperto nel 1937 in Uganda ed endemico in Italia dal 1998, è soggetto a continue mutazione che ne aumentano la contagiosità. Questo, unitamente al fatto che si serve come vettore di zanzare e come serbatoio di uccelli migratori, fa del West Nile un virus estremamente imprevedibile.
Secondo l’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità (17 agosto 2023) finora sono stati confermati 94 casi di infezione da West Nile Virus, di cui 52 con sintomi neuro-invasivi (meningiti, encefaliti e meningoecefaliti), i decessi notificati sono stati 3. L’anno scorso, nello stesso periodo, i casi accertati erano 440 di cui 216 neuroinvasivi e i morti 24.
Solo nell’1% dei casi il virus è neuro-invasivo
Naturalmente il numero complessivo delle infezioni è sottostimato in quanto nell’80% dei casi sono asintomatiche, il 20% si manifesta con sintomi simil-influenzali, mentre solo nell’1% dei casi viene interessato il sistema nervoso centrale. Nella percentuale di 1 su mille le complicanze dell’infezione possono portare al decesso. Le forme più gravi (meningiti e meningoencefaliti) colpiscono in genere persone immunodepresse come gli anziani o coloro che sono affetti da alcune patologie.
Non esiste terapia né vaccino
Attenzione quindi ai sintomi. Quelli più gravi sono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi. La diagnosi viene effettuata mediante la ricerca diretta del virus in diversi fluidi biologici (sangue, urine e Liquor) e tramite la ricerca di anticorpi specifici IgM ed IgG su sangue, e quando indicato, su fluido cerebrospinale. Tutti esami effettuati presso il Laboratorio di Microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, dove si svolge anche attività di ricerca che riguarda alcuni aspetti di patogenesi dell’infezione da virus West Nile, per il quale non sono ancora disponibili una terapia specifica ed un vaccino.
L’unica difesa è la prevenzione: evitare le punture di zanzare
In attesa che gli studi scientifici in generale diano dei risultati, resta fondamentale, soprattutto per i soggetti a rischio, mettere in atto tutte le protezioni necessarie contro le punture della zanzara comune (culex pipiens) che agisce alla sera e durante la notte. Quindi repellenti per pelle contenenti dietiltoluamide-DEET in una concentrazione possibilmente del 50% per una protezione che dura dalle 4 alle 6 ore: più è elevata la concentrazione più la protezione è duratura nel tempo. Ma anche repellenti per l’ambiente. Le zanzariere possono essere cosparse di permetrina, così come gli abiti, chiari e coprenti, che però devono essere lasciati ad asciugare prima di indossarli. Inoltre per impedire che le zanzare si riproducano facilmente, bisogna evitare che si formino piccole o grandi raccolte di acqua stagnante (pozze, bocche di lupo, sottovasi…). Nel caso fosse inevitabile, è necessario trattarle fin dall’autunno con appositi larvicidi.
Non si trasmette da uomo a uomo
La buona notizia è che il virus West Nile non si trasmette da uomo a uomo, se non attraverso trasfusioni di sangue e trapianti di organi – sui quali viene esercitata una stretta sorveglianza – e tra madre e feto. La presenza in natura del virus è garantita da un ciclo primario (ciclo endemico) di trasmissione: zanzara-uccello infetto-zanzara. Esiste poi un ciclo secondario (ciclo epidemico) che si verifica quando le zanzare adulte diventano capaci di trasmette il virus a uomo, equini e ad altri mammiferi. Si tratta di ospiti accidentali definiti a fondo cieco in quanto seppur infetti, la concentrazione di virus nel sangue non è sufficiente da poter infettare eventuali zanzare.
In Italia è presente un ottimo sistema di sorveglianza attiva integrata che vede coinvolti diverse autorità competenti (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Istituti Zooprofilattici Sperimentali). La sorveglianza riguarda non solo i virus autoctoni, ma anche quelli trasmessi da vettori già presenti sul territorio (come la “zanzara tigre”) potrebbero essere importati (Dengue, Zika e Chikungunya).
In collaborazione
con la dottoressa Concetta Castilletti, resposabile dell’UOS di Virologia e patogeni emergenti
I nostri ricercatori: "Studiamo la 'carta di identità' dei tumori per trovare nuove terapie"

Conosciamo il dottor Giulio Settanni, responsabile del Laboratorio di Patologia molecolare dell’Anatomia Patologica. “Le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica. Senza lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare non sarebbe stato possibile lo sviluppo della target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza”
Ogni tumore è una patologia genetica. La fisiologica attività di replicazione delle cellule dà infatti vita ad errori di sequenza del DNA e dell’RNA che possono sfuggire ai sistemi di controllo e di riparazione del nostro organismo, dando inizio a una proliferazione di cellule anomale ovvero tumorali. In alcune persone le varianti patogenetiche hanno invece origine ereditaria e comportano un elevato rischio di ammalarsi di cancro durante la vita. In entrambi i casi quello della patologia genetica è terreno d’indagine del biologo molecolare, una figura sanitaria e di ricerca da cui la diagnostica oncologica non può prescindere.
Giulio Settanni, 35 anni, originario di Manduria (provincia di Taranto) dal luglio del 2021 è responsabile del Laboratorio di biologia molecolare presso Dipartimento di Anatomia patologica dell’IRCCS di Negrar, diretto dal professor Giuseppe Zamboni. Laurea magistrale in Scienze biomolecolari e cellulari all’Università di Ferrara, prima di approdare a Negrar nel 2016 ha lavorato quattro anni all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. (guarda in video “pillole della ricerca”)
“Lo studio dei tumori dal punto di vista molecolare è ‘esploso’ 15-20 anni fa ed è andato di pari passo con lo sviluppo della cosiddetta target therapy, cioè di farmaci a bersaglio molecolare in grado di agire su una determinata alterazione genetica di una neoplasia, bloccando così i processi biologici fondamentali per la sua sopravvivenza – spiega Settanni -. Senza lo studio molecolare dei tumori e quindi senza la creazione di questi farmaci “intelligenti” tratteremmo ancora tutti i pazienti con la stessa terapia, a prescindere dalla “carta di identità” di ogni forma tumorale. Invece le informazioni contenute nel DNA e nell’RNA di una neoplasia non solo ci consentono di scegliere la migliore opzione terapeutica, ma di evitare di infondere terapie inutili e potenzialmente tossiche grazie alla conoscenza degli indicatori di resistenza. L’esempio classico riguarda i tumori del colon dove una mutazione del gene KRAS fa sì che il paziente sia resistente a un determinato farmaco”.
Altro grande capitolo della patologia molecolare è la ricerca delle alterazioni genetiche germinali, cioè di origine eredo-familiare.
In questo caso lo studio non viene eseguito sul reperto operatorio o sul materiale prelevato tramite biopsia di una persona già ammalata, ma sul sangue di soggetti non necessariamente affetti da tumore. Sono persone la cui anamnesi del genetista oncologo ha indicato un rischio rilevante, per storia personale e/o familiare, di contrarre una malattia neoplastica legata all’alterazione di uno o più geni. I più noti sono i geni BRCA1 e BRCA2 per quanto riguarda i tumori della mammella e dell’ovaio. Ma mutazioni genetiche sono all’origine anche della sindrome di Lynch che predispone a diversi tumori maligni primo fra tutti il cancro al colon; della poliposi familiare, caratterizzata dalla proliferazione di polipi che possono trasformarsi in tumori del colon; del melanoma familiare e di tante altre. Quelle eredo-familiari sono una piccola percentuale delle forme neoplastiche, ma la conoscenza delle alterazioni genetiche che le provocano permette di mettere in atto tutte le azioni preventive o di diagnosi precoce.
Quale tipo di ricerca viene svolta in patologia molecolare?
Si tratta di una ricerca cosiddetta traslazionale. Essa ha origine dall’attività diagnostica, nel senso che utilizza i dati diagnostici, previa autorizzazione del paziente e del Comitato etico. Dalla casistica prodotta dagli esami diagnostici possono emergere delle caratteristiche comuni a più pazienti, tali da meritare un approfondimento di ricerca.
In questo momento il suo Laboratorio in quali progetti di ricerca è impegnato?
Stiamo partecipando ad uno studio multicentrico promosso da Alleanza contro i cancro di cui l’IRCCS di Negrar fa parte. Il progetto s’intitola GerSom e si propone di confrontare, nell’ambito di determinati tumori (mammella, ovaio e colon), i dati emersi dagli esami di biologia molecolare sul reperto operatorio (somatici) e quelli sul sangue (germinali), utilizzando delle procedure di laboratorio messe a punto nei due centri capofila dello studio: la Fondazione Gemelli di Roma e l’Istituto Oncologico Europeo di Milano. Lo scopo è quello di testare una procedura comune che possa dare risposte sovrapponibili anche se gli esami vengono effettuati in differenti Laboratori. La finalità ultima è quella di fornire a tutti i pazienti la migliore diagnosi possibile e quindi una più adeguata presa in carico. Lo studio comparativo richiede sequenziatori di ultima generazione di cui disponiamo da alcuni anni e che ci permettono di studiare anche la casistica dell’ospedale San Matteo di Pavia.
Ha fatto esperienze all’estero?
Nel 2019 ho avuto la grande opportunità di clinical visiting observer presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, il più grande e il più prestigioso Istituto oncologico del mondo. E’ stata una bellissima esperienza, seppur durata solo un mese, grazie alla quale ho potuto rendermi conto anche dell’eccellenza del Laboratorio che oggi dirigo.
In che senso?
Accogliendo malati da tutto il mondo, il Memorial di New York è irraggiungibile sul piano della casistica, ma su quello della qualità della risposta data al paziente la realtà di Negrar non ha nulla da invidiare a questo “colosso” dell’oncologia. Al “Sacro Cuore Don Calabria” nell’ambito della patologia molecolare, ma non solo, sono stati fatti investimenti mirati che hanno portato allo sviluppo di una diagnostica di eccellenza.
Cosa invece la realtà oncologica italiana, in generale, dovrebbe invidiare a quella americana?
Senza dubbio i finanziamenti per la ricerca, che negli Usa sono soprattutto privati. Ma ancora di più l’aspetto culturale. Quello del ricercatore in generale è un lavoro che richiede di essere adeguatamente strutturato e finanziato per il raggiungimento dei risultati: purtroppo nel nostro Paese tali criteri non vengono sempre soddisfatti, rendendo quella del ricercatore una professione poco appetibile per i giovani laureati. Pertanto il ruolo del ricercatore puro (io non lo sono, perché mi occupo principalmente di diagnostica) sembra non avere quell’appeal che invece meriterebbe data l’importanza, perché solo grazie alla ricerca possiamo ottenere gli strumenti necessari a sconfiggere le malattie. Così non di rado menti capaci emigrano all’estero – dove raggiungono stabilità e stipendio dignitoso – oppure virano verso il settore diagnostico o delle case farmaceutiche. In Italia dobbiamo fare un salto culturale e vedere nella ricerca (quindi nel ricercatore) un investimento che necessita di pazienza, perché i risultati non sono immediati e dietro scoperte eclatanti, che imprimono una svolta nella cura delle malattie, ci sono anni di duro lavoro e di studio. La ricerca di oggi rappresenta potenzialmente la terapia di domani.