Gli interventi di revisione di protesi, la più grande sfida per il chirurgo ortopedico

Dal 7 all’8 marzo si è tenuto alla Gran Guardia di Verona il IX Congresso nazionale della Società Italiana Riprotesizzazione (AIR), la cui organizzazione è stata affidata quest’anno all’Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS di Negrar.  Trecento e trenta esperti nazionali e internazionali a confronto sulla complessa chirurgia di sostituzione delle protesi articolari per cui l’ortopedia diretta dal dottor Claudio Zorzi è uno del centri italiani con la più alta casistica e struttura di riferimento regionale per ginocchio e anca

 

Dal 7 all’8 marzo si è tenuto alla Gran Guardia di Verona il IX Congresso nazionale della Società Italiana Riprotesizzazione (AIR), la cui organizzazione è stata affidata quest’anno all’Ortopedia e Traumatologia dell’IRCCS di Negrar.

Oltre 330 ortopedici da tutta Italia hanno approfondito per due giorni le tecniche, le difficoltà e le possibili soluzioni di quella che è considerata la più grande sfida per i chirurghi del settore: l’intervento di revisione di protesi articolare (ginocchio, anca e spalla), necessario quando il primo impianto deve essere sostituito a causa dell’usura del dispositivo o dell’osso, per infezione o per mobilizzazione della protesi stessa.

A fare gli onori di casa il presidente del congresso, dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e traumatologia dell’IRCCS di Negrar, affiancato alla vicepresidenza dai colleghi Paolo Avanzi e Antonio Campacci responsabili rispettivamente della Chirurgia della spalla e di quella dell’anca. Alla cerimonia di apertura del 7 marzo sono intervenuti anche il presidente dell’AIR, professor Giuseppe Solarino, quello della Società Italiana Ortopedia e Traumatologia, dottor Alberto Momoli, l’amministratore delegato dell’IRCCS di Negrar, Claudio Cracco, il direttore generale per la ricerca con delega all’Università sempre del Sacro Cuore, Mario Piccinini, e il sindaco di Verona, Damiano Tommasi.

Negli ultimi 20 anni si è assistito a una crescita esponenziale del numero degli impianti di protesi delle maggiori articolazioni: in Italia solo nel 2022 sono stati 235mila, 20mila in più rispetto al periodo pre-covid. Un trend in crescita dovuto a una popolazione sempre più anziana che chiede una condizione fisica performante a prescindere dall’età e a un aumento di pazienti sotto i 60 anni. Ma le protesi non sono eterne: in media hanno un’emivita di circa 15-20 anni, dopo di che devono essere sostituite. Quindi è ipotizzabile che nei prossimi anni gli ortopedici si troveranno di fronte a un boom di interventi di sostituzione, circa il 10% degli impianti effettuati.

da sinistra: il professor Giuseppe Solarino, presidente AIR, il dottor Alberto Momoli, presidente SIOT,il dottor Claudio Zorzi, il dottor Paolo Avanzi e il dottor Antonio Campacc

Quella di revisione protesica è una chirurgia complessa, spesso accompagnata da trapianto di osso, e rappresenta la più grande sfida per i chirurghi ortopedici in quanto l’obiettivo di restituire al paziente la piena autosufficienza viene perseguito operando su un osso il più delle volte compromesso dal primo impianto. Il successo dell’intervento richiede centri ad alta specializzazione e chirurghi esperti che si auspica aumentino in tutta Italia alla luce dell’incremento esponenziale delle revisioni. Una eventuale carenza rischia di creare migliaia di disabili, se la revisione fallisce, con importanti oneri per il Servizio Sanitario Nazionale. Non a caso durante la due giorni scientifica, sono state riservate alcune sessioni agli specializzandi, gli ortopedici del futuro.

L’Ortopedia dell’IRCCS di Negrar si occupa di revisione protesica da circa 20 anni e proprio per l’eccellenza in questo campo è tra i centri con la più alta casistica in Italia e struttura di riferimento regionale per revisione di ginocchio e anca. All’anno l’équipe del dottor Zorzi effettua complessivamente più di 1.700 impianti protesici di cui 200 interventi di revisione.


Infezioni ortopediche: quando i batteri aggrediscono le protesi (ma non solo)

 All’IRCCS di Negrar opera un’unità semplice per la prevenzione e la cura delle infezioni ortopediche, la cui responsabile è l’infettivologa dottoressa Stefania Marocco che lavora a stretto contatto con l’Ortopedia. I  pazienti che hanno dispositivi protesici devono sempre allertarsi nel caso di infezioni urinarie, tonsilliti, polmoniti o in generale di febbre elevata, perché l’infezione potrebbe intaccare la protesi se non viene curata prontamente. Tuttavia, proprio nel caso delle protesi articolari, capita spesso che l’infezione sia sostenuta da batteri meno aggressivi e pertanto non si manifesta con sintomi sistemici, come la febbre elevata, ma con dolore, problemi di tipo meccanico e mobilizzazione della protesi stessa. 

Da sinistra: dr.ssa Stefania Marocco, dr. Leonardo Motta e dr. Andrea Tedesco

All’IRCCS di Negrar opera un’unità semplice per la prevenzione e la cura delle infezioni ortopediche, la cui responsabile è l’infettivologa dottoressa Stefania Marocco. Il team (composto anche dai dottori Leonardo Motta, Giulia Bertoli e Andrea Tedesco) lavora a stretto contatto con l’Ortopedia, reparto che ogni anno esegue oltre 4.000 interventi tra cui 1584 impianti di protesi delle maggiori articolazioni (dati 2023). Dal 2019, inoltre, il reparto, diretto dal dottor Claudio Zorzi, è Centro di riferimento regionale per la revisione delle protesi di ginocchio e anca, interventi (lo scorso anno oltre 200) necessari nel 20% dei casi a causa di infezioni che aggrediscono il dispositivo protesico.

 “Il nostro compito è innanzitutto quello di gestire in prevenzione tutte le tappe del pre-intervento per evitare lo sviluppo di infezioni post chirurgiche, anticamera delle infezioni protesiche – spiega la dottoressa Marocco -.  In particolare, tutti i pazienti vengono sottoposti a tampone nasale per la ricerca dello Stafilococco aureus, uno dei principali fattori di rischio di infezione della ferita post chirurgica. Inoltre effettuiamo lo studio dei pazienti che devono essere sottoposti a revisione protesica, per escludere, ed eventualmente curare, in collaborazione con gli ortopedici , la presenza di infezioni quale causa della revisione stessa”.

Dottoressa Marocco, cosa si intende per infezioni ortopediche?

Si suddividono in due grandi famiglie: le infezioni primitive e quelle post chirurgiche. Le prime vengono definite ‘ematogene”, cioè provocate da un batterio presente nel sangue – già causa di infezione urinaria, polmonite o mal di gola – che vanno a localizzarsi nell’osso. Possono verificarsi anche quando l’osso viene a contatto con i batteri, nel caso, per esempio, delle fratture esposte.

Mentre le infezioni post chirurgiche?

Le infezioni post chirurgiche più rilevanti sono quelle conseguenti alla presenza di mezzi di sintesi (placche e viti impiantate per fratture oppure per correzioni di difetti, come il ginocchio valgo e varo) o che si sviluppano dopo impianto di protesi articolari. In entrambi i casi il batterio può arrivare quale conseguenza dell’atto chirurgico (infezioni peri-operatorie) oppure per via ematica e  a localizzarsi sui mezzi di sintesi o sulle protesi. La discriminante è il tempo: se sono già trascorsi più di due anni dall’intervento senza che si siano verificati precedentemente problemi locali, si ritiene che sia un’infezione di origine ematogena.

Perché questo si verifica anche a distanza di tempo, nel caso della chirurgia protesica?

Sui dispositivi medicali, non solo le protesi ortopediche, in caso di infezione, i batteri sono in grado di formare il biofilm, una sorta di pellicola  dove si sviluppano e che li protegge dal sistema immunitario e dagli antibiotici.  Per questo tutti i pazienti che hanno dispositivi protesici devono sempre allertarsi nel caso di infezioni urinarie, tonsilliti, polmoniti o in generale di febbre elevata, perché l’infezione potrebbe intaccare la protesi se non viene curata prontamente. Tuttavia, proprio nel caso delle protesi articolari, capita spesso che l’infezione sia sostenuta da batteri meno aggressivi e pertanto non si manifesta con sintomi sistemici, come la febbre elevata, ma con dolore, problemi di tipo meccanico e mobilizzazione della protesi stessa. Da qui la necessità di un’indagine infettivologica prima dell’intervento (esami del sangue, radiografie e, quando è possibile, analisi del liquido articolare) per quantificare il rischio di infezione che può essere improbabile, possibile o certa.

Come si cura un’infezione ortopedica causa di revisione?

L’approccio integrato medico-chirurgico è quello che dà maggiori possibilità di risoluzione. La letteratura parla di guarigione nel 95% dei casi con la chirurgia in due tempi: espianto della protesi e collocazione di uno spaziatore impregnato di antibiotico. Quando l’osso è completamente guarito, in genere dopo 6-8 settimane, viene effettuato un nuovo impianto protesico. Le probabilità di guarigione invece diminuiscono (80%) con la chirurgia “in un solo tempo”, nel corso della quale la protesi infetta viene sostituita subito con una nuova protesi. Questo tipo di approccio presenta peraltro un vantaggio dal punto di vista funzionale e viene effettuata in pazienti con germi non resistenti agli antibiotici, che non hanno controindicazioni locali o particolari patologie concomitanti. E’ indicato anche per chi ha controindicazioni all’esecuzione di due interventi chirurgici, a causa di molteplici morbilità.  In entrambi i casi viene associata una terapia antibiotica prolungata, solitamente di 12-14 settimane.
La gestione dell’infezione protesica senza concomitante trattamento chirurgico ha una più bassa probabilità di guarigione (20% circa) e viene effettuata quanto l’intervento non è fattibile per motivi tecnici, quando il paziente è in età molto avanzata o affetto da gravi patologie o quando lo stesso rifiuta l’intervento.

Come si deve procedere, invece, nel caso di infezione conseguente ai mezzi di sintesi?

Nella maggioranza dei casi si procede cercando di controllare l’infezione tramite terapia antibiotica fino a che il consolidamento dell’osso sia tale da non aver più bisogno dei mezzi di sintesi, quindi si procede alla rimozione degli stessi. In caso di mancato controllo dell’infezione i mezzi di sintesi dovranno essere rimossi/sostituiti subito.

Ci sono accorgimenti a cui il paziente deve sottostare per prevenire infezioni che possono compromettere la protesi?

Nulla di particolare, in quanto il paziente è seguito nella fase post chirurgica per la medicazione della ferita. Naturalmente deve evitare, se la ferita non è del tutto guarita, il contatto con l’acqua o occasioni di infezione come i bagni in piscina, solo per fare un esempio. Importante, come ho già detto, nel caso di infiammazione della ferita o mancata chiusura della stessa, bisogna giungere nel minor tempo possibile alla soluzione per evitare che i batteri vadano ad intaccare la protesi.

 


Una risonanza magnetica per l'ospedale dell'Opera Don Calabria in Amazzonia

Sabato 17 febbraio è stata inaugurata la risonanza magnetica all’ospedale Divina Provvidenza di Marituba, in Brasile. Un grande sogno che si realizza, andando a completare una radiologia diagnostica d’avanguardia nella struttura calabriana situata in Amazzonia. E anche in questa occasione si è confermato uno stretto legame tra Marituba e l’IRCCS di Negrar.

Una risonanza magnetica per l’ospedale Divina Provvidenza di Marituba, struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria a 20 chilometri da Belem, nella regione amazzonica del Brasile. Sembrava un sogno irrealizzabile, sia per i costi sia per le difficoltà tecniche legate al contesto socio-economico particolarmente difficile in cui l’ospedale è inserito. Eppure grazie al sostegno dei benefattori dall’Italia (in particolare il Comitato San Giovanni Calabria e l’associazione Amici di mons. Pirovano di Erba) e al lavoro di molte persone, il sogno è diventato realtà e la moderna apparecchiatura è stata inaugurata lo scorso 17 febbraio con una solenne celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Belem, mons. Alberto Taveira Corrêa.

“Questa risonanza è il frutto di una programmazione iniziata nel 2016, quando abbiamo messo in rete gli ospedali della Congregazione creando il sistema sanitario calabriano e mettendo a punto un piano di sviluppo per ognuno di essi”, ha detto fratel Gedovar Nazzari, presidente del “Sacro Cuore” e presente a Marituba in veste di economo generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

 

L’equipe della risonanza di Marituba insieme al personale arrivato da Negrar
IL LEGAME TRA MARITUBA E NEGRAR

Anche in questa occasione, come altre volte in passato, si è confermato uno stretto legame tra l’IRCCS di Negrar e l’ospedale di Marituba. Infatti nei giorni precedenti l’inaugurazione si sono recati in Amazzonia il dottor Alberto Beltramello, neuroradiologo del Sacro Cuore, e i tecnici Thomas Mignolli e Marco Antolini che hanno affiancato il personale locale impegnato a conoscere la risonanza e scoprirne appieno le potenzialità diagnostiche. Inoltre all’inaugurazione erano presenti il dottor Claudio Bianconi, già primario di Neurologia a Negrar e ora referente per i progetti sanitari internazionali dell’Opera, e il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneuomologia del Sacro Cuore, entrambi da lungo tempo impegnati nella collaborazione con la struttura di Marituba.

CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA RISONANZA

La risonanza magnetica installata al Divina Provvidenza presenta alcune caratteristiche di particolare rilievo. Anzitutto il tubo di scansione misura 80 centimetri di diametro, il più largo esistente al mondo, garantendo così una minore sensazione di claustrofobia per chi ne soffre e soprattutto permettendo l’uso anche a persone con problemi di obesità (il lettino integrato sopporta un peso fino a 320 kg). In secondo luogo la risonanza è integrata con un software di Intelligenza Artificiale che garantisce una altissima qualità e precisione delle immagini. Infine da non trascurare il fatto che tale modello di risonanza è stato scelto anche per la capacità di far fronte in modo efficiente a cali improvvisi di tensione o blackout che nella zona sono piuttosto frequenti.

UNA RADIOLOGIA DIAGNOSTICA ALL’AVANGUARDIA

“L’arrivo della risonanza ci permette di completare la radiologia diagnostica dell’ospedale – ha sottolineato Terezinha Botelho, ingegnere che ha progettato l’infrastruttura che accoglie la risonanza – per noi è un grande dono e ci permetterà di aiutare molte persone povere con diagnosi più precise e tempi di attesa ragionevoli, affrontando anche casi di maggiore complessità. La previsione è di arrivare a effettuare oltre trenta esami al giorno”. Un concetto ribadito anche dal presidente dell’ospedale, don Alves Tchilunda: “La risonanza ci fa fare un salto di qualità nella diagnosi soprattutto nel campo della traumatologia e della neurochirurgia, che sono due ambiti molto rilevanti per il nostro ospedale”.

Durante l’inaugurazione c’è stato un collegamento web con il Casante, impegnato in questi giorni in Guinea Bissau, il quale ha rivolto un messaggio di saluto al personale dell’ospedale e a tutti i presenti. Alla cerimonia c’era inoltre il Delegato dell’Opera in Brasile, don Jaime Bernardi;  in rappresentanza del Comitato San Giovanni Calabria era presente l’imprenditore Giorgio Zocca, insieme ai già citati dr. Bianconi e dr. Pomari, mentre per lassociazione Amici di mons. Aristide Pirovano di Erba (Como) c’era la presidente Rosanna Pirovano.

 

L’ingresso dell’ospedale di Marituba
IL SISTEMA SANITARIO CALABRIANO

L’ospedale “Divina Providência”, fondato nel 1997, oggi è punto di riferimento per circa 30 comuni alla periferia di Belem. Ha una capacità di 120 posti letto ed è convenzionato con il “Sistema Único de Saúde” brasiliano, l’equivalente in Italia del Servizio Sanitario Nazionale. La struttura si sviluppa su sei edifici per un totale di quasi 80mila metri quadri. L’ospedale è costituito principalmente dai quattro reparti di Medicina, Ginecologia e Ostetricia, Chirurgia generale e Pediatria. Vengono erogate anche prestazioni specialistiche in molti altri ambiti, come Nefrologia, Neurologia, Ortopedia e Traumatologia, Pneumologia. La struttura fa parte del Sistema Sanitario Calabriano che comprende gli altri tre ospedali dell’Opera nel mondo: il Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, il Divina Provvidenza di Luanda (Angola) e la clinica “Bro Francisco Perez” di Manila (Filippine).


Tumori, all’IRCCS di Negrar simposio internazionale sulla radioterapia di ultra-precisione

Dal 19 al 20 febbraio esperti europei e statunitensi hanno tracciato lo stato dell’arte sull’utilizzo di Unity, l’acceleratore lineare integrato con Risonanza Magnetica ad alto campo. Il professor Alongi: “Al “Sacro Cuore” su mille pazienti sottoposti al trattamento con Unity, confermata l’elevata tollerabilità alla terapia con poche rilevanti complicanze. Molte le risposte complete e parziali già ai primi controlli dopo il ciclo di sedute. Con il “gating automatico” possiamo garantire un un’ulteriore precisione con minimo coinvolgimento dei tessuti sani anche per quei tumori che colpiscono organi che si muovono a causa del ritmo respiratorio”

L’IRCCS di Negrar si conferma centro di riferimento internazionale per la radioterapia oncologica. Per due giorni, dal 19 al 20 febbraio, esperti europei e statunitensi hanno tracciato lo stato dell’arte dell’impiego di Unity, l’acceleratore lineare integrato con Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 Tesla), che consente trattamenti radioterapici di ultra precisione, tali da colpire il tumore, salvaguardando il più possibile i tessuti sani.

La multinazionale produttrice di Unity, la svedese Elekta, ha scelto il “Sacro Cuore Don Calabria” per l’incontro internazionale, in quanto centro che per primo in sud Europa e quindi in Italia – era il 2019 – si è dotato dell’innovativa tecnologia, sviluppando in pochi anni un significativo know how. Attualmente Unity è presente in tre ospedali italiani e in 74 in tutto il mondo, di cui, adesso, 30 in Europa

Il simposio in sala Fr. Perez ha visto la partecipazione di 120 iscritti, 45 dei quali stranieri di cui una decina provenienti dagli Stati Uniti. Tra i relatori il professor Martijn Intven del Centro Medico Universitario di Utrecht (Olanda), dove è stato trattato il primo paziente al mondo con Unity nel 2018, il professor Daniel Hyer dell’Università dell’Iowa e la professoressa Michela Buglione degli Spedali Civili di Brescia.

Prof. Filippo Alongi

L’apertura dei lavori è stata affidata a Filippo Alongi, direttore della  Radioterapia Oncologica Avanzata di Negrar e professore ordinario all’Università di Brescia, che con i suoi colleghi di Dipartimento – il dottor Michele Rigo, radioterapista oncologo, e il dottor Ruggero Ruggeri, fisico medico – hanno illustrato l’attività svolta con Unity sui primi mille pazienti per un totale di oltre 8mila sedute, Gli stessi dati saranno presentati dal professor Alongi al congresso nazionale di Radioterapia Oncologica del Giappone, che si tiene a Tokyo dal 28 febbraio al 2 marzo.

“Il 53% di questi mille casi ha riguardato tumori della prostata, il 25% metastasi, fino a un massimo di 5 lesioni linfonodali e/o ossee. I restanti pazienti erano affetti da neoplasie addominali, come quelle del pancreas o del rene”, sottolinea Alongi. La precisione di trattamento, garantita dall’ottimale definizione delle immagini della Risonanza Magnetica ad alto campo incorporata all’acceleratore lineare, consente di irradiare il tumore ad alte dosi, riducendo così il numero di sedute di trattamento.

“Lo scorso anno abbiamo pubblicato sulla rivista Journal of Personalized Medicine uno studio sui primi 100 pazienti affetti da tumore alla prostata clinicamente localizzata trattati in solo 5 sedute, contro le 20 necessarie solitamente con la radioterapia convenzionale. A 18 mesi in media dalla conclusione del trattamento, abbiamo registrato un solo caso di complicanza degna di nota ,(problematica urinaria) e in più del 90% il PSA (il marcatore biochimico che indica patologie della prostata, tra cui il tumore) si è normalizzato, in linea con le migliori serie di pazienti riportate dalla letteratura scientifica”.

Lo scorso autunno Unity è stato implementato con un software (il “gating automatico”) che consente di sincronizzare il fascio di radiazioni con il respiro paziente, in modo tale da erogare il trattamento solo quando la lesione tumorale è perfettamente nel “mirino”. “Dopo i primi due casi al mondo, con questo sistema avanzato ed integrato di monitoraggio e gestione del movimento, abbiamo trattato più 60 pazienti, Il ‘gating automatico’ è particolarmente indicato quando il tumore colpisce alcuni organi del torace e dell’alto addome. Il pancreas, il fegato e i polmoni – prosegue il professor Alongi – si muovono anche in conseguenza del ritmo respiratorio e ciò modifica la posizione della lesione tumorale e degli organi sani circostanti durante la seduta: queste continue incertezze di movimento riducono, nella radioterapia convenzionale, la possibilità di usare dosi di raggi più intense ed efficaci. Grazie al ‘gating automatico’, invece, il fascio di radiazioni viene sincronizzato con il respiro e viene istantaneamente bloccato se il tumore esce dalla traiettoria del fascio di radiazioni”.

 


L'IRCCS di Negrar primo centro formatore ERAS in Italia per la chirurgia colo-rettale e bariatrica

Il protocollo chirurgico ERAS si basa su un approccio innovativo e multidisciplinare che mette al centro il paziente anche nella fase pre e post-operatoria del suo percorso. Elementi chiave del protocollo sono oltre alla scelta di un approccio chirurgico mini-invasivo, l’utilizzo ridotto di cateteri e drenaggi e la gestione ottimale del dolore e della nausea che permette la precoce ripresa della mobilizzazione e dell’alimentazione dopo l’intervento chirurgico. Tutto ciò consente un migliore e più rapido recupero funzionale del paziente grazie all’abbattimento delle complicanze mediche, con la conseguente riduzione dei giorni di ricovero da 8,5 a 4,6 per gli interventi al colon-retto e dimissioni entro 48 ore per la chirurgia dell’obesità.

L’IRCCS di Negrar “fa scuola” in Italia e in europa: dopo solo un anno dalla certificazione di centro qualificato, raggiunge un ulteriore e prestigioso traguardo nell’applicazione del protocollo chirurgico ERAS (Enhanced Recovery After Surgery), un percorso di cure che ha come obiettivo la migliore e più rapida ripresa del paziente dopo l’intervento. Il Dipartimento di Chirurgia Generale ha infatti ricevuto la certificazione internazionale di centro formatore ERAS (ERAS® Training Center) per la chirurgia colo-rettale e per il trattamento dell’obesità, che consente alle componenti delle due équipe chirurgiche di formare altri centri europei ed italiani in merito all’applicazione e implementazione del protocollo ERAS che, grazie all’adozione di percorsi-pazienti virtuosi e specifiche tecniche chirurgiche ed anestesiologiche nelle varie fasi peri-operatorie permette di abbattere le complicanze e quindi la durata del ricovero. 

Dr. Giacomo Ruffo

“Grazie ad Eras, all’IRCCS di Negrar, infatti, la degenza media è passata da 8,5 giorni a 4,6 per quanto riguarda la chirurgia colo-rettale, mentre per quella bariatrica la media attuale è di 2 giorni contro i 4 prima dell’applicazione del protocollo – afferma il dottor Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia Generale -. In calo significativo anche le complicanze post-intervento che sono passate dal 33 al 19,5%. Rilevanti anche i dati relativi al dolore e alla nausea dopo l’operazione, il cui controllo è fondamentale per la ripresa della mobilizzazione e dell’alimentazione precoci: si è passati rispettivamente dal 12% al 2% e dal 4% all’1,5%”.

“La certificazione di centro formatore è il risultato di un lavoro complesso di più specialisti, non solo chirurghi, che ha portato ad un’adesione al protocollo superiore al 95%, grazie alla quale sono stati ottenuti significativi miglioramenti a vantaggio di tutti i pazienti, ma in particolare per quelli fragili e per coloro che subiscono interventi ad alta complessità – continua Ruffo -. Il prossimo obiettivo è il riconoscimento di centro di eccellenza, di cui si avvalgono una trentina di ospedali in tutto il mondo, raggiungibile con il mantenimento dei risultati ottenuti e implementando ulteriormente il protocollo Eras con percorsi virtuosi, come l’attivazione di un centro antifumo e un percorso peri-operatorio per il paziente anziano”.

Il protocollo Eras è stato adottato ufficialmente dalla chirurgia colo-rettale nel settembre 2021, quando sono stati inseriti i primi pazienti aderenti al percorso sulla piattaforma mondiale della società scientifica. Oggi i pazienti sono 713, ai quali si aggiungono i 228 della chirurgia bariatrica, che ha iniziato il percorso nel 2021.

Dr.ssa Elisa Bertocchi

Secondo Eras il miglior recupero dopo l’intervento è raggiungibile solo se in ognuna delle tre fasi del protocollo vengono rispettate specifiche linee guida. Di fondamentale importanza è la fase pre-operatoria che si basa sulla preparazione ottimale del paziente attraverso un piano nutrizionale e un percorso di preabilitazione appositamente creati dal nutrizionista e dal fisiatra – spiega la dottoressa Elisa Bertocchi, chirurgo colo-rettale -. Diagnosticate eventuali carenze, viene integrata l’alimentazione con specifici integratori e in caso di anemia, cercata e corretta la causa della stessa”.

La fase operatoria non si limita alla chirurgia mini-invasiva, ma a una serie di procedure anestesiologiche, come la somministrazione di pochi liquidi e l’uso limitato di farmaci oppioidi. “Dalla sala operatoria il paziente esce privo di cateteri e drenaggi, e già nelle ore successive inizia a bere, ad alimentarsi e a muoversi anche grazie a terapie per il controllo del dolore e della nausea – prosegue -. Tutto questo richiede collaborazione da parte dell’équipe multispecialistica e l’adesione attiva e consapevole da parte del paziente a tutto il percorso. Adesione supportata da una un’APP (IColon) che stimola continuamente il paziente ad essere aderente al protocollo e che rappresenta una sorta di diario digitale che consente al medico di monitorare a distanza il paziente dopo le dimissioni e al paziente di rimanere sempre in contatto con il medico”.

dottoressa Irene Gentile, Chirurgia Generale dell'IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Dr.ssa Irene Gentile

“Nella chirurgia bariatrica, ERAS facilita la gestione del paziente, molto spesso giovane e con l’esigenza di tornare al più presto alle attività quotidiane – afferma la dottoressa Irene Gentile, chirurgo bariatrico -. Inoltre, il coinvolgimento attivo è ancora più importante per il paziente affetto da obesità grave per quanto riguarda l’aspetto dell’alimentazione e dell’attività fisica: il calo ponderale è fondamentale sia per la candidabilità all’intervento sia per la buona riuscita dello stesso”.

 

 


Una vita libera dalle sigarette: il Centro antufumo dell'IRCCS di Negrar

Attivo presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121, il Centro antifumo dell’IRCCS di Negrar. Un percorso prevalentemente psicologico, per migliorare il proprio stato di salute presente e futura e la qualità di vita. Per prenotare un colloquio: telefonare al numero 045.6014844 oppure 045.6013257 (tasto 2) dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 oppure scrivere all’indirizzo e-mail: centroantifumo@sacrocuore.it.

Smettere di fumare: un percorso fondamentale migliorare non solo la salute ma anche la qualità di vita. Tuttavia non si tratta di un cammino facile, e, se fatto in solitudine, può diventare molto spesso impervio. Un aiuto per coloro che vogliono dire addio alle sigarette arriva dal Centro antifumo dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria con

Centro diagnostico terapeutico

sede presso il Centro diagnostico terapeutico in via San Marco 121 a Verona.Il percorso che proponiamo è di carattere prevalentemente psicologico, basato sulla terapia cognitivo comportamentale di terza generazione”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, responsabile della Psicologia clinica dell’IRCCS di Negrar. “Questa forma di terapia psicologica mira a modificare pensieri, emozioni e comportamenti attraverso la rottura di automatismi che sono legati all’abitudine di fumare”.

IL CENTRO ANTIFUMO

Il percorso consiste in 10 sedute di gruppo tenute da uno psicologo, a cui se ne aggiungono altre quattro di follow up. Per prenotare è necessario telefonare al numero 045.6014844 oppure 045.6013257 (tasto 2) dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 oppure scrivere all’indirizzo e-mail: centroantifumo@sacrocuore.it. Il percorso è a carico dell’assistito.

Giuseppe Deledda, responsabile Psicologia Clinica IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Giuseppe Deledda

“Dopo un breve contatto telefonico, viene fissato un colloquio durante il quale la persona interessata deve rispondere a un questionario per quantificare il grado di tabagismo”, spiega ancora Deledda. “Dove lo si ritenesse necessario, è previsto anche un supporto farmacologico all’interno di un percorso di prevenzione del tumore al polmone”.

PSICOLOGI E MEDICI

L’équipe del Centro antifumo, infatti, è composta oltre che da due psicologici – il dottor Deledda e la dottoressa Anastasia Zocca – anche dal responsabile della Pneumologia, dottor Carlo Pomari, e dal direttore della Chirurgia toracica, dottor Diego Gavezzoli

PERCHE’ DIRE STOP AL FUMO

“E’ noto ormai a tutti che il 90% dei tumori al polmone sono causati dal fumo e che le sigarette aumentano il rischio di contrarre patologie oncologiche in generale poiché la nicotina provoca alterazioni all’interno del Dna della cellula – spiega ancora lo psicologo –  Inoltre il tabagismo favorisce l’insorgenza di patologie cardiovascolari e polmonari, Ma non tutti coloro che praticano questa abitudine sono consapevoli che smettere di fumare incide positivamente non solo sull’aspettativa di vita, ma anche la qualità della stessa”.

QUESTIONE ANCHE DI QUALITA’ DI VITA

Per esempio è provato che dopo due giorni dall’“ultima sigaretta” migliora il gusto e l’olfatto alterati dalla nicotina; dopo due settimane i denti e le unghie perdono quell’aspetto giallognolo poco piacevole alla vista, come acquistano più luminosità pelle e capelli. Dopo un mese la capacità polmonare cresce, come il vigore fisico, e per coloro che vogliono diventare genitori smettere di fumare aumenta la capacità di concepimento. Senza scordare che dire no al fumo significa rispettare l’ambiente e risparmiare nell’arco di 10 anni circa 20mila euro.

“Le ragioni per smettere quindi sono tante. Molto spesso la forza di volontà non è sufficiente, ma è necessaria una guida che aiuti a compiere una scelta di valore, qual è una vita libera da fumo” conclude il dottor Deledda.

 

 


"Che dolore alla schiena!". Ma l'ernia del disco è spesso silente e l'intervento solo in alcuni casi

L’ernia del disco è responsabile solo di una quota limitata di episodi di mal di schiena. Inoltre, spesso l’ernia è asintomatica e si risolve spontaneamente: l’intervento chirurgico è indicato solo per casi selezionati”, precisa il dottor Gerardo Serra, responsabile del Servizio di Terapia Antalgica. “Casi per cui sono disponibili interventi mini-invasivi, totalmente rispettosi dell’anatomia della colonna”, come la discectomia di cui dell’IRCCS di Negrar si effettuano circa 200 procedure  all’anno

Gerardo Serra, responsabile Terapia Antalgica IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Gerardo Serra

Un colpo di tosse, il sollevamento di un peso, ma a volte anche spontaneamente, ed improvvisamente ecco comparire un dolore alla schiena e alla gamba. La diagnosi tanto affrettata quanto popolare è presto fatta: ernia del disco. E la prospettiva dell’intervento chirurgico è già all’orizzonte.

“E’ importante sottolineare che l’ernia del disco è responsabile solo di una quota limitata di episodi di mal di schiena, essendo la patologia vertebrale generalmente complessa e multifattoriale. Inoltre, spesso l’ernia è asintomatica e si risolve spontaneamente: l’intervento chirurgico è indicato solo per casi selezionati”, precisa il dottor Gerardo Serra, responsabile del Servizio di Terapia Antalgica. “Casi per cui sono disponibili interventi mini-invasivi, totalmente rispettosi dell’anatomia della colonna”.

Dottor Serra, ma cosa si intende per ernia del disco?

La nostra colonna vertebrale è costituita da ossa (vertebre), separate da cuscinetti che fungono da ammortizzatori: i dischi vertebrali. Quest’ultimi sono formati da una parte interna morbida (nucleo polposo) avvolto da una corona fibrosa resistente (anulus fibroso). Quando l’anulus si rompe, una piccola porzione del nucleo fuoriesce nel canale spinale, determinando la cosiddetta “ernia del disco”.

Quali sono i sintomi?

Nella maggior parte dei casi non compaiono sintomi. Tante persone scoprono casualmente di avere una o più ernie discali senza mai aver sofferto di alcun dolore. Quando si manifesta con segni e/o sintomi questi sono l’espressione di infiammazione o compressione di una radice nervosa. Il dolore può manifestarsi nel territorio di innervazione del nervo sciatico (lombosciatalgia) coinvolgendo il gluteo e la parte posteriore della coscia e postero-laterale della gamba fino alla caviglia o il territorio di innervazione del nervo crurale (lombocruralgia) coinvolgendo la regione antero-laterale della coscia.

Di fronte ad una sciatalgia, come si deve procedere?

Un’accurata visita medica serve a riconoscere eventuali segni e sintomi indicativi di malattie sistemiche, infiammatorie, neoplastiche, infettive e neurologiche. Escluse queste cause, il corretto modo di procedere è di attendere almeno 4-6 settimane dall’insorgenza dei sintomi prima di eseguire esami radiologici. La Risonanza Nucleare Magnetica della colonna lombosacrale deve essere prescritto dopo solo  4-6 settimane di trattamento farmacologico, in pazienti con sintomi e segni di compressione radicolare sufficientemente gravi da far considerare la possibilità dell’intervento chirurgico.

Per quanto riguarda la terapia?

E’ importante mettere in atto delle strategie terapeutiche che permettano, controllando adeguatamente il dolore, di mantenere una vita attiva. La terapia conservativa prevede quindi l’utilizzo di farmaci antinfiammatori, steroidi e analgesici. Estremamente efficace si rileva l’iniezione di corticosteroidi per via epidurale. Con guida radiologica si inietta una miscela di farmaco anestetico e cortisone in prossimità della radice nervosa infiammata. Questa procedura è eseguita quotidianamente presso il nostro Centro. Una-due infiltrazioni, nell’80 per cento dei pazienti, sono sufficienti a risolvere la sintomatologia dolorosa radicolare.

Quando è indicato l’intervento chirurgico?

A parte la rara situazione in cui l’ernia del disco comprimendo e danneggiando le radici nervose della cauda determina  deficit neurologici gravi (Sindrome della cauda), che quindi richiede un trattamento chirurgico urgente (24-48 ore), viene considerato l’intervento chirurgico nei seguenti casi: durata dei sintomi superiore a sei settimane; dolore persistente, non rispondente al trattamento farmacologico, e comparsa di deficit motorio progressivo.

L’intervento in cosa consiste?

Dallo storico intervento di laminectomia eseguito il 31 dicembre del 1932 da William Mixter, di strada ne è stata fatta parecchia, passando dagli interventi di discectomia standard alla microdiscectomia con microscopio alla più recente discectomia endoscopica. Il concetto è quello di evitare il più possibile di alterare l’anatomia della colonna e di creare esiti cicatriziali (fibrosi) con dissezioni chirurgiche. L’intervento di discectomia endoscopica è quello praticato maggiormente. Il Servizio di Terapia Antalgica dell’IRCCS di Negrar effettua circa 200 procedure  all’anno

Cos’è la discectomia endoscopica?

La discectomia endoscopica trans-foraminale è sicuramente la procedura chirurgica meno invasiva per rimuovere l’ernia del disco lombare. Eseguibile in anestesia locale, permette con approccio mini invasivo endoscopico la rimozione del materiale erniato. Il chirurgo, servendosi di strumentazione specifica entra in contatto con il materiale erniato passando attraverso un foro anatomicamente già esistente, il forame di coniugazione, evitando quindi di dover lesionare strutture ossee e muscolari.

Quali sono i vantaggi del trattamento endoscopico?

Prima di tutto il trattamento mini invasivo percutaneo mantiene la totale integrità della strutture anatomiche della colonna, non creando instabilità ed evitando formazioni di dolorose esiti cicatriziali spinali (aderenze post operatorie). E’ possibile, inoltre, trattare pazienti già operati con tecnica tradizionale (recidiva di ernia) e il dolore post operatorio è inesistente, permettendo una dimissione precoce (24 ore). Infine la possibilità di eseguire la procedura in anestesia locale consente di trattare anche pazienti con gravi patologie concomitanti (malattie respiratorie, cardiovascolari, grandi obesi).

Mentre quali sono i limiti?

Come tutti gli interventi chirurgici esistono dei limiti all’esecuzione  della procedura. Gravi deformazioni anatomiche, quali la spondilolistesi e la stenosi  del canale spinale, ernie L5 S1 con migrazione craniale o con creste iliache “alte” sono contronidicano l’utilizzo di questa metodica.

 

 

 


I centoquattro anni di Rosa, una dei primi operatori sanitari del Sacro Cuore

Classe 1920 e occhi ancora accessi di curiosità. Rosa Mazzi, ospite di Casa Nogarè, ha festeggiato i suoi 104 anni, circondata dalla sua famiglia, nipoti e operatori e ospiti della casa di riposo dove vive. La sua lunga vita si è intrecciata anche con quella di San Giovanni Calabria. Era infatti assistente di poltrona di Bartolomeo Bacilieri, il dentista di Don Calabria, uno dei primi medici che hanno esercitato al Sacro Cuore.

Il tempo ha lavorato sul suo corpo, ma, tra un ricamo e l’altro, ha risparmiato gli occhi che sono rimasti profondi, luminosi e accesi di curiosità. Forse la stessa curiosità di quando saliva i sentieri delle sue amate montagne o di quando il Maestro le porgeva lo spartito di un nuovo brano. Quelli di Rosa Mazzi sono occhi che hanno visto 104 anni di vita e di storia, festeggiati a Casa Nogarè lo scorso 1° febbraio. Oltre un secolo, durante il quale l’umanità ha toccato le vette più alte del progresso ed è precipitata negli abissi più profondi dell’odio.
A raccontarci di Rosa è la nipote Maria Bacilieri. Della zia dice che è sempre stata una donna dalla forte personalità, ma nello stesso tempo molto gentile e buona, sempre disposta ad aiutare gli altri. Anche qui si distingue per la sua bontà”.
Originaria di Lugagnano, Rosa è la quarta di sei fratelli. La più “piccola” delle sorelle compirà 101 anni il prossimo maggio (vive ancora da sola), mentre la più grande, Annunciata, era la mamma di Maria.

La festa di compleanno con gli oepratori di casa Nogarè

“La zia non si è mai sposata. Per molti anni ha vissuto anche in casa con noi insieme alla sua mamma, mia nonna, ed è stata assistente di poltrona di mio papà che faceva il dentista”. E qui la storia di Rosa si intreccia con quella di San Giovanni Calabria e dell’ospedale Sacro Cuore. Perché quel dentista, il dottor Bartolomeo Bacilieri – nipote dell’omonimo cardinale, vescovo di Verona dal 1900 al 1923 – era il dentista di don Calabria, colui al quale il Santo “chiese di esercitare a Negrar due volte alle settimana – racconta Maria –. Mio padre lo fece dal 1953 per 27 anni, con Rosa accanto, curando i pazienti gratuitamente e assistendo ai primi passi dello sviluppo dell’ospedale. Don Calabria nella nostra famiglia è sempre stato una presenza costante: ricordo quando da bambina si recitava in famiglia il Rosario. Ogni volta mia mamma diceva: “Diciamo ‘un Pater, ave e gloria’ per don Calabria e per tutta l’Opera. A noi bambini l’espressione divertiva, ma era come rivolgersi al Signore per proteggere un amico”.

Una vita piena quella di Rosa, fatta di lavoro, famiglia e fede, e anche caratterizzata da due passioni: la montagna e il canto, che è riuscita a fondere come soprano nello storico coro La Negritella, la compagine tutta al femminile che dal 1952 propone canti della tradizione alpina. “Cantava anche nel “Coro dei concerti spirituali della Cattedrale di Verona”, diretto dal maestro Luigi Lucchi. Un coro raffinatissimo di brani di musica medioevale, rinascimentale, barocca e di autori classici e moderni. La zia aveva una bellissima voce”.

Dopo aver vissuto da sola fino a 92 anni, da dodici Rosa è entrata a far parte della famiglia di Casa Nogarè, coccolata anche dai nipoti che la vengono a trovare regolarmente. L’augurio del direttore dei Servizi Socio Sanitari della Cittadella della Carità, Paolo Ferrari: “Grazie Rosa per il suo stile discreto e silenzioso, per accettare con umile sorriso ogni giorno che il Signore le dona. Da parte mia e di tutti i collaboratori di Casa Nogarè i più cari auguri di salute e di tanta serenità”.

 

 

 


La scuola di metodologia della ricerca clinica compie dieci anni

Undici giornate distribuite in sei moduli, con lezioni frontali e lavori di gruppo per imparare a impostare una ricerca e per saper valutare in modo critico una pubblicazione scientifica. Sono strumenti indispensabili per la pratica clinica di ogni giorno quelli offerti dalla scuola di metodologia della ricerca clinica dell’IRCCS di Negrar, giunta quest’anno alla decima edizione.

Ha preso il via lo scorso 26 gennaio la decima edizione della Scuola di Metodologia della Ricerca Clinica, iniziativa promossa dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per offrire a medici, infermieri e operatori delle varie professioni sanitarie gli strumenti per fare ricerca clinica e per leggere criticamente le pubblicazioni scientifiche. Nel tempo sono stati oltre 500 i professionisti formati da questa scuola, provenienti da tutta Italia e da molti dei più importanti ospedali presenti sul territorio nazionale. La scuola può contare inoltre su autorevoli patrocini tra cui Alleanza Contro il Cancro, il più grande network di ricerca oncologica in Italia.

L’edizione 2024, dopo il primo modulo di formazione di base tenuto il 26 e 27 gennaio, proseguirà con altri cinque appuntamenti (vedi programma). I moduli si svolgono con alternanza tra lezioni frontali e lavori di gruppo. Sono autonomi e frequentabili singolarmente. Il corso si tiene al Centro di Formazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’iscrizione può essere fatta on line al sito web http://formazione.sacrocuore.it/Index.aspx.

Nel video qui sotto le immagini del primo incontro e le interviste alla dottoressa Stefania Gori, responsabile scientifico della scuola e direttore dell’Oncologia Medica del Sacro Cuore, al dottor Giovanni L. Pappagallo, responsabile della segreteria scientifica, a Mario Piccinini, direttore generale della ricerca dell’IRCCS di Negrar e al prof. Emilio Bria, oncologo del Policlinico Gemelli e docente della scuola di metodologia.


Giornata mondiale contro il cancro: ancora troppi tumori dovuti agli stili di vita, a cominciare dal tabagismo

Il 4 febbraio è la Giornata mondiale contro il cancro. Aumentano le nuove diagnosi, ma aumenta anche il numero di persone che sopravvivono a lungo dopo una diagnosi di tumore e quelle che guariscono, mentre diminuiscono i decessi. Il fumo rimane ancora uno dei maggiori alleati del cancro. A breve sarà operativo il Centro antifumo dell’IRCCS di Negrar con un’équipe multidisciplinare per aiutare l’assisistito a spegnere l’ultima sigaretta.

Il 4 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro il cancro (Word Cancer Day), indetta 24 anni fa dalla UICC – Union for International Cancer Control – con il sostegno dell’Organizzazione mondiale della sanità al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi sulla patologia oncologica con l’obiettivo incentivarne la ricerca, la prevenzione e garantire a tutti le stesse possibilità di cura.

Il cancro è una malattia in costante crescita. Lo studio condotto dall’American Cancer Society e dall’International Agency for Research on Cancer ha analizzato i dati relativi a 26 tipologie di tumori in 185 Paesi nel mondo: nel 2020 sono stati 19,3 milioni i nuovi casi e circa 10 milioni i decessi.

In Italia nel 2023 sono state diagnosticate 395mila nuove diagnosi, 18.400 in più rispetto al 2020 (dati Aiom). Si stima che nei prossimi due decenni, il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche nel nostro Paese aumenterà in media ogni anno dell’1,3% negli uomini e dello 0,6% nelle donne. Un incremento dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione. In particolare, la fascia di età in cui i tumori sono i più frequenti comprende un’ampia fetta di popolazione, quella dei baby boomer che oggi hanno dai 59 ai 78 anni.

La buona notizia è quella che oggi di cancro si guarisce sempre di più e si muore sempre meno. In Italia delle 3.6 milioni di persone con diagnosi di cancro, circa 1 milione sono da considerarsi guarite. Fino a 20 anni fa il termine guarigione non era nemmeno contemplato.

In 13 anni, sono stati stimati negli uomini 206.238 e nelle donne 62.233 decessi in meno rispetto a quelli attesi. Il dato più eclatante riguarda la mortalità per cancro del polmone. Negli uomini, il 36,6% delle morti oncologiche evitate nel periodo 2007-2019 è legato ai progressi nella lotta al tabagismo, oltre che alle migliorate pratiche diagnostico-terapeutiche. Nelle donne, invece, proprio per il crescere del tabagismo, si rileva un eccesso di 16.036 morti per cancro polmonare, il 16% in più dell’attesa.

Sul fronte degli stili di vita, quindi, c’è ancora da fare molto se si considera che circa il 40% dei tumori potrebbero essere evitati con il controllo dell’alimentazione, con una costante attività fisica, un moderato consumo di alcol e soprattutto eliminando il fumo di sigaretta.

Il fumo è responsabile dell’85% dei casi di tumore del polmone, del 20-30 % dei tumori della vescica, reni e pancreas, del 40-50% dei tumori della bocca e dell’esofago. In chi fuma, il rischio di ammalarsi di tumore del polmone è aumentato di 25 volte rispetto a chi non fuma ed è proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno e al numero di anni da cui si fuma. In genere, il cancro si manifesta dopo 15-20 anni ed il rischio può considerarsi cessato solo 13-15 anni dopo aver smesso di fumare.

Uno studio recentemente pubblicato su Science Advances dai ricercatori dell’Ontario Institute for Cancer Research (OICR, Canada) hanno collegato il fumo di tabacco ad alterazioni del DNA che imprimono uno stop forzato soprattutto ai geni soppressori tumorali, incaricati di codificare proteine che riparano il DNA danneggiato o sopprimono la crescita delle cellule tumorali non appena si presentano. Quando queste proteine non vengono prodotte, le cellule anomale sono libere di moltiplicarsi. Ciò permette al cancro di diffondersi più facilmente. Gli scienziati sono arrivati a dimostrare che più una persona fumava, più alto era il numero di alterazioni dannose accumulate nel DNA.

Non fumare è quindi un investimento di salute e benessere. Lo è anche smettere di fumare, ma farlo senza un sostegno può diventare un’impresa. Fra breve sarà operativo il Centro antifumo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (Cacer Center OECI), caratterizzato dalla presenza di un’équipe multidisciplinare che accompagnerà l’assistito in un percorso psicologico ed, eventualmente, medico.