Giornata mondiale contro il cancro: ancora troppi tumori dovuti agli stili di vita, a cominciare dal tabagismo

Il 4 febbraio è la Giornata mondiale contro il cancro. Aumentano le nuove diagnosi, ma aumenta anche il numero di persone che sopravvivono a lungo dopo una diagnosi di tumore e quelle che guariscono, mentre diminuiscono i decessi. Il fumo rimane ancora uno dei maggiori alleati del cancro. A breve sarà operativo il Centro antifumo dell’IRCCS di Negrar con un’équipe multidisciplinare per aiutare l’assisistito a spegnere l’ultima sigaretta.

Il 4 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro il cancro (Word Cancer Day), indetta 24 anni fa dalla UICC – Union for International Cancer Control – con il sostegno dell’Organizzazione mondiale della sanità al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi sulla patologia oncologica con l’obiettivo incentivarne la ricerca, la prevenzione e garantire a tutti le stesse possibilità di cura.

Il cancro è una malattia in costante crescita. Lo studio condotto dall’American Cancer Society e dall’International Agency for Research on Cancer ha analizzato i dati relativi a 26 tipologie di tumori in 185 Paesi nel mondo: nel 2020 sono stati 19,3 milioni i nuovi casi e circa 10 milioni i decessi.

In Italia nel 2023 sono state diagnosticate 395mila nuove diagnosi, 18.400 in più rispetto al 2020 (dati Aiom). Si stima che nei prossimi due decenni, il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche nel nostro Paese aumenterà in media ogni anno dell’1,3% negli uomini e dello 0,6% nelle donne. Un incremento dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione. In particolare, la fascia di età in cui i tumori sono i più frequenti comprende un’ampia fetta di popolazione, quella dei baby boomer che oggi hanno dai 59 ai 78 anni.

La buona notizia è quella che oggi di cancro si guarisce sempre di più e si muore sempre meno. In Italia delle 3.6 milioni di persone con diagnosi di cancro, circa 1 milione sono da considerarsi guarite. Fino a 20 anni fa il termine guarigione non era nemmeno contemplato.

In 13 anni, sono stati stimati negli uomini 206.238 e nelle donne 62.233 decessi in meno rispetto a quelli attesi. Il dato più eclatante riguarda la mortalità per cancro del polmone. Negli uomini, il 36,6% delle morti oncologiche evitate nel periodo 2007-2019 è legato ai progressi nella lotta al tabagismo, oltre che alle migliorate pratiche diagnostico-terapeutiche. Nelle donne, invece, proprio per il crescere del tabagismo, si rileva un eccesso di 16.036 morti per cancro polmonare, il 16% in più dell’attesa.

Sul fronte degli stili di vita, quindi, c’è ancora da fare molto se si considera che circa il 40% dei tumori potrebbero essere evitati con il controllo dell’alimentazione, con una costante attività fisica, un moderato consumo di alcol e soprattutto eliminando il fumo di sigaretta.

Il fumo è responsabile dell’85% dei casi di tumore del polmone, del 20-30 % dei tumori della vescica, reni e pancreas, del 40-50% dei tumori della bocca e dell’esofago. In chi fuma, il rischio di ammalarsi di tumore del polmone è aumentato di 25 volte rispetto a chi non fuma ed è proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno e al numero di anni da cui si fuma. In genere, il cancro si manifesta dopo 15-20 anni ed il rischio può considerarsi cessato solo 13-15 anni dopo aver smesso di fumare.

Uno studio recentemente pubblicato su Science Advances dai ricercatori dell’Ontario Institute for Cancer Research (OICR, Canada) hanno collegato il fumo di tabacco ad alterazioni del DNA che imprimono uno stop forzato soprattutto ai geni soppressori tumorali, incaricati di codificare proteine che riparano il DNA danneggiato o sopprimono la crescita delle cellule tumorali non appena si presentano. Quando queste proteine non vengono prodotte, le cellule anomale sono libere di moltiplicarsi. Ciò permette al cancro di diffondersi più facilmente. Gli scienziati sono arrivati a dimostrare che più una persona fumava, più alto era il numero di alterazioni dannose accumulate nel DNA.

Non fumare è quindi un investimento di salute e benessere. Lo è anche smettere di fumare, ma farlo senza un sostegno può diventare un’impresa. Fra breve sarà operativo il Centro antifumo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (Cacer Center OECI), caratterizzato dalla presenza di un’équipe multidisciplinare che accompagnerà l’assistito in un percorso psicologico ed, eventualmente, medico.

 

 

 


Le malattie tropicali neglette: un'emergenza che ci riguarda

 Il 30 gennaio è il giorno a livello mondiale dedicato ad accendere i riflettori sulle malattie tropicali neglette, definite così perché dimenticate dalla ricerca e dalle agende sanitarie degli Stati. Sviluppare la ricerca, la diagnosi e la cura di queste malattie è un imperativo in primo luogo etico, perché per tutti, indipendentemente dalle zone di nascita, vi è un diritto alla salute. Inoltre viaggi di merci e persone coniugati al cambiamento climatico aumentano il rischio che alcune patologie diventino endemiche anche i Paesi non tropicali. Alcune già lo sono, altre lo potrebbero diventare come la dengue e il chikungunya in Italia. L’appello degli esperti del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, Centro collaboratore dell’Oms per le neglette: è fondamentale  aumentare la sorveglianza.

Prof. Federico Gobbi

Nel 2023, in Italia sono stati 82 i casi autoctoni di dengue, la “febbre spaccaossa”, e 280 quelli importati da  viaggiatori tornati da luoghi in cui la malattia è endemica; 7 i casi di chikungunya; 600 i casi diagnosticati di malattia di Chagas dal 1998, e centinaia i positivi alla strongiloidosi, una forma di parassitosi, diffusa soprattutto tra gli over 65. Questi sono i dati che riguardano solo alcune delle 12 patologie, che hanno trasmissione sul territorio italiano, delle 21 che compongono il mosaico delle malattie tropicali neglette (NTDs) di cui il 30 gennaio si celebra la Giornata mondiale

L’IRCCS di Negrar dal 2014 è centro collaboratore dell’Organizzazione mondiale della Sanità proprio per queste patologie e grazie a un esperienza ultra trentennale oggi è punto di riferimento internazionale per la diagnosi, la cura e la ricerca delle NTDs.

Le malattie tropicali neglette sono un gruppo eterogeneo di patologie, molte delle quali a carattere infettivo, causate da virus, batteri, funghi e tossine, come, tra le altre, la scabbia, l’echinococcosi e la leishmaniosi. Sono tutte accomunate dall’essere più diffuse in zone povere, specialmente tropicali, con scarse risorse e trascurate – per questo neglette – dall’agenza politica, dalla ricerca scientifica e invisibili all’opinione pubblica.

“A livello globale sono quasi 1,7 miliardi le persone che richiedono interventi sanitari per queste malattie, con più di mezzo milione di morti l’anno. Circa 4000-5000 le persone colpite nel nostro Paese dove, in particolare la dengue, secondo i dati della sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità, ha fatto registrare nel 2023 il record europeo per casi autoctoni”, spiega Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato di malattie infettive all’università di Brescia. “La diffusione delle ‘neglette’ è sottostimata e in continua crescita, non solo a livello globale, ma anche da noi – sottolinea –. L’Italia è un osservato speciale, complice il cambiamento climatico che ha determinato la diffusione della zanzara tigre su tutto il territorio nazionale. A destare preoccupazione – prosegue – è il rischio endemico di dengue e anche di chikungunya, i cui casi potrebbero aumentare con l’arrivo della primavera”.

 ATTENZIONE ALLA DENGUE E ALLA CHIKUNGUNYA

“È importante focalizzare l’attenzione sulla dengue e sulla chikungunya, in quanto in Italia è presente il ‘vettore’, la zanzara tigre (Aedes albopictus) che può acquisire questi virus pungendo viaggiatori infetti, di ritorno da Paesi endemici, e trasmettere l’infezione. Nascono così le epidemia autoctone”, puntualizza Gobbi.  “In Italia questa zanzara è giunta per la prima volta nel 1990 dagli Stati Uniti. Laddove è presente un vettore, vi è il rischio di trasmissione di tutte le patologie connesse al vettore stesso. Nel 2020 in Veneto, in provincia di Vicenza, si è verificata la prima epidemia autoctona di dengue in Italia con 11 casi e nel 2023 si sono registrati tre differenti cluster indipendenti tra loro: uno in Lombardia nella provincia di Lodi e due nel Lazio, a Roma e nel Circeo, arrivando a 82 casi autoctoni nel 2023”. I sintomi dell’infezione sono mal di testa, manifestazioni cutanee e, soprattutto, fortissimi dolori osteoarticolari. “Tuttavia poiché nella maggior parte degli individui la dengue è asintomatica o molto lieve, molti casi passano inosservati e si può quindi ipotizzare che l’incidenza sia molto più alta di quanto non emerga dalle statistiche di sorveglianza”.

CAMBIAMENTI CLIMATICI, TURISMO E GLOBALIZZAZIONE

“Dobbiamo prepararci a epidemie autoctone di dengue e chikungunya sempre più importanti, in quanto insieme alle merci e alle persone, viaggiano anche i vettori. In un mondo sempre più interconnesso, interconnesse saranno anche le patologie”, sottolinea Gobbi.  Ad accentuare il fenomeno e i contagi, il cambiamento climatico che, provocando un innalzamento delle temperature crea le condizioni ideali per la proliferazione delle zanzare tigre. “L’Aedes albopictus prospera a temperature comprese tra i 15 e i 35 gradi, ma – aggiunge Gobbi – può tollerare anche inverni generalmente caldi come quello che stiamo vivendo, la cui temperatura non uccidendo le larve favorisce un aumento di zanzare in primavera”.

È quindi importante attuare una sorveglianza attiva dei casi di importazione, per evitare che da pochi episodi limitati si generino epidemie estese. “È urgente mettere in atto maggiori misure contro questo problema di salute pubblica – conclude il prof. Gobbi -. La mancata attenzione nei confronti delle patologie infettive ‘dimenticate’, aumenta il rischio che anche i paesi non endemici ne siano interessati”.

 

 

 


Per eliminare la lebbra serve un approccio globale

Domenica 28 gennaio si celebra la 71ma Giornata Mondiale dei malati di lebbra, patologia per la quale l’IRCCS di Negrar è centro di riferimento regionale. Nel 2023 c’è stato un solo caso diagnosticato al “Sacro Cuore”, mentre a livello nazionale il numero si conta sulle dita di una mano. Eppure, nonostante sia perfettamente curabile, a livello globale i casi sono in aumento e la lebbra continua a rappresentare un serio problema di salute pubblica in molti Paesi.

Nel 2023 c’è stato un solo caso di lebbra diagnosticato presso l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Inoltre due pazienti hanno concluso il trattamento per questa malattia che era stata diagnosticata in precedenza. Numeri piccoli, ma che sono significativi se si considera che in Italia le diagnosi della malattia nota anche come morbo di Hansen sono meno di dieci all’anno. Si tratta di casi che arrivano a Negrar perché l’ospedale calabriano è centro di riferimento regionale per le malattie infettive rare, tra cui appunto la lebbra, di cui domenica 28 gennaio si celebra la 71ma giornata mondiale.

“In Italia e in generale nei Paesi con climi temperati i casi di lebbra sono pochissimi e tutti di importazione – sottolinea il dottor Andrea Angheben, responsabile clinico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali – tuttavia la malattia continua a rappresentare un serio problema di salute pubblica in diversi Paesi dell’area tropico-subtropicale”. Stando all’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i contagi a livello mondiale nel 2022 sono stati più di 174.000 con un aumento del 24% rispetto all’anno precedente. I Paesi con il maggior numero di nuove diagnosi sono l’India, il Brasile e l’Indonesia.

 

Dr. Andrea Angheben

“Per un lungo periodo le campagne promosse dall’OMS hanno permesso di ridurre in modo significativo i contagi. Tuttavia negli ultimi dieci anni il numero di nuovi casi si è stabilizzato sui 200.000 all’anno, diminuendo solo durante la pandemia COVID-19 per effetto della mancanza di rilevazione”, prosegue Angheben. Nel 2022 la trasmissione della lebbra ha riguardato anche molti bambini (5,9% del totale), mentre il 12,8% dei nuovi casi diagnosticati presentava disabilità gravi. “Quando ci sono disabilità gravi significa che la diagnosi è tardiva perché se presa in tempo la lebbra è perfettamente curabile – prosegue l’infettivologo – il problema è che nella fase iniziale essa si presenta con sintomi lievi, come piccole lesioni cutanee e molto spesso nelle zone povere non si va da un medico finché i sintomi non diventano più pesanti. Ma siccome la lebbra aggredisce i nervi, oltre alla pelle, i ritardi possono portare a disabilità permanenti”.

La lebbra è una delle cosiddette malattie tropicali neglette. E’ provocata da un micobatterio come accade per la tubercolosi e l’ulcera di Buruli. Il batterio si annida nei punti più freddi del corpo, soprattutto nella pelle e nei nervi delle parti periferiche. Con il tempo, se non curata, provoca problemi sempre più gravi portando a deformità e disabilità, con conseguenze che in molti Paesi sono tuttora fonte di povertà e sono alla base di un vero e proprio stigma sociale. Eppure dalla lebbra si può guarire con apposita terapia e dopo aver iniziato il trattamento un malato non è più contagioso. “Per combattere la lebbra è fondamentale avere un approccio globale che punti a migliorare le condizioni culturali e socio-economiche della popolazione nelle aree colpite. Inoltre dal punto di vista strettamente sanitario per interrompere la catena del contagio è molto importante il lavoro di screening nelle zone endemiche. Solo una diagnosi precoce permette da un lato di trattare tempestivamente il malato e dall’altro di mettere in sicurezza chi vive a stretto contatto con lui grazie a una profilassi antibiotica che risulta molto efficace nel prevenire lo sviluppo di nuovi casi” fa notare il dottor Angheben.

Come centro di riferimento regionale per la lebbra, il Sacro Cuore è dotato di tutti gli strumenti necessari per la diagnostica della malattia, dalla biologia molecolare agli esami microscopici che permettono di individuare il germe nei prelievi di linfa raccolti ad hoc nei pazienti con sintomi sospetti.

In caso di positività viene iniziata immediatamente la terapia in ospedale, con una combinazione di farmaci forniti dall’OMS. Tuttavia non è previsto come un tempo un prolungato isolamento del malato, in quanto dopo l’inizio del trattamento il paziente non è più contagioso. In seguito la terapia prosegue per vari mesi con controlli periodici in ospedale. Contemporaneamente le persone che vivono a stretto contatto con il malato vengono sottoposte a visita medica e a un test sierologico (PGL-1) e in caso di positività devono seguire l’apposito trattamento. Ai contatti stretti di un caso di lebbra in fase contagiosa viene raccomandata la profilassi come da indicazione dell’OMS.


Obesità: l'IRCCS di Negrar Centro di eccellenza SICOB per la chirurgia bariatrica

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto dalla Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (SICOB) la certificazione di centro di eccellenza, il massimo riconoscimento della qualità raggiunta per quanto riguarda la chirurgia bariatrica.  Il prestigiooso riconoscimento arriva solo dopo quattro anni dai primi interventi. 

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto dalla Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (SICOB) la certificazione di centro di eccellenza, il massimo riconoscimento della qualità raggiunta per quanto riguarda la chirurgia bariatrica.

Un prestigioso traguardo che la Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo, ha ottenuto in pochi anni. I primi interventi su pazienti fortemente a rischio di gravi patologie a causa del forte sovrappeso sono stati eseguiti dall’équipe bariatrica guidata dal dottor Roberto Rossini nel 2017. Nel 2021 è arrivato il primo riconoscimento SICOB, quello di centro accreditato, e ora, solo dopo 4 anni, la certificazione di centro di eccellenza.

 “I riconoscimenti SICOB si basano su criteri condivisi dalla comunità scientifica internazionale e quindi sono prima di tutto un certificato di garanzia per i pazienti che si recano nel nostro centro”, spiega il dottor Rossini. “Il primo criterio per la certificazione di eccellenza riguarda la presa in carico del paziente in base a un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) formalizzato”, spiega il dottor Rossini. “Noi aderiamo al PDTA della Regione Veneto che prevede la presenza di un’équipe multidisciplinare formata, oltre che da chirurgi, anche da gastroenterologi, psicologi e dietisti, figure fondamentali sia per la preparazione ottimale all’intervento sia per il post intervento, quando è necessario che il paziente rispetti nel tempo uno stile di vita che porti al calo ponderale”.

Fondamentale è il criterio del volume degli interventi che negli ultimi due anni sono stati 228, un numero superiore ai 100 all’anno stabilito dalla Società scientifica. Il 20% proviene da fuori regione e rilevante è anche la percentuale dei cosiddetti Re-Do Surgery (10%), cioè pazienti, giunti da altri ospedali, che si sono rivolti a Negrar per un secondo intervento, a causa di complicazioni dovute alla prima procedura chirurgica o per fallimento nella perdita di peso.  In generale la gran parte di coloro che si rivolgono al Centro bariatrico di Negrar sono donne con un’età media di 39 anni. L’intervento è indicato solo in presenza di un indice di massa corporea (BMI) superiore a 40 o superiore a 35 se ci sono patologie.

“I re-interventi sono compresi nelle quattro procedure chirurgiche che un centro deve effettuare per essere di eccellenza – prosegue il chirurgo -. Pratichiamo inoltre la sleeve gastrectomy, una metodica ampiamente utilizzata a livello mondiale. Si tratta dell’asportazione laparoscopica di buona parte dello stomaco, che assume la forma di un tubo collegato al duodeno. Il risultato è un maggior senso di sazietà, non solo per la riduzione dello spazio di contenimento del cibo, ma anche perché viene recisa quella parte dello stomaco che produce la grelina, il cosiddetto ormone della fame. Le altre due metodiche da noi praticate – il bypass ed il mini bypass gastrico – vengono utilizzate in casi selezionati ed hanno un ruolo importante nel trattamento di alcune complicanze. Sempre eseguite mediante tecnica laparoscopica, entrambe vanno a creare, in maniera differente, una piccola sacca gastrica collegata direttamente al piccolo intestino”.

La SICOB prevede poi che l’Ospedale disponga di terapia intensiva e che la casistica operata dal Centro sia interamente registrata nel date base nazionale della Società come il follow up dei pazienti. “Il 70% dei nostri pazienti effettuano nel primo anno tutti i controlli periodici contro il 50% stabilito dalla Società. Poi nel tempo la percentuale si abbassa fisiologicamente sebbene rimanga soddisfacente”, precisa il chirurgo.

Nella foto l’équipe della Chirurgia bariatrica: da sinistra la dottoressa Maria Paola Brunori (gastroenterologa), dottoressa Eleonora Geccherle (psicologa), dottor Roberto Rossini (chirurgo), dottoressa Alessandra Misso (dietista) e dottoressa Irene Gentile (chirurgo)


L'impegno di san Giovanni Calabria per l'unità dei cristiani

Tutte le case dell’Opera Don Calabria, tra cui anche la Cittadella della Carità di Negrar, partecipano alla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge in questi giorni (18-25 gennaio). Un impegno che il fondatore stesso richiese ai suoi fin dal 1926. Don Calabria stesso, infatti, fu un pioniere dell’ecumenismo e si adoperò con passione per il dialogo e il riavvicinamento con i “fratelli separati”.

Anche la Cittadella della Carità di Negrar sta partecipando in questi giorni alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (vedi programma). Si tratta di un appuntamento che era molto caro al fondatore San Giovanni Calabria, il quale fu per molti aspetti un vero e proprio pioniere dell’ecumenismo. Fin dal 1926 egli aveva chiesto a tutte le comunità della sua Opera di unirsi a quella che già allora veniva chiamata “Ottava di preghiera per l’unità dei cristiani”. Ma tale desiderio di dialogo e riavvicinamento con i “fratelli separati” venne espresso da don Calabria in molte altre occasioni sia a parole sia con i fatti.

Il manifesto ecumenico di don Calabria

Il manifesto del suo ecumenismo è l’articolo “Ut unum sint, scritto nel 1945 con la collaborazione del biblista mons. Giovanni Ongaro. Tale articolo nelle sue intenzioni avrebbe dovuto uscire sull’Osservatore Romano, ma per vari motivi questo non accadde.

Per don Calabria, da quanto si legge nel testo, la guerra 1940-45 che aveva causato tanti lutti e immani tragedie, aveva comunque finito per infrangere molte barriere tra popolo e popolo ed aveva portato alla fine di alcune ideologie. Gli sembrava che: «Questo accostamento di popoli su aree di pacificazione … [fossero] preludi di una generale pacificazione».

Era un fenomeno che avveniva sul piano sociale e nel rapporto fra le diverse nazioni, ma che avrebbe potuto e dovuto riverberarsi anche sul piano religioso inducendo i cristiani, divisi in varie confessioni religiose, all’unificazione tra loro: «Dobbiamo approfittare di quest’ora del Satana, divenuta provvidenzialmente l’ora di Dio: che ha accostato a Cristo, alla sua Chiesa, al suo vicario, anime fino a ieri ritenute distare agli antipodi…».

Per favorire questo auspicato ritorno dei Fratelli separati don Calabria suggeriva nell’articolo alcune modalità. Anzitutto lui era convinto che occorresse una nuova Pentecoste perché la moltitudine dei credenti potesse divenire un cuor solo ed un’anima sola (At 4, 32) e che questa grazia bisognasse chiederla con la preghiera.

Il chiostro dell’abbazia di Maguzzano oggi

Si trattava poi di: «Lanciare fraternamente ai capi di religione dei fratelli separati, ma in perfetta buona fede, un appello, invitandoli a porgere orecchio attento a questo conclamato bisogno di ritorno, […] a questo bisogno di preghiera con il raccogliersi in preghiera per una Novena allo Spirito Santo, invitando i loro sudditi a secondarli …».

E inoltre di «Offrire praticamente a questi capi dei fratelli separati, portati a noi vicini dal turbine della guerra, il luogo adatto per questa comune preghiera, per una intesa fraterna, senza discussioni e senza partiti, con il solo intento di ritrovare la verità». Per questo don Calabria si spingeva ad offrire a tanto scopo l’Abbazia di Maguzzano, che era entrata a far parte dell’Opera nel 1938.

L’amicizia con i fratelli separati

Anche in campo ecumenico, don Calabria accompagnò sempre le sue idee con gesti concreti. Ad esempio nel dicembre 1945 diede accoglienza nella Casa di Maguzzano al metropolita ortodosso rumeno Visarion Puiu, esule dal suo Paese perché perseguitato (vedi foto di copertina di questo articolo). Il metropolita restò ospite presso l’abbazia per circa un anno e mezzo, durante il quale sviluppò una profonda amicizia con don Calabria, testimoniata da tanti incontri e successivamente da una fitta corrispondenza epistolare.

In una di queste lettere, scritta dal Metropolita, leggiamo queste parole significative: «La maniera con la quale mi avete ricevuto e trattato mi ha mostrato la grande carità da cui siete animato, carità che sola è la salvezza del tormentato mondo attuale. Tutto mi ha fatto grande impressione e mi ha prodotto una profonda soddisfazione. Per questo Vi ringrazio vivamente e prego Iddio che la

vostra benefica istituzione si diffonda in tutto il mondo per il bene di tutte le anime. Vi mando gli auguri per la Vostra opera, che riguarda nello stesso tempo anche l’Unità della Chiesa. Benedico Voi e tutti e assicuro preghiere».

 

Lo scrittore inglese C.S. Lewis

Ma don Calabria dialogò anche con diverse personalità del mondo protestante. Molto

noto è il fitto scambio di lettere con lo scrittore e accademico inglese C.S. Lewis, autore delle “Cronache di Narnia”. Don Calabria era rimasto colpito dal libro di Lewis intitolato “Le lettere di Berlicche” e gli aveva scritto in latino, non conoscendo lui l’inglese. Lewis aveva risposto e tra i due era nata una vera e propria amicizia epistolare ricca di spunti interessanti, ad esempio riguardo al tema della carità come sorgente dell’unità.

Un’altra importante amicizia epistolare, improntata sempre alla vicinanza spirituale e al dialogo tra fratelli separati, fu quella con il pastore luterano svedese Sune Wiman. Con la sua appassionata ricerca del dialogo e dell’unità, basata prima di tutto sul ritorno al Vangelo, don Calabria entrò in corrispondenza negli anni Quaranta anche con l’arcivescovo di Canterbury e altri vescovi anglicani, oltre che con le personalità del mondo cattolico più autorevoli e profetiche nel campo ecumenico.

 

Per saperne di più:

Articolo di S. Em. Cardinale Claudio Gugerotti sull’ecumenismo di don Calabria: www.doncalabria.it/news/l-ecumenismo-pratico-di-don-calabria-545/

LIBRO

Una gioia insolita. Lettere tra un prete cattolico e un laico anglicano, a cura di Luciano Squizzato, Jaca Book


Laringite cronica: l'infiammazione delle corde vocali che può evolvere in tumore

La laringite cronica – da non confondere con la faringite cronica – è un’infiammazione della parte più bassa della gola, dove sono contenute le corde vocali, che può evolversi in una neoplasia. L’unico sintomo è l’abbassamento di voce persitente, tipico dei fumatori fra i quali la malattia è maggiormente diffusa.

La raucedine quando persiste non è un segnale da sottovalutare, soprattutto da parte dei fumatori, perché quella voce roca può essere sintomo di laringite cronica, una patologia che può evolvere in cancro delle corde vocali.

Dr. Sergio Albanese

La laringite cronica non deve essere confusa, come accade spesso, con la faringite cronica, una banale   infiammazione della parte alta della gola che, seppur fastidiosa, non ha conseguenze importanti. La laringite cronica, invece, è una cosiddetta precancerosi facoltativa, cioè si tratta di un’infiammazione della parte più bassa della gola, dove sono contenute le corde vocali, che può degenerare in tumore”, spiega il dottor Sergio Albanese, direttore dell’Otorinolaringoiatria dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria.

L’origine vera e propria della laringite cronica è ancora sconosciuta. Quel che è certo è che a seguito di agenti irritativi si avvia un processo patologico tale da portare alla modificazione del rivestimento mucoso delle corde vocali. All’esame clinico otorinolaringoiatrico le corde vocali appaiono gonfie, rivestite da un epitelio ispessito. Perdono il loro colore bianco porcellana, per diventare rossastre, fino a raggiungere un quadro definito di epidermizzazione.

Sotto accusa soprattutto il fumo di sigaretta e nel 20% dei casi anche le polveri e i fumi dei materiali di lavorazione e l’inquinamento atmosferico. “Il fatto che la causa principale della laringite cronica siano le sigarette, rende ancora di più subdola questa patologia – sottolinea il dottor Albanese – in quanto il sintomo per eccellenza è un abbassamento di voce persistente, che caratterizza spesso i fumatori e per questo viene sottovalutato”.

Come distinguere quindi una laringite cronica da una semplice faringite?

Esiste una sorta di regola d’oro. Se la raucedine persiste per più di 4-5 settimane è indicato, anche in assenza di fattori di rischio, sottoporsi a un esame endoscopico e successivamente, se la diagnosi non è chiara, a una microlaringoscopia con biopsia. E’ importate infatti capire quale stadio ha raggiunto l’infiammazione: stadio 1 indica un’infiammazione lieve, stadio 2 infiammazione medio-grave con iniziali fenomeni degenerativi e stadio 3 carcinoma in situ.

Una volta effettuata la diagnosi come si procede?

Per i casi di laringite cronica lieve il paziente viene avviato a una terapia con antinfiammatori e istruito a non stressare le corde vocali con il fumo o con l’uso prolungato della voce. Se il trattamento medico non dà risultati si deve procedere con l’intervento chirurgico.

In cosa consiste?

Si effettua un intervento di microchirurgia, il cosiddetto stripping (spogliazione) delle corde vocali. Queste sono un cilindro formato da un muscolo interno avvolto da una mucosa di rivestimento. La malattia riguarda il rivestimento che, una volta tolto, si riforma spontaneamente dalla periferia, privo di degenerazioni della mucosa. Il reperto chirurgico viene poi sottoposto a esame istologico.

Sono frequenti i tumori delle corde vocali?

Sono i carcinomi in assoluto più frequenti del distretto testa-collo, di cui nel 2022 (ultimi dati AIOM disponibili ndr) si sono registrate quasi 10mila nuove diagnosi. Negli ultimi 15 anni si è assistito a un calo drastico di casi, grazie alle campagne anti-fumo. Purtroppo prevenirli è molto difficile in quanto le corde vocali sono prive di recettori del dolore, e l’unico sintomo, come abbiamo detto, è la raucedine, tipica dei fumatori. La diagnosi precoce rimane tuttavia fondamentale, perché più il tumore è piccolo, migliore è la prognosi di guarigione. Per i tumori di piccole dimensioni la percentuale di guarigione può arrivare fino al 95,5%.  Inoltre per queste patologie è possibile procedere con un trattamento radioterapico la cui efficacia è paragonabile alla chirurgia, con il vantaggio però di una migliore conservazione della voce.


Il cross-linking la metodologia para-chirugica per la cura del cheratocono

Il cheratocono è una patologia dell’occhio dovuta allo sfiancamento della cornea, che, invece di mantenere l’aspetto di semisfera perfetta, assume una forma conoide. Il trapianto totale di cornea è stato superato, grazie al cross-linking con cui vengono trattati la grande maggioranza dei pazienti.

Dr. Tiziano Cozzini

Il greco aiuta già a descrivere la malattia: cheratocono è una parola che deriva da keratos (cornea) e konos (cono), cornea a forma di cono.  Infatti si tratta di una patologia dell’occhio dovuta allo sfiancamento della cornea, che, invece di mantenere l’aspetto di semisfera perfetta, assume una forma conoide. Poiché la cornea è la più curva delle due lenti dell’occhio (l’altra è il cristallino) e quindi quella che ha maggior potere diottrico, il primo sintomo del cheratocono è un calo di vista. In circa il 90% dei casi si manifesta in età adolescenziale e giovanile e, sebbene sia considerato ancora una malattia rara, “presso l’Oculistica dell’IRCCS di Negrar registriamo un progressivo aumento di persone che ne sono affette. In un anno vengono effettuate dalle 50 alle 70 diagnosi”, afferma il dottor Tiziano Cozzini, medico oftalmologo della struttura diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.

 

(Foto Poliambulanza-Brescia)

Dottor Cozzini, quali sono le cause del cheratocono?

Si tratta di una malattia multifattoriale, con una componente di ereditarietà familiare associata a fattori ambientali. Si è visto infatti che i soggetti allergici sono più predisposti al cheratocono. Vi è inoltre una correlazione con lo strofinamento oculare, molto frequente in coloro che soffrono di allergia, e con le apnee ostruttive del sonno, quindi con una tendenza alla lassità dei tessuti.

Quali sono i sintomi?

Il paziente se ne accorge perché inizia ad avere una visione sfuocata, dovuta al progressivo aumento dello astigmatismo, non correggibile con l’occhiale. La visione a fuoco dell’occhio, infatti, è data dalla medesima curvatura del meridiano orizzontale e verticale della cornea, che viene meno in caso di cheratocono.

Come viene effettuata la diagnosi?

Attraverso la tomografia corneale per rilevare la curvatura anteriore della cornea (superficie esterna), lo spessore e la curvatura posteriore (superfice interna). Sono i tre parametri fondamentali per fare diagnosi precoce di cheratocono. Perché all’inizio si verifica uno sfiancamento posteriore, poi un assottigliamento corneale e infine un sfiancamento sulla faccia anteriore.

Come si tratta?

Gli occhiali possono correggere fino ad un certo punto la visione sfuocata, perché si tratta di un astigmatismo irregolare. Molto meglio le lenti a contatto su misura, morbide spessorate, semi-rigide o sclerali. Queste lenti, appoggiandosi alla cornea, sono studiate per ridare alla faccia anteriore dell’occhio la sua naturale forma a sfera. Tuttavia le lenti possono risolvere i sintomi ma in caso di progressione del cheratocono è necessario ricorrere alla chirurgia.

E’ necessario il trapianto di cornea?

Il trapianto totale di cornea era l’unica soluzione per i casi più gravi fino agli anni Duemila. Successivamente è stato introdotto il trapianto lamellare. La cosiddetta DALK (Deep Anterior Lamellar Keratoplasty) che sostituisce tutti gli strati della cornea con risparmio di quello più interno, che in caso di cheratocono è totalmente sano. Preservando questo strato, il trapianto è a minor rischio di rigetto. Inoltre la tecnica consente un trapianto più esteso che include tutto il cheratocono nella parte rimossa e consente anche di ottenere un minore astigmatismo postchirurgico.

Sono molti i pazienti che giungono al trapianto lamellare?

Sono sempre meno, grazie alla diagnosi precoce e al cross-linking, una procedura, introdotta una ventina di anni fa, che consente di ottenere il blocco dello sfiancamento con una tecnica “para-chirurgica”.

In cosa consiste il cross-linking?

Il cross-linking va a rinforzare i legami crociati tra le fibre di collagene che costituiscono la cornea. Il protocollo di trattamento originale prevedeva la rimozione della parte più superficiale della cornea, l’epitelio (che si riforma in due- tre giorni), per permettere di far penetrare la vitamina B2 (riboflavina), la sostanza di cui viene imbibita la cornea, necessaria per far avvenire la reazione di cross-linking. Dopo 30 minuti si procedeva con l’applicazione di raggi UVA per altri 30 minuti. Oggi, nella gran parte dei casi, manteniamo l’epitelio integro ed effettuiamo un trattamento  cosiddetto di “cross-linking con iontoforesi epi-on”. Applichiamo cioè una coppetta sull’occhio e un elettrodo sulla fronte del paziente, creando tra essi un passaggio di micro-corrente. Questo fa sì che la riboflavina caricata positivamente presente nella coppetta penetri nella cornea attraverso l’epitelio integro in soli 5 minuti. Dopo di che viene effettuato un irraggiamento “UVA accelerato” con potenza maggiore e pulsato perché nella fase di spegnimento si ha una maggiore ossigenazione della cornea e si è visto che questo contribuisce ad una maggiore efficacia cross-linkante. I risultati sono simili a quelli del crosslinking con rimozione dell’epitelio, ma con un recupero più rapido, meno rischio di opacità corneali e di infezioni postoperatorie.

Per chi è indicato il cross-linking?

Grazie al crosslinking il trapianto lamellare viene riservato solo ai pochi casi in cui la diagnosi è stata tardiva o per i pazienti il cui cheratocono, nonostante il trattamento, ripetuto anche una seconda volta, abbia avuto una progressione tale da non permettere un visus soddisfacente con correzione.  I pazienti in cui la diagnosi è precoce, e sono la maggioranza, e le cui tomografie corneali seriate effettuate a distanza di tre mesi dimostrano una progressione della malattia, vengono sottoposti invece a cross-linking. Lo scopo non è migliorare la vista, ma bloccare il prima possibile lo sfiancamento e ridurre la probabilità che continui a progredire nel tempo. In questi pazienti poi, usando lenti a contatto più semplici e più confortevoli, e a volte anche solo gli occhiali, possiamo ridare una visione soddisfacente.

E’ un intervento ambulatoriale?

Si, ed ha una durata di circa 30 minuti con anestesia topica (collirio anestetico). Il paziente in seguito viene sottoposto a visite di controllo e seguito con tomografia corneale ad un mese, a tre mesi e se tutto va bene ogni sei mesi per un paio di anni. Successivamente il controllo diventa annuale.


Un anno con l'IRCCS Sacro Cuore Don Calabria: il video-diario del 2023

E’ stato un anno ricco di avvenimenti e di cambiamenti all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Un anno intenso dove il personale ospedaliero si è impegnato nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura di tante malattie. Ma anche un anno ricco di relazioni umane e di soddisfazioni che testimoniano la bontà del lavoro svolto. In questo video-diario abbiamo raccolto le istantanee dell’anno appena trascorso. Le offriamo ai nostri lettori insieme ai migliori auguri di un sereno 2024 da parte del nostro ospedale.


Nel video-messaggio del Casante l'augurio di un "Buon Natale di gentilezza"

Sperimentare la gentilezza nelle relazioni con gli altri, una gentilezza da provare ogni giorno nei piccoli gesti durante queste festività, e magari anche oltre, perchè anche Gesù è stato un uomo gentile e si è sempre posto con gentilezza nei confronti dell’umanità fin dalla notte di Betlemme.

E’ questo il cuore del video-messaggio che il Casante don Massimiliano Parrella consegna quest’anno al personale della Cittadella della Carità e a tutta la Famiglia dell’Opera Don Calabria. Un messaggio che arriva dalla speciale cornice di Piazza San Pietro, davanti alla natività che raffigura il primo presepe di Greccio realizzato da San Francesco nel 1223, esattamente 800 anni fa.

Come redazione delle “news” ci uniamo alle parole del Casante e auguriamo un “Buon Natale di gentilezza” a tutti i nostri lettori, al personale ospedaliero, ai pazienti e ai loro familiari.


Stefania e la bellezza che si fa spazio, nonostante tutto

La storia di Natale di quest’anno è dedicata a Stefania, una paziente del Dipartimento di Riabilitazione. Una caduta ha cambiato completamente la sua vita. La Natività che vedete nella foto porta la sua firma. L’ha realizzata con la bocca

Stefania mentre dipinge

Il dipinto che abbiamo riprodotto in foto, non è una Natività qualunque, ma racconta anche un’altra storia, oltre a quella di una nascita che ha distinto in prima e in dopo i secoli. Basterebbe solo dire che il dipinto è stato realizzato con la bocca. Infatti l’altra storia è quella di Stefania, residente nel Veronese, sposata con Paolo da 38 anni e mamma di una ragazza di 30 anni e di un ragazzo di 26.

Una domenica mattina di alcuni mesi fa, dopo una camminata nelle vicinanze dell’abitazione, rientrando a casa, Stefania cade, forse per un malore, andando a sbattere il collo contro le cassette del gas. Lesione al midollo spinale, a livello cervicale.

La corsa in ambulanza all’ospedale Maggiore di Borgo Trento, la perdita di conoscenza per alcuni giorni, la permanenza in terapia intensiva, la tracheotomia… Poi ancora 40 giorni nel reparto di Pneumologia per problema polmonare e il trasferimento all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria.

“Anche a Negrar sono stata ricoverata subito in terapia intensiva a causa di un polmone collassato e poi, quando la situazione è migliorata, in sub intensiva”, racconta Stefania all’Informatore, il bimestrale di informazione a cura del Gruppo di Animazione Lesionati Midollari (GALM). “Venivo nutrita con il sondino naso-gastrico, mi illudevo di ricominciare a mangiare normalmente, ma quando ci provavo la situazione polmonare non lo permetteva. Psicologicamente è stata molto dura: una continua illusione e delusione. Ora va meglio… Dal giorno della caduta il mio corpo non si muove. Però ora respiro senza l’aiuto di macchinari, mangio da sola, riesco a stare seduta in poltrona. E questo dà speranza anche alla mia famiglia. Io punto sul massimo dell’autonomia possibile…. Senza la mia famiglia sarei impazzita… I miei figli mi vengono a trovare appena possono e mio marito è un angelo, viene qui tutti i giorni”.

Per alcuni mesi Stefania ha frequentato il laboratorio di arteterapia del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione, diretto dalla dottoressa Elena Rossato. “Grazie alla dottoressa Charlotte Trechsel, responsabile del Laboratorio, ho imparato a dipingere con la bocca. Io non ho mai dipinto prima, nemmeno con le mani. E’ bello, molto rilassante, è una cosa che mi fa bene. Charlotte poi è una persona molto disponibile che sa ascoltare. Se senti che una persona è disponibile riesci ad aprirti e a dire cose che non credevi di riuscire ad esprimere. A volte sento l’istinto di urlare, perché vorrei dare sfogo al malessere che tengo dentro…  E l’arte dà a quell’urlo una forma compiuta. Se l’angoscia sovrasta ogni cosa, diventa impossibile seguire la fisioterapia”, racconta Stefania.

“Mi spaventa il fatto di non sapere quando tornerò a casa (è stata dimessa poco prima di Natale, ndr), anche se so che quando accadrà avrò molta paura e mi mancherà la quotidianità ospedaliera. Cosa provo oggi? Gioia quando vengono i miei amici a trovarmi. Ma anche rabbia, perché non mi hanno curato bene i problemi che mi hanno causato il malore e quindi la caduta. Forse era destino che accadesse… Forse bisogna accettare e basta. Mio marito – sottolinea – è andato in pellegrinaggio alla Madonna de La Salette. Una suora dopo aver sentito il racconto della mia vicenda, ha promesso di pregare per i medici e per i fisioterapisti, perché trovino le soluzioni migliori per me. A tutti loro posso solo dire grazie: alla dottoressa Marcella Rossi, che mi seguiva quando ero in terapia intensiva e viene ancora a trovarmi; alla dottoressa Monica Baiguini e ai dottori Giuseppe Armani e Luigino Corradi che dandomi molta fiducia si prendono cura di me; alla dottoressa Elena Rossato e al dottor Federico Ferrari insieme a tutti i fisioterapisti che mi seguono in palestra con professionalità e umanità. Grazie di cuore a tutti”.

Stefania ora è a casa e trascorrerà il Natale nell’ambiente che ama insieme ai suoi cari. Dall’ospedale ha portato con sé un bagaglio pesante di sofferenza e di dolore. Ma anche la certezza che, nonostante tutto, perfino quando il nostro corpo non è più il nostro, siamo esseri capaci di produrre bellezza. Che sia essa un sorriso, uno sguardo d’amore, una parola detta al momento giusto o una Natività dipinta con la bocca. Buon Natale.