Covid 19: ai guariti basta una sola dose di vaccino. Anche dopo 10 mesi dall'infezione

Lo studio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia sull’efficacia del vaccino effettuato sugli operatori sanitari dell’Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria. La risposta anticorpale al vaccino in chi è stato contagiato da SARS COV2 è maggiore quanto più è il tempo trascorso dall’infezione. Una singola dose pare sufficiente a chi ha contratto il virus, indipendentemente da quanto tempo è passato dall’infezione
Uno studio condotto dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, pubblicato sulla rivista Clinical Microbiology and Infection (clicca), ha dimostrato che negli operatori sanitari con precedente infezione la risposta anticorpale dopo una sola dose di vaccino è significativamente più alta rispetto a quella ottenuta dopo due dosi negli operatori mai colpiti dal virus. Anche dopo dieci mesi dal contagio, ovvero il tempo intercorso dai primi operatori contagiati alla conclusione dello studio.
Per non sprecare preziose dosi di vaccino, i ricercatori del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia, coordinati dal professor Zeno Bisoffi, invitano perciò a vaccinare con una sola dose chiunque abbia avuto il Covid-19, sebbene l’infezione sia avvenuta oltre i 6 mesi prima (dal 22 luglio il ministero ha posto il limite entro un anno, ndr), limite finora raccomandato dal Ministero della Salute, oltre il quale è indicato il richiamo.
Lo studio è stato condotto fra gennaio e marzo 2021, quando circa 2000 operatori sanitari dell’ospedale veronese sono stati sottoposti alla vaccinazione anti-Covid con Pfizer-BioNTech; agli aderenti sono stati dosati gli anticorpi contro SARS-CoV-2 al momento della prima e della seconda dose e poi una terza volta dopo 2/3 settimane dall’ultima inoculazione. “Abbiamo dosato varie classi di anticorpi e in special modo gli anticorpi IgG quantitativi che comprendono quelli neutralizzanti ovvero gli anticorpi che con una certa approssimazione misurano la risposta al vaccino – spiega Bisoffi, che è anche professore associato all’Università di Verona – Dei 1935 partecipanti, 232 avevano una storia di infezione documentata: proprio in quest’ultimi il titolo anticorpale medio dopo una sola somministrazione di vaccino era significativamente più alto rispetto a quello rilevato in chi non aveva mai contratto il virus e aveva ricevuto due dosi di vaccino. Questo conferma le osservazioni di altri ricercatori ma su numeri inferiori e corrobora la decisione di procedere con un’unica somministrazione in chi ha già avuto il Covid-19”. A oggi però questa scelta è stata limitata ai 6 mesi dopo l’infezione: nei casi in cui sia trascorso più tempo viene prevista una seconda dose di vaccino, come accade per chi non ha mai incontrato il virus.
I dati raccolti dai ricercatori veronesi dimostrano che la seconda dose non è necessaria, anzi: “Con sorpresa abbiamo osservato che la risposta anticorpale era tanto più forte quanto più tempo era trascorso dall’infezione; la risposta è più consistente anche in chi è più giovane, nelle donne e in chi ha avuto un Covid-19 con sintomi – aggiunge Bisoffi – Tutto ciò indica che una singola dose di vaccino a mRNA è comunque sufficiente in chi ha contratto il nuovo Coronavirus indipendentemente dal tempo trascorso dall’infezione. Considerando che non possiamo permetterci di sprecare preziose dosi di vaccino – conclude l’infettivologo – il criterio della vaccinazione monodose soltanto entro i 6 mesi dal contagio potrebbe essere rivisto per far sì che chi ha avuto Covid-19 riceva un’unica dose, sempre. L’obiettivo adesso è verificare questi dati in una popolazione che sia stata vaccinata dopo tempi ancora più lunghi dall’infezione, per corroborare ulteriormente l’indicazione”.
Il trattamento della spasticità provocata dall'ictus

L’attività dell’Ambulatorio di gestione della spasticità, un fenomeno che subentra dopo l’ictus e che al “Sacro Cuore” viene affrontato con l’infiltrazione di tossina botulinica o di un farmaco galenico chiamato fenolo
La paralisi o plegia degli arti causata da ictus, ma anche da traumi cranici e midollari, può comportare il fenomeno della spasticità, cioè l’aumento anomalo del tono muscolare determinato dalla lesione del sistema nervoso centrale. Questo costituisce una forte limitazione al recupero funzionale degli arti.
Nell’ambito del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, opera l’Ambulatorio di gestione della spasticità, condotto dalla dottoressa Elisabetta Verzini e dal dottor Federico Ferrari (nella foto), a cui hanno accesso sia pazienti ricoverati che ambulatoriali. La maggior parte presenta esiti di ictus.
“La presa in carico del paziente con spasticità prevede un percorso a step determinato dalla condizione del paziente stesso – spiegano i due medici fisiatri – Tralasciando la spasticità generalizzata, per la quale si rende spesso necessaria la somministrazione di farmaci per bocca o per via intratecale (cioè direttamente nel liquor spinale), nella spasticità focale, cioè localizzata ad esempio a una gamba o a una mano, ci si avvale della terapia infiltrativa eco-guidata con tossina botulinica a livello intra-muscolare”.
Come è noto il botulino ha un effetto paralizzante, “ma in questo caso agiamo su muscoli che hanno già perso la loro funzione, o comunque la svolgono in modo anomalo”. Lo scopo è quello di rilassare tali muscoli o tentare, nel caso di residua attività motoria, di “ripristinare l’equilibrio tra gruppi muscolari che normalmente svolgono attività opposte, riducendo così il rischio di sviluppare rigidità articolari”.
Le infiltrazioni muscolari con tossina hanno tuttavia dei limiti: l’effetto del farmaco è di circa 3-6 mesi; per problemi di tossicità non è possibile superare determinati dosaggi; la tossina inoltre non ha efficacia nel caso si sia sviluppata una retrazione muscolare.
“In questi casi si ricorre ad un iter diagnostico che consiste nell’inoculazione sotto guida ecografica ed elettrostimolatoria di un anestetico locale a livello del nervo che controlla i muscoli spastici – proseguono i medici -. Nel caso di risposta al test, viene utilizza la tossina botulinica a un dosaggio più alto (se è possibile) o il fenolo, un farmaco prodotto dalla nostra Farmacia ospedaliera il cui effetto ha una durata fino a 9-12 mesi”, spiegano ancora la dottoressa Verzini e il dottor Ferrari. “Il fenolo viene iniettato a livello peri-nervoso e determina una riduzione della spasticità in tutti i muscoli afferenti a quel nervo. Così facendo si ottiene spesso una risposta molto ‘netta’ sul fenomeno spastico che permette di ottenere per esempio a livello dell’arto inferiore il cambiamento delle caratteristiche del cammino o a livello dell’arto superiore l’estensione del gomito. Importante in questi pazienti associare un training riabilitativo post-trattamento farmacologico.
Se il test invece è negativo, invece, è necessario il consulto con l’ortopedico per valutare interventi di chirurgia funzionale. L’intervento farmacologico è invece previsto quando verifica una riduzione dei segni clinici di spasticità.
.
La nostra ricerca in pillole: la ricerca per la cura dell'endometriosi

LA NOSTRA RICERCA IN PILLOLE. Ricerca sulle tecniche chirurgiche per ‘estirpare’ la malattia, ma anche ricerca farmacologica. Il dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, presenta il contributo scientifico dato dalla sua équipe per la cura dell’endometriosi
L’endometriosi è una patologia che solo in Italia colpisce 3 milioni di donne, condizionando pesantemente la loro qualità di vita. Fare ricerca clinica è fondamentale per lo sviluppo di terapie, farmacologiche e non, sempre più efficaci contro questa malattia che è anche la prima causa di sterilità. Il dottor Marcello Ceccaroni illustra il contributo alla ricerca sull’endometriosi e sulla ginecologia oncologica dato dall’Unità Operativa di Gianecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria da lui diretta.
Ricerca e cura sono un binomio imprescindibile, per il quale ognuno di noi può contribuire. Come? Devolvendo il 5permille. Perché? INSIEME NELLA RICERCA PIU’ FORTI NELLA CURA
Una festa del Sacro Cuore guardando al futuro con concreta speranza

Questa mattina l’Ospedale di Negrar ha celebrato la Festa patronale del Sacro Cuore, con la Messa presieduta dal Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti. La dimissione dell’ultimo paziente Covid in terapia intensiva nei giorni scorsi, il numero dei pazienti ancora presenti nell’area non critica (ad oggi 9) e la campagna vaccinale ormai avviata, sono tutti elementi che accendono una concreta speranza.
Si è respirata un’aria di fiducia nel futuro alla Festa del Sacro Cuore che si è celebrata questa mattina all’IRCCS di Negrar. Dopo un anno e mezzo in cui l’emergenza Covid è stata al centro dell’attività dell’Ospedale, la festa patronale è stata connotata dal ricordo di quello che è stato, dai ringraziamenti per il grande lavoro svolto, ma pure dallo sguardo fiducioso verso ciò che sarà. La dimissione dell’ultimo paziente Covid in terapia intensiva nei giorni scorsi, il numero dei pazienti ancora presenti nell’area non critica (ad oggi 9) e la campagna vaccinale ormai avviata, sono tutti elementi che accendono una concreta speranza.
Il cuore della festa è stata la Messa all’aperto, presieduta dal Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, e concelebrata da padre Miguel Tofful e don Ivo Pasa, rispettivamente superiore generale e delegato per l’Europa dell’Opera Don Calabria. Con loro anche don Waldemar Longo, vicepresidente dell’Ospedale che ha introdotto la celebrazione con le parole scritte da San Giovanni Calabria nel suo diario il 30 novembre del 1944. ‘Sono qui, nella cara e benedetta Casa del Sacro Cuore di Negrar, Casa grande nel pensiero divino e che sarà lucerna di grande bene per la povera umanità sofferente, se i suoi membri vivranno e respireranno lo spirito puro e genuino dell’Opera.
“Il nostro Santo fondatore ha scritto questi pensieri a pochi mesi dall’avvio dell’ospedale – ha detto don Waldemar -. Quando era una piccola realtà con un medico sempre presente, fr. Antonio Consolaro, e uno che veniva due volte alla settimana, il dottor Bartolo Zanuso. Da queste parole possiamo trarre due considerazioni. Innanzitutto che la Cittadella della Carità è grande, non solo per lo sviluppo esterno ma soprattutto perché nel pensiero di Dio deve essere Lucerna per il modo di trattare l’ammalato. Inoltre la condizione per cui essere Lucerna è che cerchiamo di avvalerci delle migliori risorse umane, cioè le migliori professionalità e strumenti, senza tralasciare lo spirito puro e genuino dell’Opera che è il Vangelo messo in pratica nella vita quotidiana e nel nostro operato nei confronti dell’ammalato”
“La devozione al ‘Sacro Cuore’ si è un po’ persa nelle comunità parrocchiali – ha detto il Vescovo aprendo la celebrazione eucaristica -. Fortunatamente non in questo Ospedale che è stato affidato da San Giovanni Calabria al Sacro Cuore di Gesù. Prego per tutti i degenti e per i sanitari, perché questa struttura brilli sempre come esempio di grande professionalità e di altissima umanità nel nome del Signore”.
A fine celebrazione ha preso la parola l’amministratore delegato Mario Piccinini. “La Festa del Sacro Cuore da sempre la nostra festa, la festa di tutti noi, nessuno escluso, che viviamo ogni giorno il nostro Ospedale – ha detto rivolgendosi agli operatori -. In ogni festa che si rispetti non può mancare il momento dei ringraziamenti: grazie per il vostro costante ed inesauribile impegno nel raggiungimento del nostro unico obiettivo: la salute e il benessere del paziente. Questo ospedale ha una forza unica e invidiabile: i collaboratori. Competenti e motivati, sempre, anche in situazioni drammatiche quali sono state le varie ondate della pandemia da Covid. Se si è potuto offrire ai quasi mille pazienti ricoverati a causa del virus l’assistenza migliore possibile, lo si deve agli operatori in prima linea – ha concluso – ma anche allo sforzo corale di tutti, senza il quale non sarebbe stato possibile affrontare un’emergenza senza precedenti”.
Ai ringraziamenti si è unito il Presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fratel Gedovar Nazzari, presente insieme al direttore amministrativo, Claudio Cracco, e al dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario.
Nelle foto alcuni momenti della celebrazione
Per la prima volta in Italia effettuate 5 protesi al ginocchio con la realtà aumentata

L’IRCCS di Negrar è il primo centro in Italia a validare in ortopedia questa tecnologia innovativa che ha lo scopo di migliorare ulteriormente gli impianti di protesi. Grazie ad essa il chirurgo vede in tempo reale, senza distrarre lo sguardo dal piano operatorio per consultare le immagini radiografiche, se sta posizionando la protesi esattamente come da lui stabilito nel piano pre-operatorio.

Dopo la stampante 3D e il robot chirurgico, nelle sale operatorie dell’Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Negrar è entrata la realtà aumentata. L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è il primo centro in Italia a validare in ortopedia questa tecnologia innovativa che ha lo scopo di migliorare ulteriormente gli impianti di protesi, in questo caso del ginocchio. Grazie ad essa il chirurgo vede in tempo reale, senza distrarre lo sguardo dal piano operatorio per consultare le immagini radiografiche, se sta posizionando la protesi esattamente come da lui stabilito nel piano pre-operatorio.
L’équipe diretta dal dottor Claudio Zorzi vanta una delle più alte casistiche in Italia di impianti protesici al ginocchio: 986 solo lo scorso anno, di cui un centinaio bilaterali. Proprio in virtù dell’eccellenza raggiunta nel campo della protesica – Negrar è centro di riferimento regionale per la revisione di protesi di ginocchio e anca – sono stati eseguiti recentemente cinque interventi con la realtà aumentata che contribuiranno a mettere a punto un sistema di navigazione unico nel suo genere e destinato in un prossimo futuro ad essere utilizzato di routine nella chirurgia ortopedica.
“Secondo studi internazionali il 20% di coloro che hanno avuto un impianto di protesi al ginocchio si dichiara insoddisfatto del trattamento chirurgico. Quasi sempre la causa è il posizionamento della protesi, non conforme cioè alle caratteristiche morfologiche dell’arto del paziente. La realtà aumentata interviene proprio con l’obiettivo di colmare questo gap, perché introduce nelle immagini reali elementi virtuali”, spiega il chirurgo ortopedico Venanzio Iacono (nella foto da sinistra con il dottor Zorzi) .
L’intervento di protesi comporta l’individuazione di punti anatomici ben precisi dell’arto, che fungono da reperi per effettuare i tagli sull’osso necessari a posizionare la protesi. “La realtà aumentata richiede che su questi ‘punti di riferimento’ vengano collocati dei Qr code – prosegue il medico -. Questi, una volta inquadrati, consentano alla fotocamera collegata agli occhiali indossati dal chirurgo di proiettare sugli stessi occhiali l’immagine reale dell’arto, ‘aumentata’ da alcuni elementi virtuali come la linea dell’asse del ginocchio e i gradi. Grazie a queste informazioni, il chirurgo può verificare se i tagli che sta effettuando sull’osso corrispondono all’inserimento della protesi secondo le angolature previste dal piano pre-operatorio”.
La realtà aumentata non incide quindi sull’abilità del chirurgo, ma sulla precisione dell’intervento. “L’ottimale posizionamento della protesi oltre a permettere al paziente di riconquistare senza problemi la sua quotidianità, garantisce una maggiore durata della protesi stessa, evitando un intervento di revisione, delicato sul piano chirurgico e costoso per il sistema sanitario nazionale”, conclude il dottor Iacono
7 giugno: Giornata mondiale dell'Ortottica

L’Ortottista ed assistente di Oftalmologia è il professionista sanitario che opera nell’ambito della visione dall’età pediatrica fino all’età senile. L’Oculistica di Negrar gode dell’apporto di 13 figure professionali di questo tipo. Ecco cosa fanno
Il 7 giugno, dal 2013, si celebra la Giornata mondiale dell’ortottica per promuovere le attività degli Ortottisti nel mondo.
L’Ortottista ed assistente di Oftalmologia è il professionista sanitario che opera nell’ambito della visione dall’età pediatrica fino all’età senile e secondo il decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 743 “tratta i disturbi motori e sensoriali della visione ed effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica”.
In Italia gli Ortottisti Assistenti in Oftalmologia sono circa 3000, mentre l’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile, gode del supporto di 13 figure sanitarie di questo tipo.
Si tratta di una professione poco numerosa quindi spesso poco conosciuta: questo comporta che per esami, valutazioni e riabilitazione visiva numerose persone, bambini e adulti, non vi accedano o vi arrivino in ritardo.
I professionisti della visione in Italia sono molteplici: oculisti, ortottisti e ottici. Si tratta di professionisti con competenze e profili diversi ma complementari tra loro, che non sempre l’utenza riesce a definire e distinguere in maniera corretta. E’ quindi opportuno informare il cittadino che l’Ortottista e assistente di Oftalmologia è il professionista sanitario che opera in autonomia e in stretta collaborazione con le figure mediche di riferimento e con altri operatori sanitari nella prevenzione, valutazione e riabilitazione dei disturbi motori e sensoriali della visione (ambliopia o occhio pigro, strabismo, diplopia, test di Hess Lancaster, applicazione prismatica…).
In quanto assistente di oftalmologia, effettua le tecniche di semeiologia strumentale-oftalmologica (esame della rifrazione, campo visivo, OCT, angiografia retinica, pachimetria corneale, biomicroscopia endoteliale, topo/tomografia corneale, esami elettrofunzionali visivi, biometria, test della percezione dei colori, sensibilità al contrasto, test visivi per rinnovo patente o per invalidità…).
E’ il riabilitatore del paziente ipovedente, dei bambini con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) che presentano alterazione delle abilità visive, dei pazienti con sindromi neurologiche.
Analizza la qualità della visione nei luoghi di lavoro e tratta i disturbi astenopeici.
Assiste il chirurgo oftalmologo nelle sale operatorie di oculistica (strumentazione e ruolo di key operator).
Svolge attività di ricerca scientifica (raccolta di dati clinici e strumentali, data manager…).
L’ortottista-assistente in oftalmologia opera in strutture sanitarie pubbliche del Sistema Sanitario Nazionale, private accreditate e convenzionate, studi individuali e associati in regime di dipendenza o libero-professionale, centri-strutture di riabilitazione, in Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). Svolge consulenza in ambito di qualità di visione presso aziende, associazioni e società sportive.
Conduce la propria attività tutelando la salute del sittadino con titolarità e autonomia secondo il proprio codice deontologico e profilo professionale ed è responsabile degli atti di sua competenza di cui ne risponde secondo legge.
(Informazioni tratte dalla lettera dei Presidenti delle Commissioni d’Albo di Ortottica e Assistenza Oftalmologica della regione veneto rivolta alle Istituzioni in occasione del 7 giugno)
Onorificenze della Repubblica Italiana ai medici del "Sacro Cuore"

In occasione del 2 Giugno, il Prefetto di Verona ha insignito con le Onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana anche quattro medici dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: il direttore sanitario, Fabrizio Nicolis, il prof. Zeno Bisoffi e i dottori Flavio Stefanini e Massimo Zamperini

In occasione del 2 Giugno, il prefetto di Verona, Donato Cafagna, ha insignito con le Onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana anche quattro medici dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria che sono stati tra i protagonisti della gestione della pandemia da Covid19 nella provincia scaligera.
Il titolo di Ufficiale è stato conferito al direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, mentre il titolo di Cavaliere è stato consegnato al professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, al dottor Flavio Stefanini, direttore del Pronto Soccorso, e al dottor Massimo Zamperini, direttore della Terapia Intensiva.

Anche l’IRCCS di Negrar, come tutti gli ospedali, registra un significativo calo di ricoveri di pazienti affetti da Covid 19. Nel momento in cui scriviamo i pazienti ricoverati sono 10 (di cui uno in terapia intensiva), ma dall’inizio della pandemia (marzo 2020) i ricoveri sono stati oltre 900. Numeri che certificano l’intenso impegno dell’Ospedale di Negrar nella lotta contro il nuovo Coronavirus che prosegue oggi anche come centro vaccinale per la popolazione generale su richiesta dell’Ulss 9.
La nostra ricerca in pillole: la genetica in infettivologia

LA NOSTRA RICERCA IN PILLOLE. Nella lotta contro il Coronavirus, una parte importante la sta svolgendo la ricerca sul genoma del virus. Ci spiega come la dottoressa Chiara Piubelli, responsabile della Ricerca Biomedica del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali

Ricerca e cura sono un binomio imprescindibile, per il quale ognuno di noi può contribuire. Come? Devolvendo il 5permille. Perché? INSIEME NELLA RICERCA PIU’ FORTI NELLA CURA
L’ipertrofia prostatica oggi si cura anche con il vapore acqueo

L’Urologia del professor Stefano Cavalleri è la prima nel Veneto a utilizzare l’innovativa metodica che, a differenza della chirurgia o del laser, riduce il volume della prostata mantenendo intatte le funzioni sessuali. Il trattamento è mininvasivo e richiede solo l’anestesia locale
Non solo farmaci o chirurgia per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, ma anche l’alta temperatura prodotta dal vapore acqueo. L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar è il primo ospedale del Veneto ad utilizzare Rezum, la metodica innovativa che in modo mininvasivo dà ottimi risultati nella cura dell’aumento volumetrico della prostata di cui soffre il 50% degli uomini con oltre 60 anni, ma da cui non sono indenni nemmeno i più giovani.
L’Urologia, diretta dal professor Stefano Cavalleri, ha adottato da alcuni mesi questa metodica che attraverso uno strumento introdotto per vie naturali, e in anestesia locale, inietta nella prostata del vapore acqueo a 103 gradi. L’alta temperatura provoca un danno cellulare e, nel tempo, una riduzione del volume della prostata con conseguente miglioramento della difficoltà e della frequenza della minzione, senza conseguenze sulle funzioni sessuali.
L’ipertrofia prostatica è molto diffusa: sono circa 300 i pazienti che all’anno si rivolgono per questo problema all’ospedale di Negrar. Viene spesso trattata con la somministrazione di farmaci (alfa-litici) che a lungo andare possono risultare inefficaci o creare effetti collaterali. “Per questi pazienti Rezum è altamente indicato – sottolinea il prof. Cavalleri – ma anche per coloro che non hanno intenzione di prolungare per molti anni la terapia medica e che desiderano evitare le complicanze di una terapia chirurgica, la cosiddetta TURP o l’enucleazione laser dell’adenoma prostatico”.
“La chirurgia e il laser, infatti, riducono il volume della prostata con l’eliminazione del tessuto adenomatoso, creando così una sorta di cavità – prosegue l’urologo -. Questa è all’origine spesso di retrospermia (lo sperma viene eiaculato nella vescica invece di fuoriuscire dall’uretra) o di disfunzione erettile. Disturbi che hanno ripercussioni non solo sul piano fisico, ma anche su quello psicologico del paziente. Il vapore acqueo ad alta temperatura, invece, non elimina il tessuto ma lo riporta alle dimensioni originarie, mantenendo così intatte le funzioni sessuali e riproduttive”.
L’intervento con Rezum è indicato per pazienti con una prostata ingrossata fino a 80-100 grammi, per dimensioni maggiori la valutazione viene fatta caso per caso dall’urologo.
“Essendo mini-invasiva, la procedura richiede l’anestesia locale o una blanda sedazione e il ricovero di una notte – prosegue il dottor Cavalleri -. Dopo le dimissioni, il paziente deve portare per alcuni giorni il catetere e proseguire per un mese con la terapia farmacologica. Già solo dopo due settimane si registrano dei miglioramenti ed eventuali disturbi post intervento, come la minzione dolorosa o il sangue nelle urine, quando si verificano vanno scemando in pochi giorni”. Il processo di guarigione si completa in tre mesi circa con una riduzione del volume della prostata ed il miglioramento dei disturbi minzionali.
La nostra ricerca in pillole: la ricerca in campo oncologico

LA NOSTRA RICERCA IN PILLOLE. Al “Sacro Cuore vengono portati avanti numerosi progetti di ricerca contro i tumori. Ne parla la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia
Se oggi in Italia 1/3 delle persone che hanno avuto diagnosi di tumore possono essere considerate guarite dal cancro lo dobbiamo alla ricerca. La dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia, illustra l’impegno dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nel campo della ricerca oncologica.