In occasione della Giornata mondiale del diabete, il diabetologo Luciano Zenari ci illustra le ricerche che potranno dare una vera e propria svolta alla cura della malattia

Sono 235 milioni le persone che nel mondo soffrono di diabete. In Italia i dati parlano di 4 milioni di ammalati e nel Veneto di circa 300mila. Sono i numeri che vengono snocciolati ogni anno, il 14 novembre, in occasione della Giornata mondiale del diabete, dimostrando che malattia è in continua espansione (si stima che nel 2030 i diabetici nel mondo raggiungeranno i 438 milioni), sia nei Paesi cosiddetti ricchi sia in quelli in via di sviluppo. Infatti in quest’ultimi assistiamo ad una progressiva urbanizzazione della popolazione, che comporta sedentarietà e maggiore disponibilità di alimenti. Di conseguenza aumentano i casi di obesità e di diabete mellito.

 

Alimentazione ipocalorica, movimento, mantenimento del peso forma e intervento farmacologico (dove diventa fondamentale) restano i cardini per prevenire e curare una malattia che rimane tra le cause principali delle patologie cardiovascolari, le quali, a loro volta, vantano il triste primato di mortalità nel mondo.Ma è anche la prima causa non traumatica della cecità, dell’amputazione degli arti inferiori e di ingresso in dialisi.

“Il diabete è subentrato come causa di queste complicanze ad altre malattie che attualmente sono gestite in maniera ottimale. Come il glaucoma, che rendeva le persone cieche un tempo, o le glomerulonefriti infantili, che portavano all’insufficienza renale e quindi alla dialisi. Nonostante i progressi delle terapie moderne, il diabete rimane una patologia di difficile gestione“, sottolinea il dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di Diabetologia del “Sacro Cuore Don Calabria, che ha in cura circa 5000 pazienti.

 

Il diabete richiede un impegno costante sugli obiettivi di cura che non tutti riescono a mantenere – prosegue -. Impegno nell’attività motoria, nell’attenzione a tavola, nel controllo sistematico della glicemia e di tutti i fattori di rischio associati. Inoltre è una delle poche malattie in cui il paziente, una volta istruito, deve gestire in autonomia la posologia della terapia”.

 

Quali sono le maggiori novità in campo farmacologico?

“E’ bene precisare che i farmaci vengono prescritti solo se il cambiamento dello stile di vita non porta a risultati soddisfacenti. Possiamo disporre da tempo di farmaci ipogligemizzanti orali. Di solito la terapia di partenza è la Metformina alla quale si possono associare svariate classi di farmaci, come quella, recente e sempre orale, dei Sglt2, che hanno come effetto la perdita di glucosio attraverso le urine e un conseguente calo ponderale. Un’altra classe di farmaci estremamente interessante è quella delle Incretine (GLP-1) che favoriscono l’abbassamento della glicemia e hanno nello stesso un’azione anoressante, inducendo un senso di sazietà. Le Incretine possono essere iniettate e ultimamente è possibile la somministrazione di una solo iniezione alla settimana, a domicilio”.

Quando questi farmaci non sono sufficienti si deve ricorrere all’insulina?

“Esattamente. La ricerca medica negli ultimi anni ha messo a disposizione insuline più lente e più stabili, che quindi abbattono il rischio della complicanza più importante durante la giornata di un diabetico: l’ipoglicemia, causa di assopimento, calo della vista, incapacità di concentrazione, fino alla perdita di coscienza. Sempre riguardo alla glicemia ci sono delle novità importati nella metodologia di determinazione”.

Quali?

“Si tratta di un ausilio dedicato prevalentemente alle persone colpite da diabete di tipo 1, la forma di malattia meno frequente che insorge in età giovanile e per cui l’insulina è un salva-vita. Dal primo agosto 2017 i pazienti possono avere gratuitamente dal Servizio sanitario regionale un sensore che registra, senza pungersi il dito, la glicemia ogni minuto e archivia i dati fino a un massimo di otto ore. Il sensore, delle dimensioni di una moneta da 2 euro, è dotato di una microfibra che si inserisce sottocute, attraverso un applicatore molto semplice. Per scaricare i dati e decidere in base ad essi quale posologia di terapia assumere è sufficiente passare davanti al sensore con un apposito lettore (vedi foto)”.

In un prossimo futuro saranno a disposizione infusori che misurano il valore della glicemia e automaticamente somministrano l’insulina necessaria?

“La tecnologia ha messo a disposizione microinfusori sempre più piccoli e tecnologicamente avanzati. Un passo definitivo sulla gestione completamente automatica non è stato ancora fatto, ma è un traguardo del prossimo futuro”.

Abbiamo parlato di sviluppo farmacologico e tecnologico. Per quanto riguarda il diabete ci sono anche novità nel campo della ricerca cellulare?

E’ già un fase di sperimentazione avanzata presso un’azienda di biotecnologie di San Diego (California) una ricerca per i pazienti affetti da diabete di tipo 1. A differenza del diabete mellito tipo 2 che ha una base genetico-familiare, quello di tipo 1 è una malattia autoimmune, cioè alcune persone producono, per cause sconosciute, anticorpi che aggrediscono le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, L’azienda statunitense è riuscita a differenziare le cellule staminali da cordone ombelicale nelle 3 linee cellulari del pancreas, precisamente in alfa cellule, che producono glucagone, in beta cellule e in delta cellule che secernono somatostatina. Questi tre tipi cellulari collocati in un apposito contenitore dalle pareti porose, tali da impedire agli anticorpi, cellule molto grandi, di entrare e aggredire le cellule “pancreatiche” che invece possono vivere e liberare gli ormoni. Il contenitore ha per ora la grandezza di un mezzo bancomat e viene impiantato sottocute”

A che punto è la ricerca?

“Lo studio sul ratto e il cane è andato molto bene. Nel cane ad un anno di distanza le cellule avevano mantenuto il 110% della loro attività secretiva. Attualmente a San Diego è in corso una sperimentazione su 40 volontari, ma stanno partendo sperimentazioni anche in altre Università statunitensi e canadesi. Ricerche simili si stanno svolgendo in Europa utilizzando cellule staminali del pancreas o del midollo osseo. Credo che queste ricerche, se andranno a buon fine, entro 5 anni daranno una svolta alla cura del diabete di tipo 1, in quanto si tratta di una sorta di trapianto del pancreas“.

La speranza quindi è nella ricerca genetica.

“Nei prossimi dieci anni le terapie attuali per il diabete scompariranno, in quanto la componente genetica molecolare sta prendendo il sopravvento. Stiamo assistendo a questo scenario in oncologia, dove la terapia non può prescindere dalla tipizzazione genetica del paziente e del tumore. Eravamo convinti che, per un’anomalia genetica, nel diabete di tipo 2 l’insufficiente produzione di insulina fosse causata dalla degenerazione e dalla morte delle beta cellule. Invece la ricerca ha dimostrato che le beta cellule cadono in una sorta di letargo, in quanto non ricevono dai mediatori i ‘segnali’ per vivere, evolversi e produrre insulina. Il passo successivo ha portato a comprendere che i segnali che dovevano giungere alle cellule erano addirittura errati. Quindi le terapie del futuro si baseranno su anticorpi monoclonali, che non cureranno più la glicemia, ma la beta cellula, affinché produca in maniera ottimale l’insulina. Assisteremo nei prossimi anni, attraverso la tipizzazione genetica, anche ad una sostanziale revisione della attuale classificazione della malattia”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

Nella foto di copertina l’équipe del Servizio di Diabetologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: Anna Menegazzi (segretaria), dott.ssa Claudia Sorgato, dott. Roberto Tessari, le infermiere Maria Teresa Perlina e Barbara Maistri, Federica Scali (dietista), dott. Luciano Zenari, Loretta Tommasi (infermiera)