L’Epatologia interventistica dispone di diversi trattamenti realizzati direttamente sull’organo malato, che vengono scelti a seconda delle condizioni del paziente e del numero/grandezza dei noduli tumorali

L’epatocarcinoma (HCC) è il tumore maligno più frequente del fegato, con un’incidenza nel mondo di 750mila nuovi casi all’anno. Solo in Italia nel 2017 sono stati registrati 13mila nuovi pazienti.

 

Per l’epatocarcinoma la medicina dispone di opzioni terapeutiche basate su procedure loco-regionali che hanno lo scopo, impiegate anche in modo combinato, di cronicizzare la malattia e aumentare la sopravvivenza che a cinque anni è ancora solo del 20%. Infatti l’epatocarcinoma è un tumore ad alta percentuale di recidiva. Da qui l’importanza del vaccino che si sta sperimentando anche al Sacro Cuore Don Calabria (vedi articolo).

 

Cause dell’epatocarcinoma

Il 70% di questi tumori è riconducibile a fattori di rischio noti e tra questi i più frequenti sono l’infezione da virus dell’epatite C, da virus dell’epatite B (per cui esiste il vaccino) e da abuso di sostanze alcoliche. Si stima che il 95% dei casi di epatocarcinoma deriva da complicanze della cirrosi epatica dovuta principalmente all’alcol, anche se stanno aumentando i tumori primitivi del fegato per steatosi (il cosiddetto fegato grasso) e per diabete.

 

I trattamenti loco-regionali

L’epatocarcinoma è raramente una malattia tumorale sistemica, presenta cioè localizzazioni extraepatiche solo in piccola percentuale di casi, inoltre non è responsiva alla chemioterapia. Ottimi risultati in termini di sopravvivenza si hanno con il trapianto epatico (nel 6% dei casi) e in buona percentuale con la resezione chirurgica del tumore (possibile solo nel 10-20% dei casi), ma quando il trapianto e la chirurgia non sono attuabili per il grado di malattia o per la condizione e l’età del paziente, vengono utilizzati i trattamenti loco- regionali .

 

L’Epatologia interventistica ha a disposizione le seguenti terapie loco-regionali che si dividono in:

1. Percutanee

a) PEI (Percutaneous Ethanol Injection o Alcolizzazione Epatica)

b) RFTA (Radiofrequency Thermal Ablation o termoablazione) con onde a radiofrequenza o a microonde

2. Intrarteriose

a) TACE (Transcatheter Arterial Chemoembolization o chemioembolizzazione epatica)

b) TARE (Trans Arterial Radio Embolization o radioembolizzazione epatica)

 

“Per il trattamento loco-regionale del tumore al fegato, l’epatologo, coadiuvato da un’équipe multidisciplinare, è una sorta di sarto che cuce l’abito su misura: la decisione terapeutica di impiegare quello o l’altro trattamento, oppure entrambi, è dettata da molti fattori come le condizioni del paziente, la dimensione e la localizzazione sul fegato del nodulo tumorale, o dei noduli, da eliminare”, afferma il dottor Alberto Masotto, responsabile della Struttura semplice di Epatologia interventistica della Gastroenterologia del Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Paolo Bocus. “L’obiettivo è quello di aumentare la sopravvivenza del paziente, intervenendo con tutte le armi terapeutiche a nostra disposizione affrontando il tumore come una malattia cronica”.

 

Alcolizzazione Epatica (PEI)

E’ una tecnica che consiste nell’iniezione percutanea di etanolo direttamente nel nodulo tumorale. Non richiede ospedalizzazione e viene eseguita in anestesia locale. Il numero delle sedute e la quantità totale di alcol iniettata varia in base alle dimensioni e alle caratteristiche della lesione e dalla compliance del paziente (capacità di sopportare la metodica). La PEI è indicata nella fase precoce o molto precoce della malattia, in pazienti non trattabili chirurgicamente (trapianto o resezione epatica) o con termoablazione. E’ efficace in presenza di un nodulo di al massimo 3 centimetri o 3 noduli inferiori ai 3 cm.

 

Termoablazione (RFTA)

Per ottenere la necrosi del nodulo tumorale, il trattamento sfrutta il calore provocato da onde a radiofrequenza (RF) o microonde. Al “Sacro Cuore Don Calabria” la termoablazione viene effettuata in sala operatoria con anestesia generale, sia per agire in ambiente sterile, sia per ottenere una ottima centratura della lesione. In generale il trattamento di termoablazione è indicato per pazienti in classe A o B di Child (un sistema di punteggio utilizzato per valutare la gravità delle epatopatie croniche, in particolar modo la cirrosi epatica) che non presentano metastasi a distanza, non hanno lesioni in vicinanza della colecisti e della capsula epatica. I risultati migliori si hanno con noduli fino a 3 centimetri per un massimo di 3 lesioni, ben identificabili ecograficamente.

 

Termoablazione con onde a radiofrequenza

La radiofrequenza è indicata per i tumori primitivi del fegato (epatocarcinoma), non localizzati in prossimità dei grossi vasi: la dispersione del calore causata dal sangue richiederebbe infatti un aumento della temperatura che avrebbe come effetto la carbonizzazione del tessuto. Molti studi clinici, invece, hanno evidenziato la scarsa efficacia della radiofrequenza per le metastasi originate da altri tumori. Le cause sono ancora sconosciute.

Termoablazione con microonde

Contrariamente dalla termoablazione a radiofrequenza, quella con microonde, in quanto più potente, può essere impiegata anche per le metastasi di altri tumori e per noduli in vicinanza dei vasi arteriosi. L’ago viene inserito non al centro della lesione, ma al limite della stessa andando a distribuire il calore (fino a 100°) in modo uniforme su tutta l’area tumorale. I tempi di esecuzione sono più brevi rispetto alla radiofrequenza, ma il trattamento con microonde può provocare la stenosi delle viene biliari anche a distanza di mesi e comporta un alto rischio di trombosi della vena porta e delle vene sovraepatiche.

 

TACE o chemioembolizzazione epatica

La chemioembolizzazione epatica è una procedura mini-invasiva che comporta l’infusione per via intrarteriosa di un farmaco antiblastico inserito in micro particelle (Hepasfere). La procedura è indicata per epatocarcinomi di stadio intermedio, non aggredibili con tecniche percutanee. Viene utilizzata anche come trattamento neo-adiuvante in attesa del trapianto.

La TACE è preceduta da un’angiografia epatica con liquido di contrasto per visualizzare la rete vascolare intraepatica dell’arteria epatica che irrora la massa tumorale. L’esame radiologico avviene, previa anestesia locale, con l’inserimento di un catetere a livello del linguine per raggiungere attraverso l’arteria femorale, l’arteria epatica. Una volta visualizzata la vascolarizzazione del nodulo neoplastico, con la stessa procedura vengono iniettate più selettivamente possibile delle microsfere “cariche” di farmaco chemioterapico (doxorubicina) che agiscono in duplice modo: da un lato provocano la chiusura dei vasi arteriosi determinando un ischemia parziale (nel fegato l’ossigeno arriva anche attraverso il sistema venoso portale), dall’altra rilasciano localmente il farmaco chemioterapico. Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli provocati dal farmaco antiblastico somministrato in vena (sintomatologia facilmente controllabile grazie ai farmaci), mentre il ricovero dura in media due giorni ed entro una settimana il paziente può riprendere l’attività quotidiana.

Il rischio maggiore della TACE rimane la trombosi della vena porta. Conseguenza, che, se si verifica, non consente la ripetizione del trattamento. Infatti la chemioembolizzazione può comportare l’ostruzione dell’arteria epatica, ma questo non compromette la funzionalità del fegato in quanto l’organo è vascolarizzato dalla vena porta e dal sistema dei vasi che afferiscono ad essa.

(segue con la TARE)