Intervista a fratel Mario Bonora, che è stato presidente dell’ospedale di Negrar dal 1990 al 2014 ed è tuttora presidente ARIS, in occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa nell’Opera Don Calabria
È stato per 24 anni presidente dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, dal 1990 al 2014, ma in precedenza fratel Mario Bonora ha svolto molti altri servizi per l’Opera Don Calabria fin dagli anni Sessanta, quando entrò nella Famiglia calabriana come Fratello consacrato. In occasione del suo 55° anniversario di professione religiosa, che si celebra l’8 settembre, abbiamo chiesto a fratel Bonora di raccontarci la sua esperienza nell’Opera e i suoi ricordi degli anni trascorsi a Negrar…
Fratel Bonora, cosa ricorda del suo ingresso nell’Opera di don Calabria?
Io sono di Ferrara. Quando ero ragazzino mio padre, che era capomastro, ebbe un grave incidente. La mamma doveva assisterlo, quindi non poteva seguire noi 5 fratelli. Così si cercarono per noi delle sistemazioni. Io fui accolto nella Casa che don Calabria aveva aperto nella nostra città. Avevo 12 anni.
Come fu l’esperienza del collegio?
All’inizio non ne volevo sapere, tanto che il direttore don Pietro Murari decise di rimandarmi a casa. Un giorno chiamò mia mamma e quando la vidi uscire piangente dal suo studio capii che dovevo cambiare.
Le cose sono cambiate al punto che ha scelto di diventare Fratello…
Un po’ alla volta mi sono lasciato entusiasmare dai “Fratelli”. Si dedicavano a noi ragazzi con un impegno incredibile e vivevano al nostro fianco giorno e notte, proprio secondo lo spirito del fondatore. Credo che qui stia il seme della mia vocazione. Poi, dopo le medie, andai a Verona per fare un periodo di formazione e infine entrai in noviziato.
Qual è stato il suo percorso nell’Opera prima di arrivare all’ospedale?
Nella mia formazione avevo ricevuto una preparazione di tipo pedagogico, ma fin da subito i superiori mi diedero incarichi in campo amministrativo: prima a Costozza (Vicenza), poi nella Casa di Milano e infine a Roma. Nel 1972 il Superiore generale don Adelio Tomasin mi chiese di affiancare l’economo della Congregazione, ovvero fratel Rino Nordera. Infine nel 1978, dopo il Capitolo, fui nominato economo generale.
Nel 1990 lei è arrivato a Negrar. Immagino che all’inizio non fu semplice…
L’ospedale era già una realtà molto importante e ci volle del tempo per capire bene come funzionava. Ma la cosa che mi è rimasta più impressa è l’impatto con il mondo della sofferenza e della malattia. A Negrar ho potuto imparare che la persona malata si trova in una situazione molto particolare ed ha bisogno di un accompagnamento speciale non solo a livello sanitario ma anche umano e spirituale.
Cosa le chiesero i superiori quando le affidarono l’incarico all’ospedale?
Ricordo che mi chiesero in particolare due cose. In primo luogo di collaborare affinchè l’ospedale rimanesse al passo con i tempi, sia a livello di professionalità sia di tecnologie perché questo è il modo per rendere il miglior servizio possibile ai pazienti. In secondo luogo mi chiesero di avere un’attenzione particolare per l’area socio-sanitaria accanto a quella sanitaria. E in effetti oggi l’area socio-sanitaria è una parte importante della Cittadella della Carità anche a livello numerico, con le sue tre residenze: Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero.
Cosa è cambiato nell’ospedale nei 24 anni in cui lei è stato presidente?
In questi anni l’ospedale ha camminato con i tempi grazie all’impegno di tutti. Sono state fatte tante innovazioni, sia tecnologiche sia strutturali. Sono aumentati i servizi e i collaboratori sono triplicati fino a raggiungere il numero attuale che supera le 1800 unità. L’ospedale oggi offre cure qualificate per migliaia di persone che provengono dal Veneto e da tutta Italia. Ma mi piace pensare che lo spirito sia rimasto inalterato e fedele ai valori trasmessi dal nostro fondatore san Giovanni Calabria.
Cosa rende il Sacro Cuore un ospedale “calabriano”?
Io credo che la prima caratteristica che lo rende “calabriano” sia la motivazione dei nostri operatori. A Negrar c’è davvero un’attenzione speciale alla persona ammalata in tutte le sue necessità e gli operatori in moltissimi casi se ne fanno carico con un vero spirito di servizio. In questo credo sia rimasta una profonda adesione allo spirito di don Calabria, il quale durante tutta la sua vita sentì un grande interesse per gli ammalati e gli anziani. Un altro aspetto che rende “calabriano” il nostro ospedale è il lavoro pastorale portato avanti in modo particolare dal Consiglio Pastorale Ospedaliero.
Dal 2004 lei è presidente dell’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari) che riunisce i vari enti religiosi che si occupano di sanità in Italia. Qual è a suo giudizio la funzione oggi di questi enti?
L’ARIS riunisce circa 250 enti, tra cui una trentina di ospedali, e poi vari centri di riabilitazione, RSA, case di cura, hospice, ex istituzioni psichiatriche e istituti scientifici (IRCCS). Io credo che questi enti, pur in un momento di grave crisi per molti, continuino ad assolvere un ruolo fondamentale, che è quello di assistere le persone ammalate testimoniando il Vangelo. Inoltre non va dimenticato che spesso tali istituzioni intervengono con efficacia laddove ci sono carenze nel servizio pubblico.
Quale saluto si sente di dare ai collaboratori dell’ospedale e agli ammalati che vi sono curati?
Auguro a tutti gli operatori di continuare nel loro servizio qualificato all’ammalato, mantenendo quello spirito di servizio e di umanità che rende “speciale” il Sacro Cuore. E poi non dobbiamo dimenticare che abbiamo una marcia in più. Come diceva don Calabria: “Le nostre radici sono in alto“!