Va in pensione il dottor Sante Burati, responsabile dell’Ostetricia: “Quando ho iniziato era un’altra era: non esisteva l’ecografia e i papà erano lasciati fuori dalla sala parto. Ho sempre invidiato alla donna l’esperienza della maternità”
“Se potessi rinascere donna, lo farei solo per provare l’esperienza della maternità. Dolore del parto escluso, s’intende”. Un delicato peccato d’invidia che il dottor Sante Burati (foto di copertina), 70 anni ad aprile e da circa 20 anni responsabile dell’Ostetricia del Sacro Cuore Don Calabria, nutre da sempre nei confronti del sesso femminile. Perché lui, in 39 anni di medico ginecologo, il ‘venir alle luce’ lo ha visto tante volte, ma quello straordinario passaggio dal dolore più cupo alle gioia immensa che si legge sul viso di una donna, ha potuto sempre sfiorarlo e mai provarlo fino in fondo.
“Per un uomo resta un mistero – afferma a pochi giorni dalla sua nuova vita da pensionato -: la stessa donna che un momento prima era sfigurata dalla sofferenza fisica, improvvisamente grazie a quella craturina nelle sue braccia si trasforma, quasi si illumina. Credo che dentro di sé provi un senso straordinario di onnipotenza, datole dal mettere al mondo una nuova vita e nello stesso tempo un’ondata di benessere, gioia e amore che non ha pari in nessun’altra situazione di vita”.
Su questo mistero il dottor Burati si è interrogato ogni volta che ha sentito un vagito nelle sue mani. Quante volte? “Non sarei assolutamente in grado di ipotizzare un numero – risponde facendo emergere un sorriso dalla barba bianca -. So solo che da alcuni anni tra le mie gestanti hanno iniziato ad esserci le figlie o le nuore di coloro che ho aiutate a mettere al mondo”.
Il dottor Burati è arrivato a Negrar il 1° giugno del 1979. “Ho fatto la specializzazione all’ospedale di Borgo Trento (Verona) – racconta -. Quando ho iniziato Medicina volevo fare Pediatria. Poi ho assecondato il fascino che esercitava su di me il mondo femminile, la psicologia e la personalità delle donne di cui ho scoperto, grazie a questa professione, la grande capacità di soffrire ed amare”.
Quello di Negrar è stato il primo incarico formale per il dottor Burati. Incarico durato ben 39 anni e tre primari: il dottor Claudio Nenz, il dottor Luca Minelli e, l’ultimo, il dottor Marcello Ceccaroni.“In quasi 40 anni non ho mai sentito il bisogno di andare altrove. Il motivo? Mi sono sempre trovato bene al ‘Sacro Cuore’. Fin dall’inizio – ci tiene a sottolineare il dottor Burati – quando in Ginecologia eravamo solo quattro medici e in tutto l’ospedale una quarantina (oggi sono più di 300!. ndr). Approfittavamo del momento dei pasti, nella mensa comune, per scambiarci le idee e le opinioni sui casi, ma anche per fraternizzare e per creare gruppo“. Quei quattro medici erano il primario Nenz, il dottor Amerigo Riolfi, scomparso quando non aveva nemmeno 60 anni, e il dottor Antonio Montebelli.
“Era un altro ospedale e un’altra era per quanto riguarda l’ostetricia – prosegue -. A fine anno contavamo solo 500-600 parti, si partoriva ancora molto a casa e l’induzione al parto aveva scadenza fiscale al termine della gravidanza, quando adesso si va anche oltre la 41° settimana”. Erano anche i tempi in cui le donne venivano sottoposte prima del parto a tricotomia e al clistere, si partoriva obbligatoriamente nella posizione ginecologica e i papà erano banditi dalla sala parto. “Per far entrare i padri ho dovuto vincere bonariamente un ‘braccio di ferro’ con l’allora direttore sanitario Gastone Orio. Non ne voleva sapere. Diceva che il parto era roba da donne e gli uomini era meglio che restassero fuori. Ma oramai – sottolinea il medico – molti ospedali prevedevano la presenza del padre al momento del parto, perché era giusto così”.
Anche l’esame ecografico in quei tempi era ancora agli albori: “Mia figlia è nata a fine giugno dello stesso anno in cui sono stato assunto. Avevo sentito che all’ospedale maggiore di Verona era arrivato un ecografo per l’ostetricia, così portai mia moglie. Mi seppero dire solo che era maschio per le sue dimensioni… è nata una bambina. Oggi l’ecografia è uno strumento preziosissimo, perché, tra le altre cose, ci permette di gestire le gravidanze oltre il termine con serenità, lasciando, dove è possibile, che il travaglio inizi naturalmente. Prima si doveva procedere allo scadere del termine e il più delle volte si sottoponeva la donna a ore e ore di dolori. Ora questo non succede più”.
Il dottor Burati ha vissuto da protagonista l’intera evoluzione dell’ostetricia, iniziata più di vent’anni fa. “Ho proposto alle mie ostetriche di andare a visitare gli altri ospedali per vedere da vicino cosa stavano facendo – prosegue -. In particolare ci siamo recati a turno per una settimana all’ospedale di Gavardo, nel Bresciano, che allora era la punta di diamante del parto naturale. Guardavamo anche all’estero, dove si stava affermando la possibilità per le donne di avere il bambino nella posizione che sembra a loro più congeniale. Devo dire che fin dall’inizio ho lavorato con un gruppo di ostetriche propositivo e con sempre tanta voglia di fare. Nel tempo si sono succedute le figure, ma lo spirito è rimasto sempre lo stesso: l’entusiasmo di trovare nuove soluzioni per far star bene il più possibile la donna in questo particolare momento della sua vita. La forza dell’Ostetricia di Negrar sono sempre state le ostetriche” .
Serba un ricordo in particolare? “La prima volta che una donna ha partorito in posizione alternativa – risponde -. Non rammento perché il marito non c’era, forse non se la sentiva di assistere al parto. Comunque la signora si era messa in ginocchio su letto aggrappandosi a me, come supporto, mentre l’ostetrica Loredana Cambiolli, adesso in pensione, controllava l’espulsione del bambino da dietro la schiena della signora. Sembra facile, ma significava cambiare completamente la prospettiva del parto. Fu un’esperienza che ci ha entusiasmati perché ci dimostrò che avevamo le capacità per farlo. Oggi la donna da noi ha tutti comfort per partorire come vuole, anche nella vasca con l’acqua”. E soprattutto senza eccessivo dolore… “Con orgoglio posso affermare che siamo stati tra i primi ospedali del Veronese a introdurre l’analgesia epidurale gratuita e h24. Devo dar merito all’allora presidente fratel Mario Bonora, che ha accolto l’idea e ha fatto in modo che si realizzasse, incrementando l’organico degli anestesisti”.
Cosa le mancherà di più di questo lavoro? La risposta non tarda a venire. “La sala parto, non c’è dubbio. Perché quando si porta a termine un parto, magari laborioso e vedi la felicità nel volto di quella madre che tiene in braccio un bimbo sano, tutte le ansie e le paure delle ore precedenti svaniscono. La sala operatoria non fa ingrigire come la sala parto. Anche quando si hanno anni di esperienza sulle spalle, non si smette mai di temere per quelle due vite che ti sono affidate. Il vantaggio dell’età è che con il tempo s’impara a metabolizzare la tensione e gestire la situazione con la freddezza necessaria. Il parto – prosegue – viene seguito dalle ostetriche, noi ginecologi veniamo chiamati quando il travaglio o il parto escono dai parametri della fisiologia. Non per forza devono essere prese delle decisioni invasive. Anche decidere di continuare ad assicurare alla madre un parto naturale senza far correre a lei e al suo bambino dei rischi, non è semplice. La strada facile del cesareo per togliersi qualsiasi pensiero, per uno come me, con tanti anni di lavoro, appare un tradimento verso la donna”.
Come sarà adesso la sua agenda senza l’Ostetricia di Negrar? “Continuerò ad alimentare il mio orgoglio e i miei ricordi rallegrandomi ogni volta che le ‘mie’ mamme, riconoscendomi, mi fermano per strada. Poi mi dedicherò ai miei grandi hobby: la lettura e i viaggi. Ho quasi le valigie pronte per l’India…”.
elena.zuppini@sacrocuore.it