Domenica 28 gennaio si celebra la giornata mondiale dei malati di lebbra, patologia per la quale il Centro Malattie Tropicali è riferimento regionale. Quattro i pazienti seguiti a Negrar nel 2017, mentre nel mondo sono stati oltre 200mila i nuovi casi
La lebbra fa parte di quelle malattie che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come dimenticate. Eppure ogni anno nel mondo si verificano più di 200mila nuovi casi, concentrati soprattutto nel sud-est asiatico e in Brasile, con una percentuale molto alta di ragazzi e ragazze che vengono infettati (quasi 20mila tra i nuovi casi del 2016 avevano meno di 15 anni).
Proprio per dare maggiore visibilità a questa situazione domenica 28 gennaio si celebra la Giornata Mondiale dei malati di lebbra, organizzata da Aifo, che tocca da vicino anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Infatti il Centro per le Malattie Tropicali diretto dal professor Zeno Bisoffi è Centro Regionale Accreditato per le malattie rare, tra cui appunto la lebbra. Per questo nel 2017 a Negrar sono stati trattati 4 casi di lebbra (nel 2016 c’era stato un solo caso), numero assai significativo se consideriamo che nel 2016 i casi di lebbra su scala europea erano stati 32, di cui una decina a livello italiano.
“I pazienti seguiti a Negrar lo scorso anno erano un italiano e tre immigrati. Tutti loro avevano contratto la lebbra all’estero in zone endemiche. La cura consiste in una terapia antibiotica che dura circa un anno somministrata in regime ambulatoriale. Tuttora vediamo i malati mensilmente e seguiamo anche i loro familiari”, dice la dottoressa Anna Beltrame, infettivologa del Centro per le Malattie Tropicali, per il quale è in corso l’iter di riconoscimento come IRCSS.
L’aumento dei casi trattati ha portato ad una maggiore collaborazione con la Dermatologia dell’ospedale San Martino di Genova, che rappresenta il centro di riferimento nazionale per la diagnosi della malattia. “Mentre la gestione della lebbra è relativamente semplice ed efficace, la diagnosi risulta spesso complessa perché deriva dalla combinazione di più fattori – prosegue Beltrame – generalmente si fanno dei prelievi nei siti dove il corpo è più freddo, come i lobi, i gomiti e le ginocchia, dove si rifugia il micobatterio responsabile della malattia. Questi campioni vanno analizzati al microscopio, ma spesso per una conferma di positività è necessaria anche la biopsia su eventuali macchie della pelle sospette”.
Proprio sulla diagnosi precoce si stanno concentrando gli sforzi dei ricercatori a livello internazionale e anche il Centro di Negrar è attivo su questo fronte. In particolare è in fase di avvio la creazione di un gruppo di lavoro che comprende ricercatori di Marituba, in Amazzonia, dove l’Opera Don Calabria gestisce un ospedale e dove la lebbra è endemica, insieme ad un centro di ricerca statunitense specializzato in questo campo. L’obiettivo è mettere a punto nuovi sistemi di diagnosi precoce della malattia, in modo da individuare gli ammalati prima che sviluppino danni permanenti.
Un altro fronte di lavoro è rappresentato dalla formazione degli specialisti in Italia. “Riconoscere la lebbra non è semplice, a meno che non si trovi in una fase avanzata. Per questo è importante aumentare la conoscenza della malattia da parte di dermatologi ed infettivologi che possono trovarsi a contatto con persone a rischio, specie a seguito dell’aumento delle migrazioni. In questo modo potranno inviare tempestivamente i casi sospetti ai centri specializzati come il nostro”, conclude la dottoressa Beltrame.
matteo.cavejari@sacrocuore.it