Una patologia antica, le cui terapie sono in continua evoluzione come spiega il chirurgo vascolare Paolo Tamellini, promotore del convegno che si terrà il 22 settembre al “Sacro Cuore”
Già Hippocrate (460-377 a. C.), proprio quello del giuramento, parlava di gambe congestionate, violacee, edematose. Mentre la più antica documentazione scritta di un trattamento chirurgico delle varici porta la firma di Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.).
Pochi accenni storici per una malattia, quella varicosa, con cui l’uomo ha dovuto sempre convivere e che oggi può essere definita “sociale”, visto che colpisce il 25-30% della popolazione. Ma se le origini si perdono nel tempo, le tecniche, chirurgiche e non, per curare questa patologia sono costantemente in evoluzione.
Di “Malattia varicosa oggi: nuove frontiere per un problema antico” si parlerà infatti venerdì 22 settembre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un convegno promosso dal dottor Paolo Tamellini (foto in Photo Gallery), dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Vascolare, diretta dal dottor Antonio Janello, e rivolto a specialisti e medici di medicina generale (in allegato il programma del convegno).
“Oggi abbiamo diverse modalità d’intervento – spiega il medico – dalla chirurgia, alla terapia con il laser o con la radiofrequenza a microonde e anche con farmaci sclerosanti. A seconda dei casi possiamo utilizzare separatamente i trattamenti oppure combinandoli fra loro per raggiungere il miglior risultato clinico ed estetico”.
Dottor Tamellini, in cosa consiste la patologia che comunemente viene chiamata “vene varicose”?
“Si tratta di una malattia funzionale, perché comporta un sovvertimento della circolazione venosa degli arti inferiori. Le vene sono dotate di valvole che hanno il compito di rinviare il sangue verso il cuore e di impedire che il sangue ricada verso il basso, seguendo la legge di gravità. Se per una debolezza congenita queste valvole si ‘allentano’ e diventano incontinenti, le vene, invece di essere ‘autostrade’ che portano il sangue al muscolo cardiaco, di dilatano, assumono una forma tortuosa e il sangue ricade verso il basso. I sintomi infatti sono gambe gonfie, pelle pigmentata di rosso, a causa di uno stravaso di globuli rossi, comparsa di dermatiti ed eczemi varicosi e negli stadi più avanzati formazione di ulcere. Infine possono manifestarsi anche flebiti, perché dove il sangue ristagna, facilmente coagula“.
Quali vene sono interessate?
“Quelle della circolazione superficiale: la safena grande, la safena piccola e i rami collaterali. L’arrivo del sangue agli arti inferiori è riservato a un solo canale, le arterie. Il ritorno, invece, è affidato alle vene in superficie e quelle profonde, cioè all’interno dei muscoli. Ma i due sistemi, superficiale e profondo, sono in comunicazione. Pertanto se è presente un danno cronico alle vene superficiali a risentirne è anche il circolo profondo, con conseguenze più serie. Infatti mentre le due safene si possono togliere, non si può fare altrettanto per le vene profonde”.
Quella varicosa può essere chiamata una malattia sociale…
“Colpisce una ampia fetta di popolazione (25-30%), in ugual misura uomini e donne, di qualsiasi età. Le donne sono più sensibili al problema sia per le gravidanze, che rappresentano uno stress per la circolazione degli arti inferiori, sia per una questione estetica: non fa piacere avere le vene superficiali, magari a forma bitorzoluta. Può essere un problema solamente di natura estetica, ma è solo l’esame dell’EcoColorDoppler che può escludere un deficit funzionale della circolazione”.
Una volta diagnosticata la malattia, quali sono le terapie?
“La vera innovazione terapeutica risale agli inizi del 1900, con l’intervento chirurgico di stripping, ancora maggiormente utilizzato. La vena viene incannulata da cima a fondo con catetere e viene ‘strappata’ con i suoi rami. Non è un intervento banale per i paziente, che deve sottostare a circa un mese di convalescenza. Per questo, quando è possibile, vengono preferite le tecniche chirurgiche mini-invasive“.
Di cosa si tratta?
“La nostra Chirurgia Vascolare utilizza il laser, ma è utilizzabile anche la radiofrequenza (microonde). In ambulatorio (non più in sala operatoria come per la chirurgia tradizionale) e in anestesia locale, viene punta la vena e inserito un catetere che all’estremità emette un raggio laser che emana energia termica. Il tutto avviene sotto guida ecografica. La vena si surriscalda e cicatrizzandosi si chiude, tanto che a distanza di due anni non è più visibile all’ecografia”.
Quali sono i vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale?
“Studi internazionali, finora disponibili, riportano per il laser e la radiofrequenza risultati analoghi per efficacia, sovrapponibili alla chirurgia tradizionale. La differenza sostanziale è il post operatorio. Il trattamento è solo circoscritto alla vena. Non sono coinvolti i tessuti circostanti, quindi non compaiono ematomi. Non essendoci sanguinamento, il laser è indicato anche per coloro che assumono farmaci anticoagulanti. Non vengono applicati punti di sutura e il paziente senza dolore, può ritornare a casa dopo un’ora. Ho avuto pazienti che nel pomeriggio si sono recati al lavoro”.
Per quanto riguarda la terapia con farmaci sclerosanti?
“La scleroterapia è un terapia antichissima in flebologia. Negli ultimi anni, tuttavia, il sclerosante liquido viene sostituito da una schiuma, che si ottiene lavorando il farmaco con l’aria. Mentre il farmaco liquido si fluidifica nel sangue e scorre via con lo stesso, la schiuma ristagna e sposta per così dire il sangue, restando più a lungo vicino alla parete della vena. Di conseguenza con farmaci a concentrazione più bassa e in volumi molto minori, si riesce a trattare tratti molto lunghi. La schiuma inoltre è visibile all’ecografia, pertanto si riesce a monitorare in tempo reale il percorso del farmaco stesso”.
Quando è indicata la scleroterapia e quando il laser?
“La terapia con sclerosanti viene utilizzata quando si è in presenza di vene dal percorso tortuoso, perché la fibra del laser è rettilinea e poco flessibile. Inoltre il laser risulta dannoso se le vene sono troppo superficiali, si rischierebbe di bruciare la pelle. Le tre tecniche – chirurgia, laser e sclerosanti – possono essere associate nello stesso trattamento, sempre in un contesto ambulatoriale, al fine di ottenere il migliore risultato anche su situazioni complicate”.
Nell’ambito della malattia varicosa possiamo attenderci altre novità?
“Siamo solo agli inizi: sono allo studio metodiche non termiche, tali da non richiedere nemmeno l’anestesia locale (ad esempio colle). Certamente la cura delle varici oggi è possibile in un contesto assolutamente ambulatoriale con un minimo impatto sulla qualità di vita e sulla ripresa delle ordinarie attività. Questo si traduce in un vantaggio per il paziente oltre che in un sensibile risparmio economico per la collettività”.
elena.zuppini@sacrocuore.it