In occasione della Giornata internazionale della disabilità, che si celebra il 3 dicembre, siamo andati nel reparto di Riabilitazione Intensiva dove vengono ricoverati per lunghi mesi i gravi lesionati midollari e le persone colpite da trauma cranico.
Il reparto di Riabilitazione Intensiva dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria è abitato da uno dei tanti volti della disabilità. Quella che una persona non porta con sé dalla nascita, ma arriva all’improvviso per un evento traumatico o per una patologia neurologica acuta. Un fulmine che trasporta repentinamente l’individuo da uno stato di benessere e di piena autonomia alla parziale o totale dipendenza.
La struttura è costituita dall’Unità Gravi Cerebrolesi e dall’Unità Spinale, dove afferiscono le persone con lesioni midollari. Giungono a Negrar, circa 110 all’anno, dalla Terapia Intensiva Neurochirurgica o dalla Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona con l’obiettivo di raggiungere la migliore qualità di vita in relazione alle mutate condizioni di salute.
Sono soprattutto giovani vittime che presentano danni neurologici acuti dovuti a traumatismo o eventi ischemici, emorragici, tumorali, infiammatori, infettivi o per mancanza di ossigeno a causa di infarto. Il lavoro di riabilitazione è una salita che dura in media quattro e sette mesi rispettivamente per i lesionati midollari paraplegici e quelli tetraplegici e tre mesi per i pazienti cerebrolesi.
L’attività dei medici di reparto – ne fanno parte un internista, un neurologo, due neurochirurghi e due fisiatri – è quella di, in stretta collaborazione con il personale infermieristico e di supporto, ricercare una stabilizzazione clinica del paziente affinché possa utilizzare al meglio le capacità residue per ridurre la dipenza.
La presa in carico del paziente è multidisciplinare: un’équipe composta da psicologa, fisioterapista del motorio e del cognitivo, infermiere, assistente sociale, medico, logopedista, arteterapeuta favoriscono la creazione di un programma personalizzato non solo dal punto di vista riabilitativo, ma per il reinserimento in famiglia, nella scuola e nel mondo del lavoro. In altre parole per aiutare il paziente a “nascere” una seconda volta, ad avere una vita completa nonostante la disabilità.
Un traguardo in generale non facile da raggiungere in un mondo in cui le barriere fisiche e sociali stentano a cadere, come viene ribadito ogni anno il 3 dicembre in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità.
“Per comprendere di cosa hanno bisogno le persone affette da una disabilità acquisita di cui io mi occupo – spiega il dottor Giuseppe Armani, direttore del reparto – è necessario focalizzarsi sia su cosa queste persone hanno perso. La loro vita e quella delle loro famiglie è stata improvvisamente sconvolta. I risvolti psicologici sono enormi, ma spesso ci si dimentica di quelli pratici che se non risolti comportano delle ripercussioni importanti sul paziente e sul suo nucleo familiare”.
Il problema si presenta soprattutto al momento delle dimissioni dall’ospedale.
“I più giovani quasi sempre fanno ritorno a casa – prosegue -. Ma spesso i genitori sono anziani e, a causa della mutazione storica della famiglia, non sono supportati da una rete parentale allargata. Lo stesso problema si presenta al coniuge. Ancora più difficile è la situazione di chi vive da solo”. A tutto questo si aggiunge l’impegno economico per riadattare la casa alle nuove esigenze o addirittura per trasferirsi in un alloggio più adatto.
“Come ospedale “Sacro Cuore” siamo collegati con il Centro Polifunzionale Don Calabria di Verona – spiega ancora il dottor Armani – che comprende un Presidio di Riabilitazione extraospedaliera realtà del Dipartimento Riabilitativo, di cui facciamo parte e diretto dal dottor Renato Avesani. Qui diversi nostri pazienti, una volta dimessi, proseguono la riabilitazione dal lunedì al venerdì, ritornando nelle loro case solo nel fine settimana. Sicuramente è un elemento di sollievo per le famiglie e offre al paziente la possibilità di consolidare il recupero motorio e cognitivo ed apprendere autonomie elevate”.
E i pazienti anziani? “Per loro le dimissioni coincidono spesso con l’ingresso in casa di riposo – continua il medico -. Ma il passaggio non è semplice a causa della quota sanitaria che talora rimane a lungo a carico del paziente. E’ una situazione che mette in serie difficoltà le famiglie e un costo inutile per il Servizio sanitario nazionale. Questi pazienti talora rimangono impropriamente in ospedale anche se il loro percorso riabilitativo si è concluso e, come sappiamo, un posto letto ospedaliero pesa sul bilancio molto di più che l’inserimento in una casa di riposo. Bisognerebbe prevedere l’erogazione di quote sanitarie per il ricovero in strutture protette in relazione alle effettive richieste sul territorio”.
I diritti delle persone disabili rimangono quindi ancora sulla carta? “Lavoro da 27 anni in questo ambito – risponde il dottor Armani – e ho visto un’evoluzione culturale di inclusione della persona disabile. Tuttavia molto resta da fare. Ad iniziare da un sistema che faciliti fisicamente l’accesso e la permanenza in ospedale, nei reparti e ai servizi. Sul piano ancora del reinserimento o ricollocamento lavorativo. O nella scuola dove dovrebbero essere implementate figure di sostegno e di assistenza. E infine nel supporto alle famiglie. Noi aiutiamo le persone a riprendere la maggiore autonomia possibile, ma fuori dall’ospedale ci devono essere le condizioni perché sia pienamente realizzata”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Nella foto parte l’équipe del reparto di Riabilitazione Intensiva: da sinistra Anna Scarpa, dottoressa Silvia Richelli, dottoressa Marcella Rossi, Caterina Sartori, dottor Giuseppe Armani, dottoressa Monica Baiguini, dottor Mauro Menarini, Debora Zanotti, Mariangela Fracaroli, Veronica Hasford, Simone Bajardo, dottor Luigino Corradi
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