Un’anomala crescita di peli nella zona dei glutei può rendere complicata la vita. Oggi grazie alle tecniche chirurgiche mini-invasive la malattia pilonidale viene tenuta sotto controllo senza le estese escissioni di pelle ancora, purtroppo, praticate

Si chiama sinus pilonidalis o malattia pilonidale. Consiste in una o più cavità o tragitti fistolosi nella parte bassa della colonna vertebrale che si sviluppano fra la cute e lo strato adiposo sottocutaneo fino, talvolta, alla fascia muscolare. Pur essendo una patologia benigna, quando si presenta può creare sintomi invalidanti come dolore, stato febbrile accompagnato da malessere diffuso, e possono comparire anche secrezioni sierose, purulente e maleodoranti.

Quando la terapia è peggiore della malattia

Fino a pochi anni fa la terapia chirurgica era perfino peggiore della malattia, in quanto venivano praticate solo escissioni di tessuto molto ampie e profonde, con la creazione di ferite estese e dolorose che impiegano mesi a guarire, costringendo il paziente a perdere settimane di lavoro e di scuola. Per i ragazzi, infatti, che appartengono alla fascia di età in cui la malattia ha maggiore incidenza, l’intervento esteso viene di solito programmato a fine anno scolastico per evitare numerose assenze sui banchi di scuola. Senza considerare l’aspetto psicologico, dovuto a cicatrici deturpanti che a volte richiedono l’intervento del chirurgo plastico.

Al “Sacro Cuore” solo tecniche mini-invasive

All’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria sono state invece adottate da tempo tecniche chirurgiche mini-invasive tali da consentire la pulizia della cavità/fistola attraverso piccole incisioni, permettendo così la ripresa immediata dell’attività quotidiana. Ma da cosa è provocata la malattia pilonidale?

Le cause della malattia

Come indica il nome, essa è causata dalla crescita anomala dei peli che nel solco intergluteo si sviluppano internamente, invece che all’esterno. Essendo rivestiti di cheratina, provocano una reazione infiammatoria del tessuto circostante, causando un’infezione. La malattia può presentarsi come una raccolta di peli e pus localizzata nel solco intergluteo o farsi strada internamente attraverso il tessuto sottocutaneo nella direzione del solco o verso la regione coccigea/sacrococcigea o verso i glutei. In questo caso si forma una fistola, con un orifizio di uscita anche lontano alcuni centimetri da quello di entrata. Raramente può verificarsi un percorso verso il basso (in direzione dell’ano). Quando accade, è necessario effettuare una diagnosi differenziale per distinguere la malattia pilonidale dalle fistole di origine anale che richiedono una terapia diversa.

Soggetti a rischio

La malattia pilonidale colpisce principalmente giovani maschi dai 15 ai 25 anni (con un rapporto rispetto alle donne di 3 a 1). Gli altri fattori predisponenti sono in particolare l’irsutismo dei glutei, il sovrappeso, la conformazione anatomica della regione sacro-coccigea, gli stili di vita sedentari, la scarsa igiene locale e un’attività lavorativa o sportiva che comporta una particolare sollecitazione del zona del coccige (equitazione, canottaggio, ciclismo…). Infatti durante la Seconda guerra mondiale il sinus pilonidalis veniva definito jeep disease (malattia della jeep) in quanto colpiva i soldati statunitensi che restavano intere giornate seduti in auto, sottoposti al continuo traumatismo provocato dal fondo stradale.

Come si presenta

Tra i segni e i sintomi più comuni con i quali si presenta il sinus pilonidalis vi sono: la tumefazione spesso dolente; l’arrossamento; le secrezioni, la febbre e il malessere diffuso; le infezioni e gli ascessi ricorrenti; uno o più orifizi fistolosi nel solco intergluteo, talvolta rinvenibili solo dopo un’attenta osservazione o depilazione, talvolta disposti a “corona di rosario”, spesso contenenti peli sporgenti.

L’unica terapia è quella chirurgica

Come tutte le malattie, anche quella pilonidale alterna fasi di acuzie a fasi di cronicizzazione. La fase di acuzie, quando si sviluppa l’ascesso, è il momento doloroso della malattia che richiede una soluzione rapida tramite l’incisione della tumefazione e il drenaggio del pus. Questo tuttavia non risolve nel 50% dei casi la malattia, perché ciò avvenga è necessario ripulire minuziosamente la tasca di raccolta e questo è possibile solo con un successivo piccolo intervento chirurgico.

I vantaggi delle tecniche mini-invasive

La chirurgia mini-invasiva, oltre a comportare cicatrici molto piccole, quindi una rapida guarigione, presenta vantaggi in caso di recidiva. Infatti sia la chirurgia mini-invasiva sia quella con escissioni profonde e molto ampie non escludono il ripresentarsi della malattia. Ma mentre nel primo caso è possibile intervenire nuovamente con le stesse tecniche senza particolari problemi, nel secondo caso, invece, la cicatrice estesa comporta un’ampia area di tessuto fibroso su cui poi è difficile operare nuovamente”, spiegano i dottori Nicola Cracco (nella Photo Gallery a sinistra), responsabile della Chirurgia proctologica, e Simone Orlandi (nella Photo Gallery a destra), proctologo del Centro malattie retto-intestinali. Tutte le tecniche mini-invasive vengono eseguite in sale operatoria per interventi ambulatoriali con anestesia locale accompagnata da sedazione. La dimissione avviene dopo poche ore.

Fistulotomia più marsupializzazione

“E’ la procedura chirurgica indicata quando siamo in presenza di fistole inferiori ai 5 centimetri – spiega il dottor Nicola Cracco -. La fistola viene aperta per tutta la sua lunghezza, pulita del materiale purulento, ben curettata e cuciti i due lembi di cute al pavimento della fistola. Il risultato è una piccola cicatrice, che non richiede particolari medicazioni, e permette al paziente di riprendere il giorno dopo le normali attività anche quelle sportive, con, nella maggior parte dei casi, assenza di dolore”.T

Tecnica Epsit

“Tale tecnica è indicata in caso di fistole superiori ai 5 centimetri di lunghezza – spiega il dottor Simone Orlandi – e viene effettuata sotto visione con l’inserimento di fistuloscopio (un cistoscopio pediatrico modificato) attraverso piccole aperture in prossimità dell’area in cui è stata individuata l’infezione. La visione diretta ha un grande vantaggio perché consente di verificare eventuali diramazioni della fistola che altrimenti non sarebbero visibili. Inoltre permette una rimozione completa dei peli tramite una pinza e la pulizia accurata del tessuto attraverso un brush. Successivamente, tramite l’impiego di un elettrodo monopolare, viene distrutta la cavità e effettuata l’emostasi dei capillari, prevenendo così perdite di sangue che renderebbero problematica la guarigione. L’intervento non prevede la chiusura delle fessure, perché se ciò avvenisse in presenza di eventuali residui di detriti favorirebbe la creazione di una nuova colonia di batteri e quindi una nuova infezione. Inoltre le aperture facilitano la gestione autonoma della ferita da parte dei paziente con semplici lavaggi di soluzione fisiologica. Il controllo post operatorio avviene dopo una settimana, e successivamente dopo un mese, due mesi e sei mesi”.

Tecnica Lord-Millar

“Prende il nome dai due chirurghi che la inventarono nel 1965, il dottori Lord e Millar – riprende il dottor Cracco -. Viene applicata quando la malattia non è fistolizzata ma è caratterizzata da una semplice raccolta nel solco intergluteo. Si procede ampliando l’orifizio della cisti (Pit mediano) quanto basta per entrare con un apposito strumento. Tramite esso l’area viene pulita dai peli e dal tessuto infiammatorio di granulazione, in modo da consentire la guarigione. Quel che resta è uno o più buchetti di mezzo centimetro di diametro che anche in questo caso non danno dolore, sono facilmente medicabili e non impediscono una normale e veloce ripresa dell’attività scolastica, lavorativa e sportiva. La guarigione completa, dopo poche sedute di medicazione avviene di solito entro un mese”.

elena.zuppini@sacrocuore.it