Tute mimetiche in Pediatria, ma donano uova di cioccolato

Il reparto ha ricevuto la gradita visita degli allievi dell’85° Reggimento Addestramento Volontari “Verona” che hanno portato in dono le uova pasquali con grande gioia dei piccoli pazienti

Con le loro tute mimetiche avrebbero potuto incutere un po’ di timore ai bambini ricoverati in PediatriaMa sono stati sufficienti i loro sorrisi e le uova di cioccolato portate in dono a trasformare gli allievi dell’85° Reggimento Addestramento Volontari “Verona” in tanti “Babbi Pasquali”.

 

E’ stata infatti una mattinata di festa per i bimbi in cura presso il reparto al quarto piano del “Sacro Cuore”, diretto dal dottor Antonio Deganello, che hanno ricevuto la visita di quindici “aspiranti militari”, tra cui una ragazza, e dei loro superiori. Con loro tante uova di Pasqua colorate che gli allievi hanno distribuito sia in reparto sia presso l’ambulatorio pediatrico, rendendo felici i giovani pazienti e anche i loro genitori. Tra i militari anche Simone Careddu, il primo maresciallo della Folgore che è stato testimonial della presentazione dell’esoscheletro acquisito dal Dipartimento di Riabilitazione dell’ospedale di Negrar nel 2015.

La presenza dei militari al “Sacro Cuore Don Calabria” – accolta con entusiasmo e gratitudine dalla direzione dell’ospedale, rappresentata dal vicepresidente don Waldemar Longo – ha origine dalla campagna “Cerco un uovo amico” promossa dell’Associazione Italiana per la lotta al Neuroblastoma Onlus, a cui l’Esercito ha concesso il patrocinio. L’85° Reggimento Addestramento Volontari “Verona”, di stanza alla Caserma Duca, ha voluto così contribuire alla raccolti fondi per la ricerca su uno dei più frequenti tumori pediatrici, acquistando le uova di cioccolato da regalare poi ai bambini ricoverati a Negrar e presso l’ospedale di Borgo Trento.

 

L’85° Reggimento Addestramento Volontari (RAV) “Verona”, guidato dal Colonnello Alessio Gabriele Degortes, è uno dei tre reggimenti, l’unico nel Nord Italia, dedicati alla formazione e alla preparazione dei giovani che decidono di intraprendere la vita militare come volontari di ferma prefissata di un anno.

 

“La formazione e l’addestramento – spiega il Colonnello Degortes – non possono prescindere da tutte quelle iniziative di accrescimento del senso civico e del capitale umano della nostra comunità. Per far questo, durante la permanenza di 10 settimane presso l’85° Reggimento, allo studio delle materie militari e all’addestramento al combattimento, gli allievi affiancano la partecipazione a diversi incontri e conferenze formativi ed informativi. Da quelli tenuti dalle associazioni per la donazione del sangue e degli organi, a quelli sulla sicurezza stradale e la tutela della legalità. La distribuzione in ospedale delle uova pasquali è uno di questi importanti momenti di formazione umana”.

 

“Nel nostro reparto accogliamo con favore qualsiasi iniziativa che possa alleggerire la permanenza dei bambini in ospedale, un momento non facile per loro e per le loro famiglie – afferma il dottor Deganello -. Quindi ringraziamo di cuore i responsabili del Reggimento e questi ragazzi per i loro doni e per la loro gentile presenza a pochi giorni dalle festività pasquali”.

 

Da parte loro anche i piccoli pazienti hanno voluto ringraziare gli insoliti ospiti, donando in cambio sorrisi e affettuosi abbracci.

Nella Photo Gallery alcuni momenti della mattinata


Se il sistema dell'equilibrio va in tilt: la vertigine

Il dottor Sergio Albanese, direttore dell’ORL, spiega perché all’improvviso il mondo sembra girare attorno a noi, facendoci perdere il controllo del nostro corpo: dalla labirintite alla sindrome di Menière

E’ un’esperienza che chi prova non augura nemmeno al suo peggior nemico: all’improvviso il mondo gira attorno al malcapitato, costringendolo a fare i conti con la perdita di controllo del proprio corpo e a cercare disperatamente un qualsiasi appiglio per non cadere rovinosamente a terra. E’ la vertigine causata da una brusca alterazione di quel sistema complesso chiamato equilibrio, grazie al quale l’uomo può rimanere eretto nonostante il baricentro molto stretto.

 

“Soprattutto per coloro che non hanno mai provato una sensazione simile, la vertigine è un evento traumatico – spiega il dottor Sergio Albanese, direttore dell’Otorinolaringoiatria del “Sacro Cuore Don Calabria” -. Infatti molto spesso alla terapia per la patologia vertiginosa, dobbiamo affiancare anche farmaci che compensino l’aspetto psicologico, molto provato da questa fulminea sensazione di insicurezza”.

 

Ma da cosa è provocata la vertigine? “Quello dell’equilibrio è uno dei sistemi del nostro corpo più complessi e affascinanti – risponde il medico – garantito essenzialmente da dei sensori periferici, situati in gran parte nell’orecchio, e da un sistema centrale di elaborazione delle informazioni, che è il cervello, in dialogo fra loro. Quando accade un evento anomalo a uno o all’altro degli elementi si verifica la vertigine”.

 

Le vertigini più comuni, che colpiscono almeno una volta nella vita una grande fetta della popolazione, sono chiamate genericamente labirintiti e fanno parte della famiglia delle vertigini sporadiche a cui appartiene anche la vertigine posizionale parossistica benigna.

 

La labirintite è causata di solito da un attacco virale tale da infiammare l’organo dell’equilibrio dentro l’orecchio (labirinto) – spiega ancora il direttore dell’Orl – Si manifesta all’improvviso con una forte vertigine che persevera ore fino, nei casi più gravi, a intere settimane. Di solito si impiega una terapia per controllare la nausea e il vomito provocata dalla vertigine, accompagnata da farmaci per attenuare il senso di sbandamento”.

 

La fase di guarigione ha un andamento non lineare che induce il paziente, per il fatto di sentirsi meglio, ad adottare comportamenti a rischio come guidare l’auto, la moto, salire su una scala a pioli o andare in bicicletta. “E’ necessario invece essere molto cauti – raccomanda il medico – perché la vertigine può ripresentarsi all’improvviso. Soprattutto per coloro che svolgono determinate professioni come gli autisti di pullman o di camion è consigliabile sottoporsi presso l’otorino ad un test di verifica dell’avvenuta guarigione prima di riprendere il lavoro”.

 

Rispetto alla labirintite, di diversa natura, e causa, è la vertigine posizionale parossistica benigna. Anche questa compare all’improvvisoma solo nel passaggio dalla posizione eretta a quella supina e viceversa. Oppure quando ci si gira nel sonno in direzione dell’orecchio coinvolto. A differenza delle vertigini da labirintite, quelle posizionali, pur provocando una rotazione intensa, durano pochi secondi e sono causate da un un problema ‘meccanico’. I ‘colpevoli’ sono gli otoliti, minuscoli cristalli di ossalato di calcio contenuti in alcuni sensori dell’apparato vestibolare, cioè la porzione dell’orecchio che contiene i recettori dell’equilibrio. Non si conosce esattamente il motivo che porta al distacco degli otoliti che, viaggiando nei canali semicircolari dell’orecchio, interferiscono con le terminazioni nervose, causando disturbo.

 

“In questi casi non esiste terapia farmaceutica – prosegue – in quanto è necessario risolvere il problema ‘meccanicamente’, cioè tentare di riportare i cristalli nella loro posizione originale. E questo lo possiamo fare solo con le manovra di Epley o di Dix Hallpike “. Si tratta di una procedura effettuata dal medico, in cui il paziente viene, in tutta sicurezza, fatto bruscamente passare dalla posizione seduta a quella supina, con la testa girata verso il lato sintomatico. “Questo movimento provoca una fuoriuscita dell’otolita dal canale semicircolare- sottolinea l’otorino – che nella maggioranza dei casi è risolutiva. Il paziente, per così dire, guarisce”.

 

Oltre alle vertigini sporadiche, esiste anche la famiglia delle vertigini recidivantiNe fanno parte quelle legate a disturbi del microcircolo cerebrale, tipiche dell’anziano, o a malattie neurologiche primitive come la sclerosi multipla. Ma anche la Sindrome di Menière, che però merita un capitolo a parte.

 

Le prime due hanno un esordio sfumato, sono incostanti, mai accompagnate da nausea e vomito. La sensazione avvertita è di un’oscillazione laterale e di un’incertezza nel camminare, come se si fosse sotto l’effetto dell’alcool. Sintomo attenuato con la somministrazione di farmaci che agiscono sulla vascolarizzazione del sistema nervoso centrale.

 

“La Sindrome di Menière invece si manifesta all’improvviso e con violenza – descrive Albanese – Si tratta di una malattia cronica con episodi che si ripetono nel tempo e per questo altamente invalidante. Relativamente diffusa, la sindrome è provocata da un aumento della pressione dei fluidi contenuti nel labirinto auricolare dell’orecchio interno. La vertigine è accompagnata da perdita dell’udito, da nausea, senso di vomito e da un fischio intenso all’orecchio, che si risolve con la cessazione della rotazione. Non essendo ancora note le cause, non esistono farmaci specifici, ma solo terapie sintomatiche”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Un incontro dedicato ai nuovi medici del "Sacro Cuore"

Un gruppo di trentacinque medici “neo-assunti” della Cittadella della Carità si è incontrato a San Zeno in Monte per condividere un’occasione di formazione su radici, valori e obiettivi dell’ospedale e dell’Opera calabriana

Sono trentacinque i giovani medici del Sacro Cuore Don Calabria che sabato 17 marzo hanno partecipato ad una giornata di formazione a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria (vedi foto di gruppo). Un appuntamento utile per conoscersi e per sperimentare quello spirito di “famiglia calabriana” che tanto caro stava a San Giovanni Calabria, fondatore dell’omonima Opera e dell’ospedale di Negrar.

 

L’incontro era rivolto ad un primo gruppo di medici “neo-assunti” che hanno iniziato a collaborare con il Sacro Cuore dal 2014. Si tratta di un’iniziativa fortemente voluta dalla direzione per promuovere la condivisione dei valori e degli obiettivi dell’ospedale, guardandoli anche alla luce delle sue radici e della “mission” dell’Opera calabriana.

 

“Competenza, umanità e spiritualità sono le tre caratteristiche fondamentali per un medico che lavora alla Cittadella della Carità di Negrar – ha detto il Casante dell’Opera padre Miguel Tofful, intervenuto durante la mattinata – quando trattiamo con i pazienti dobbiamo essere consapevoli che siamo chiamati a prenderci cura degli ultimi, dei sofferenti, dei poveri, proprio come don Calabria al suo tempo. L’umanità non toglie nulla alla competenza, anzi è un valore aggiunto”.

 

L’incontro, moderato dal direttore sanitario dottor Fabrizio Nicolis, ha visto il saluto dell’Amministratore Delegato Mario Piccinini, che ha illustrato le principali attività dell’ospedale sottolineando come la filosofia aziendale sia quella di dare grande importanza alla formazione professionale e umana. Nel suo intervento, il presidente fratel Gedovar Nazzari ha sottolineato come don Calabria avesse una grande considerazione per la professione medica. Tra gli altri testi, ha citato questa lettera del fondatore: «Quello del medico è ufficio non di semplice professione, ma di vera e propria missione. Il medico è chiamato da Dio a collaborare sia per il sorgere e l’affermarsi della vita, sia per il suo progresso e rinvigorimento come per curarne le infermità o almeno lenirne i dolori».

 

Nella parte finale della mattinata hanno portato una testimonianza alcuni primari dell’ospedale: la dottoressa Stefania Gori, il dottor Giacomo Ruffo e il dottor Matteo Salgarello hanno dato il quadro di un ospedale che guarda ai giovani e vuole lasciar loro ampio spazio per crescere, imparare e contribuire con le loro idee e la loro preparazione.

 

L’incontro si è chiuso con la visita alla tomba di san Giovanni Calabria e poi con un pranzo che ha permesso un momento di convivialità e fraternizzazione tra “colleghi”, un momento prezioso per conoscersi e sentirsi parte di una grande istituzione al servizio dei poveri e dei sofferenti.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


I numeri del cancro nel Veneto: ogni giorno 87 nuove diagnosi

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Presentata al “Sacro Cuore” la situazione oncologica nel Veneto: la sopravvivenza ha tassi elevati, il 60,7% degli uomini e il 66,3% delle donne sono vivi a 5 anni dalla diagnosi. Preoccupa l’aumento dei casi di cancro al polmone nelle donne

Il Veneto è una regione virtuosa nell’adesione agli esami di screening anticancro. Nel 2016, il 79% dei cittadini ha eseguito il test per individuare in fase precoce il tumore del colon-retto (esame del sangue occulto nelle feci), più del doppio rispetto alla media nazionale (36%). Il 63% delle donne venete si è sottoposto allo screening cervicale (fondamentale per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina), anche in questo caso più che raddoppiando il dato nazionale (30%), e il 64% delle cittadine ha eseguito la mammografia (44% Italia). Un’attenzione ai programmi di prevenzione secondaria che si traduce in percentuali di sopravvivenza particolarmente elevate: in Veneto il 60,7% degli uomini e il 66,3% delle donne sono vivi a 5 anni dalla diagnosi.

 

La fotografia dell’universo cancro in tempo reale nella regione è raccolta nel volume “I numeri del cancro in Italia 2017″ realizzato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) e dalla Fondazione AIOM, e presentato oggi all”ospedale Sacro Cuore Don Calabria. In Veneto nel 2017 sono stati stimati 31.750 nuovi casi di tumore (16.550 uomini e 15.200 donne), con una tendenza che rispecchia quella nazionale: un andamento stabile delle nuove diagnosi fra gli uomini e un incremento fra le donne. Nella popolazione generale le cinque neoplasie più frequenti sono quelle del colon-retto (4.500), seno (4.450), polmone (3.400), prostata (2.950) e melanoma (1.500).

 

Facendo gli onori di casa, ha aperto la conferenza stampa il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato del “Sacro Cuore Don Calabria: “Questo Ospedale dal 2016 è un Cancer Care Center dotato di un numero verde (800 143 143) per la cura del tumore – ha affermato – Per noi è stato un approdo naturale, perché da tempo seguiamo con attenzione il percorso del paziente oncologico investendo sia in professionalità dedicate, nell’ambito di un approccio integrato e multidisciplinare, sia mettendo a disposizione le migliori tecnologie con importanti investimenti. Ricordiamo, ad esempio, la Radioterapia con 3 Acceleratori Lineari e un sistema di Radiochirugia per le metastasi cerebrali, utilizzato proprio dal “Sacro Cuore Don Calabria” per la prima volta nel mondo; una Medicina Nucleare con due PET-TAC (l’unica nel Veneto) e un Servizio di Terapia Radiometabolica; una Radiologia dotata di apparecchiature di ultima generazione; un Laboratorio di Biologia Molecolare, una chirurgia oncologica all’avanguardia che utilizza il Robot Da Vinci Xi. Il paziente oncologico trova all’interno del perimetro dell’ospedale tutte le specialità per la diagnosi e la cura delle neoplasie fino alla riabilitazione oncologica e alle cure palliative. Agli investimenti tecnologici si sta aggiungendo lo sviluppo nella ricerca testimoniato dal numero crescente di pubblicazioni scientifiche su importanti riviste internazionali. Come ci ha trasmesso il nostro fondatore, la nostra mission è servire il paziente. Oggi possiamo farlo grazie alla ricerca e alla tecnologia. Ma il nostro fine di cura resta la persona ammalata, con le sue fragilità che la mancanza di salute comporta“.

 

Ogni giorno nel nostro territorio sono stimate circa 87 nuove diagnosi di cancro – è intervenuta Stefania Gori, presidente nazionale AIOM e Direttore del Dipartimento Oncologico dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria -. Da un lato, il progressivo invecchiamento della popolazione determina un inevitabile aumento dei nuovi casi. Dall’altro, il cancro rappresenta la patologia cronica su cui le campagne di prevenzione mostrano i maggiori benefici. Ma serve più impegno in questa direzione. Preoccupa in particolare in Veneto il notevole aumento, pari al 43%, delle diagnosi di tumore del polmone fra le donne, passate da 871 casi ogni anno nel periodo 2008-2010 a 1.250 nel 2017. Il vizio del fumo è sempre più femminilee le conseguenze negative sono evidenti, come dimostrano i numeri”. E’ fondamentale pertanto la prevenzione primaria e secondaria (ambito in cui la spesa sanitaria in Italia è ancora bassa) “per ridurre il numero di nuovi casi di tumore e avere così più risorse disponibili per curare, che potrebbero essere utilizzate per migliorare l’accesso di tutti i pazienti alle terapie innovative – continua la presidente AIOM -. Oggi infatti ad armi efficaci come la chemioterapia, la radioterapia e la chirurgia si sono aggiunte le terapie mirate e l’immunoterapia, permettendo di migliorare la sopravvivenza e garantendo una buona qualità di vita”.

 

“Un tumore cambia la vita delle persone, ma è fondamentale sapere che oggi, grazie alla diagnosi precoce e ad armi sempre più efficaci, circa il 60% dei pazienti italiani sconfigge la malattia – ha affermato Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM –L’Italia, infatti, si colloca nei primi posti in Europa come percentuali di persone sopravviventi a 5 anni dalla diagnosi nelle varie patologie neoplastiche”. La prima forma di prevenzione è uno stile di vita sano, perché non dimentichiamo infatti “che il 40% dei tumori potrebbe essere evitato abolendo il fumo, l’alcol, l’obesità e la sedentarietà. Queste semplici regole possono essere riassunte in un numero: 30.5.0.1, ad indicare 30 minuti di attività fisica quotidiana, 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, 0 fumo, 1 bicchiere di vino a pasto. Il Veneto – ha concluso il dottor Nicolis – si colloca tra le migliori Regioni italiane per gli stili di vita, con uno spazio di miglioramento comunque per il consumo di alcol: risulta infatti che in Veneto il consumo sia superiore alla media nazionale (63,8% vs 55,1%, dati PASSI-Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia)”.

 

 

Si stima che nella Regione vivano più di 277.000 cittadini dopo la diagnosi di tumore, una cifra in costante crescita. Oltre alle nuove terapie, anche gli screening svolgono un ruolo fondamentale nel miglioramento dei tassi di guarigione. “Rispetto ai Registri Tumori Regionali, quello del Veneto è il primo con 4 milioni 700 mila persone di copertura, seguito da Friuli Venezia Giulia (1 milione 219 mila), Umbria (890 mila), Basilicata (580 mila) e Valle d’Aosta (131 mila) – ha afferma Lucia Mangone, presidente AIRTUM (Associazione italiana dei registri tumori) – Due fra le neoplasie più frequenti, quelle del colon-retto e della mammella, risentono fortemente dell’efficacia dei programmi di screening. L’andamento dell’incidenza del tumore del colon-retto dipende dell’introduzione dello screening nella popolazione di età 50-69 anni (avviato nelle ASL in anni diversi, tra il 2002 e il 2009), che comporta in una prima fase un aumento del numero dei casi, dovuto all’anticipo diagnostico di neoplasie che altrimenti sarebbero comparse successivamente. L’incidenza del cancro della mammella, dopo la crescita registrata negli anni ’90, si è stabilizzata a partire dal 2002, momento in cui si è esaurito l’incremento diagnostico associato all’introduzione dei programmi di screening mammografico, che in Veneto sono stati avviati a partire dal 1998“.

 

Ha chiuso l’incontro l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto“In Veneto non esiste un tetto alla spesa oncologica – ha spiegato Luca Coletto, assessore alla Sanità della Regione Veneto e Presidente Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) -. È una scelta che rivendichiamo con orgoglio e che ci permette di rendere disponibili i farmaci anticancro innovativi a tutti i pazienti. La lotta ai tumori nel nostro territorio raggiunge i livelli più alti a livello nazionale. Da molti anni si parla di Reti Oncologiche Regionali, ma solo poche Regioni, tra cui il Veneto, hanno intrapreso un reale percorso di attivazione. La Rete Oncologica Veneta (ROV) permette a tutte le Oncologie della Regione di lavorare insieme in un unico team che assicura a tutte le persone colpite da tumore la stessa qualità di prestazioni, diagnosi e cura. In caso di necessità, il paziente viene indirizzato al centro più adatto in base alla specifica neoplasia. Nella Regione inoltre sono attive le Breast Unit per le donne colpite da cancro al seno. E, dei 47 Registri Tumori operativi in Italia, quello del Veneto è il più grande: ad oggi, è riuscito a censire e studiare il 96% dell’intera popolazione del territorio (la media nazionale si ferma al 62%)”.

In Veneto nel 2014 (ISTAT, ultimo anno disponibile) sono stati 13.974 i decessi attribuibili a tumore. Nella Regione la neoplasia che ha fatto registrare il maggior numero di decessi è quella del polmone (2.512), seguita da colon retto (1.352), pancreas (1.089), seno (991) e fegato (801).

In allegato alcune schede con i dati principali

I numeri del cancro nel Veneto


Glaucoma: dall'oculista una volta all'anno può salvare la vista

Domenica 18 marzo gli specialisti del Centro di Medicina del Sonno incontreranno i cittadini in piazza Bra. Il dottor Rossato: “Troppi adolescenti sono ‘deprivati’ del sonno con conseguenze serie sulla salute e sul rendimento scolastico”

E’ dedicata al ritmo circadiano sonno-veglia la Giornata del sonno che si celebra in tutto il mondo venerdì 16 marzo, su iniziativa della World Sleep Society. Un omaggio ai vincitori del Nobel per la Medicina 2017 – Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young – premiati con il massimo riconoscimento per le loro scoperte sui meccanismi molecolari che controllano il ritmo circadiano.

 

Ritmo sonno-veglia particolarmente bistrattato dai più giovani, come testimonia il dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del Sonno del “Sacro Cuore Don Calabria” e presidente di InFormaSonno. Il dottor Rossato, con alcuni suoi collaboratori, incontrerà i veronesi domenica 18 marzo (dalle 9 alle 14) in piazza Bra (lato monumento Vittorio Emanuele II) per sensibilizzarli sull’importanza di un buon risposo e sulle patologie legate al sonno, spesso concausa di altre malattie come quelle cardiovascolari (poster allegato e in Photo Gallery una foto del team in una delle precedenti edizioni).

 

 

Nei nostri ambulatori incontriamo sempre più spesso ragazzi ‘deprivati’ del sonno – spiega il dottor Rossato -. Si addormentano alle quattro del mattino se non alle sei, dopo ore e ore trascorse al computer o al cellulare, per alzarsi poco dopo e andare in classe. Presentano gravi problemi di apprendimento scolastico (alcuni lasciano la scuola) e disturbi dell’umore: sono irritabili, scontrosi, in alcuni casi apatici e in altri a grave rischio di depressione“.

 

 

Dottor Rossato, come si interviene con questi pazienti?

Non sono pazienti facili da gestire, in quanto non abbiamo dalla nostra parte nemmeno la farmacologia. Si può prescrivere un ipnotico a chi desidera e vuole dormire. Ma questi sono soggetti che vogliano stare svegli e hanno un bioritmo completamente alterato. Pertanto nessun farmaco può essere efficace. L’assunzione di melatonina prima dell’ora consueta in cui si addormentano può aiutarli, ma non risolve il problema se non si impone a loro determinate norme comportamentali. Una strada impervia quando di fronte ci sono adolescenti che hanno impostato il loro ciclo sonno-veglia addormentandosi alle quattro del mattino e svegliandosi a mezzogiorno, salvo non poterlo fare perché hanno degli obblighi. Per questo in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale avvieremo nelle prossime settimane un progetto pilota in alcune scuole con una serie di incontri dedicati alle ultime classi delle superiori. Il nostro scopo è sensibilizzare i ragazzi sull’importanza del sonno per la loro salute ma anche per la loro vita in generale. E’ pure l’occasione per testare la dimensione del problema attraverso la somministrazione di questionari”.

 

 

Il progetto sarà presentato venerdì 16 marzo in occasione della Giornata mondiale del sonno sull’emittente veronese Telenuovo, alle 18.10. In studio sarà presente il dottor Gianluca Rossato e il professor Stefano Quaglia, dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale.

 

 

Riassumiamo queste regole di igiene del sonno che valgono per tutti?

“Andare a letto possibilmente sempre alla stessa ora e dormire le ore di sonno necessarie che variano con l’età. Non esagerare alla sera con cibi pensati, con l’alcol e con il fumo di sigaretta. E’ fondamentale inoltre interrompere dopo le 21 qualsiasi attività che impegni il fisico e la mente. Stop ai telefonini e tablet: la loro luce è simile a quella del sole, blocca la produzione di melatonina”.

 

La fototerapia è efficace per modificare comportamenti sbagliati?

E’ sicuramente un aiuto. Noi consigliamo ai pazienti che tenderebbero a svegliarsi tardi di dotarsi di lampade medicali che emano luce blu (quella del sole) e di sottoporsi alla terapia tutte le mattine almeno per 30 minuti. In commercio ci sono anche dei pratici occhiali che illuminano esclusivamente la retina e permettono, a differenza delle lampade, di muoversi liberamente durante la terapia”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale del sonno: adolescenti deprivati di sonno a rischio di patologie

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Domenica 18 marzo gli specialisti del Centro di Medicina del Sonno incontreranno i cittadini in piazza Bra. Il dottor Rossato: “Troppi adolescenti sono ‘deprivati’ del sonno con conseguenze serie sulla salute e sul rendimento scolastico”

E’ dedicata al ritmo circadiano sonno-veglia la Giornata del sonno che si celebra in tutto il mondo venerdì 16 marzo, su iniziativa della World Sleep Society. Un omaggio ai vincitori del Nobel per la Medicina 2017 – Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young – premiati con il massimo riconoscimento per le loro scoperte sui meccanismi molecolari che controllano il ritmo circadiano.

 

Ritmo sonno-veglia particolarmente bistrattato dai più giovani, come testimonia il dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del Sonno del “Sacro Cuore Don Calabria” e presidente di InFormaSonno. Il dottor Rossato, con alcuni suoi collaboratori, incontrerà i veronesi domenica 18 marzo (dalle 9 alle 14) in piazza Bra (lato monumento Vittorio Emanuele II) per sensibilizzarli sull’importanza di un buon risposo e sulle patologie legate al sonno, spesso concausa di altre malattie come quelle cardiovascolari (poster allegato e in Photo Gallery una foto del team in una delle precedenti edizioni).

 

 

Nei nostri ambulatori incontriamo sempre più spesso ragazzi ‘deprivati’ del sonno – spiega il dottor Rossato -. Si addormentano alle quattro del mattino se non alle sei, dopo ore e ore trascorse al computer o al cellulare, per alzarsi poco dopo e andare in classe. Presentano gravi problemi di apprendimento scolastico (alcuni lasciano la scuola) e disturbi dell’umore: sono irritabili, scontrosi, in alcuni casi apatici e in altri a grave rischio di depressione“.

 

 

Dottor Rossato, come si interviene con questi pazienti?

Non sono pazienti facili da gestire, in quanto non abbiamo dalla nostra parte nemmeno la farmacologia. Si può prescrivere un ipnotico a chi desidera e vuole dormire. Ma questi sono soggetti che vogliano stare svegli e hanno un bioritmo completamente alterato. Pertanto nessun farmaco può essere efficace. L’assunzione di melatonina prima dell’ora consueta in cui si addormentano può aiutarli, ma non risolve il problema se non si impone a loro determinate norme comportamentali. Una strada impervia quando di fronte ci sono adolescenti che hanno impostato il loro ciclo sonno-veglia addormentandosi alle quattro del mattino e svegliandosi a mezzogiorno, salvo non poterlo fare perché hanno degli obblighi. Per questo in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Provinciale avvieremo nelle prossime settimane un progetto pilota in alcune scuole con una serie di incontri dedicati alle ultime classi delle superiori. Il nostro scopo è sensibilizzare i ragazzi sull’importanza del sonno per la loro salute ma anche per la loro vita in generale. E’ pure l’occasione per testare la dimensione del problema attraverso la somministrazione di questionari”.

 

 

Il progetto sarà presentato venerdì 16 marzo in occasione della Giornata mondiale del sonno sull’emittente veronese Telenuovo, alle 18.10. In studio sarà presente il dottor Gianluca Rossato e il professor Stefano Quaglia, dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale.

 

 

Riassumiamo queste regole di igiene del sonno che valgono per tutti?

“Andare a letto possibilmente sempre alla stessa ora e dormire le ore di sonno necessarie che variano con l’età. Non esagerare alla sera con cibi pensati, con l’alcol e con il fumo di sigaretta. E’ fondamentale inoltre interrompere dopo le 21 qualsiasi attività che impegni il fisico e la mente. Stop ai telefonini e tablet: la loro luce è simile a quella del sole, blocca la produzione di melatonina”.

 

La fototerapia è efficace per modificare comportamenti sbagliati?

E’ sicuramente un aiuto. Noi consigliamo ai pazienti che tenderebbero a svegliarsi tardi di dotarsi di lampade medicali che emano luce blu (quella del sole) e di sottoporsi alla terapia tutte le mattine almeno per 30 minuti. In commercio ci sono anche dei pratici occhiali che illuminano esclusivamente la retina e permettono, a differenza delle lampade, di muoversi liberamente durante la terapia”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Innovativo percorso riabilitativo per chi ha perso l'uso delle braccia

Il Dipartimento di Riabilitazione si è dotato di macchinari di ultima generazione per la riabilitazione degli arti superiori dedicato a pazienti che hanno subito danni neurologici

Il Dipartimento di Riabilitazione dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Renato Avesani, dopo l’esoscheletro amplia la sua dotazione tecnologica. Questa mattina (nella Photo Gallery le foto) è stato presentato un innovativo percorso riabilitativo per il recupero funzionale degli arti superiori in pazienti con lesioni di carattere neurologico, dovute a patologie o a traumi (vedi interviste e video dell’inaugurazione).

 

Testimonial dell’evento, Federico Falco, veronese, campione di tennis tavolo paralimpico. Nel 2009, a causa di un tragico tuffo in piscina, Federico ha perso l’uso delle gambe e della braccia, ma nonostante la sua grave disabilità nel 2017 si è laureato medaglia d’oro ai campionati del mondo a squadre e medaglia di bronzo in singolo ai campionati europei (vedi intervista a Federico Falco).

 

Il nuovo percorso riabilitativo è composto da sei postazioni con altrettante macchine di ultima generazione, che hanno il duplice scopo, come ha spiegato il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento, “di facilitare i movimenti residui e di riabilitare la componente cerebrale interessata al danno”.

 

Infatti il paziente si rapporta con uno schermo svolgendo dei compiti. Come nel caso del “sistema Diego”, questo il nome di una delle macchine, che consente a chi ha avuto danni importanti di sollevare e muovere le braccia in maniera tale da guidare sullo schermo un’automobile impedendole, seppur a velocità sostenuta e con sorpassi azzardati, di entrare in collisione con le altre auto.

 

Grazie a queste dotazioni, il Dipartimento di Riabilitazione del “Sacro Cuore Don Calabria” è l’unico centro nel Veneto, e uno dei pochi in Italia, ad offrire un percorso completo per la riabilitazione dell’arto superiore.

 

“La riabilitazione, seppur parziale, dell’arto superiore dopo eventi di natura neurologica (ictus, traumi cerebrali e midollari) ha sempre rappresentato una sfida enorme per i terapisti – ha proseguito il dottor Avesani – e ad oggi non c’è nulla che risolva interamente il problema. Tale difficoltà risiede nella complessità dell’organizzazione cerebrale che presiede alla programmazione dei movimenti del braccio e in particolare della mano, area che solo per estensione è il doppio di quella preposta al piede. Inoltre, solitamente viene dedicato all’esercizio riabilitativo dell’arto superiore un tempo relativamente scarso ed è molto limitata la varietà di proposte che la riabilitazione manuale può offrire. Questo percorso innovativo inserito nella riabilitazione tradizionale, il paziente usufruisce di un’ampia gamma di proposte terapeutiche calibrate sulle difficoltà personali e può beneficiare di un numero importante di ripetizioni dei movimenti. La variabilità degli esercizi e la loro ripetitività rappresentano elementi fondamentali nella teoria degli apprendimenti motori dopo i danni cerebrali”.

 

Oggi non presentiamo solo delle macchine – ha sottolineato il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale di Negrar – ma ribadiamo la mission del “Sacro Cuore Don Calabria”: il paziente al primo posto in un ospedale sempre all’altezza dei tempi, attento alla formazione degli operatori e alle innovazioni tecnologiche, come lo voleva il nostro fondatore. Solo così si posso offrire al paziente le migliori terapie”.

 

Gli apparecchi riabilitativi hanno avuto un costo complessivo di 480.308 euro sostenuto dall’ospedale di Negrar con contributo di 270mila euro da parte della Fondazione Cariverona. “Ringrazio la Fondazione Cariverona (era prevista la presenza del presidente, Alessandro Mazzucco, che non è potuto intervenire a causa di un impegno improvviso, ndr) per l’attenzione dedicata questo progetto e la per la sensibilità che da sempre dimostra riguardo ad iniziative come queste”.

“Ricerca scientifica sulle nuove tecnologie riabilitative ed applicazione clinica devono andare a pari passo per consentire il miglioramento delle cure – ha sottolineato il professor Nicola Smania, associato di Medicina Fisica e Riabilitazione all’Università di Verona -. E’ questo il senso delle importati collaborazioni che da tempo sono in atto tra l’Ateneo scaligero e la Riabilitazione di Negrar. La combinazione di varie strategie riabilitative sul paziente migliorano sia l’approccio clinico ma danno anche importanti informazioni per il progresso della ricerca scientifica e tecnologica in campo riabilitativo, nata solo pochi anni fa”.

 

Ha concluso gli interventi il presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fratel Gedovar Nazzari, che ha voluto ringraziare tutti gli operatori del Dipartimento di Riabilitazione che con la loro quotidiana dedizione incarnano lo spirito dell’Opera.

 

L’evento si è chiuso con una breve dimostrazione della grande abilità di Federico Falco nel tennis tavolo. A cimentarsi con lui anche l’amministratore delegato dell’ospedale, il dottor Piccinini


Quel "mal di cuore" che inizia prima della nascita

L’Ambulatorio di Cardiologia Pediatrica si occupa della diagnosi (anche prenatale) e del trattamento delle cardiopatie congenite, difetti cardiaci che si formano in età fetale. Nella maggior parte dei casi sono “benigni o minori”

La Cardiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal professor Enrico Barbieri, tra le sue attività comprende anche un ambulatorio di Cardiologia Pediatricatenuto due volte alla settimana dalla dottoressa Laura Lanzoni affiancata dalla dottoressa Lucia Albrigi (vedi foto dell’equipe). Si occupa della diagnosi, del trattamento e del follow up dei pazienti affetti da cardiopatie congenite dalla fase prenatale all’età adulta. Inoltre l’ambulatorio svolge attività di diagnosi per quanto riguarda i disturbi del ritmo cardiaco e dell’interessamento cardiovascolare nelle varie forme di malattie sistemiche (ad esempio coinvolgimento cardiaco da infezione reumatica o Sindrome di Kawasaki). In particolare sono e saranno sempre di più i pazienti cosiddetti GUCH (Grown Up Congenital Heart), un acronimo inglese che sta ad indicare i cardiopatici congeniti adulti, ossia i bambini nati con una cardiopatia congenita che hanno subito uno o più interventi cardiochirurgici e per questo necessitano di essere seguiti dal cardiologo pediatra. Ogni anno viene vista una media di mille pazienti.

 

E’ fondamentale diagnosticare, quando è possibile, le cardiopatie in età prenatale – sottolinea la dottoressa Lanzoni – poiché in questo modo possiamo prenderci cura del benessere psico-fisico della mamma nel restante tempo della gravidanza, ma soprattutto della salute del bambino al momento della nascita, assicurando un parto in un centro che abbia tutte le caratteristiche per trattare queste patologie, in primo luogo la Cardiochirurgia.

 

L’esame d’eccellenza per la diagnosi prenatale della cardiopatie è l‘ecocardiogramma fetale, che viene effettuato anche a Negrar. Viene eseguito dalla 17ma alla 22ma settimana di gestazione ed è indicato qualora ci sia un sospetto clinico da parte del ginecologo curante o se in famiglia sono presenti casi di cardiopatie congenite. “L’origine di queste patologie è complessa ed eterogenea, non ancora completamente conosciuta – rileva la cardiologa -. Esiste una certa familiarità (2,5-4%) e ad esempio vi sono delle patologie cardiologiche associate ad anomalie cromosomiche: nella metà dei nati con sindrome di Down può manifestarsi una cardiopatia”.

 

Le cardiopatie hanno una bassa incidenza sulla popolazione: l’8% ogni mille bambini nati. Il 30-40% di questi sono asintomatici alla nascita. “Non sono grossi numeri – sottolinea la dottoressa Lanzoni – ma sono assolutamente importanti per il neonato e per la sua qualità di vita”. Ogni cardiopatia è un caso a sé. Alcune (quelle che impediscono al bambino di respirare da solo) necessitano di un intervento cardiochirurgico alla nascita o poco tempo dopo. Per altri difetti cardiaci si preferisce attendere che il neonato abbia raggiunto un certo peso prima di intervenire. A volte un solo intervento non basta, mentre in altri casi si procede con metodiche percutanee quando il bambino è già cresciuto. La maggior parte delle cardiopatie sono però patologie “benigne o minori” che devono solo essere controllate nel tempo. Esame fondamentale per la diagnosi è l’ecocardiografia sia bi che tridimensionale ma in alcuni casi è necessaria l’integrazione con altre metodiche come ad esempio la TAC cuore.

 

L’ambulatorio di Cardiologia Pediatrica di Negrar nel corso degli anni ha sviluppato un particolare interesse nell’ambito delle problematiche aritmiche grazie alla collaborazione dell’elettrofisiologo, dottor Alessandro Costa. Infatti, con la collaborazione del reparto di Pediatria e Anestesia, si possono effettuare studi invasivi diagnostici ma anche terapeutici come ad esempio ablazione della vie anomale. Vengono anche effettuati impianti sottocute di loop recorder, dispositivi in grado di monitorare fino a tre anni il ritmo cardiaco. “Anomalie elettriche del cuore possono essere asintomatiche – sottolinea la cardiologa – ma possono manifestarsi in maniera improvvisa con aritmie rischiose per la vita”.

 

Un bambino affetto da cardiopatia o che ha subito un intervento cardiochirurgico per queste patologie può svolgere una vita come gli altri suoi coetanei? “Sicuramente – conclude la dottoressa Lanzoni – se però intendiamo con il termine vita normale andare a scuola, giocare e se sono bambine diventare mamme in età adulta. Possono fare anche sport, ma l’attività agonistica va valutata attentamente nei singoli casi”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

* L’equipe dell’ambulatorio di Cardiologia Pediatrica, con il personale infermieristico. Nella foto sono presenti da sinistra: la dottoressa Lucia Albrigi, il professor Enrico Barbieri, la dottoressa Laura Lanzoni e il dottor Alessandro Costa.


Da Negrar a Pyeongchang per assistere gli atleti azzurri alle olimpiadi

Il dottor Filippo Balestreri, in forza al Servizio di Medicina dello Sport del Sacro Cuore, è responsabile medico delle nazionali di sci nordico e pattinaggio di velocità. I “suoi” atleti in Corea, tra cui Arianna Fontana, hanno conquistato sette medaglie

Sulle dieci medaglie portate a casa dagli atleti azzurri alle recenti olimpiadi invernali di Pyeongchang, in 7 c’è anche il suo contributo. Si tratta del dottor Filippo Balestreri, in forza al Servizio di Medicina dello Sport del Sacro Cuore (diretto dal dott. Roberto Filippini), che da alcuni anni è anche il responsabile medico delle nazionali di sci nordico e di pattinaggio veloce su ghiaccio in pista lunga e corta (short track). In questa veste il dottor Balestreri ha accompagnato la spedizione azzurra in Corea del Sud, partecipando così alla sua terza olimpiade dopo Torino 2006 e Vancouver 2010.

 

Tra gli atleti seguiti da lui e dal suo gruppo di lavoro ci sono la portabandiera azzurra Arianna Fontana, vincitrice di un oro, un argento e un bronzo in pista corta, e il fondista Federico Pellegrino che ha conquistato l’argento nella gara sprint (vedi foto 1). E poi Nicola Tumolero (vedi foto 2), clamoroso bronzo nel pattinaggio su pista lunga, e gli atleti del biathlon che hanno portato altre due medaglie di bronzo.

 

“È stata una spedizione molto positiva e all’altezza delle aspettative, anche se alcune medaglie sono arrivate in modo inaspettato e altre invece sono sfumate per un soffio” dice il medico da poco rientrato da Pyeongchang, dove per tutto il tempo della competizione ha “vegliato” sulla salute dei suoi atleti.

 

Dottor Balestreri, in cosa consiste il suo lavoro al seguito della nazionale?

Nel 2003 ho cominciato da solo l’attività medica con le Federazioni. Nel tempo e con l’aiuto dei colleghi Carlo Segattini ed Eugenio Vecchini abbiamo costruito questo gruppo di lavoro che oggi conta sette componenti, tutti veronesi. Seguiamo gli atleti durante tutto l’anno. Li vediamo periodicamente nei ritiri e poi siamo con loro durante le competizioni da dicembre a marzo. Il nostro obiettivo è quello in primis di tutelare la salute e consentire l’espressione piena delle potenzialità degli atleti attraverso prevenzione e cura, partendo dall’alimentazione per finire con la traumatologia e la riabilitazione.

 

Quanti medici del suo gruppo sono venuti in Corea?

A Pyeongchang eravamo quattro medici: altre a me c’erano i colleghi Carlo Segattini, Gianmario Micheloni e Paolo Cannas. Eugenio Vecchini, Francesco Perusi e Francesco Zamboni son rimasti in Italia per l’assistenza agli atleti che non hanno partecipato ai Giochi.

 

Com’è stata l’esperienza olimpica?

Dal punto di vista sanitario direi ottima. Questi atleti si preparano per anni alla competizione olimpica ed essere in piena salute durante l’evento è fondamentale per non sprecare tutto il lavoro fatto. Per questo non sono ammesse leggerezze. A parte due infortuni incorsi a Tumolero in seguito a una caduta nel pattinaggio di velocità e a Bresadola che si è ferito al braccio nella specialità del salto con gli sci, non ci sono stati altri problemi sanitari degni di nota.

 

E dal punto di vista sportivo?

In questo evento ho visto degli impianti davvero fantastici e un’ottima organizzazione. Semmai il problema era il meteo proibitivo con tanto vento e freddo. Ma diciamo che i risultati dei nostri ragazzi ci hanno “riscaldato”.

 

A proposito di risultati, tra i suoi atleti c’è una delle regine di queste olimpiade, cioè Arianna Fontana…

Sono 2-3 anni che seguo direttamente lo short track. Devo dire che Arianna è una vera e propria macchina da guerra. Ha un fisico eccezionale e una grande forza di volontà. D’altra parte non si può stare al vertice per così tanto tempo senza queste capacità. E anche le sue compagne sono state grandi nella staffetta.

 

Anche il fondista Pellegrino ha fatto una grande prestazione.

Conosco Federico fin da ragazzo. E’ un fenomeno, un piccolo computer. Sia lui che la Fontana sono dei grandi professionisti capaci di focalizzarsi sui loro obiettivi e sui grandi appuntamenti. Ma in questa spedizione anche il biathlon e il pattinaggio in pista lunga hanno dato belle soddisfazioni.

 

Oltre a Pyeongchang, lei ha seguito gli atleti anche alle olimpiadi di Torino e Vancouver. Quali sono i suoi ricordi più belli di queste esperienze?

A livello sportivo indubbiamente ricordo l’esplosione del pattinaggio in pista lunga a Torino, con Enrico Fabris e con la staffetta che raggiunsero risultati incredibili e inaspettati. Ma ci sarebbero tante altre storie da raccontare. Anche l’impresa di Pietro Piller Cottrer che vinse l’argento nei 15 km di fondo a Vancouver fu entusiasmante. Ma al di là dei risultati, ad un’olimpiade si vive un clima particolare e bellissimo. Per gli atleti stessi è l’unica occasione di stare insieme anche tra discipline diverse: vedersi in mensa, farsi il tifo a vicenda, guardare le gare sulle televisioni sparse per tutto il villaggio. Sono momenti indimenticabili.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


La colonscopia: un esame importante di cui non avere paura

In un video il dottor Marco Benini, responsabile del Servizio di Endoscopia digestiva, spiega come si svolge la colonscopia, perché è importante farla per prevenire il tumore al colon-retto e perché non averne timore

La colonscopia è uno degli esami che suscitano più timori in chi deve sottoporvisi. Si teme la preparazione, fondamentale perché l’indagine sia accurata e meno fastidiosa possibile. E si teme che possa essere doloroso.

 

Il dottor Marco Benini, responsabile del Servizio di Endoscopia digestiva del “Sacro Cuore Don Calabria”, spiega in un video come in realtà si tratta di un’indagine che comporta limitati o inesistenti disagi all’utente. Oggi sono in commercio soluzioni per la preparazione a basso volume e l’esame viene eseguito in sedazione (vedi video).

 

Il dottor Benini spiega soprattutto l’importanza di questa metodica per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore al colon-retto. Infatti consente di esplorare in estrema sicurezza il grosso intestino, cioè il cieco, tutto il colon, il sigma e il retto attraverso lo sfintere anale.

Grazie a un tubo flessibile e molto sottile dotato di telecamera all’estremità vengono rilevate eventuali anomalie della parete o polipi che potrebbero evolversi in tumore, esportandoli anche se hanno delle discrete dimensioni.

 

Con 53mila nuove diagnosi di tumore al colon retto stimate nel 2017 in Italia (dati AIOM-AIRTUM), il tumore al colon-retto è il secondo tumore più frequente sia negli uomini sia nelle donne, dopo rispettivamente il cancro alla prostata e alla mammella. L’evolversi delle terapie mediche e chirurgiche ha portato la sopravvivenza a 5 anni al 66% per il cancro al colon e al 62% per il retto, garantendo una buona qualità di vita.

E’ raccomadabile effettuare la colonscopia ogni 5 anni a partire da 50/55 anni, prima se ci sono casi in famiglia di tumore al colon-retto o altri fattori di rischio o comportamenti anomali dell’intestino. In Italia è attivo un programma di screening indirizzato agli uomini e alle donne dai 50 ai 69 anni di età ed è costituito da un test di ricerca del sangue occulto nelle feci con ripetizione regolare ogni due anni. In caso di positività del test, il livello successivo di diagnosi è la colonscopia.

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