La bronchiolite: il virus di "stagione" che colpisce i più piccoli

E’ un’infezione ai bronchi che può affliggere i bimbi nel primo anno di vita: quando un semplice raffreddore si trasforma in difficoltà respiratoria che impedisce al bambino di alimentarsi adeguatamente, è bene rivolgersi alle cure del pediatria.
Molto spesso esordisce con un banale raffreddore, ma ben presto subentra la tosse e una certa difficoltà respiratoria che impedisce al bambino di alimentarsi adeguatamente: segnali tipici che dovrebbero indurre un genitore a rivolgersi al pediatra. Si tratta della bronchiolite, un’infezione dei bronchi, che colpisce i bimbi nel primo anno di vita, soprattutto nei mesi invernali, da novembre a marzo. “Si stima che 1-2% della popolazione dei lattanti fino a sei mesi venga ricoverata per bronchiolite. L’ospedalizzazione non è sempre necessaria: ci sono forme lievi, che possono essere trattate a domicilio, e forme più gravi, che invece richiedono il ricorso alla terapia intensiva pediatrica”, spiega il dottor Cesare Zanotto (nella Photo Gallery) della Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal dottor Antonio Deganello.
Dottor Zanotto, da cosa è provocata la bronchiolite?
E’ una malattia virale e nella metà dei casi è causata dal virus respiratorio sinciziale. Un ruolo non marginale, lo hanno anche il rinovirus, lo stesso del raffreddore, e altri virus come quelli influenzali e parainfluenzali, l’adenovirus o i metapneumovirus.
Quali sono i sintomi?
La bronchiolite inizia con i sintomi di un’infezione delle alte vie aeree, quindi con un raffreddore, seguito da tosse. Successivamente subentra la difficoltà respiratoria con tachipnea (aumento della frequenza respiratoria, ndr) e tachicardia (aumento della frequenza cardiaca, ndr). All’auscultazione polmonare, si rileva la presenza di rantoli crepitanti e un respiro sibilante (brancospasmo). Nella metà dei casi abbiamo la febbre.
Come viene trattata?
Innanzitutto con una terapia di supporto. E’ fondamentale mantenere libere le cavità nasali dalle secrezioni di muco tramite frequenti lavaggi con soluzione fisiologica e successiva aspirazione delle secrezioni. Questo fa sì che il bambino – che nei primi sei mesi di vita ha una respirazione essenzialmente nasale – inizi a respirare meglio. La pervietà delle vie aree facilita anche l’alimentazione e, quindi, soprattutto nei lattanti, l’idratazione. Consigliamo, per non affaticare il bambino, di fare pasti meno abbondanti e più frequenti. Infine la terapia di supporto deve mantenere sotto controllo, e questo lo può fare solo il pediatra, l’ossigenazione tramite la misurazione della saturazione transcutanea. Se la saturazione scende sotto il 90%-92%, il bambino deve essere ricoverato e sottoposto all’ossigenoterapia. Negli ultimi anni la somministrazione di ossigeno con cannule nasali ad alti flussi ha dato buoni risultati in termini di miglioramento o comunque di prevenzione del peggioramento del quadro clinico. Ha inoltre ridotto notevolmente la percentuale di piccoli pazienti ricoverati in terapia intensiva pediatrica”.
Per quanto riguarda i farmaci?
Il trattamento farmacologico della bronchiolite è uno dei più controversi degli ultimi 50 anni, con continui aggiornamenti delle linee guida. Si è passati dalla somministrazione per via aerosolica di salina ipertonica al 3%, la cui efficacia è però stata smentita da alcuni recenti lavori. Lo stesso è successo per il salbutamolo, per il cortisone, l’adrenalina. L’esperienza clinica insegna che di fronte a un bambino in seria difficoltà respiratoria è necessario valutare momento per momento e caso per caso le singole terapie.
Sono indicati gli antibiotici?
Essendo una malattia virale, non avrebbero nessun effetto. Tuttavia vanno impiegati in presenza di sovrainfezione batterica ( documentabile da accertamenti radiologici, ematochimici e culturali).
Quando è necessario il ricovero?
Il ricovero è indicato nei bambini con bronchiolite moderata-severa, nei casi in cui il bambino mangia meno del 50% della sua abituale quota, o ha una saturazione di ossigeno inferiore del 90%-92%; il ricovero, inoltre, è indicato per quei piccoli già affetti da patologie che potrebbero complicarsi anche con una bronchiolite lieve. Mi riferisco in particolare agli ex prematuri, ai bambini con cardiopatie congenite o fibrosi cistica, a quelli con immunodeficienza o affetti da sindrome di Down.
Come avviene la trasmissione del virus?
Attraverso la saliva di un bambino che è affetto dall’infezione, ma anche di un adulto con un raffreddore, visto che la bronchiolite è provocata dal rinovirus. Per questo raccomandiamo alle madri raffreddate di proteggersi la bocca con una mascherina e di lavarsi molto spesso le mani. Inoltre è bene non portare i bambini in ambienti affollati tra novembre e marzo e di non esporli al fumo di sigaretta. Questo sempre, ma soprattutto se sono lattanti.
Ci sono dei fattori protettivi?
L’allattamento al seno è uno di questi. Anche la supplementazione di vitamina D, nei primi mesi di vita riducendo il rischio di infezioni virali, sembra ridurre il rischio di contrarre la bronchiolite.
E’ disponibile un vaccino?
Non ancora. Sono in atto studi per un vaccino contro il virus respiratorio sinciziale, ma finora non hanno dato risultati efficaci.Contro questo virus è a disposizione invece un farmaco profilattico, l’anticorpo monoclonale Palivizumab. Anche per l’alto costo, il farmaco viene prescritto nei primi mesi di vita solo in casi selezionati. In particolare ai bambini cardiopatici o ai prematuri sotto le 32 settimane. Ai piccoli sopra le 32, solo se soggetti a rischio, cioè con fratellini che vanno all’asilo e potrebbero quindi trasmettere il contagio o che vivono in condizioni ambientali tali da favorire l’infezione. Viene somministrato per via intramuscolare una volta al mese per cinque mesi nel periodo epidemico. Il Polivizumab ha ridotto il numero di ospedalizzazioni, la durata della malattia e delle ospedalizzazioni nei casi menzionati
elena.zuppini@sacrocuore.it
La sfida della diagnosi precoce per combattere la lebbra

Domenica 28 gennaio si celebra la giornata mondiale dei malati di lebbra, patologia per la quale il Centro Malattie Tropicali è riferimento regionale. Quattro i pazienti seguiti a Negrar nel 2017, mentre nel mondo sono stati oltre 200mila i nuovi casi
La lebbra fa parte di quelle malattie che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come dimenticate. Eppure ogni anno nel mondo si verificano più di 200mila nuovi casi, concentrati soprattutto nel sud-est asiatico e in Brasile, con una percentuale molto alta di ragazzi e ragazze che vengono infettati (quasi 20mila tra i nuovi casi del 2016 avevano meno di 15 anni).
Proprio per dare maggiore visibilità a questa situazione domenica 28 gennaio si celebra la Giornata Mondiale dei malati di lebbra, organizzata da Aifo, che tocca da vicino anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Infatti il Centro per le Malattie Tropicali diretto dal professor Zeno Bisoffi è Centro Regionale Accreditato per le malattie rare, tra cui appunto la lebbra. Per questo nel 2017 a Negrar sono stati trattati 4 casi di lebbra (nel 2016 c’era stato un solo caso), numero assai significativo se consideriamo che nel 2016 i casi di lebbra su scala europea erano stati 32, di cui una decina a livello italiano.
“I pazienti seguiti a Negrar lo scorso anno erano un italiano e tre immigrati. Tutti loro avevano contratto la lebbra all’estero in zone endemiche. La cura consiste in una terapia antibiotica che dura circa un anno somministrata in regime ambulatoriale. Tuttora vediamo i malati mensilmente e seguiamo anche i loro familiari”, dice la dottoressa Anna Beltrame, infettivologa del Centro per le Malattie Tropicali, per il quale è in corso l’iter di riconoscimento come IRCSS.
L’aumento dei casi trattati ha portato ad una maggiore collaborazione con la Dermatologia dell’ospedale San Martino di Genova, che rappresenta il centro di riferimento nazionale per la diagnosi della malattia. “Mentre la gestione della lebbra è relativamente semplice ed efficace, la diagnosi risulta spesso complessa perché deriva dalla combinazione di più fattori – prosegue Beltrame – generalmente si fanno dei prelievi nei siti dove il corpo è più freddo, come i lobi, i gomiti e le ginocchia, dove si rifugia il micobatterio responsabile della malattia. Questi campioni vanno analizzati al microscopio, ma spesso per una conferma di positività è necessaria anche la biopsia su eventuali macchie della pelle sospette”.
Proprio sulla diagnosi precoce si stanno concentrando gli sforzi dei ricercatori a livello internazionale e anche il Centro di Negrar è attivo su questo fronte. In particolare è in fase di avvio la creazione di un gruppo di lavoro che comprende ricercatori di Marituba, in Amazzonia, dove l’Opera Don Calabria gestisce un ospedale e dove la lebbra è endemica, insieme ad un centro di ricerca statunitense specializzato in questo campo. L’obiettivo è mettere a punto nuovi sistemi di diagnosi precoce della malattia, in modo da individuare gli ammalati prima che sviluppino danni permanenti.
Un altro fronte di lavoro è rappresentato dalla formazione degli specialisti in Italia. “Riconoscere la lebbra non è semplice, a meno che non si trovi in una fase avanzata. Per questo è importante aumentare la conoscenza della malattia da parte di dermatologi ed infettivologi che possono trovarsi a contatto con persone a rischio, specie a seguito dell’aumento delle migrazioni. In questo modo potranno inviare tempestivamente i casi sospetti ai centri specializzati come il nostro”, conclude la dottoressa Beltrame.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Prestigiosa certificazione di qualità per l'Endoscopia digestiva

Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia digestiva ha ottenuto l’accreditamento SIED che certifica l’elevata qualità e gli standard di eccellenza raggiunti nell’erogazione delle prestazioni ai pazienti
Prestigioso riconoscimento per il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva del Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.
Nei giorni scorsi ha ottenuto l’accreditamento da parte della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED) che certifica l’elevata qualità e gli standard di eccellenza raggiunti dal Servizio di cui è responsabile il dottor Marco Benini e che afferisce alla Gastroenterologia, diretta dal dottor Paolo Bocus (nella foto di copertina con tutta l’équipe).
Le strutture accreditate in tutta Italia sono 18 tra cui Istituto Europeo di Oncologia, l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e l’Ismett di Palermo.
L’accreditamento, che è volontario, rappresenta un’ulteriore garanzia per il paziente che si rivolge al Servizio per esami, solo per citarne alcuni, come la gastroscopia, la colonscopia o la più sofisticata ecoendoscopia (video che descrive l’esame). Si tratta di un’ecografia “interna”, disponibile solo in pochi ospedali italiani, che permette di effettuare una ecografia ad alta risoluzione della parete del tubo digerente e delle strutture adiacenti ad esso, fondamentale per la diagnosi e la stadiazione dei tumori.
“Siamo molto orgogliosi della certificazione da parte di un ente autorevole e indipendente come la SIED – commenta il dottor Benini -. I criteri di valutazione per ottenere l’accreditamento sono, infatti, molto stringenti e si basano su rigidi parametri di qualità ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale.Vengono valutati gli aspetti scientifici e professionali e l’organizzazione dei processi sanitari. Nel non breve percorso che ha portato alla certificazione è stata coinvolta l’Associazione Nazionale degli Infermieri Operatori Tecniche Endoscopiche (ANOTE), che ha messo a disposizione un team di infermieri per affiancare SIED nell’iter di accreditamento sulle tematiche specifiche del loro ruolo. Il risultato è frutto del lavoro di tutti i componenti del servizio e della costante collaborazione con l’Ufficio Qualità Integrato dell’ospedale”.
Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia del “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro di eccellenza per la diagnostica precoce e la terapia delle malattie e dei tumori gastrointestinali, del pancreas e delle vie biliari. All’anno vengono eseguiti circa 8mila esami diagnostici.
Le Alte Tecnologie del "Sacro Cuore" a Innovabiomed

L’Ospedale di Negrar parteciperà all’evento nazionale dedicato all’innovazione a servizio dell’industria biomedicale che si terrà nel salone espositivo di VeronaFiere il 23 e 24 gennaio
L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar parteciperà alla prima edizione di Innovabiomed, l’evento dedicato all’innovazione a servizio dell’industria biomedicale, organizzato da Veronafiere che terrà martedì 23 e mercoledì 24 gennaio al Centro Congressi Palaexpo di Viale del Lavoro a Verona. (www.innovabiomed.it).
Nel corner dedicato, il “Sacro Cuore Don Calabria” presenterà alcune delle alte tecnologie acquisite negli ultimi anni al fine di offrire al paziente, soprattutto oncologico, ma non solo, le più innovative cure mediche.
In particolare sarà illustrata l’attività della Radioterapia Oncologica.L’Unità Operativa Complessa, diretta dal professor Filippo Alongi(Photo Gallery 1)i, si avvale di tre acceleratori lineari per il trattamento di precisione ad alta intensità di radiazione delle lesioni oncologiche con il minimo coinvolgimento dei tessuti sani. Il professor Alongi, martedì pomeriggio alle 17, terrà un workshop in cui illustrerà l’acquisizione più recente: un sistema di radiochirurgia (Hyperarc) in grado di trattare in una sola seduta, di circa 10 minuti, oltre dieci metastasi encefaliche. La Radioterapia di Negrar è stata la prima al mondo ad impiegare questo sistema, i cui risultati preliminari su una trentina di pazienti sono promettenti.
Il “Sacro Cuore Don Calabria” presenterà inoltre le tecnologie della Medicina Nucleare, diretta dal dottor Matteo Salgarello (Photo Gallery 2), l’unica nel Veneto dotata di due Pet di ultima generazione, fondamentali per la diagnosi e il monitoraggio della terapie nell’ambito oncologico, cardiologico, neurologico e ortopedico. All’interno della Medicina Nucleare è attivo il Servizio di Terapia Radiometabolica, con due stanze bunker riservate all’isolamento del paziente trattato con radiofarmaci.
Molti dei radiofarmaci (cioè farmaci con isotopi radioattivi) impiegati sono prodotti nella Radiofarmacia-Officina Radiofarmaceutica, di cui è responsabile il dottor Giancarlo Gorgoni (Photo Gallery 3). Il Servizio si avvale di uno dei Ciclotroni più potenti d’Europa per creazioni di radionuclidi. L’Ospedale di Negrar produce gratuitamente il radiofarmaco F18-FDG, il più usato nell’ambito della diagnostica oncologica, per le Medicine Nucleari del Veneto.
Endocardite: un team di specialisti per curare l'infezione

L’infezione che colpisce il cuore è una patologia grave e dalle complicanze anche mortali. Al “Sacro Cuore” un convegno sulla presa in carico multispecialistica del paziente
Sarà analizzato anche un particolare caso clinico al convegno “Endocardite: una sfida per il medico di famiglia e per lo specialista”, che si terrà sabato 20 gennaio all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, promosso dalla Cardiologia, diretta dal professor Enrico Barbieri, e dal Centro per le Malattie Tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi (programma in allegato)
Il “cold case” è quello del musicista austriaco Gustav Mahler, morto a Vienna nel 1911 a causa proprio della patologia infettiva che colpisce il cuore. Dalla morte del compositore e direttore d’orchestra è trascorso oltre un secolo, ma l’endocardite rimane una malattia insidiosa, grave e con un elevato numero di complicanze anche mortali.
“L’endocardite rappresenta tuttora un importante problema clinico e chirurgico, la cui gestione non è ancora risolta né standardizzata – spiega il professor Barbieri -. La strategia migliore di assistenza del paziente è quella multidisciplinare. Per questo abbiamo voluto la presenza all’incontro di relatori provenienti da diverse aree mediche: infettivologi, cardiologi, cardiochirurghi, microbiologi, medici nucleari e internisti provenienti dal nostro ospedale, ma anche dall’Università di Verona e di Brescia”.
Cos’è l’endocardite
L’endocardite è un’infezione a livello delle valvole del cuore (endocardite valvolare) o che, più raramente, colpisce l’endocardio (endocardite murale) cioè la sottile membrana che riveste tutte le cavità del muscolo cardiaco. Ha un’incidenza annuale di 3-8 casi ogni 100mila abitanti.
Popolazione a rischio
Le persone più a rischio di sviluppare la malattia sono i portatori di un’anomalia congenita della valvola aortica (valvola bicuspide ad esempio) o di prolasso valvolare mitralico. “Queste tipologie di alterazioni valvolari – afferma la dottoressa Laura Lanzoni della Cardiologia di Negrar – creano un flusso sanguigno turbolento che va a ‘stressare’ l’endocardio valvolare rendendolo più suscettibile ad aggressioni batteriche. Ma può ammalarsi anche chi ha subito interventi di sostituzione di valvole cardiache o per cardiopatie congenite, i soggetti immunodepressi e tossicodipendenti”. Non da ultimi i portatori di device.
“L’impianto di pacemaker sempre più sofisticati che comportano l’inserimento dentro al cuore di più elettrodi e l’uso crescente di impianto percutaneo di protesi valvolari – interviene il professor Barbieri – possono comportare un maggior rischio di infezione, in quanto sono possibile soggetto di aggressione dei batteri” .
Sintomi
La gravità della malattia è determinato anche dal ritardo con cui viene effettuata spesso la diagnosi. “La febbre e l’astenia, che sono i sintomi con aspecifici cui si manifesta sovente all’inizio la patologia – spiega l’infettivologo Andrea Angheben del Centro di Malattie tropicali di Negrar – non vengono ricondotti subito all’infezione, ma in genere solo dopo tentativi non risolutivi di terapia antibiotica e quindi il ricorso a una serie di esami specialistici. Dall’insediamento della vegetazione batterica alla diagnosi possono passare anche alcune settimane, tempo sufficiente per determinare un danno valvolare che spesso richiede, dopo la cura antibiotica, l’intervento del cardiochirurgo”.
Diagnosi
Il primo step diagnostico è l’ecocardiogramma trans-toracico, seguito, nella gran parte dei casi, da quello trans-esofageo, che viene eseguito, a differenza del primo, solo in ospedale. “Tramite l’esame ecocardiografico – spiega ancora la dottoressa Lanzoni – l’endocardite si manifesta con una massa oscillate (la vegetazione batterica) a livello delle valvole cardiache o con un ascesso, cioè una cavità con materiale purulento, a livello della valvola aortica”.
Al ruolo prioritario dell’ecocardiografia si è affiancata di recente la diagnostica nucleare (PET/CT) che offre immagini a volte dirimenti nella individuazione di ascessi, pseudoaneurismi e fistole, soprattutto in pazienti portatori di protesi valvolari, oltre che nell’identificazione di embolizzazioni ed ascessi extracardiaci.
Terapia
“La terapia antibiotica può durare dalle quattro alle oltre otto settimane – afferma il dottor Angheben -. Richiede spesso l’associazione di più farmaci somministrati in endovena il che comporta un rischio importanti effetti collaterali da monitorare. Per questo il paziente deve rimanere in ospedale spesso per tutta (o gran parte) della durata della terapia. Purtroppo non sempre gli antibiotici riescono a debellare l’infezione. A volte è necessario un intervento chirurgico per rimuovere il materiale infetto”
elena.zuppini@sacrocuore.i
Telepace e "Sacro Cuore": al via il terzo ciclo di trasmissioni

Con una puntata dedicata a “Cuore, defibrillatori e pacemaker”, prenderà il via sabato 13 gennaio il terzo ciclo de “Il medico a casa tua” che Telepace realizza in collaborazione con gli specialisti dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Da sabato 13 gennaio prenderà il via il terzo ciclo di trasmissioni “Il medico a casa tua” che Telepace Verona e Telepace Roma realizzano in collaborazione con gli specialisti dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Le trasmissioni vanno in onda sabato alle 15, e in replica sabato alle 23.35, lunedì alle 15.25 e mercoledì alle 18.30. Ogni puntata sarà disponibile sul canale YouTube del “Sacro Cuore Don Calabria”.
Aprirà il terzo ciclo di trasmissioni l’intervista al dottor Giulio Molon, responsabile del Servizio di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione, su “Cuore, pacemaker e defibrillatori“. Il dottor Alessandro Costa illustrerà dalle sale di Emodinamica i vari dispositivi e le metodiche di impianto.
Nelle trasmissioni seguenti:
Rimedi per l’alluce valgo: dottor Venanzio Iacono, responsabile della Chirurgia del piede e della caviglia e dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello Sport.
Le maculopatie: dottor Antonio Polito, oculista, e dottor Alessandro Alfano, oculista.
Tumori della pelle: dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia e dottor Roberto Forcignanò, chirurgo plastico.
Prevenire e curare il tumore al colon: dottor Giacomo Ruffo, direttore della Chirurgia Generale e dottor Marco Benini, responsabile del Servizio di Endoscopia digestiva.
Vivere con il diabete: dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di Diabetologia, e dottoressa Chiara Anselmi, dietista.
La diagnosi e la chirurgia del tumore al polmone: dottor Alberto Terzi, responsabile della Chirurgia toracica, e dottor Carlo Pomari, responsabile del Servizio di Pneumologia.
Le vene varicose: diagnosi e trattamenti: dottor Paolo Tamellini, chirurgo vascolare, e dottor Roberto Padovani, specialista in angiologia medica e diagnostica
Neurologia vince il primo premio del concorso dei presepi

Come da tradizione, si è svolto in occasione del periodo natalizio il concorso dei presepi indetto dal Cron. Ben 32 le Natività allestite all’interno della “Cittadella della Carità”: ecco le tre migliori classificate
Sono ben 32 i presepi che sono stati allestiti in occasione dello scorso Natale all’interno della Cittadella della Carità. E come da tradizione tutti hanno partecipato al concorso che ogni anno indice il Centro Ricreativo Ospedali di Negrar (CRON).
Il 6 gennaio si è riunita una giuria composta da un sacerdote, da una maestra, da un docente di disegno e da un “realizzatore” di presepi.
Ecco il loro inappellabile verdetto:
1° classificato il presepe di Neurologia
2° classificato il presepe di Chirurgia Generale
3° classificato: il presepe del terzo piano di Casa Nogarè.
Nella foto di copertina il presidente del CRON, Claudio Venturini, consegna il premio al direttore della Neurologia, dottor Claudio Bianconi, e alla coordinatrice Gloria Girelli. Nella PhotoGallery gli altri presepi saliti sul podio con accanto le foto della consegna dei premi.
Influenza: per il vaccino si è ancora in tempo

A gennaio è previsto il picco dei contagi, ma la profilassi può essere ancora utile soprattutto per le categorie a rischio. Alcune regole igieniche per non ammalarsi e cosa fare quando si è colpiti dal virus
Natale e Capodanno sotto le coperte per oltre 23mila veneti (ultimi dati disponibili) colpiti dall’influenza, che nel mese di gennaio dovrebbe raggiungere il picco di contagi. Sebbene sul filo di lana, la vaccinazione è ancora raccomandata, soprattutto per le persone che hanno più di 65 anni, quelle affette da malattie croniche e per gli operatori sanitari. Purtroppo sono ancora pochi gli italiani che si sottopongono a questa forma di profilassi, sottovalutando un’arma efficace per evitare in particolare l’insorgenza di complicanze, a volte mortali.
Già 2 milioni gli italiani colpiti
Dall’inizio della sorveglianza epidemiologica (ottobre) sono in totale 66.988 i veneti che hanno contratto il virus. Si stima che dall’inizio della stagione siano oltre 2 milioni gli italiani che hanno dovuto arrendersi a febbre, tosse, raffreddore e dolori articolari, i sintomi influenzali più comuni.
Sono questi i dati diffusi dal bollettino Influnet dell’Istituto Superiore della Sanità, secondo il quale, per ora, l’andamento dell’epidemia è paragonabile a quello che si è registrato l’anno scorso, quando furono colpiti dal virus 5 milioni di italiani.
Nel Veneto – come in tutta Italia – dal 25 al 31 dicembre la fascia di età maggiormente colpita è stata quella dei bambini da zero a 4 anni. Segue quella dei bambini e ragazzi dai 5 ai 14 anni, mentre è più contenuto il tasso di incidenza tra gli adulti e gli anziani.
Pochi anziani si vaccinano
Merito di una maggiore adesione alla campagna vaccinale degli over 65, una delle classi più a rischio di complicanze? I dati definitivi non sono ancora disponibili. Si registra tuttavia un lieve aumento negli anni degli anziani che si sottopongono al vaccino, ma non è ancora sufficiente visto che lo scorso anno gli ultrasessantacinquenni vaccinati sono stati solo il 56% degli anziani residenti in Veneto quando la soglia di copertura fissata dall’Oms per gli over 65 e le categorie a rischio è del 75% .
Ma il cattivo esempio lo danno gli operatori sanitari
La mancanza di consapevolezza dell’utilità del vaccino per la salute personale e pubblica non riguarda solo quelli di “una certa età”, visto che la scorsa stagione si sono vaccinati 774.409 veneti su una popolazione di quasi 5 milioni di abitanti. E in particolare lo scettro del cattivo esempio va proprio al personale sanitario, categoria che lo scorso anno ha raggiunto (si fa per dire) solo il 15% di adesione al vaccino.
Eppure restando sempre dentro i confini regionali dal 2010 sono stati oltre 600 i ricoveri in ospedale per influenza, con 95 decessi. Nel 2017 sono state ricoverate 101 persone con 8 decessi. Quest’anno in Veneto si registra già il primo decesso correlabile all’influenza: un uomo di 53 anni con patologie pregresse. A dimostrazione che l’influenza può non essere una banale malattia.
L’impatto economico
Anche l’impatto economico non è banale. Secondo uno studio realizzato dall’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dal titolo “Adulti Vaccinati”, solo per la vaccinazione antinfluenzale, tra giornate di lavoro che non vengono perse e minore spesa previdenziale, la vaccinazione impatta per 500 euro a persona nell’arco dell’anno. Se si riuscisse a “convincere” 900mila adulti in età lavorativa in più a vaccinarsi (rispetto ai circa 2 milioni di italiani che attualmente si vaccinano in età adulta) il sistema economico “guadagnerebbe” ben 450 milioni di euro ogni anno.
Prevenzione: vaccino e poche regole igieniche
Di motivi per vaccinarsi quindi ce ne sono molti e resta ancora del tempo per farlo, secondo gli esperti, sebbene si andrà a una progressiva diminuzione di casi nelle prossime settimane. Nel frattempo è bene cercare di prevenire il contagio per sé e gli altri applicando delle banali regole igieniche: lavarsi spesso le mani (in assenza di acqua si possono usare gel alcolici); coprirsi bocca e naso con il fazzoletto quando si starnutisce e si tossisce; non recarsi al lavoro o in luoghi frequentati quando si è influenzati; usare la mascherina se si è costretti ad andare in ospedale o dal medico nonostante l’influenza.
La cura: riposo, antipiretici e mai antibiotici L’influenza di solito si risolve spontaneamente nel giro di pochi giorni restando a riposo, assumendo bevande calde e un’alimentazione leggera. Salvo complicanze, per esempio a livello respiratorio. In quei casi è necessario rivolgersi al medico. Farmaci antipiretici e antinfiammatori attenuano i sintomi come la febbre e il “male alle ossa”. La somministrazione dei farmaci richiede particolare attenzione per i bambini, le donne in gravidanza e le persone affette da qualche patologia. Da non dimenticare mai: gli antibiotici non sono solo inutili, ma pure dannosi, perché l’influenza è causata da un virus, e contro i virus gli antibiotici non possono fare nulla, tranne nel caso di complicazioni batteriche che devono essere diagnosticate da un medico.
Farmaci per le malattie tropicali neglette: l'appello degli specialisti

Istituzioni e Centri impegnati nella cura delle malattie tropicali in Italia si sono incontrati a Verona nel congresso organizzato dall’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria. Un video raccoglie le interviste ai protagonisti dell’evento
Ora o mai più. È questo il momento di arrivare al riconoscimento, anche in Italia, dei farmaci essenziali per la cura delle malattie tropicali. Farmaci che in alcuni casi non rientrano nemmeno nel prontuario farmaceutico nazionale, pur essendo raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e nonostante siano farmaci indispensabili per la cura di patologie di importazione che negli ultimi anni sono ricomparse anche nel nostro Paese.
Il messaggio è emerso con forza durante il congresso “Ivermectin days”, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali dell’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria, diretto dal dottor Zeno Bisoffi, per affrontare il problema dell’accesso ai farmaci per le malattie tropicali neglette (vedi articolo di approfondimento).
Nel video qui sotto sono raccolte le interviste ad alcuni protagonisti dell’evento, al quale hanno partecipato tutti i principali attori coinvolti, dal Ministero della Salute all’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze, dall’OMS ai Centri che si occupano direttamente di queste patologie, dalle principali ONG in ambito sanitario alla Società Italiana di Medicina Tropicale.
Video a cura di
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Il suo nome è Piercarlo ed è un "miracolo" di Natale

Era il 26 dicembre di sette anni fa quando il bimbo arrivò in Pediatria in gravissime condizioni a causa della malaria contratta in Costa D’Avorio. Tutti gli anni ritorna a Negrar per abbracciare il sui “angeli in camice bianco”
Lui era un fagottino di due mesi e non ricorda nulla di quel terribile Santo Stefano di sette anni fa, quando arrivò a Negrar in preda alla malaria. Ma per i suoi genitori e per i medici e gli infermieri della Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal dottor Antonio Deganello, Piercarlo Bertolini rimane un “miracolo di Natale”. E come accade spesso, quando le storie hanno un lieto fine, è bello ritrovarsi periodicamente per ricordare i brutti momenti, ma anche per rinnovare la gratitudine di averli superati assieme.
Un “amarcord” che si è ripetuto anche quest’anno con la visita di Piercarlo e dei suoi genitori, Lorenzo e Cynthia, agli “angeli in camice bianco”, che il 26 dicembre del 2010 soccorsero il piccolo in gravi condizioni (nella foto di copertina Piercarlo è il bambino con la maglia gialla accanto al dottor Zavarise).
“Il bambino arrivò a mezzogiorno da Modena – racconta il dottor Zavarise -. Eravamo stati allertati dallo zio medico da cui i genitori, con i cinque figli, si erano recati per le feste natalizie. Secondo il parere del fratello di Lorenzo Bertolini (che ora vive con la famiglia negli Stati Uniti) era malaria e aveva ragione perché il piccolo accolto dal medico di guardia, la dottoressa Daniela Benini, presentava febbre molto alta, e una compromissione fisica generale: non mangiava e non beveva più. Fu il laboratorio del Centro per le Malattie Tropicali a confermare in brevissimo tempo la diagnosi“.
Piercarlo aveva contratto la malattia in Costa d’Avorio dove i genitori, funzionari della Banca Mondiale, si erano trasferiti da Washington per lavoro. “Le condizioni del bambino erano molto gravi – prosegue Zavarise – e decidemmo di trattarlo con l’Artesunato, un farmaco che in Italia (ma anche nel resto d’Europa) ancora oggi non è registrato ed è necessario acquistarlo in Cina. Grazie al Centro per le Malattie Tropicali avevamo utilizzato il farmaco per altri casi, ma mai per pazienti in così tenera età. L’alternativa è il Chinino, che però è meno efficace in caso di malaria grave e fa effetto dopo un lasso di tempo che Piercarlo non poteva permettersi“.
La scelta si dimostrò quella giusta, perché già la mattina del 27 dicembre la febbre era sparita. Una settimana dopo Piercarlo era già tornato a casa senza nessuna conseguenza (in Photo Gallery il momento delle dimissioni).
“E’ una vicenda che ricordiamo tutti con grande emozione – sottolinea il pediatra -. La storia di Piercarlo rimane un “Christmas miracle”, come ama ripetere la mamma Cynthia. I suoi genitori sono molto credenti e quel 26 dicembre chiesero le preghiere dei gruppi che frequentano la loro chiesa a Washington”.
La malaria provoca nei Paesi in cui è endemica mezzo milione di morti all’anno. In Africa è tra le prime cause di morte, soprattutto per i bambini, insieme alle infezioni del tratto respiratorio, le diarree, la tubercolosi e il morbillo. Questo dovrebbe far riflettere in un momento di acceso dibattito, non sempre razionale, sui vaccini.
“Ogni anno vediamo una decina di piccoli pazienti affetti da di malaria – dice il dottor Zavarise -. Sono bambini nati in Italia che si recano nel Paese di origine dei genitori, viaggi oggi facilitati dal costo contenuto dei voli low cost. Rispetto a qualche anno fa il numero dei casi è diminuito in quanto si sta diffondendo anche tra i migranti la cultura della profilassi. Per quanto riguarda i bambini italiani viaggiatori, abbiamo avuto un solo caso l’anno scorso“.
La malaria è una malattia infettiva, ma non contagiosa ed è causata dal parassita Plasmodium (la forma mortale è provocata dal Plasmodium falciparum). La malattia si trasmette attraverso le punture di zanzare infette della specie Anopheles, zanzare che non sono presenti in Italia, ma vivono in Africa, in America Centrale e del Sud ed in Asia. La malattia può essere trasmessa anche per via ematica (puntura accidentale di ago infetto o trasfusione) o da madre a figlio durante la gestazione.
elena. zuppini@sacrocuore.it
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