Il "Sacro Cuore" confermato dal Ministero della Salute IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali

Il Ministero della Salute ha confermato all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria il riconoscimento di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le Malattie Infettive e Tropicali, decretato il 23 maggio del 2018 e sottoposto, per legge, alla revisione ogni due anni. Continua la ricerca e la cura di altre patologie infettive e di quelle del Sud del mondo, nonostante il forte impegno scientifico e terapeutico in ambito Covid.

Prof. Pier Carlo Muzzio

L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è stato confermato dal Ministero della Salute Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico nella disciplina delle Malattie Infettive e Tropicali. Il riconoscimento di IRCCS era stato decretato il 23 maggio del 2018 ed è soggetto, per legge, alla revisione ogni due anni. La conferma era prevista entro il 2020, ma la pandemia di Covid 19 ha procrastinato le procedure di verifica dei requisiti scientifici necessari.

L’IRCCS di Negrar, il cui direttore scientifico è il professor Pier Carlo Muzzio, è uno dei 52 ospedali di eccellenza in Italia (il terzo nato nel Veneto in ordine di tempo dopo l’Istituto Oncologico Veneto e il San Camillo di Venezia) che si occupano in vari ambiti di ricerca con ricadute dirette sull’attività terapeutica.

“La conferma, oltre ad essere una grande soddisfazione, è un forte stimolo a migliorare nell’ambito delle malattie infettive e tropicali, ma anche ad allargare il riconoscimento ad altri settori di attività importanti del nostro ospedale che sono preminenti dal punto di vista scientifico” afferma il prof. Muzzio.

Prof. Zeno Bisoffi

Cuore dell’IRCCS è il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia, diretto dal professor Zeno Bisoffi.

Nato dall’esperienza trentennale del Centro per le Malattie Tropicali e Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Istituto veronese è una struttura di riferimento per la ricerca e la cura della malaria e delle altre patologie infettive legate alla mobilità umana. Inoltre si occupa delle cosiddette Malattie Tropicali Neglette, chiamate così perché trascurate dalla ricerca.

Ma è stato l’irrompere sulla scena mondiale del Covid 19 ad assorbire buona parte dell’impegno dell’IRCCS di Negrar nei primi due anni di vita. Sul fronte dell’assistenza dall’inizio della pandemia (marzo 2020) nel reparto del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali sono stati ricoverati un migliaio di pazienti, mentre il Laboratorio di Microbiologia ha processato circa 161.500 tamponi molecolari, supportando nella diagnostica il territorio dell’Ulss 9.

L’attività scientifica ha dato vita dal 2019 a 171 pubblicazioni di cui 23 sul nuovo Coronavirus. Tra queste, lo studio, pubblicato su Clinical Microbiology and Infection, relativamente all’efficacia della vaccinazione, che ha coinvolto gli oltre 2000 operatori del “Sacro Cuore Don Calabria” e ha anticipato l’indicazione del Ministero che per i guariti ha stabilito una sola dose di vaccino, se effettuata entro l’anno dall’infezione.

L’IRCCS ha fatto parte anche del trial internazionale SAVE MORE (pubblicato su Nature Medicine) sul farmaco anakinra per l’artrite reumatoide che ha dato risultati straordinari dimostrandosi capace di ridurre drasticamente il ricovero in terapia intensiva e i decessi causati dal virus SARS-COV2. Ora si attende dall’Agenzia Europea del Farmaco il via libera per inserire l’anakinra tra le terapie Covid.

 L’IRCCS dispone di una biobanca, in cui vengono conservati i campioni biologici (sangue, siero, tamponi, biopsie) residui (una volta eseguite le indagini diagnostiche) e donati dai pazienti ai fini di ricerca.

A breve sarà attivo anche un laboratorio ad alto biocontenimento per la manipolazione (ai fini di ricerca in vitro) di patogeni di classe 3 (le classi di sicurezza arrivano a 4) definiti tali per il “rischio individuale elevato” e “rischio collettivo basso/moderato”. Saranno studiati tra gli altri il micobatterio della tubercolosi, il virus SARS-CoV 2 e altri virus emergenti, il Trypanosoma cruzi (responsabile della malattia di Chagas).


Possibile svolta nella cura del Covid grave: lo studio sull'anankira ha dato ottimi risultati

Anche l’IRCCS di Negrar ha partecipato allo studio internazionale SAVE MORE sul farmaco biologico anakinra che, se somministrato precocemente, si è dimostrato capace ridurre drasticamente il ricovero in terapia intensiva e i decessi. Per ora negli ospedali non viene somministrato, perché si sta attendendo l’autorizzazione dall’Agenzia Europea del Farmaco. 

Uno studio internazionale (Grecia-Italia), a cui ha partecipato anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, apre prospettive concrete per la prevenzione dell’insufficienza respiratoria grave nei pazienti colpiti da COVID-19. Questo grazie alla somministrazione precoce del farmaco biologico anakinra, finora usato soprattutto per la cura dell’artrite reumatoide, che si è dimostrato capace ridurre drasticamente il ricovero in terapia intensiva e i decessi. I risultati del trial “SAVE MORE” – di Fase III, randomizzato e in doppio cieco – sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine e l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) ha iniziato il procedimento di valutazione per estendere le indicazioni dell’anakinra al COVID-19.

Lo studio è stato condotto su 594 pazienti ricoverati per polmonite e vede come principale investigatore Evangelos J. Giamarellos-Bourboulis, professore dell’Università Nazionale Capodistriana di Atene, che ha coordinato 37 ospedali, tra cui 8 italiani a loro volta coordinati dall’Istituto Spallanzani di Roma. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è tra i centri in Italia che ha arruolato il maggior numero di pazienti (15).

RIDUZIONE DEL 55% DI MORTALITA’ E DEL 64% DEL RISCHIO DI MORTE O NECESSITA’ DI RICOVERO IN TERAPIA INTENSIVA
Dr. Andrea Angheben

“Lo studio ha dimostrato che la somministrazione precoce dell’anakinra riduce del 55% la mortalità e del 64% il rischio di morte o la necessità di ricovero in terapia intensiva per la progressione della polmonite in insufficienza respiratoria grave valutati al 28mo giorno”, afferma il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar e responsabile locale del trial. “Mi sento di dire che sono risultati particolarmente esaltanti: pur essendo all’oscuro su chi riceveva il farmaco rispetto al placebo ho potuto constatare di persona che alcuni pazienti clinicamente destinati alla terapia intensiva mostravano un rapido ed inaspettato miglioramento a poche ore dalla somministrazione del farmaco sperimentale”.

PREVIENE LA TEMPESTA CITOCHINICA

La chiave di volta sta tutta nelle caratteristiche dell’anakinra, associate all’individuazione della “finestra di somministrazione”. “Sappiamo che i danni maggiori causati dal COVID-19 sono dovuti all’infiammazione (la “famosa tempesta citochinica”) che paradossalmente il nostro sistema immunitario provoca reagendo in maniera incontrollata al virus – spiega ancora Angheben –  L’infiammazione è un processo mediato dalle interleuchine. Infatti fin dall’esordio del COVID-19 sono nate molte ricerche su farmaci inibitori dell’infiammazione, come il tocilizumab attualmente indicato nel trattamento di COVID-19. L’anakinra va ad agire su un’interleuchina molto importante, la 1-alfa e 1-beta, bloccandola e quindi arrestando la cascata infiammatoria; con una potenza tuttavia che lo differenzia da altri farmaci simili: agisce velocemente e la durata di azione è legata al suo utilizzo con conseguente minimo impatto sulla competenza immunitaria del paziente.”.

FARMACO OLTRE CHE EFFICACE ANCHE SICURO

Una caratteristica fondamentale, quest’ultima, “perché la riduzione dell’infiammazione comporta anche la riduzione della risposta immunitaria e quindi espone il soggetto già colpito da polmonite o intubato a sovrainfezioni. Cosa che invece può accadere con altri farmaci simili, come il tocilizumab. Lo studio infatti non ha rilevato un numero maggiore di infezioni in coloro che hanno assunto il farmaco, rispetto ai pazienti nel braccio di controllo con placebo. Ci troviamo pertanto di fronte ad un farmaco oltre che efficace, anche sicuro”.

UN ELEVATO BIOMARCATORE NEL SANGUE INDICA IL MOMENTO GIUSTO PER SOMMINISTRARLO

Ma l’anakinra non avrebbe la stessa efficacia se non venisse somministrato al ‘tempo giusto’. “La clinica ci ha insegnato fin dall’inizio che l’infiammazione può essere contrastata solo somministrando tempestivamente i farmaci di cui disponevamo, in primis il cortisone. Grazie a questo studio ora sappiamo quantificare l’avverbio “tempestivamente”. In un precedente trial (SAVE), il professor Giamarellos-Bourboulis aveva dimostrato che il COVID-19 si comporta per certi versi come la sepsi nella fase avanzata, patologia di cui si occupa da tempo; in altre parole i pazienti destinati a progressione di malattia – quindi all’insufficienza respiratoria – sono coloro che nel sangue hanno un alto valore del suPAR, un biomarcatore del plasma che funge da strumento prognostico per l’attivazione immunitaria in fase precoce. Nel trial che ci ha coinvolto si è fatto tesoro di questo dato e sono stati screenati, tra Grecia e Italia, circa mille pazienti, arruolando però solo quelli destinati a peggiorare cioè quelli che presentavano il biomarcatore nel sangue con valori superiori a 6”.

Lo studio SAVE MORE è stato condotto in doppio cieco, cioè gli sperimentatori non sapevano quali fossero i pazienti che hanno assunto il farmaco (circa 400) e quali il placebo. Ad entrambi i bracci è stato somministrato lo standard terapeutico tradizionale: cortisone, eparina e supporto respiratorio.

Lo studio SAVE MORE offre anche ulteriori informazioni utili per combattere il COVID-19; il professor Giamarellos-Bourboulis sta ora studiando i sottogruppi, cioè sta valutando l’efficacia e la sicurezza del farmaco per esempio nei pazienti obesi o nelle donne piuttosto che negli uomini.


Giornata mondiale dell'Alzheimer: gli effetti sui pazienti della pandemia

La pandemia di Covid 19 porta con sé un pesante impatto sulla salute e sul benessere di tutti, ma in particolare sulle persone fragili. Tra queste i pazienti compiti da demenza. Gli effetti negativi dell’isolamento sociale su di essi rileva ancora una volta l’importanza della stimolazione cognitiva per la conservazione delle abilità residue. La riflessione del Centro disturbi cognitivi e demenze in occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer che si celebra il 21 settembre

L’impatto della pandemia è stato particolarmente gravoso per le persone con demenza anche per coloro che non si sono ammalate di Covid-19. Questo in termini di importante impatto sulla vita sociale, accentuazione dei disturbi cognitivi, ulteriore perdita dell’indipendenza funzionale e aggravamento o comparsa di disturbi comportamentali.

GLI EFFETTI DELL’ISOLAMENTO PER I PAZIENTI E I CAREGIVER

In un’indagine condotta dal gruppo di studio della Società italiana di Neurologia per le Demenze (SINdem) che ha coinvolto, a livello nazionale, quasi 5.000 caregiver (“coloro che si prendono cura del malato”) si è assistito, nelle persone affette da demenza, ad un peggioramento delle manifestazioni neuropsichiatriche (ansia, aggressività, apatia, alterazioni della personalità, disturbi dell’umore) nel circa 60% dei casi. Parallelamente, sono aumentati in modo considerevole i livelli di stress e carico assistenziale per familiari e caregiver a causa dei cambiamenti imposti dall’emergenza nelle routine quotidiane, nell’impossibilità di ricorrere a strategie per il contenimento delle manifestazioni comportamentali (come uscire per una passeggiata), nell’isolamento prolungato e nella sospensione delle attività fornite dai Servizi (per es. Centri diurni).

L’ESPERIENZA DEL NOSTRO CENTRO DISTURBI COGNITIVI E DEMENZA

Nel corso della prima ondata, anche il nostro Centro Disturbi Cognitivi e Demenze, come altri, ha dovuto sospendere o limitare fortemente le proprie attività. Sono stati posticipati appuntamenti per visite specialistiche e sospese le attività di stimolazione cognitiva ed i gruppi di supporto per familiari.

Si è cercato, tuttavia, di implementare interventi da remoto con telefonate o e-mail che hanno consentito di identificare situazioni a rischio, monitorare le condizioni cliniche delle persone con demenza, supportare le famiglie che si sono trovate da sole ad affrontare una quotidianità complicata.

Dai contatti avuti, è risultato che tale condizione di isolamento sociale e riduzione degli stimoli cognitivi, fisici e ambientali abbiano avuto un impatto importante sulla quotidianità delle persone affette da demenza. L’impossibilità di uscire di casa, avere scambi con parenti e amici, di mantenere una routine caratterizzata da stimoli familiari ha comportato lo sviluppo di problematiche emotive (come la depressione, l’apatia e l’astenia) e dei cambiamenti del comportamento (aumento dell’irritabilità e dell’aggressività, disturbi del sonno e dell’alimentazione) inficiando sul benessere psicofisico del malato e del familiare che se ne prende cura.

L’IMPORTANZA DELLA STIMOLAZIONE COGNITIVA

Appena le condizioni epidemiologiche e le disposizioni lo hanno permesso, il CDCD ha deciso di riprendere le attività di stimolazione cognitiva del progetto avviato ormai da alcuni anni dell’Officina della Memoria”, organizzando gruppi più piccoli e vigilando costantemente sul mantenimento delle misure anti-contagio. Superando i primi timori, tutti i partecipanti ai gruppi e i loro familiari hanno condiviso l’importanza di ritrovarsi di persona.

Col mese di settembre ripartiranno quindi tutti i gruppi di stimolazione cognitiva dell’ Officina della Memoria”, in due sedi, ovvero presso l’ospedale di Negrar e presso il Centro Diagnostico (Via San Marco 121) a Verona. L’attività è rivolta sia a persone con decadimento cognitivo di grado lieve-moderato, sia a individui sani, che vogliono allenare la propria mente in un’ottica “preventiva”.

Nonostante la natura neurodegenerativa della malattia, l’intervento precoce favorisce il mantenimento il più a lungo possibile della propria autonomia. Il cervello, infatti, ha a disposizione una riserva neuronale che, se opportunamente stimolata con attività fisica e cognitiva, può sopperire alla degenerazione indotta dalla malattia.

RIPRENDONO I GRUPPI PROMOSSI DAL CDCD
  • Per i pazienti

Le attività di stimolazione cognitiva di gruppo, condotte dalla dr.ssa Cristina Baroni (psicologa) si suddividono in cicli di 12 incontri settimanali, in cui, in un ambiente di condivisione e disponibilità, vengono proposti esercizi cognitivi mirati e compiti a casa.

  • Per i familiari

Per i familiari di persone affette da demenza, sono offerti dei colloqui individuali, condotti dalla dr.ssa Cecilia Delaini (psicologa e psicoterapeuta), di supporto psicologico, di implementazione delle strategie di comunicazione, di gestione dello stress derivato dall’assistenza e delle problematiche comportamentali. E’ possibile prenotare tale colloquio tramite impegnativa.

Per i parenti dei partecipanti ai gruppi, sono inoltre offerti gratuitamente 3 incontri annuali di gruppo, in cui si propone una psicoeducazione sulla demenza e sui i principali cambiamenti ad essa correlati, si forniscono strategie per la gestione delle problematiche assistenziali e si favorisce una condivisione dei vissuti emotivi e pratici dei familiari.

La difficoltà vissuta dai pazienti del nostro CDCD durante il periodo Covid-19, sottolinea quanto la socialità e la stimolazione cognitiva, ambientale e fisica influisca sul benessere psicofisico e sul rallentamento della progressione della malattia. Il nostro CDCD ci tiene a sottolineare l’importanza di favorire la creazione di un contesto stimolante per il paziente, di agire sull’ambiente familiare al fine di ridurre i conflitti e favorire l’uso di strategie di compenso. Tramite la proposta di visite ambulatoriali, di gruppi di stimolazione e di supporto per i familiari, il CDCD ha l’obiettivo di proporre un servizio di cura, sostegno e prevenzione per i suoi pazienti ed i loro caregivers.

L’équipe del Centro disturbi cognitivi e demenze


Radioterapia Oncologica: attivo per i pazienti il servizio di teleconsulto

Nei casi in cui è possibile e per agevolare i pazienti, soprattutto coloro che vengono da fuori provincia, il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata attiva un servizio di teleconsulto con il medico tramite videochiamata. Queste le modalità di prenotazione.

Il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretta dal professor Filippo Alongi, attiva per i pazienti un servizio di teleconsulto con videochiamata tramite computer, tablet o smartphone.

Per accedere al servizio (in libera professione, quindi senza ricetta medica) è necessario scrivere all’indirizzo e-mail: videovisite.radioterapia@sacrocuore.it oppure telefonare al numero 045.6014800 specificando le ragioni della richiesta.

In risposta, la segreteria del Dipartimento provvederà a guidare il paziente e a dare le indicazioni necessarie per accedere al servizio.


Covid 19, la capacità di resilienza dei pazienti oncologici: se ne parla il 24 settembre

in occasione della V Giornata Nazionale di Psico-Oncologica del 24 settembre, la Sezione del Triveneto della SIPO organizza un webinar gratuito dal titolo “Psico-oncologia e Covid 19 dall’emergenza alla resilienza”. Ecco come iscriversi

Quali sono i fattori psicosociali che hanno permesso ai ragazzi e agli adulti colpiti da tumore di affrontare la pandemia Covid 19? E’ la domanda a cui cercheranno di dare risposta – tramite il loro vissuto professionale, ma anche personale – i relatori che interverranno al webinar promosso dalla Sezione Veneto-Trentino Alto Adige della Società Italiana di Psico-Oncologia in occasione della V Giornata Nazionale SIPO in programma il prossimo 24 settembre. Per partecipare all’evento on line gratuito –  che ha inizio alle ore 15 – è necessario iscriversi tramite questo link https://www.sipovenetotrentinoaltoadige.com/eventi-in-programma. Oppure si può seguire la diretta sulle pagine Facebook degli Ordini dei Psicologi rispettivamente del Veneto, di Trento e di Bolzano. (LEGGI QUI IL PROGRAMMA)

“Credo che sia molto importante riflettere sulle risorse che hanno permesso ai malati oncologici di reggere all’impatto dell’emergenza Covid e di sviluppare una resilienza a tutto ciò che ha significato la pandemia per un soggetto già fragile per la sua patologia: paura del virus, isolamento, timore di non poter proseguire le cure per l’impegno degli ospedali sul fronte Coronavirus …”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, coordinatore Sezione Veneto-Trentino Alto Adige della Società Italiana di Psico-Oncologia e responsabile dell’Unità Operativa di Psicologia Clinica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “Individuare queste risorse significa favorire una maggiore consapevolezza di Sé e permettere alla persona di riprendere il proprio cammino, anche in situazioni difficili. Essere resiliente non significa “combattere” ma piuttosto riuscire ad essere aperti alla vita, tenendo con cura e delicatezza anche le parti che a volte vorremmo eliminare, al fine di poter rendere la nostra vita più ricca e significativa.”

Il programma del webinar prevede anche due letture magistrali. La prima, con inizio alle 15.15, vedrà come relatore il dottor Momcilo Jankovic, past president dall’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (AIEOP) e responsabile del gruppo psicosociale Clinica Pediatrica dell’Università di Milano-Bicocca, Fondazione MBBM. La seconda, che inizierà alle 16.50, sarà tenuta dal professor Paolo Gritti, past president della Società Italiana di Psico-Oncologia. I relatori tratteranno della resilienza rispettivamente nell’età evolutiva e nell’adulto.

Alla tavola rotonda delle 17.50 parteciperà anche la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica di Negrar e presidente della Fondazione Aiom e Ropi.


Test salivari: anche un progetto dell'IRCCS di Negrar conferma la loro affidabilità

Nell’ambito di un progetto di Ricerca e Innovazione in collaborazione con aziende esterne per la validazione di kit di analisi molecolare sulla saliva, dall’indagine comparata su 300 campioni  sono emersi risultati che concordavano al 90% con quelli ottenuti con il tampone naso-faringeo. Ma la sensibilità del test dipende strettamente dall’abbondanza e dall’accuratezza della raccolta salivare

Con l’inizio dell’anno scolastico, entrano ufficialmente sulla scena della diagnostica Covid i tamponi molecolari salivari, a cui il ministero della Salute ha dato il via libera per la loro efficacia, sovrapponibile a quella dei tamponi molecolari naso-faringei, che restano il gold standard per la ricerca del SARS COV2.

I tamponi saranno somministrati, su base volontaria, nelle “scuole sentinella” con l’intento di monitorare la situazione scolastica e consentire il mantenimento della didattica in presenza.

Sulla sensibilità e sulla specificità dei tamponi salivari, un’ulteriore conferma è emersa dall’analisi di circa 300 campioni di saliva raccolti già a inizio 2021 dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria fra i dipendenti, i pazienti ricoverati e i cittadini che si sono presentati all’ambulatorio dei tamponi per sorveglianza o per sintomi riconducibili all’infezione da Sars-CoV-2. Il progetto rientrava nell’attività di Ricerca e Innovazione dell’IRCCS di Negrar in collaborazione con aziende esterne per la validazione di kit di analisi molecolare sulla saliva.

Dr. Elena Pomari

“Dall’analisi comparata è emerso che i risultati sul campione di saliva concordavano al 90% con quelli ottenuti con il tampone naso-faringeo, perfettamente in linea con quanto indicato dal Ministero”, sottolinea la dottoressa Elena Pomari, biologa del Dipartimento di Malattie Infettive-Tropicali e Microbiologia.

Ma lo studio ha rilevato anche il limite del tampone salivare, la cui sensibilità dipende strettamente dall’abbondanza e dall’accuratezza della raccolta del campione, cosa che può rendere il test problematico per gli studenti più piccoli.

“Il procedimento che abbiamo adottato prevedeva che il tutto avvenisse al mattino presto, a digiuno e prima dell’igiene orale. Ma soprattutto che la deposizione della saliva in un barattolo (sterile e senza conservanti) venisse preceduta da una raccolta in bocca, in modo tale che il volume fosse di almeno 3 millilitri, più consistente del semplice sputo. Un’operazione non veloce e nemmeno semplice”.

La modalità di raccolta della saliva adottata per le scuole consiste invece in una piccola spugnetta da tenere in bocca per circa un minuto che sarà poi consegnata dall’alunno una volta arrivato a scuola.

Poiché si tratta di un test molecolare, il campione sarà processato presso un laboratorio di Biologia Molecolare e il risultato sarà disponibile entro 24/48 ore.

In caso di referto positivo, lo studente e i relativi contatti stretti saranno presi in carico dal Dipartimento di prevenzione dell’Ulss di appartenenza con il conseguente isolamento domiciliare (7 giorni per i contatti vaccinati, 10 per quelli non vaccinati). Mentre sarà il referente Covid, invece, a dare disposizioni per i contatti scolastici.

 


Sorvegliare il cuore da lontano: il controllo da remoto di pacemaker e defibrillatori

Dopo l’impianto di un pacemaker o di un defibrillatore, al momento delle dimissioni il paziente riceve un trasmettitore che, una volta a casa, dovrà essere posizionato vicino al letto. Tale strumento ogni notte si metterà in collegamento con l’impianto, scaricherà la registrazione dell’attività cardiaca della giornata e la comunicherà al Servizio di Cardiologia dell’ospedale. Il mattino dopo l’equipe guarderà la registrazione e, in caso di necessità, si metterà in contatto con il paziente.

Nel video qui sotto l’infermiere Paolo Gasparini, del Servizio di Cardiologia del Sacro Cuore, spiega nel dettaglio come funziona questo sistema di “controllo remoto” del cuore…


Vaccino anti-Covid in età pediatrica: la risposta ai dubbi più frequenti

Con l’inizio ormai imminente delle scuole, molti genitori sono alle prese con la decisione se vaccinare contro il Covid-19 il proprio figlio o la propria figlia di età compresa fra i 12 e i 18 anni. Già dal mese di maggio l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) aveva autorizzato per questa fascia di età l’uso del vaccino di Pfizer Biontech, mentre da luglio l’autorizzazione è stata estesa anche al vaccino di Moderna. Eppure molti genitori, che magari hanno aderito alla campagna vaccinale per se stessi, ora sono più dubbiosi quando si tratta di vaccinare i loro ragazzi.

Tra le domande più frequenti: questi vaccini sono stati sperimentati adeguatamente sui minori? Il vaccino può incidere negativamente sullo sviluppo futuro dei ragazzi? Quali sono gli effetti collaterali a medio e lungo termine? Perchè rischiare il vaccino se il tasso di gravità della malattia nei giovani è molto basso?

Abbiamo posto queste ed altre domande al dottor Giorgio Zavarise, medico pediatra della Pediatria del “Sacro Cuore”, con una lunga esperienza nel campo delle malattie infettive e tropicali in età pediatrica.


Il fuoco di Sant'Antonio: il ritorno con dolore del virus della varicella

L’herpes zoster, meglio conosciuto come fuoco di Sant’Antonio, può comportare non irrilevanti complicanze, come per esempio un forte dolore poco responsivo ai classici farmaci antidolororifici e che dura per mesi. Gli antivirali non sono del tutto efficaci nell’impedire l’insorgere della nevralgia. Lo sono i vaccini, soprattutto l’ultimo in commercio indicato anche per gli immunodepressi

Deve il suo nome comune all’egiziano Sant’Antonio Abate, l’eremita che sperimentò sulla sua pelle le ustioni dolorose del fuoco dello Spirito Santo. Herpes zoster, il nome scientifico della malattia, invece non ha nulla di evocativo, se non quel dolore descritto a volte come insopportabile da parte di coloro che hanno avuto a che fare con l’eruzione cutanea. E non sono pochi. Si stimano circa 200mila casi all’anno in Italia, con un’incidenza che aumenta con l’età fino ad arrivare al 10 per mille negli ultraottantenni.

Giuseppe Marasca, infettivologo dell'Irccs Sacro Cuore Don Calabria
Dr. Giuseppe Marasca

Per prevenire sia l’insorgere dell’herpes zoster sia la complicanza dolorosa, da alcuni anni la medicina dispone di due vaccini sicuri a diversa efficacia ed indicazione. Sono poco sconosciuti alla popolazione: non essendo il fuoco di Sant’Antonio un problema di sanità pubblica, non godono infatti di molta “promozione” e di conseguenza vengono poco consigliati anche a coloro che hanno un’alta probabilità di sviluppare l’herpes zoster.

Cos’è il fuoco di Sant’Antonio

L’herpes zoster (da non confondere con l’herpes simplex che colpisce le mucose di bocca, naso e genitali) è la conseguenza della riattivazione endogena del virus varicella-zoster (VVZ) che è all’origine della malattia infettiva pediatrica. In seguito alla prima infezione il VVZ rimane sotto forma latente nei gangli nervosi, manifestandosi con l’eruzione cutanea a seguito, per esempio, di un deficit immunitario.

Chi colpisce

L’età è un fattore predisponente, perché con l’avanzare degli anni viene meno la risposta anticorpale, cioè la memoria all’esposizione di antigeni virali o batterici acquisiti in gioventù. Ma anche lo stress, una patologia immunodepressiva o un’eccessiva esposizione solare possono essere causa del “Fuoco di Sant’Antonio”.

Come si manifesta

L’herpes zoster si presenta come una chiazza eritematosa localizzata nell’addome o nel tronco, più difficilmente alle braccia, o al viso. L’importante arrossamento è accompagnato da piccole vesciche bianche che possono sovrainfettarsi e hanno una durata di 4-7 giorni, poi si seccano e scompaiono, lasciando una zona di discromia, cioè di cambiamento di colore della pelle. La manifestazione visiva è accompagnata da sintomatologia dolorosa e fastidiosa, spesso da prurito.

Le complicanze

“L’eruzione cutanea di per sé non è un problema e si autolimita anche senza una terapia specifica. Il reale problema dell’herpes zoster sono le complicanze”, sottolinea il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia. “Se interessa il nervo oculare può provocare danni cheratinici fino alla perdita della vista. Mentre se coinvolge il nervo acustico, può determinare eruzioni cutanee dolorose a livello del canale acustico esterno, della membrana timpanica, associarsi a una paralisi periferica del nervo facciale, oltre a disturbi all’equilibrio (sindrome di Ramsay Hunt)”, spiega il medico. Ma la complicanza più frequente è lo stato doloroso cronico, che può comparire anche a distanza di tempo dall’insorgenza dell’herpes zoster, con una durata di mesi.

Quel dolore insopportabile

“Si tratta di una nevralgia posterpetica provocata da un’infiammazione dei nervi periferici dovuta al virus – riprende il dottor Marasca -. Gli attacchi dolorosi sono talvolta molto intensi tali da compromettere pesantemente la qualità di vita e difficilmente responsivi agli antidolorifici tradizionali, come la tachipirina o l’aspirina. Spesso si ricorre ai corticosteroidi, ma anche agli antidepressivi triciclici o gli anticonvulsivanti”.

Le terapia antivirali

Come si interviene una volta diagnosticato “il fuoco di Sant’Antonio”? “Esistono farmaci antivirali (come l’aciclovir o il valaciclovir) che devono essere somministrati entro 72 ore dall’esordio per la durata di 7 giorni – risponde – Tuttavia sebbene si rispetti rigorosamente la posologia, come deve essere fatto, la terapia farmacologica riduce la sintomatologia cutanea, ma non è detto che eviti la complicanza neuropatica. Per questo esiste il vaccino”.

I vaccini

Sul mercato attualmente sono presenti due tipi di vaccino: lo Zostavax e lo Shingrix. “Non sono da confondere con il vaccino contro la varicella, somministrato ad 1 anno di vita – precisa l’infettivologo -. Anche se questo prevenendo la malattia virale previene di conseguenza anche il fuoco di Sant’Antonio”.

Lo Zostavax, ha esordito nel 2006 e in Italia è offerto gratuitamente come previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza a coloro che hanno compiuto 65 anni e agli ultra cinquantenni affetti da diabete mellito, patologia cardiovascolare e BPCO o candidati al trattamento con terapia immunosoppressiva (per esempio antitumorale), fattori che aumentano il rischio di sviluppare HZ o ne aggravano il quadro sintomatologico.

“Lo Zostavax ha un’efficacia non ottimale (50%) nel prevenire l’insorgenza dell’herpes, ma buona nel prevenire le complicanze neuropatiche (66%). Tuttavia ha un limite: essendo un vaccino da virus vivo attenuato, non può essere somministrato alle persone immunocompromesse che, paradossalmente, sono quelle maggiormente a rischio”.

Limite superato dallo Shingrix, disponibile in Italia da circa un anno – ma è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti nel 2017 e dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) nel 2018 -. E’ composto da un antigene, la glicoproteina E (gE), un componente strutturale del virus varicella zoster (VZV). Mentre per Zostavax era sufficiente una sola somministrazione, per lo Shingrix ne sono necessarie due a distanza di 2-6 mesi. “Negli studi autorizzativi questo vaccino si è dimostrato molto più efficace dell’altro: nel prevenire l’herpes zoster (90%) e le complicanze neuropatiche (100%). Per ora in Italia è disponibile gratuitamente in alcune regioni solo ai pazienti indicati (immnodepressi)”.

 


Quando il cuore perde il ritmo: le extrasistoli

E’ una forma di aritmia molto comune e in genere non pericolosa: solo in una modesta percentuale di pazienti cardiopatici le extrasistoli potrebbero riservare delle sorprese. L’aritmologo Alessandro Costa ci spiega cosa sono, come vengono diagnosticate ed eventualmente trattate. E perché a volte dipendono dalla cattiva digestione

Dotto r Alessandro Costa, cardiologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Alessandro Costa

L’impressione è che il cuore “balbetti”, creando un malessere che costringe a un colpo di tosse con l’intento di riportare il muscolo più importante del nostro corpo al giusto ritmo. Sono le cosiddette extrasistoli, una forma di aritmia molto comune e in genere non pericolosa: solo in una modesta percentuale di pazienti cardiopatici le extrasistoli potrebbero riservare delle sorprese. L’importante è quindi capire se questa anomalia del ritmo cardiaco si innesta su un cuore oppure in un contesto di cardiopatia e agire di conseguenza, come sottolinea il dottor Alessandro Costa, aritmologo della Cardiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria.

Dottor Costa, cosa s’intende per extrasistole?

Si tratta di un battito cardiaco “prematuro”, che interrompe il normale e completo riempimento del cuore, tra un battito e quello successivo, producendo una pulsazione quasi impercettibile, descritta spesso come un “tuffo al cuore”, seguita da una pulsazione più forte (un “colpo” al centro del petto), effetto del “resettarsi” del normale battito cardiaco. Questa sequenza (battito “abortito”/battito forte) può presentarsi più volte nell’arco della giornata ed essere inavvertita o appena avvertita; non di rado, però, ciò può risultare sgradevole.

Le extrasistoli sono pericolose per la salute del cuore?

Se il muscolo cardiaco è “sano”, sia dal punto di vista “strutturale” che delle proprietà elettriche delle membrane cellulari, le extrasistoli saranno difficilmente in grado di creare problemi seri al paziente. Al contrario, in presenza di cardiopatia, sia le extrasistoli sopraventricolari (originate negli atri e ritenute per questo “innocenti”) che quelle ventricolari (originate nei ventricoli e per questo più temute) potrebbero diventare “trigger”, cioè fattori d’innesco di aritmie più complesse.  Come le tachicardie più prolungate e la “famigerata” fibrillazione atriale, per quanto riguarda le extrasistoli sovraventricolari. Oppure la tachicardia ventricolare o la temibile fibrillazione ventricolare nel caso di extrasistoli ventricolari. Quest’ultime però hanno un’ulteriore particolarità.

Quale?

Il “numero totale” di extrasistoli ventricolari nelle 24 ore non è considerato il fattore più importante per valutarne la gravità. Tuttavia, quando esse costituiscano il 20-30% dei battiti totali quotidiani (dunque, vi siano almeno 15.000 – 20.000 extrasistoli ventricolari al giorno), si può verificare un graduale deterioramento della “funzione di pompa” del cuore, tale da portare alle soglie dello scompenso cardiaco anche un paziente in buona salute.

Come vengono diagnosticate le extrasistoli e come viene valutato il loro grado di rischio?

L’iter diagnostico prevede una visita cardiologica con elettrocardiogramma (ECG).  Molto importante è un’attenta anamnesi familiare (cardiopatie o morti improvvise in famiglia) e personale. Infatti spesso le extrasistoli sono facilitate da comportamenti sbagliati (eccessivo utilizzo di sostanze eccitanti, come té, caffè, alcol, cioccolato, ma anche vita sedentaria, sovrappeso, reflusso gastroesofageo, apnee notturne…). Elemento rilevante dell’anamnesi individuale sono le “sincopi”, cioè eventuali episodi di svenimento, specialmente se non emerge una causa precisa. In assenza di una diagnosi di cardiopatia – come avviene per la maggioranza dei casi – il paziente potrà essere rassicurato e congedato con qualche consiglio comportamentale (ad es. ridurre l’uso di sostanze eccitanti…). In caso contrario, si procederà ad ulteriori accertamenti.

Quali?

L’esame più utilizzato e noto è l’EGC dinamico secondo Holter (“ECG Holter”), cioè la registrazione dell’elettrocardiogramma per 24 ore. Con questo esame viene documentata la quantità di extrasistoli di una giornata, rapportandola anche al numero totale dei battiti cardiaci. Inoltre viene valutato se le extrasistoli prevalgano nelle ore di veglia o nel sonno, durante attività fisica o riposo; se si manifestino una alla volta (isolate) o in sequenze di due, tre o più battiti (ripetitive); se intervengano a cadenze regolari (bigeminismo, trigeminismo) o meno. Altro dato importante è la loro precocità, cioè la relazione temporale tra l’extrasistole e il battito precedente (che spesso è in qualche modo all’origine dell’extrasistole stessa). Infine, l’ECG Holter ci consente di apprezzare eventuali variazioni di aspetto di alcune componenti dell’elettrocardiogramma (ad esempio, le onde T o l’intervallo QT), che potranno essere correlate all’eventuale cardiopatia di base e valutate per le possibili conseguenze.

Per poter cogliere tutte queste informazioni, è necessario che l’ECG Holter fornisca una registrazione elettrocardiografica “completa”, cioè “a 12 derivazioni”, come quella del normale tracciato ECG. I dispositivi che il “Sacro Cuore Don Calabria” fornisce ai pazienti sono proprio di questo tipo. L’analisi a 12 derivazioni permette di “mappare” con precisione, e in modo non invasivo, la sede d’origine delle extrasistoli: non solo se esse nascano negli atri o nei ventricoli, ma anche in quale parte di essi.

Può bastare l’Holter per avere un quadro diagnostico completo?

L’ECG Holter consente una valutazione squisitamente elettrica del fenomeno extrasistole. Per una valutazione morfologica e funzionale del cuore è necessario avvalersi di altri esami, per lo più ambulatoriali e non invasivi. L’Ecocardiogramma Color-Doppler, anzitutto, fornisce una grande quantità di informazioni. In casi selezionati, è oggi disponibile anche la Risonanza Magnetica Cardiaca, che dà informazioni complementari a quelle dell’Ecocardiogramma. Il Test da Sforzo al Cicloergometro è invece lo “stress-test” più semplice per valutare il comportamento delle extrasistoli durante esercizio, in condizioni controllate e in sicurezza. Possono essere talora necessari anche esami invasivi: ad esempio la Coronarografia, utile nell’ipotesi di un’origine ischemica delle aritmie, e lo studio Elettrofisiologico, che valuta la vulnerabilità del tessuto cardiaco rispetto ad aritmie più complesse (che – come si è detto – le stesse extrasistoli potrebbero innescare) e ci consente di “mappare” con estrema precisione l’origine delle extrasistoli, grazie agli elettrocateteri introdotti nelle cavità cardiache. Questi esami invasivi prevedono un breve ricovero e i pazienti vanno sempre ben informati sui possibili rischi e sul rapporto rischio / beneficio di tali accertamenti.

La terapia delle extrasistoli si limita allora ad un cambiamento degli stili di vita?

Spesso è così, specialmente in assenza di cardiopatia. Se però i sintomi risultano invalidanti, per il normale svolgimento delle attività quotidiane, si può avviare una terapia farmacologica, mirata alla riduzione delle extrasistoli. I farmaci più comunemente prescritti sono i beta-bloccanti, o alcuni calcio-antagonisti. In casi selezionati, si ricorre a veri e propri farmaci antiaritmici, dal meccanismo d’azione più complesso e di competenza esclusivamente specialistica.

Nel caso di pazienti con cardiopatia?

Nei pazienti con cardiopatia, la terapia delle extrasistoli coincide e spesso completa la terapia della patologia sottostante. Ad alcuni pazienti, molto sintomatici, cardiopatici e non, potrà essere proposto infine un tentativo di ablazione delle extrasistoli: si tratta di una terapia invasiva, che completa lo studio elettrofisiologico, volta a bonificare la zona di tessuto da cui originano le extrasistoli, attraverso una cauterizzazione che ne spegne l’attività. Per i pazienti con cardiopatia grave e prognosi severa, si dovrà comunque ipotizzare l’impianto di un Defibrillatore Cardiaco Automatico (AICD), perché non è garantito che la terapia farmacologica estingua del tutto le extrasistoli e con loro il pericolo di aritmie più gravi, anche fatali.

Perché si ritiene che le extrasistoli possano essere causate dal reflusso gastroesofageo?

Un sicuro rapporto di causa-effetto tra extrasistoli e reflusso gastro-esofageo non è mai stato provato del tutto, ma è nozione comune che la digestione difficile e il reflusso gastroesofageo possono essere trigger di extrasistoli.  In particolare, nel caso delle extrasistoli sopraventricolari, si è ipotizzato che la contiguità anatomica tra esofago e atrio cardiaco sinistro possa trasmettere al cuore l’irritazione della mucosa esofagea, dovuta al reflusso acido dallo stomaco, favorendo l’extrasistolia.

Quindi, basta un antiacido?

A volte… Ma non si deve mai fare una diagnosi frettolosa. Anche “innocenti” extrasistoli sovraventricolari potrebbero essere spia di un’ipertensione arteriosa non ben controllata, o di un’iniziale patologia delle valvole cardiache… Dunque è necessaria da parte del cardiologo massima attenzione e scrupolosità, pur consapevoli che – nella grande maggioranza dei casi – le extrasistoli sono e rimangono un sintomo benigno, senza conseguenze di rilievo.