Tutte le risposte sulle mielolesioni in un Blue Book

Anche l’eccellenza riabilitativa per le gravi mielolesioni dell’ospedale Sacro Cuore nella terza edizione del manuale-guida dedicato a tutti coloro che hanno subito gravi danni alla colonna vertebrale

La Bibbia del mieloleso. A definire così il Blue Book è Giancarlo Volpato e lui di lesioni midollari purtroppo se ne intende. Era infatti il 1993 quando entrò come protagonista nel mondo delle persone con disabilità di cui il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale.

Nel corso di una partita di rugby, a soli 20 anni, Giancarlo subì la frattura della quarta e quinta vertebra cervicale che lo rese tetraplegico, cioè completamente paralizzato dal collo in giù.

Ora è l’anima de “La Colonna”, l’Associazione Lesioni Spinali ONLUS, con sede a Mirano in provincia di Venezia, che ha pubblicato nel 1998 la prima edizione del Blue Book, appunto, un manuale con “201 risposte alla mielolesione”, come recita il sottotitolo. Nel 2005 è arrivata la seconda edizione, mentre il 2016 è l’anno della terza, realizzata anche sulla spinta dell’aumento delle visite giornaliere al sito www.lesionispinali.org per consultare la versione digitale del libro.

Il Blue Book è un corposo volume di 400 pagine, che ha tuttavia la peculiarità di essere facilmente fruibile ogni volta che si presenta la necessità, essendo stata riproposta la tradizionale formula a “domande e risposte”, divise in 19 capitoli.

Una guida che “dovrebbe essere sempre tenuta a disposizione e consultata, non solo da chi è toccato direttamente o indirettamente da una lesione midollare, ma anche da coloro che sono colpiti da traumi o da malattie neurologiche che possono provocare gli stessi effetti collaterali”, scrive Volpato nella Presentazione. A rendere ancora più comprensibili i testi sono i disegni anatomici di Ilaria Bondi.

Ad avere un ruolo di primo piano in questa ultima revisione è anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, riconosciuto a livello nazionale come centro di eccellenza per il trattamento e la riabilitazione delle mielolesioni e dei gravi esiti di trauma cranico.

Infatti uno dei due storici autori (l’altro è la dottoressa Judit Timar) è il dottor Mauro Menarini, oggi consulente fisiatra dell’Unità Spinale dell’ospedale scaligero, diretta dal dottor Giuseppe Armani.

Menarini si occupa da oltre 25 anni di riabilitazione delle mielolesioni ed ha sviluppato una particolare esperienza nel settore neurologico e nel trattamento della spasticità, maturata anche all’estero.

Dell’ospedale fondato da San Giovanni Calabria hanno collaborato anche gli infermieri Simone Bajardo e Roberto Gagliardi nella stesura della parte sulla medicazione delle piaghe da decubito ed il fisioterapista Giovanni Brunelli nell’illustrare l’utilizzo dell’esoscheletro, versatile innovazione tecnologica in riabilitazione adottato dall’ospedale di Negrar nel 2015.

Ma soprattutto la nuova edizione è arricchita dai disegni realizzati dai pazienti ricoverati negli anni presso l’Unità Spinale del “Sacro Cuore”. Sono le opere frutto della creatività di coloro che frequentano l’Atelier di Arteterapia, guidato da Charlotte Trachsel, all’interno del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione, diretto dal dottor Renato Avesani, responsabile anche dell’intero Dipartimento di Riabilitazione.

I disegni coloratissimi sono “arte”, ma soprattutto “terapia” perché, scrive Trachsel, “l’atto creativo permette alla persona di mettersi in contatto con gli aspetti più intimi e nascosti di sé, si lavora per ritrovare un equilibrio con la convinzione che lo si può ricercare in ogni situazione durante l’intero arco dell’esistenza”.

A curare la distribuzione del Blue Book è la stessa associazione “La Colonna” i cui soci si prodigano nella raccolta di fondi per l’acquisto di dispositivi medici da utilizzare nella diagnosi e cura delle lesioni midollari. Ma soprattutto da destinare alla ricerca.

Negli ultimi tempi le risorse sono state impiegate nel progetto del professor Guido Fumagalli dell’Università di Verona sulle cellule staminali neuronali contenute nelle meningi. Alla ricerca è riservata una “lettura magistrale” dello stesso Fumagalli nell’ultima parte del libro.


Tumori neuroendocrini: medici di base e specialisti per la cura del paziente

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Il ruolo fondamentale del medico di medicina generale per la presa in carico del paziente affetto da Net: se ne parla sabato 3 dicembre in un convegno all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria

L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria lancia un progetto pilota di collaborazione con i medici di medicina generale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini (NET-Neuroendocrine Tumours), una patologia neoplastica rara che conta 2-5 nuovi casi all’anno ogni 100mila persone.

Il primo incontro si terrà sabato 3 dicembre nella sala convegni Fr. Perez ed è promosso dall’Ambulatorio multispecialistico NET, coordinato dall’oncologa Stefania Gori e dal chirurgo Letizia Boninsegna.

I NET del pancreas, del tratto gastrointestinale e del polmone sono un gruppo eterogeneo di patologie sia per localizzazione sia per aggressività (benigni o maligni) che hanno origine dalle cellule del sistema neuroendocrino. A differenza di altre forme tumorali che colpiscono lo stesso organo, per esempio il pancreas, hanno ampie opportunità terapeutiche e prognosi favorevoli.

“Se adeguatamente seguiti in tutte le fasi della malattia, sono pazienti che hanno una lunga aspettativa di vita e possono godere di una buona qualità di vita. Personalmente sto seguendo persone che ho operato nel 1997 e oggi stanno bene – spiega la dottoressa Boninsegna -. Proprio per questo lungo percorso di malattia è molto importante la collaborazione dei medici di medicina generale, che devono essere e sentirsi direttamente coinvolti nella gestione del paziente. In particolare durante il follow up, sapendo riconoscere in tempo un’eventuale recrudescenza della patologia. Il nostro intento quindi è creare un filo diretto con i medici di base del Veronese, cosa che già avviene con quelli dei nostri pazienti”.

I tumori neuroendocrini raramente necessitano di chemioterapia poiché la loro caratteristica è la presenza di recettori sulla membrana cellulare “Essi sono come le serrature delle porte, indicano quale chiave usare per entrare nella cellula – spiega ancora il chirurgo – L’80-90% dei NET dispongono dei recettori della somatostatina. Farmaco che viene somministrato al paziente ogni mese nello studio del suo medico di famiglia, che ha così l’opportunità periodica, più dello specialista, di valutare lo stato di salute del paziente”.

La giornata di sabato 3 dicembre (vedi programma allegato) avrà una prima parte in cui verranno presentati dagli specialisti dell’Ambulatorio NET le modalità diagnostiche e i trattamenti dei tumori neuroendrocrini, mentre nella seconda parte sarà lasciata la parola ai medici di medicina generale che esporranno la loro esperienza nella gestione dei pazienti.

All’incontro interverranno anche la professoressa Paola Tomassetti, dell’Università di Bologna, una delle massime esperte nazionali di questa forma tumorale, e il vicepresidente nazionale dell’Associazione pazienti NetItaly, Giorgio Piffer, che porterà la voce dei malati.

L’Ambulatorio NET segue un centinaio di pazienti con circa cinque nuovi casi all’anno ed è inserito all’interno del Dipartimento Oncologico, diretto dalla dottoressa Gori. Ne fanno parte specialisti anatomopatologi, chirurghi generali e toracici, endocrinologi, diabetologi, gastroenterologi, medici nucleari, oncologi, radiologi e radiologi interventistici, e psicologi.

“Il “Sacro Cuore Don Calabria ha una caratteristica unica per la presa in carico dei pazienti colpiti da questa forma tumorale – conclude la dottoressa Boninsegna – in quanto dispone in loco di tutte le specialità e di tutta la tecnologia necessarie per la diagnosi, la terapia e il follow up richiesti da questa patologia”.

Per informazioni e iscrizioni al convegno: 045.6013208 o www.sacrocuore.it alla voce “Formazione” nel menù.


Parkinson, intervenire in rete migliora la qualità di vita dei pazienti

Sabato 26 novembre è la giornata mondiale del Parkinson. Al Sacro Cuore l’ambulatorio dedicato a questa malattia fornisce ai pazienti un’assistenza globale ponendo attenzione a tutti i sintomi, compresi quelli non motori

Un approccio multidisciplinare che permetta di trattare in modo adeguato tutti i sintomi della malattia di Parkinson, compresi quelli non motori. È questa la filosofia dell’ambulatorio per i disturbi del movimento-malattia di Parkinson dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, un servizio che segue 350 pazienti parkinsoniani in seno all’Unità Operativa di Neurologia diretta dal dottor Claudio Bianconi.

Il morbo di Parkinson, di cui sabato 26 novembre si celebra la Giornata mondiale, è una malattia neurodegenerativa che secondo le stime più recenti colpisce in Italia 230mila persone. Un numero che continua a crescere perché l’incidenza aumenta con l’età (ne è affetto l’1-2% della popolazione oltre i 60 anni, con punte fino al 3-5% sopra gli 85 anni).

Si tratta di una patologia conosciuta soprattutto per i suoi sintomi motori, quali il rallentamento dei movimenti, i tremori a riposo, la rigidità muscolare e i disturbi dell’equilibrio. In realtà ci sono molti altri sintomi non motori, forse meno noti, ma che incidono pesantemente sulla qualità di vita dei pazienti: disturbi del sonno e dell’umore, dolore, problemi urinari, perdita di capacità cognitive, disturbi del sistema nervoso vegetativo.

“Il nostro obiettivo è prenderci carico del paziente affetto dal morbo di Parkinson offrendo un’assistenza globale – spiega il dottor Domenicantonio Tropepi (vedi foto), responsabile dell’ambulatorio per i disturbi del movimento – e questo è reso possibile dall’esistenza di una rete all’interno dell’ospedale che ci permette di trattare in modo adeguato tutti i problemi connessi alla malattia”.

In particolare l’ambulatorio può contare sulla collaborazione con il Centro di Medicina del Sonno e con il Centro per il Decadimento Cognitivo, sempre all’interno dell’Unità di Neurologia. Esiste poi uno stretto rapporto con la Diagnostica per Immagini riguardo agli esami morfologici necessari per la diagnosi e la valutazione dello stadio di avanzamento della malattia; con la Medicina Nucleare per gli esami funzionali e in particolare per la scintigrafia cerebrale con dat-scan per chiarire alcune diagnosi dubbie; altre collaborazioni sono quelle con la Videourodinamica per lo studio dei disturbi urinari e con la Riabilitazione per il trattamento con la tossina botulinica in caso di distonia. Per i trattamenti nelle fasi più avanzate della malattia, invece, quando le funzionalità sono maggiormente compromesse, c’è un collegamento diretto con il centro di riferimento dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona.

In genere i pazienti giungono in ospedale per la prima visita dopo che si sono presentati i primi problemi motori.

A quel punto l’ambulatorio li accompagna nel percorso che porta alla diagnosi della malattia e poi nei vari trattamenti attraverso visite periodiche. Attualmente sia i farmaci sia i trattamenti intervengono solo sui sintomi, migliorandoli ma senza poter modificare il corso degenerativo della malattia. In prospettiva, però, non mancano i segni di speranza. “La ricerca sta facendo progressi in varie direzioni, come la diagnosi precoce e la comprensione dei meccanismi che portano alla malattia, necessari per lo sviluppo di trattamenti di tipo disease modifying, ovvero in grado di arrestare o rallentare significativamente la progressione del morbo. Sono già in corso varie sperimentazioni con la terapia a base di cellule staminali e la terapia immunizzante, una sorta di vaccinazione in grado di arrestare la malattia nelle fasi più precoci”.

Ma la sfida è anche un’altra, cioè migliorare la qualità di vita dei pazienti, che risulta assai compromessa soprattutto in coloro nei quali l’insorgenza della malattia è più precoce (nel 5% dei casi addirittura prima dei 50 anni). Una sfida che si può vincere solo con un’alleanza tra il medico e il paziente con i suoi familiari: “È fondamentale che il paziente durante le visite ci racconti tutti i suoi eventuali disturbi e non solo quelli motori – conclude il dottor Tropepi – Infatti sui sintomi motori ci sono farmaci molto efficaci che funzionano per diversi anni. Ma anche sugli altri sintomi si può intervenire con efficacia, migliorando decisamente la vita delle persone affette da Parkinson”.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.i


Gestire le emozioni nelle malattie infiammatorie dell'intestino

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L’attenzione all’aspetto psicologico accanto a quello clinico è fondamentale nella gestione di patologie croniche come il morbo di Crohn. Se ne parla il 26 novembre in un incontro scientifico al Sacro Cuore

Si parlerà di malattie infiammatorie croniche intestinali e in particolare del morbo di Crohn questo sabato 26 novembre (a partire dalle 8.30) nella sala Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (vedi programma).

 

L’incontro scientifico, promosso dal Centro multispecialistico per le malattie retto-intestinali, tratterà della diagnostica radiologica e delle strategie medico-chirurgiche di una patologia che in Italia colpisce circa 250mila persone, con riflessi importanti sulla qualità di vita dei pazienti, ma anche con rilevanti costi sociali e sanitari. “Per questo diventa fondamentale – spiega il dottor Andrea Geccherle, responsabile del Centro – che accanto all’aspetto clinico si ponga attenzione anche a quello psicologico. Infatti si tratta di patologie che possono comportare aspetti di ansia e depressione nel paziente, per le inevitabili conseguenze sulla sua vita relazionale e lavorativa, tali da influenzare anche l’adesione alla terapia”. In proposito il convegno riserverà la sessione centrale proprio a questi aspetti, durante la quale sarà presentata l’esperienza del Centro del “Sacro Cuore” .

 

Il simposio sarà anche l’occasione per un confronto tra gli specialisti del Centro di Negrar e quello dell’Irccs Humanitas di Rozzano (Milano) per condividere con loro esperienze e attività cliniche.

 

La mattinata sarà aperta dall’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, a cui seguirà una sessione sulle novità terapeutiche delle fistole perianali complesse che caratterizzano le malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Il dottor Pier Carlo Meinero, dell’ospedale di Negrar, presenterà una nuova tecnica chirurgica (VAAFT) che consente di curare e chiudere la fistola dal suo interno tramite l’impiego di uno speciale strumento ottico che viene introdotto nella fistola stessa.

 

Sul ruolo, invece, della risonanza magnetica nella diagnosi, nelle scelte terapeutiche ma anche nel controllo dell’efficacia della terapia sarà dedicata l’ultima parte del convegno in cui interverrà il dottor Gionata Fiorino dell’Humanitas.

 

Gli aspetti psicologici del morbo di Crohn e della rettocolite ulcerosa saranno trattati dalle psicologhe Irene Strada dell’Università di Milano, ed Eleonora Geccherle, del Centro di Negrar, che a gennaio avvierà la seconda edizione di un ciclo di nove incontri serali con i pazienti aderenti all’Associazione Malattie Infiammatorie Intestinali (AMICI). “Sono stati gli stessi pazienti a chiedere di realizzare e a promuovere dei momenti in cui si parlasse della malattia, ma anche dove si andasse oltre al sintomo fisico per comprendere le emozioni che esso scatena – spiega la dottoressa Geccherle -. L’obiettivo del progetto è dare un programma completo e ‘su misura’ al paziente affetto da malattia intestinale cronica che presenta frequentemente complicanze anche di tipo psicologico.Recentemente per la complessità dei casi che afferiscono al centro si è evidenziata la necessità di un inquadramento psicologico dei pazienti e un intervento di supporto nell’affrontare la condizione di malattia.” “In questi incontri – prosegue la psicologa – il compito del terapeuta è quello di fornire delle tecniche comportamentali e cognitive finalizzate a gestire l’ansia e i pensieri irrazionali legati alla malattia. L’obiettivo del gruppo, la cui metodologia è psicoeducazionale, è quello di consentire al paziente di relazionarsi efficacemente con le proprie emozioni anche nelle fasi più acute fisicamente e psicologicamente della malattia.” Accanto ad un alto tasso di soddisfazione da parte dei pazienti, a distanza di sei mesi alcuni test specifici hanno valutato, tramite un’analisi statistica, che i punteggi relativi alle componenti di ansia e depressione sono diminuiti in maniera significativa nei pazienti che hanno partecipato all’intervento.


Don Luigi Pedrollo e il geriatrico "Don Calabria"

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Un libro racconta la vita e le opere del primo successore di don Calabria nel trentennale della sua morte (1986-2016). Sotto la sua guida venne costruito l’ospedale geriatrico “Don Calabria”, completato nel 1958. Ampia galleria fotografica all’interno

Un libro che racconta la vita e l’apostolato di don Luigi Pedrollo, grande amico e collaboratore di san Giovanni Calabria, nonché suo primo successore alla guida dell’Opera da lui fondata in favore dei fanciulli poveri e abbandonati (vedi scheda biografica di don Pedrollo).

La biografia, scritta da Giuseppe Perazzolo in occasione del trentennale della morte di don Pedrollo (1986-2016), verrà presentata sabato 26 novembre alle 10.30 a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre della congregazione, in concomitanza con il 109° anniversario di fondazione dell’Opera calabriana (vedi programma della presentazione).

Proprio sotto la guida di don Luigi Pedrollo, divenuto Superiore dell’Opera nel marzo 1955, venne costruito l’ospedale geriatricodedicato a don Calabria che era morto nel dicembre 1954. La prima pietra del geriatrico venne posta il 17 giugno 1955 dopo che il Consiglio generale presieduto da don Pedrollo diede l’approvazione definitiva. Negli anni successivi il primo successore di don Calabria seguì da vicino i progressi nei lavori a Negrar (vedi foto 1), fino all’inaugurazione avvenuta il 12 settembre 1958 con la benedizione dell’allora vescovo di Verona mons. Giovanni Urbani.

Negli anni trascorsi da Superiore generale, fino al 1967, don Pedrollo dimostrò grande carisma e capacità organizzativa. In particolare fu lui ad aprire l’Opera alle missioni, nel 1959, realizzando un antico sogno di don Calabria. Fu sempre lui, inoltre, a dare nuovo impulso all’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana), ente di cooperazione internazionale che ha tuttora la sede nella Cittadella della Carità (vedi foto 2).

Fino agli ultimi anni della sua vita egli fu custode del carisma di don Calabria e fu punto di riferimento per tantissime persone che a lui si rivolgevano per un consiglio e per un orientamento spirituale. Nel raro filmato allegato in video-gallery, don Pedrollo ricorda il fondatore don Calabria in una trasmissione di Telepace del 1979 (vedi video).

Alla presentazione del 26 novembre, oltre all’autore, interverranno il vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti e il Superiore generale dell’Opera calabriana, padre Miguel Tofful.Inoltre durante la mattinata ci sarà l’intervento del prof. Gian Paolo Marchi, docente emerito dell’Università di Verona, con una relazione dal titolo: “Quando la radicalità è contagiosa: la testimonianza di don Luigi Pedrollo, primo successore di san Giovanni Calabria”. L’incontro sarà moderato dalla giornalista Maria Teresa Ferrari.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


La Cittadella della Carità vicino ai terremotati

Grazie soprattutto al dono da parte degli operatori di alcune ore lavorative, sono stati raccolti 30mila euro in favore delle popolazioni colpite dal sisma. Quando don Calabria intervenne nel Polesine alluvionato…

Anche in occasione del terremoto che ha colpito l’Italia Centrale, la generosità degli operatori della Cittadella della Carità di Negrar non si è fatta attendereGrazie in particolare alle ore lavorative donate dai dipendenti sono stati raccolti 30mila euro. Tale somma sarà consegnata alla Caritas diocesana in contatto costante con le Caritas dei luoghi terremotati, impegnate a provvedere alle necessità più urgenti della gente locale privata di tutto a causa di uno sciame sismico iniziato lo scorso 24 agosto e che continua tuttora.

Questa è solo l’ultima delle iniziative di solidarietà a cui hanno aderito i collaboratori dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di Casa Perez, di Casa Nogarè e di Casa Clero. E’ infatti una consuetudine che si ripete ogni volta che una catastrofe naturale colpisce l’Italia o altri Paesi del mondo. Inoltre nei momenti forti dell’Anno Liturgico (Avvento e Quaresima) vengono raccolte le offerte per le tante missioni dell’Opera Calabriana, in particolare per gli ospedali “gemellati” con quello di Negrar che si trovano a Marituba (Brasile) e a Luanda (Angola).

Una consuetudine con radici lontante, nell’eredità del Santo fondatoreAnche nel novembre del 1951 l’Italia venne sconvolta da un evento catastrofico: l’alluvione del Polesine le cui acque si portarono via la vita di oltre cento persone, lasciandone altre centinaia di migliaia senza una casa. In quell’occasione San Giovanni Calabria non si tirò indietro di fronte alla sofferenza di tanti italiani. Infatti aprì le porte della Casa per bambini poveri di Ferrara che aveva fondato solo nell’agosto dello stesso anno su invito dell’arcivescovo Ruggero Bovelli. Tra quelle mura ospitò per diversi mesi 150 minori sfollati, di età compresa tra i 6 e i 14 anni. Molti religiosi e novizi furono mandati dal sacerdote veronese ad aiutare chi aveva perso tutto, unendosi allo sforzo di solidarietà intrapreso da tutto il Paese.

Da allora l’Opera calabriana entrò nel cuore dei ferraresi, molti dei quali ricordano ancora oggi quell’atto di amore verso i più giovani.

(nella Gallery due foto pubblicate sulla rivista calabriana L’Amico nel 1952 e che ritraggono i ragazzi ospitati nella struttura di Ferrara)


Strabismo e bambini, bisogna intervenire per tempo

Il Sacro Cuore è uno dei pochi centri dove si pratica la chirurgia dello strabismo anche in età pediatrica. Un approccio che, in molti casi, permette di correggere questo disturbo e ridurre nel lungo termine il rischio di perdere funzionalità visiva

Lo strabismo è un disturbo della vista che riguarda il 2-4 % della popolazione. In molti casi insorge in età pediatrica, anche in bambini molto piccoli e quindi è fondamentale intervenire in modo tempestivo per correggere il problema e, in molti casi, eliminarlo.“Anche perché lo strabismo non è solo una questione estetica, ma è associato a un difetto della vista che talvolta può diventare irreversibile se non si interviene per tempo“, dice il dottor Giuliano Stramare (vedi foto), oftalmologo specializzato nel trattamento dello strabismo presso l’Unità Operativa di Oculistica del Sacro Cuore, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.

LA CHIRURGIA DELLO STRABISMO NEI BAMBINI

Il Sacro Cuore è uno dei pochi centri dove, fra i vari trattamenti possibili per curare questa patologia, è disponibile l’opzione chirurgica anche per i bambini. “La terapia chirurgica è la più indicata per risolvere alcuni tipi di strabismo e dà una prognosi migliore nel lungo termine, specialmente per la tipologia definita esotropia essenziale infantile – prosegue il dottor Stramare – Per questo, una volta effettuate le visite preliminari, è importante intervenire al più presto, talvolta anche su pazienti che hanno solo 2 anni. Si tratta di un’operazione relativamente semplice. Le difficoltà sono date più che altro dalla gestione del pre e post-operatorio, vista la giovanissima età di alcuni pazienti. Per questo non sono molti i centri attrezzati per effettuare la chirurgia dello strabismo sui bambini”.

PER I GENITORI

Cosa fare, dunque, quando si nota l’insorgere di strabismo, specialmente in un bambino? Conviene attendere o intervenire? In realtà fino all’età di 6 mesi un’eventuale leggera deviazione di un occhio rispetto al punto di fissazione non deve destare particolare allarme. Se invece questo difetto perdura dopo i 6 mesi, è bene che i genitori si attivino per fare una visita oculistica. Viceversa, in assenza di strabismo, gli oculisti consigliano di fare la prima visita intorno ai 3 anni. Diverso il discorso per alcune categorie considerate a rischio: nati prematuri, bimbi affetti da sindromi genetiche o che sono incorsi in patologie perinatali. In questi casi il monitoraggio per strabismo parte da subito.

Ad ogni modo è importante fare una valutazione e iniziare un trattamento il prima possibile. Infatti uno strabismo trascurato nel bambino, per quanto lieve, spesso è associato all’ambliopia, ovvero ovvero la perdita progressiva di capacità visiva nell’occhio che lavora meno (occhio pigro).

LA VISITA

Durante le visite iniziali sono fondamentali le valutazioni dell’oftalmologo e dell’ortottista. Sta a loro definire l’angolo di strabismo, valutare i problemi visivi ad esso associati e soprattutto stabilire il trattamento più adeguato nei tempi opportuni. “Alcuni tipi di strabismo vengono molto ridotti con la prescrizione di occhiali adeguati – prosegue Stramare – Talvolta il disturbo si risolve con la crescita (strabismo accomodativo). Ma nella maggioranza dei casi l’intervento chirurgico dà le maggiori chance di soluzione del problema”. In realtà non sempre è risolutivo il primo intervento. A volte è necessario farne più di uno perché nella crescita gli occhi possono spostarsi nuovamente. “Tuttavia anche in questo caso è preferibile fare due piccoli interventi in età pediatrica, piuttosto che attendere e intervenire solo più tardi. Questo perché nei bambini la plasticità del cervello permette all’occhio di adattarsi molto meglio ad una vista corretta dopo l’intervento”.

L’INTERVENTO SUI BAMBINI

Al Sacro Cuore vengono effettuati ogni anno poco meno di un centinaio di interventi di chirurgia dello strabismo, in grande maggioranza su pazienti in età pediatrica. Il bambino viene ricoverato in pediatria la mattina stessa dell’operazione. L’intervento viene fatto in anestesia generale e ha una durata compresa fra i 30 e i 60 minuti. Proprio la breve durata permette al paziente un recupero molto rapido dall’anestesia, tanto che il bambino operato viene dimesso già al mattino successivo. Il decorso dell’operazione è generalmente indolore e a livello farmacologico viene prescritto solo un collirio antibiotico. Generalmente non serve l’uso della benda sull’occhio operato. Dopo una settimana è possibile il ritorno del bimbo a scuola o all’asilo. I controlli post operatori si effettuano a distanza di una settimana e poi una volta al mese. Naturalmente i controlli sono fondamentali perchè il bambino è in crescita e il problema potrebbe ripresentarsi nel tempo.

Il dottor Stramare sottolinea che “per la piena riuscita dell’operazione è fondamentale la sinergia tra tutti i soggetti coinvolti: oftalmologo, ortottista, anestesista che deve avere esperienza con i bambini, lo strumentista di sala operatoria el’intero reparto pediatrico. Il gioco di squadra e la buona organizzazione sono indispensabili”.

INTERVENIRE SUGLI ADULTI

L’approccio chirurgico allo strabismo si può attuare anche nell’adulto. In questo caso l’intervento viene fatto in anestesia locale ed è importante che il paziente mantenga il tono muscolare dell’occhio durante l’operazione, in modo che il chirurgo possa esercitare un controllo intraoperatorio e riposizionare correttamente l’occhio. Nell’adulto la prognosi dopo l’intervento è meno favorevole che nel bambino, perché spesso l’occhio su cui si interviene ha già perso nel tempo parte della propria funzionalità. Inoltre negli adulti c’è il rischio di diplopia, cioè il “vederci doppio” dovuto al fatto che il cervello non è più in grado di eliminare l’immagine proveniente dall’occhio deviato.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


"Il conte è morto": la straordinaria storia di Francesco Perez

Un video racconta la vita di questo grande personaggio che aiutò don Calabria nella fondazione della sua Opera. A lui oggi sono dedicati la sala convegni e una residenza socio-sanitaria all’interno della Cittadella della Carità

Chi era Francesco Perez? Come aveva conosciuto don Calabria? Perché alla figura del Perez sono dedicati alcuni ambienti all’interno della Cittadella della Carità di Negrar?

Quella del conte Francesco Perez è una storia senza tempo. Un uomo nobile, ricco e stimato, che all’inizio del Novecento vende tutti i suoi molti averi per seguire don Calabria nell’assistenza agli ammalati e ai fanciulli abbandonati. È il 1909 e da quel momento fratel Perez diventa povero tra i poveri. E sarà sempre un pilastro dell’Opera fondata da don Calabria fino alla morte nel 1937 (vedi video sulla vita di Francesco Perez).

 

Oggi a lui sono dedicati due importanti ambienti nella Cittadella della Carità. Si tratta della Sala Convegni “Francesco Perez” e della “Casa Perez”, una struttura socio-sanitaria che comprende una Casa di riposo per persone non autosufficienti con problemi sociali e psichiatrici cronici (con 85 posti letto) e una Residenza sanitaria assistenziale per persone con problemi sociali e psichiatrici che richiedono un alto impegno sanitario (24 posti letto).

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Vaccini: tra evidenze scientifiche e grandi leggende

Ai vaccini si deve l’estinzione o il controllo di malattie che solo pochi anni fa mietevano morti e menomazioni. Eppure in Italia è in pericolosa diminuzione la copertura vaccinale. Perché tanta paura? Rispondono il pediatra, l’infettivologo e la geriatra

Hanno cambiato con gli antibiotici i destini dell’umanità, eppure sui vaccini è calata una coltre di diffidenza. Il Veneto (dove dal 2008 è stato sospeso l’obbligo) è passato in pochi anni da una copertura vaccinale del 98% ad appena il 91% (in Italia la media è del 93.4%). Percentuale al di sotto di quel 95% che garantisce la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè la situazione che si verifica quando la vaccinazione di una parte significativa della popolazione tutela anche coloro che, a causa di particolari patologie, non possono sottoporsi al vaccino. Se la soglia di copertura dovesse diminuire fino all’85% o meno alcune malattie come la polio, il tetano e la difterite, di cui da anni non si registrano o si registrano solo pochi casi in Italia, ritornerebbero anche nel nostro Paese. La diffidenza non colpisce solo i vaccini che vengono somministrati nei primi anni di vita. Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale (avviata in questi giorni sul territorio nazionale) la copertura in Veneto nella passata stagione ha interessato solo il 14,6% della popolazione.

 

Ma perché i vaccini fanno così paura?

 

Il pediatra

“Poiché molte malattie infettive per cui si moriva un tempo non ci sono più, il timore che provocavano si è spostato sulle complicanze da vaccino, dimenticando che a sconfiggere quelle malattie è stata proprio la vaccinazione di massa avviata tra gli anni Cinquanta e Sessanta”, afferma il dottor Antonio Deganello (foto 1), direttore dell’Unità Operativa di Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”.

Complicanze, sottolinea ancora il medico, che “non si possono negare. Ma se noi andiamo ad analizzare i dati della Regione Veneto negli ultimi 20 anni sono stati somministrati circa 29milioni e 200mila vaccini. Alla luce di questi numeri si sono verificate 400 complicanze, di cui circa 80 locali (cioè ascessi). Le altre consistono in shock anafilattici (che si sono risolti immediatamente in quanto si consiglia di restare in sala d’aspetto per 15-20 minuti dopo la somministrazione del vaccino) e purtroppo in problemi neurologici”.

Sono proprio gli effetti collaterali a danno del sistema neurologico che suscitano i maggiori timori. Come la millantata correlazione tra il vaccino contro il morbillo (patologia infettiva che può provocare anche polmoniti ed encefaliti letali) e l’autismo. “Non vi è nessuna evidenza scientifica che attesti una correlazione tra questo tipo di vaccino e l’autismo – chiarisce il dottor Deganello -. Lo studio di Jeremy Wakefild che voleva provarla si è dimostrato un falso scientifico e il dottore è stato radiato dall’Ordine dei medici britannico. La correlazione è stata negata anche dalla Cassazione italiana nel 2002 nell’ambito di un procedimento di risarcimento”.

 

Molti studi scientifici hanno poi dimostrato l’inesistente legame tra il mercurio, contenuto fino al 2002 in alcuni tipi di vaccino, e l’autismo.

“E’ dimostrato scientificamente che i benefici introdotti dai vaccini sono enormemente più rilevanti delle complicanze legate ad essi – conclude il pediatra -. Come medico sono favorevole a tutti i vaccini in particolare a quelli che proteggono da malattie molto gravi come la polio, il tetano, la difterite, il morbillo, la meningite, di cui solo qualche anno fa vedevamo anche qui a Negrar due casi al mese. Se per mantenere una copertura vaccinale efficace fosse necessario rintrodurre l’obbligatorietà, torniamo ad essa”.

 

L’infettivologo

“Negli ultimi decenni vi è stato un cambiamento epocale in sanità – afferma il dottor Andrea Angheben (foto 2), medico infettivologo del Centro per le Malattie Tropicali di Negrar -. Si è passati da un concetto di salute che privilegiava l’aspetto comunitario a un concetto che invece pone l’accento solo sul singolo, anche se questo può avere ripercussioni sulla comunità. Il sempre più diffuso timore per i vaccini è l’esempio emblematico di questo passaggio”.

Secondo il medico, “il vaccino va considerato come un farmaco, nell’accezione che comunemente diamo a questo termine. Come è assurdo essere contrari ai farmaci in senso generale solo perché possono avere degli effetti collaterali, è altrettanto superficiale dichiararsi contrari a tutti i vaccini. Perché ci sono vaccini e vaccini. Alcuni possono avere degli avventi avversi banali, altri più significativi pur nell’estrema rarità”.

Non dimentichiamo poi che alcuni vaccini hanno cambiato i destini dell’umanità come quello contro il tetano, la polio o la difterite, “per i quali io sono per l’obbligatorietà, come nel caso del vaccino per l’epatite B. La vaccinazione contro quest’ultima malattia è stata introdotta negli anni Ottanta e oggi abbiamo alcune generazioni immuni al virus così come alcune categorie (per esempio gli operatori sanitari) a cui è offerta la vaccinazione per il rischio professionale. Arrivando a una copertura vaccinale elevata – prosegue il dottor Angheben – otterremo la scomparsa di questo virus che è una delle cause del carcinoma epatico. Noi del Centro per la Malattie Tropicali non di rado ci troviamo a curare ragazzi africani colpiti da tumore al fegato dovuto all’epatite B, contratta per contatto sessuale o più frequentemente per trasmissione materno-fetale”.

Quello contro l’epatite B è inserito in Veneto tra i vaccini “raccomandabili” (ex obbligatori) assieme all’antipolio, l’antitetanica e l’antidifterite. Mentre la Regione ha posto tra i consigliati i vaccini contro la pertosse, l’Haemophilus influenzae B, il morbillo, la parotite, la rosolia, la varicella, il meningococco C e lo pneumococco.

“Non obbligherei tout court una mamma a sottoporre il suo bambino ad una vaccinazione come ad esempio quella contro il morbillo – sottolinea l’infettivologo – ma le farei comprendere però che suo figlio avrà meno probabilità di essere infettato dal virus, perché tante altre madri hanno accettato di far vaccinare i loro figli. Dobbiamo capire che oltre alla protezione di noi stessi, qualcosa dobbiamo dare anche alla comunità…”.

E sulla diffidenza contro i vaccini il dottor Angheben aggiunge: “Purtroppo si sta accreditando una visione complottista che vedrebbe un accordo tra gli operatori e i dirigenti del “Sistema salute” e le multinazionali farmaceutiche per l’organizzazione di remunerative campagne vaccinali, a scapito della sicurezza del cittadino. Visione subito smentita – conclude – se si approfondisce l’argomento perché c’è piena conformità tra i programmi vaccinali delle Regioni e le evidenze accumulate da decenni nella letteratura scientifica”.

 

La geriatra

Un vaccino che viene sottovalutato riguardo alla sua efficacia è quello contro l’influenza. In base al Piano sanitario nazionale e al Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014, l’obiettivo è il raggiungimento di una copertura vaccinale della popolazione anziana del 75%. In Veneto nella stagione 2015-2016 è stata del 54% , una percentuale simile alla stagione precedente, con un calo progressivo a partire dal 2010-2011 dove il tasso era del 68,9%.

“Non hanno di certo aiutato le notizie nel 2014 di presunti decessi dovuti al vaccino. Morti per le quali non è stata mai provata una correlazione diretta con il vaccino stesso – spiega la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità operativa di Geriatriadell’ospedale calabriano (foto 3) -. È inevitabile che nell’ambito di una popolazione anziana si verifichino dei decessi, il vaccino non c’entra”.

Molti non hanno fiducia in questa pratica preventiva, “perché dopo la somministrazione a volte subentra una piccola sindrome influenzale, che può durare anche tre giorni. Ecco allora la classica frase: ‘Prima del vaccino stavo bene’. Ma quella insorta è una condizione ben definita, breve e sopportabile, non paragonabile all’influenza vera e propria che può sfociare in complicanze a volte gravi”.

In Veneto dalla stagione 2009-2010 a quella 2015-2016 si sono verificati complessivamente 87 decessi, 124 casi gravi e 502 ricoveri in ospedale riconducibili all’influenza. A rischio sono soprattutto “gli anziani con comorbilità, importanti malattie cardiache, respiratorie e quelli affetti da diabete, in particolare se vivono a contatto con i bambini o frequentano luoghi affollati. Ma è una vaccinazione necessaria anche per i bambini e gli adulti con qualche patologia e le donne gravide (www.salute.gov.it)”. Il vaccino è anche raccomandato a tutti coloro che lavorano in strutture sanitarie, per evitare di trasmettere il virus ai malati e garantire la presenza sul posto di lavoro in caso di epidemia. Ma resta una raccomandazione poco ascoltata…

“Tutti gli anziani dovrebbero vaccinarsi e farlo al più presto – conclude la dottoressa Turcato – e dovrebbe richiedere al medico di base anche la vaccinazione antipneumococcica contro la polmonite che si deve effettuare ogni cinque anni. Mai vaccinarsi quando è in atto una patologia acuta, anche un banale raffreddore o poche linee di febbre”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale dell'ictus: lo Stroke Center del "Sacro Cuore"

Il 29 ottobre è dedicato alla grave patologia dell’ictus. Lo Stroke Center di Negrar è un’organizzazione intraospedaliera per la presa in carico tempestiva ed adeguata del paziente, ma si occupa anche di prevenzione

Il 29 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’ictus, che colpisce solo in Italia 200mila persone all’anno, 9mila nel Veneto.Terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, l’ictus rimane la maggior causa di disabilità: su circa 1 milione di persone sopravvissute all’evento acuto, il 30%, sempre nel nostro Paese, presenta una qualità di vita gravemente compromessa che incide, anche economicamente, sulle famiglie e sulla comunità.

 

Lo Stroke Center del Sacro Cuore

Nel 2001 l’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria ha creato lo Stroke Center, un’organizzazione pluridisciplinare dedicata al trattamento dei pazienti colpiti da ischemia cerebrale. Grazie al coordinamento tra i reparti di Neurologia, Terapia Intensiva, Medicina e Geriatria – dove sono stati riservati letti dedicati – il Pronto Soccorso, la Radiologia, il Laboratorio analisi, la Cardiologia e la Chirurgia vascolare il paziente viene preso in carico fino alla riabilitazione con un approccio tempestivo ed adeguato. Secondo un protocollo che prevede l’esame Tac entro 20 minuti dall’arrivo del paziente al Pronto Soccorso. In presenza di indicazioni, viene poi eseguita la trombolisi, conclusa la quale il paziente viene ricoverato in Terapia Intensiva. Se non ci sono indicazioni per la somministrazione del farmaco la destinazione del paziente è la Neurologia o un reparto di area internistica. Lo Stroke Center, che tratta ogni anno 200 pazienti, è molto attivo anche sul fronte della prevenzione dell’evento ischemico, grazie a una stretta collaborazione con la Cardiologia per la diagnosi e la terapia della fibrillazione atriale, una delle principali cause dell’ictus.

 

Lo stroke

Ma cos’è l’ictus? “Si tratta di un danno vascolare che si ripercuote sul cervello – spiega il neurologo Alessandro Adami, responsabile scientifico dello Stroke Center – La causa è spesso riconducibile a un trombo, che nel 30-40% dei casi si forma nel cuore per embolizzare in seguito nel cervello, provocando l’arresto improvviso della circolazione sanguigna e creando, di conseguenza, gravi danni nel tessuto cerebrale interessato. Nei restanti casi, l’origine non è determinata. Questi sono pazienti che hanno un’alta percentuale di recidiva, ma sui quali si sta focalizzando la ricerca farmacologica, in quanto l’Aspirina non sembra più sufficiente”.

 

La terapia

Ad oggi la terapia d’elezione per ridurre i danni dello stroke resta la trombolisi sistemica, un trattamento farmacologico somministrato per via endovenosa che ha lo scopo di sciogliere l’embolo. In Veneto si pratica solo nel centri di primo e secondo livello attivi 24 ore su 24, tra cui quello di Negrar. “L’arco temporale ideale nel quale intervenire con la trombolisi è entro le quattro ore e mezza dall’intervento – sottolinea il dottor Adami -. Per questo è fondamentale che già al Pronto Soccorso sia presente personale sanitario preparato a formulare una prima diagnosi, caratteristica questa di uno Stroke Center“. Quando la trombolisi non è indicata, il paziente viene sottoposto a una terapia di sostegno e in casi selezionati alla trombectomia, cioè all’inserimento di un catetere nell’arteria cerebrale interessata al fine di eliminare “meccanicamente” il trombo. Una procedura praticata in Italia a “macchia di leopardo”, che è stata al centro della tavola rotonda del II Convegno neurovascolare del Garda per la prevenzione del cardioembolismo cerebrale, organizzato a Desenzano, il 14 ottobre, dallo stesso dottor Adami e dal dottor Giorgio Silvestrelli, direttore della Stroke Unit del “Carlo Poma” di Mantova. Un confronto tra tre differenti regioni, anche dal punto di vista della configurazione territoriale (Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige), da cui è emerso che il trattamento dell’ictus richiede una risposta specialistica e organizzativa che non può non rientrare nella programmazione sanitaria delle Regioni.

 

La prevenzione

L’ictus non è sempre un evento ineluttabile. Una delle cause principali è la fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco nella maggior parte dei casi purtroppo asintomatico. “Nei pazienti anziani con ipertensione arteriosa, diabete o insufficienza cardiaca la fibrillazione atriale provoca all’interno del cuore coaguli di sangue che possono essere causa di ictus cerebrali”, spiega il dottor Guido Canali, responsabile del Servizio di Emodinamica del “Sacro Cuore Don Calabria”. Per evitarlo si ricorre alla somministrazione di anticoagulanti, ma non sempre è possibile per la presenza di controindicazioni. “In questi casi procediamo con la chiusura dell’auricola sinistra, quella parte del cuore in cui si forma il 90% dei trombi. Il follow up dei pazienti trattati dimostra che l’intervento è una valida alternativa ai farmaci anticoagulanti“. Dal 2012 l’équipe formata dal dottor Canali, dalla cardiologa Laura Lanzoni e dal dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, hanno eseguito 60 interventi, numeri che fanno di Negrar uno dei centri leader in Italia. La stessa équipe è stata chiamata nelle scorse settimane a tenere un corso regionale organizzato dal Centro di simulazione Practice che ha sede nell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. “La parte finale del corso si è tenuta a Negrar, dove i partecipanti hanno assistito alla procedura su due pazienti – conclude il dottor Canali -. Si tratta di un intervento in anestesia generale e sotto controllo ecocardiografico trans esofageo. Con la puntura di una vena dell’inguine attraverso il sistema venoso si arriva nell’atrio destro e quindi, mediante puntura transettale, cioè praticando un piccolo foro a livello del setto interatriale, viene posizionata un dispositivo occlusore nell’auricola sinistra“.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it