Venerdì 24 marzo si celebra la Giornata mondiale per la lotta alla tubercolosi che ancora oggi miete quasi due milioni di vittime all’anno. Una malattia contro la quale è impegnato in prima linea anche il Centro per le Malattie Tropicali di Negrar

Esiste un rischio che la tubercolosi torni a diffondersi in Italia dopo oltre 60 anni in cui la sua incidenza è costantemente calata? Quali sono i legami tra questa malattia e l’aumento dei migranti che percorrono la rotta del Mediterraneo? E ancora: sono giustificati gli allarmismi che di tanto in tanto rimbalzano sui media per la scoperta di qualche nuovo caso di TB? L’occasione per fare il punto della situazione è la giornata mondiale contro questa malattia, che si celebra venerdì 24 marzo.

 

La tubercolosi è tuttora considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come uno dei “big killer”, ovvero una delle malattie che fanno più vittime al mondo. Secondo le stime dell’OMS, nel 2015 più di dieci milioni di persone si sono ammalate, mentre quasi due milioni sono morte di TB, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in Asia e Africa. In Italia i dati parlano di 3700 nuovi casi notificati, vale a dire una media di dieci al giorno, con oltre 350 decessi. Alcuni casi di tubercolosi sono trattati anche al Sacro Cuore presso il Centro per le Malattie Tropicali, dove nel 2016 ci sono stati 38 ricoveri per questa patologia.

 

“L’Italia è fra i Paesi a più bassa incidenza di TB, con circa 5 casi ogni 100mila abitanti – dice la dottoressa Paola Rodari (vedi foto), medico infettivologo e ricercatrice presso il CMT, diretto dal dottor Zeno Bisoffi – Le diagnosi di TB sono equamente distribuite tra i migranti e gli italiani. Nel primo caso si tratta di persone che hanno contratto l’infezione nel loro Paese di origine e che sviluppano la malattia da noi, anche a causa dello sradicamento sociale a cui sono sottoposte; tra gli italiani si ammalano soprattutto gli anziani, che sono entrati in contatto con i micobatteri quando erano giovani e ora sviluppano la malattia perché le difese immunitarie tendono ad indebolirsi con l’avanzare dell’età”.

 

Le possibilità che la tubercolosi possa diffondersi di pari passo con l’aumento dei migranti sono invece considerate molto basse. “La TB può interessare qualsiasi organo, ma è contagiosa solo se sono colpiti i polmoni – prosegue Rodari – tuttavia, anche in questo caso, il contagio può avvenire solo a seguito di un contatto stretto con una persona malata, come condividere una stanza non ventilata per almeno 8 ore. Tra l’altro già negli scorsi anni sono stati pubblicati in Europa degli studi che dimostrano che i ceppi di micobatteri che causano la malattia nella popolazione locale sono diversi da quelli dei migranti, a conferma del fatto che spesso la paura di alcune malattie non ha un fondamento logico”.

 

In realtà solo il 10% delle persone che contraggono l’infezione tubercolare sviluppano la malattia attiva nel corso della vita. Il restante 90% non ha nessun sintomo e non è contagioso. In entrambi i casi, infezione latente o malattia attiva, risulta comunque fondamentale una diagnosi precoce, in quanto esistono trattamenti che permettono di curare e tenere sotto controllo la TB. Per questo si dovrebbe attuare una politica di screening capillare sulla popolazione a rischio, a cominciare dai migranti richiedenti asilo, che al loro arrivo in Italia vengono sottoposti a controlli nelle strutture specializzate tra le quali anche il Sacro Cuore.

 

Qualora ad un paziente venga diagnosticata la malattia attiva a localizzazione polmonare, si procede al ricovero in regime di isolamento. In tal senso il reparto di Malattie Tropicali del Sacro Cuore, da poco rinnovato, dispone di 7 stanze doppie a medio isolamento e due stanze singole ad alto isolamento per un totale di 16 posti letto. L’isolamento respiratorio è garantito dalla pressione controllata nelle stanze: in sostanza la pressione all’interno è negativa (ovvero più bassa nella stanza del paziente rispetto ai locali adiacenti) impedendo così all’agente patogeno di diffondersi all’esterno della stanza stessa. Inoltre ogni stanza è dotata di un’anticamera-filtro che separa l’esterno dall’accesso al locale. Anche le porte sono controllate elettronicamente (vedi presentazione del nuovo reparto).

 

“La terapia nella fase acuta della malattia consiste in un cocktail di quattro farmaci somministrati per due mesi. In seguito la cura prosegue per almeno quattro mesi con due farmaci. Per contro, l’infezione latente viene individuata con un esame del sangue: in questo caso la terapia consiste in un solo farmaco e permette di prevenire il successivo sviluppo della malattia”, aggiunge la dottoressa Rodari.

 

Allargando lo sguardo al problema TB a livello mondiale, nel 2015 l’OMS ha varato il piano “End TB”, che viene rilanciato anche in occasione della giornata mondiale di quest’anno. Tale piano si pone l’obiettivo di diminuire del 95% i decessi e del 90% il numero di ammalati entro il 2035. Risultati che l’OMS vuole raggiungere principalmente garantendo l’accesso alla diagnosi e alla cura per milioni di persone nei Paesi poveri. Non a caso la tubercolosi è considerata una malattia strettamente legata alla povertà, perché diversamente sarebbe stata già sconfitta grazie all’efficacia delle cure disponibili.

matteo.cavejari@sacrocuore.it