Le infezioni da germi resistenti agli antibiotici è un vero problema di salute pubblica, coinvolge le strutture sanitarie, ma anche ognuno di noi nel corretto uso di questi farmaci

Dagli scienziati e da chi si occupa di politiche sanitarie l’insorgenza di infezioni causate da germi resistenti agli antibiotici viene definita la sfida mondiale dei prossimi anni, anche se esse sono già responsabili di decine di migliaia di decessi in Europa.

 

Alla scoperta degli antibiotici l’umanità deve la sconfitta di molte infezioni altrimenti letali, ma oggi la medicina si trova in molti casi di fronte all’inefficacia di questi farmaci nel debellare infezioni provocate dagli stessi germi che invece solo alcuni anni fa riusciva a sconfiggere. Un dato su tutti: in Italia il 25% degli stafilococchi aurei – responsabili della maggior parte delle infezioni della pelle e dei tessuti molli e trasmissibili tramite contatto – è multiresistente.

 

“Significa che in questi casi per curare le infezioni da stafilococco aureo non possiamo più limitarci a prescrivere i vecchi antibiotici per via orale, siamo bensì costretti a ricorrere ad antibiotici che, il più delle volte, possono essere assunti solo per via endovenosa, costringendo i pazienti a un ricovero ospedaliero. Addirittura alcuni germi gram negativi hanno sviluppato una tale resistenza multipla da renderci disarmati rispetto alle conseguenze delle infezioni da essi causate”, sottolinea l’infettivologo, Giuseppe Marasca (Photo Gallery).

 

Dottor Marasca, come si è sviluppata l’antibiotico-resistenza?

I batteri sono microrganismi e, cosa che li accomuna a tutti gli esseri viventi, hanno come obiettivo ultimo quello di sopravvivere. Pertanto negli anni hanno sviluppato meccanismi di resistenza contro gli antibiotici, in particolare nella loro composizione cellulare sono comparsi degli enzimi in grado di digerire gli antibiotici stessi. E di renderli inefficaci.

 

E’ già quantificabile questo problema?

Nel novembre dello scorso anno, i ricercatori dell’European Center for Disease Prevention and Control, un’agenzia dell’Unione Europea con sede a Stoccolma, guidati da Alessandro Cassini, hanno pubblicato su Lancet Infectious Diseases uno studio sull’impatto delle infezioni causate da germi resistenti nella popolazione europea. In base ai dati disponibili del 2015, è emerso che sono state 700mila le infezioni di questo tipo di cui 500mila legate alla pratica sanitaria. Non solo: i decessi attribuibili a queste infezioni sono stati 30mila e ben 10mila di questi si sono verificati in Italia. Siamo difronte a numeri impressionanti: le patologie da germi multiresistenti nel nostro Paese provocano più morti degli incidenti stradali! Ma c’è un altro dato da prendere in considerazione: il cosiddetto DALY (Disability-Adjusted Life Years), l’indice di misura della gravità di una malattia, espressa come numero complessivo di anni persi per disabilità. Per le infezioni da germi multiresistenti l’indice di gravità per l’Italia è pari a 440 DALYs per 100.000 abitanti, contro una media europea di 131 DALYs per 100.000.

 

Cosa si sta facendo in Italia per invertire la rotta?

Nel novembre 2017 il ministero della Salute ha redatto il Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico resistenza (PNCAR), tradotto poi anche in programmi regionali, in cui vengono stabiliti degli obiettivi per affrontare e contrastare il problema. Il Piano agisce su sei ambiti d’intervento: sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni, uso corretto degli antibiotici, formazione dei medici, comunicazione e informazione, ricerca ed innovazione. Per l’uso corretto degli antibiotici il Piano indica, tra l’altro, che tutti gli ospedali si dotino di un programma di stewardship antimicrobica, guidato, ove possibile, da un infettivologo con il sostegno attivo del farmacologo clinico, del microbiologo, della direzione sanitaria. Anche il nostro ospedale si sta rapidamente muovendo in questa direzione e grazie alle strutture del nostro IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali di concerto con l’Istituto di Malattie Infettive dell’Università di Verona, sarà a breve dotato del SANE (Stewardship Antimicrobica Negrar). Dall’inizio di gennaio ho iniziato il mio servizio a Negrar anche per aiutare a realizzare questo ambizioso progetto.

 


Quello della diffusione delle infezioni da germi multiresistenti è un problema che riguarda esclusivamente le strutture sanitarie?

No, anche se il numero maggiore di infezioni si sviluppa in questi ambiti perché è soprattutto negli ospedali o nelle lungodegenze che gli antibiotici vengono utilizzati, non sempre in modo ottimale, ed è in questi luoghi che si diffondono più facilmente le infezioni. Non potrà esserci una buona stewardship antimicrobica senza che si rafforzi contestualmente il controllo delle infezioni. Mettere in atto cioè tutte quelle misure e procedure atte ad evitare il diffondersi delle infezioni. Noi sappiamo che il 40% delle infezioni in ospedale potrebbe essere evitato semplicemente se gli operatori sanitari procedessero a lavarsi le mani ogni volta che iniziano ad assistere un nuovo paziente. Nel caso di pazienti colonizzati da germi multi resistenti, l’utilizzo di procedure di isolamento da contatto, per esempio usando camici e guanti a perdere ogni volta che si passa da un paziente all’altro, è in grado di abbattere l’incidenza di nuove infezioni. La stewardship si esercita anche e soprattutto tramite l’uso razionale degli antibiotici, condividendo il loro impiego tramite l’adozione di protocolli diagnostico-terapeutici, somministrando l’antibiotico soltanto per il tempo strettamente necessario, evitando di utilizzare “profilassi” per periodi prolungati, oltre l’indicazione delle linee guida.

 

L’assunzione non corretta degli antibiotici è un errore comune. Non c’è casa in cui non esista un armadietto dei farmaci con un antibiotico per le emergenze…

L’automedicazione con antibiotici è un’abitudine senza dubbio da disincentivare, non solo perché dannosa per il singolo, ma perché va ad alimentare anch’essa il fenomeno dei batteri multiresistenti.

 

Quali sono i punti di un uso corretto?

L’antibiotico va assunto solo quando serve, quindi quando è in atto un’infezione batterica e non virale, qual è per esempio l’influenza. Deve sempre essere prescritto dal medico e rispettato il dosaggio per il tempo necessario a debellare l’infezione. Una posologia fai da te, riducendo la dose e i giorni previsti di assunzione, significa non garantire nel sangue una quantità di farmaco sufficiente perché sia efficace. Facendo così si rischia che molti batteri siano eliminati, ma nello stesso tempo che altri continuino a prosperare e a sviluppare resistenze. D’altro canto se si aumenta il periodo di assunzione si va ad impattare sulla flora batterica dell’intestino che ha anche una funzione immunologica.

 

Quanto gli antibiotici nell’alimentazione degli animali che poi finiscono sulla nostra tavola influisce sull’antibiotico-resistenza?

Su 100 chili di antibiotico prodotto, si stima che tra 50 e 90 chilogrammi vengano impiegati nell’allevamento degli animali da carne, in quanto ne favoriscono la crescita. Ancorché tale pratica sia stata proibita nella UE, essa viene ancora utilizzata in moltissimi Paesi, anche nella itticoltura. Non esistono studi che dimostrino con certezza una correlazione tra le infezioni antibiotico-resistenti nell’uomo e la carne che noi mangiamo. Tuttavia si fa verso un concetto olistico di One-Health, che affronta il problema della antibiotico-resistenza a 360 gradi considerando anche il problema degli animali da allevamento. Tanto che il PNCAR comprende anche un parte veterinaria.

elena.zuppini@sacrocuore.it