La dottoressa Gaia Masini, medico chirurgo, spiega i campanelli d’allarme che fanno pensare ad un’appendicite e descrive come si procede, in caso di necessità, al trattamento chirurgico in laparoscopia oppure a cielo aperto.

Dolore addominale, vomito, febbre, inappetenza, alterazioni dell’alvo. Sono tutti campanelli di allarme di una sospetta appendicopatia o appendicite, ovvero l’infiammazione dell’appendice cecale. Una condizione patologica molto comune, che si manifesta frequentemente nei giovani. Quando si presenta, la soluzione è l’intervento chirurgico, che richiede nei casi più semplici un paio di giorni di ricovero ospedaliero. Diversamente se il quadro clinico è più complicato: nel caso di appendicite perforata o peritonite l’intervento diventa più complesso e il ricovero può essere più prolungato.

Dottoressa Gaia Masini, chirurgia generale dell'Irccs Ospedale Sacro Cuore Don CalabriaNe parliamo con la dottoressa Gaia Masini, medico chirurgo della Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo (vedi foto). “Nella nostra struttura gli interventi di appendicectomia sono dai 2 ai 3 a settimana, a cui si aggiungono le sospette appendicopatie, per le quali veniamo chiamati in consulenza chirurgica dal Pronto Soccorso o da altri reparti, ma che poi si rivelano gastroenteriti o un mal di pancia di altra origine”, spiega.

Dottoressa Masini, che cosa s’intende per appendicopatia o appendicite?

L’appendicopatia o appendicite è un’infiammazione dell’appendice cecale, una piccola struttura tubulare, a fondo cieco, che si trova nella parte iniziale del colon destro, il ceco. L’appendice è formata in buona parte da tessuto linfonoide, la cui caratteristica è di essere composto da cellule del nostro sistema immunitario: proprio per questa sua particolare composizione, questo organo è più soggetto ad infiammazione, in particolare nei soggetti più giovani il cui sistema immunitario è più reattivo.

Quali sono le cause dell’infiammazione? Può influire l’alimentazione?

Non esiste una sola causa. A volte l’infiammazione è dovuta alla presenza di un coprolita (una piccola formazione solida di feci) che va ad ostruire la parte iniziale dell’appendice, determinando una proliferazione di batteri e quindi favorendo l’infiammazione locale. In questo caso l’alimentazione e la motilità intestinale potrebbero avere un ruolo, nel senso che la stipsi facilita la formazione di coproliti.

Con quali esami viene diagnosticata un’appendicite?

Si eseguono esami del sangue che mostrino lo stato dell’infiammazione, come ad esempio un emocromo per quantificare i globuli bianchi e una PCR,  proteina C reattiva, prodotta dal fegato e rilasciata nel sangue quando è presente un’infiammazione acuta. Inoltre è indicata l’esecuzione di un’ecografia dell’addome o, nei casi più dubbi o complicati, di una TC addome con mdc. Tutti questi esami sono importanti per effettuare la diagnosi, ma è la clinica a fare la differenza. E per clinica intendo i sintomi tipici dell’appendicite riscontrati all’esame obiettivo del paziente: un dolore che insorge in zona epigastrica e che migra in fossa iliaca destra, la dolorabilità alla palpazione dei punti appendicolari, come ad esempio il punto di Mc Burney (situato sulla linea che unisce l’ombelico alla spina iliaca anteriore superiore), l’inappetenza, il vomito o la febbre sono tutti segni di una probabile appendicite acuta.

Perché è importante intervenire tempestivamente?

L’infiammazione può causare la perforazione dell’appendicite e provocare una peritonite localizzata o diffusa, conseguente al versamento nella cavità addominale di liquido intestinale e quindi di batteri. Quando è in atto una peritonite il dolore è diffuso sull’intero addome, che alla palpazione risulta rigido e non trattabile, il cosiddetto “addome a tavola”.

L’intervento chirurgico avviene in laparoscopia?

Generalmente la laparoscopia è la prima scelta, ma è condizionata in primo luogo dall’età del paziente e dal quadro di gravità dell’appendicite, che può essere confermato solo dopo aver introdotto la telecamera nell’addome.

Se il paziente è un bambino piccolo, di età e soprattutto di “dimensioni”, si preferisce un approccio open. L’intervento può poi essere invece convertito da laparoscopico a cielo aperto se siamo in presenza di un’appendice perforata o di una peritonite: in questi casi può inoltre essere necessario allargare la resezione, che dovrà interessare tutta la parte “malata” nelle vicinanze dell’appendice. La peritonite poi richiede il lavaggio dell’addome e il posizionamento di drenaggi, per consentire l’evacuazione di eventuale versamento residuo.