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Tutti i luoghi comuni sull’endometriosi, la malattia ginecologica che colpisce in Italia circa 3 milioni donne. Un congresso organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni mette in evidenza quanto le false credenze influiscano anche su la cura della malattia

Anche l’endometriosi, la patologia ginecologica che in Italia colpisce 3 milioni di donne, è vittima di fake news. Si tratta di luoghi comuni che diventano spesso un ostacolo nella cura della malattia, tanto sono radicati nelle pazienti e alcune volte portati avanti dagli stessi ginecologi.

 

Si parlerà di questo nel corso del congresso “Nuove strategie terapeutiche, stili e qualità della vita della donna: un approccio armonico alla paziente con endometriosi”, in programma sabato 8 giugno nella Sala Congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar (vedi allegato). L‘incontro scientifico è organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, U.O.C di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Centro di riferimento della Regione Veneto per la cura dell’endometriosi. Il congresso è rivolto a medici di medicina generale e a ginecologi, per fare il punto su alcuni aspetti della malattia – dall’epidemiologia alla diagnosi fino agli stili di vita – su cui persistono errate convinzioni o mancate conoscenze. Facciamo chiarezza con il dottor Marcello Ceccaroni.

 

Mestruazioni dolorose? Le aveva anche la nonna

“E’ un retaggio culturale che ancora adesso persiste a causa del quale molte donne non vengono curate o curate in ritardo – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si dimentica però che le nostre nonne a vent’anni avevano già un figlio o forse due e diventavano madri più volte nella vita. Queste gravidanze, che si succedevano anche a breve distanza l’una dall’altra, erano di per sé una terapia contro l’endometriosi, perché sospendendo il ciclo per ben oltre un anno – anche durante l’allattamento – contribuivano a far regredire la malattia, quindi i sintomi. Oggi la situazione è molto diversa: per molteplici ragioni sociali la donna inizia a cercare una gravidanza intorno a 35 anni. Il che vuol dire che, dalla comparsa della prima mestruazione fino a quell’età, queste donne, nella convinzione che il dolore è ‘naturale’, non si sono mai curate e scoprono la malattia solo perché non riescono a concepire un bambino. Un dato significativo: la mediana dell’età delle donne che operiamo nel nostro Centro è di 38 anni; il 41% ha oltre 40 anni, ma il range va dai 16 ai 58 anni, ben oltre la menopausa. Infatti l’endometriosi quando non viene curata crea dei danni anatomici all’intestino, alla vescica, all’uretere che devono essere risolti chirurgicamente”.

 

Se non si vede la cisti sull’ovaio, non c’è endometriosi

“Purtroppo questa convinzione riguarda i ginecologi. Nonostante oggi sappiamo molto di questa malattia, la diagnosi arriva in media dopo 7 anni durante i quali le pazienti sono vittime di un triste peregrinare da un medico all’altro con la vita devastata dal dolore. Uno degli interventi del convegno, a cura del dottor Luca Savelli dell’Università di Bologna, sarà quello di evidenziare quali sono i segni individuabili con l’ecografia tansvaginale che indicano la presenza di endometriosi al di là della semplice cisti ovarica. Spesso la malattia è così profondamente radicata nel tessuto che la si trova solo cercandola”.

 

 

L’endometriosi è causa di sterilità

“E’ la falsa convinzione a causa della quale molte ragazze giovani con la diagnosi di cisti all’ovaio vengono sottoposte a interventi inutili. Infatti è sterile solo il 25% delle donne affette da endometriosi. La malattia è sì un fattore di rischio di sterilità, perché può deformare o chiudere le tube e se non curata con la terapia ormonale libera delle sostanze che riducono gli ovociti in quantità e in qualità. Ma è un fattore di rischio ben più alto sottoporre la paziente a ripetuti interventi non risolutivi in quanto limitati a togliere le cisti senza andare in profondità. Interventi che causano un impoverimento dell’ovaio, rendendo più difficile il concepimento“.

 

La chirurgia è l’unica soluzione

“Non è vero. La chirurgia è la ‘scialuppa di salvataggio’ sui cui salire solo quando è strettamente necessaria e al momento giusto. Noi vantiamo una casistica di interventi tra le più alte a livello internazionale, ma questo è dovuto al fatto che, essendo il nostro un Centro di terzo livello, accedono dai noi casi estremamente gravi, magari reduci da decine di operazioni chirurgiche inutili e non risolutive. Le pazienti che si rivolgono a noi hanno subito in media quattro interventi, ma il range va da 0 a 20. Questo non significa – precisa il ginecologo- che la malattia si è ripresentata 20 volte, in quanto il tasso di recidiva dopo un intervento radicale è dell’8%. Significa invece che sono state operate fino a 20 volte in maniera non accurata e spesso inutilmente.

 

La terapia ormonale fa più danni che benefici

Altra falsa credenza. Soprattutto per quanto riguarda le pazienti più giovani, sono molto spesso più indicati la terapia ormonale e un follow-up periodico. Oggi abbiamo a disposizione estro-progestinici (la cosiddetta pillola) e progestinici molto efficaci nel bloccare la formazione di tessuto endometriosico e quindi in grado di attenuare la sintomatologia dolorosa. Possono essere assunti fino al momento in cui, alla luce della stabilità della malattia, la donna decide di intraprendere una gravidanza e ripresi dopo il parto e l’allattamento. Se il bambino non arriva, allora si può pensare di rivolgersi ad un Centro Fertilità o di intraprendere la strada chirurgica. E’ bene sapere che anche se si ricorre alla chirurgia è necessario assumere la pillola, perché la donna ha sempre un utero (spesso con adenomiosi) e un ciclo e quindi è a rischio di recidiva.

 

Con la chirurgia e/o la pillola risolvo il problema

“Falso: la pillola come la chirurgia non risolve da sola la malattia, ma, come verrà sottolineato durante alcuni interventi nel corso del congresso, è importante accompagnarla con l’assunzione di integratori e uno stile di vita sano, fatto di diete anti-infiammatorie e di attività fisica. I principi attivi naturali contenuti negli integratori hanno l’obiettivo di ridurre la liberazione di sostanze chimiche (le citochine) all’origine dell’infiammazione, del dolore addominale, muscolare e articolare, della fatica cronica, della febbricola di cui soffrono le donne colpite dalla malattia. Lo stesso per quanto riguarda la corretta alimentazione e l’attività fisica costante. La patologia resta, ma i sintomi vengono tenuti sottocontrollo come accade per qualsiasi malattia cronica”.

 

L’endometriosi causa il cancro all’ovaio

Non è stato provato nessun nesso causale tra l’endometriosi e il cancro all’ovaio, anche se lo stato infiammatorio causato dalla malattia fa sì che le donne affette da endometriosi abbiano un rischio doppio di sviluppare questa malattia. Tuttavia siamo di fronte a un tumore che è poco frequente e colpisce in Italia solo 4mila donne, pertanto il ‘rischio cancro’ non è una ragione indicativa per operare. Anche perché se alcuni studi comprovano questo rischio aumentato, altri associano all’endometriosi forme tumorali ovariche meno aggressive e diagnosticate precocemente, perché la donna si sottopone spesso a controlli dovuti alla malattia”.

 

Un aiuto psicologico? Io non ne ho bisogno

“Le pazienti affette da endometriosi sono protagoniste di storie travagliate, fatte non di rado di diagnosi tardive, di chirurgie multiple, di dolori invalidanti che non vengono creduti, di difficoltà a rimanere incinta, di rapporti sentimentali se non matrimoni che si spezzano, di problematiche lavorative dovute alle numerose assenze. E’ impensabile che tutta questa sofferenza protratta per anni non incida sulla psiche della persona. Per questo è importante che la paziente sia invitata a sostenere un percorso di terapia psicologica e assumere, se è necessario e su indicazione dello psichiatra, il farmaco più adatto. Una paziente con un sostegno psicologico è più collaborante nel cambiare stili di vita, a fare attività fisica e assumere la terapia ormonale”.

 

No assolutamente alla soia

Sarà il dottor Agostino Grassi, nutrizionista di fama internazionale e cultore della dieta mediterranea, ad informare e confutare durante il convegno alcuni luoghi comuni che persistono sul tema alimentazione ed endometriosi. Uno di questi riguarda la soia, dalla quale le pazienti si tengono lontane perché in qualche modo aumenterebbe la malattia. Questa imprecisione è dovuta al fatto che la soia contiene fitoestrogeni, cioè sostanze di origine naturale che assomigliano agli estrogeni (ma non lo sono) e poiché l’endometriosi è sensibile agli estrogeni meglio evitarla. Tuttavia i fitoestrogeni hanno una potenza molto minore e, per quanto facciano bene, non sono ormoni. Inoltre c’è soia e soia. Gli estratti di soia che vengono prescritti e sono efficaci per ridurre le vampate tipiche della menopausa, ad esempio, contengono una determinata quantità di genistina, un estrogeno naturale di cui la soia che acquistiamo al supermercato è quasi priva a causa di processi di raffinazione. Altro luogo comune: il pomodoro meglio mangiarlo perché è ricco di vitamine. Vero, però è un alimento che può, assieme ad altri, ipersensibilizzare al dolore. Anche la spremuta di arance fa bene. Certo. Peccato però che abbia una quantità di carboidrati semplici (zuccheri) che sono tra gli alimenti che favoriscono l’infiammazione. Meglio mangiare le arance con la loro fibra, la quale influisce positivamente sull’indice glicemico di questi alimenti”.

elena.zuppini@sacrocuore.it