La carta di identità del Mycobacterium che sta suscitando allarme a causa del decesso di alcuni pazienti sottoposti a intervento a cuore aperto, ma il rischio di infezioni è stimato in 1 caso ogni 10.000 interventi. I sintomi e le terapie a disposizione

Il Mycobacterium chimaera è un microrganismo della famiglia dei micobatteri non tubercolari, presente nel terreno, nell’acqua e negli impianti idrici urbani. Normalmente non causa patologie, tuttavia in determinate situazioni sfavorevoli può trasformarsi in un pericoloso agente patogeno, soprattutto nei pazienti immunodepressi. Essendo dotato di una spessa parete cellulare è in grado di resistere a molti trattamenti farmacologici.

Il M. chimaera è stato descritto per la prima volta nel 2004 da un gruppo di ricercatori veneti e sino al 2013 veniva identificato sporadicamente in pazienti affetti per lo più da patologie polmonari nell’ambito degli isolamenti del cosiddetto Mycobacterium avium complex (MAC) di cui fanno parte il M. intracellulare e il M. avium (dal 2004 anche il M.chimaera).

 

M.chimaera e gli interventi di cardiochirurgia

Nel marzo 2013 un gruppo di ricercatori della Università di Zurigo pubblicò un articolo relativo a due casi di sepsi da M.chimaera e endocardite occorsi nella estate del 2011 in due pazienti che nel 2008, il primo, e nel 2010, il secondo, erano stati sottoposti ad interventi di cardiochirurgia con uso di circolazione extracorporea. Nell’articolo gli autori ipotizzavano che la fonte dell’infezione potesse essere ospedaliera e procedettero al campionamento sia dell’acqua dei lavabi presenti nelle sale operatorie sia delle acque di condensa dei macchinari per la circolazione extracorporea, senza peraltro poter trovare alcun riscontro positivo. Riscontro che risultò invece positivo in uno studio successivo, pubblicato su un’importante rivista internazionale di malattie infettive (Clinical Infectious Diseases) nel marzo del 2015, da cui emerse come la fonte del contagio fossero proprio gli aerosol sviluppatisi attraverso dispositivi tecnici contaminati, i cosiddetti apparecchi per ipotermia, le Heat-Cooler Units (HCU). Apparecchi che servono a regolare la temperatura del sangue durante l’intervento nelle operazioni a cuore aperto. Studi successivi evidenziarono come il problema non fosse limitato alla sola Zurigo.

 

Il rischio di infezione: 1 su 10.000 interventi

Ad oggi sono stati identificati nel mondo 185 casi di infezioni da M.chimaera, di cui 10 in Italia, legati all’uso di HCU in corso di interventi di cardiochirurgia. Il problema è apparso così serio che il Lancet, lo scorso luglio 2017, ha pubblicato un articolo il cui titolo recitava “Global outbreak of severe Mycobacterium chimaera disease after cardiac surgery“, siamo insomma di fronte ad un evento globale di infezioni gravi in pazienti che sono stati sottoposti in passato a interventi di cardiochirurgia. Tali cifre vanno però messe in relazione con il numero di procedure di circolazione extra-corporea eseguite ogni anno nel mondo che è di oltre 1.500.000 di cui 40.000 in Italia. Il rischio per intervento è quindi relativamente modesto, stimato in 1 ogni 10.000 interventi.

 

Come si riduce il rischio di infezione

A partire già dal 2015 numerose agenzie governative e intergovernative quali lo stesso Ministero della Salute e lo European Centre for Disease Prevention and Control hanno diramato direttive e diffuso raccomandazioni al fine di ridurre ulteriormente il rischio di infezione. Tra queste, per esempio l’indicazione a posizionare le HCU al di fuori delle sale operatorie o comunque separare tali unità dal flusso di aria all’interno delle sale. In nessun paese del mondo i dispositivi HCU sono stati ritirati, perché il ritiro dei macchinari e la sostituzione degli stessi non risolverebbe il problema delle infezioni ospedaliere, che sono correlate alla criticità delle corrette procedure di decontaminazione da parte delle strutture sanitarie, poiché la contaminazione può verificarsi in qualunque momento (nel sito produttivo, in fase di preparazione della macchina prima di un intervento, durante il periodo di stazionamento della macchina in ospedale tra un intervento e l’altro). Il rischio che si verifichi un caso di infezione da M.chimaera può essere ridotto adottando rigorosamente le procedure di decontaminazione suggerite dai fabbricanti di HCU e raccomandate dal Ministero della Salute.

 

I sintomi

I sintomi dell’infezione da M.chimaera compaiono a distanza di mesi o anni dall’intervento chirurgico, con una mediana di 17 mesi e un range tra 3 e 72 mesi. I segni e i sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso che perdurano da oltre due settimane e che non sono correlabili ad altre manifestazioni patologiche. Altri segni clinici importanti sono la splenomegalia (ingrossamento della milza) e la corioretinite (infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio). Il paziente con infezione da M.chimaera presenta una sintomatologia significativa e persistente nel tempo, che non deve essere confusa, visto anche il periodo dell’anno, con quella più banale di una sindrome influenzale.

 

Come avviene la diagnosi

La diagnosi definitiva si basa sull’isolamento del micobatterio. Purtroppo, essendo il M.chimaera un batterio a lenta crescita, possono essere necessarie fino a 8 settimane di coltura per giungere alla diagnosi.

 

La terapia

La terapia è complessa e di lunga durata (un anno e oltre) e si basa sull’utilizzo di una combinazione di antibiotici – da 4 a 5 in base alla gravità del quadro clinico – che comprende un macrolide, rifamicina, etambutolo, moxifloxacina o clofazimina con l’aggiunta eventuale di amikacina per via parenterale.

 

Per chi ha subito un intervento cardiochirurgico

Cosa si raccomanda alle persone che hanno subito un intervento chirurgico a cuore aperto negli ultimi anni? A chi possono rivolgersi? Ai circa 10.000 pazienti che hanno subito in Veneto un impianto (valvole cardiache artificiali o materiale protesico all’aorta) con un intervento a cuore aperto tra l’1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2017 la Regione Veneto invierà una scheda informativa contenente le informazioni sui sintomi e l’indicazione dei numeri di telefono da contattare per qualsiasi evenienza e per gli eventuali approfondimenti clinici necessari.

 

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali