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Interventi radicali sul tumore con tecniche mini-invasive che consentono una rapida ripresa della donna: l’esperienza della Ginecologia del ‘Sacro Cuore’ sarà illustrata in convegno questo sabato

La presa in carico delle pazienti affette da tumori ginecologici è al centro del convegno che si terrà questo sabato 26 maggio nella sala congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar. Organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (in primo piano nella foto di copertina), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e la qualità della vita della donna della Ginecologia e Ostetricia del ‘Sacro Cuore Don Calabria’, l’incontro scientifico ha un duplice obiettivo: fare il punto sull’attività dell’ospedale di Negrar nell’ambito della ginecologia oncologica e fornire ai ginecologi ambulatoriali del territorio gli elementi diagnostici per indirizzare in caso di necessità le donne ai Centri oncologici di riferimento, come il nosocomio calabriano.

 

“Dal 2016 siamo strutturati formalmente come un Cancer Care Center – spiega il dottor Ceccaroni – e come tale disponiamo di tutte le specialità per la diagnosi, il trattamento e il follow up della donna affetta da neoplasia ginecologiaInfatti al convegno saranno presenti i direttori delle Unità operative che nella logica della multidisciplinarietà intervengono nel trattamento della paziente oncologica: Ginecologia, Oncologia, Radiologia, Anatomia Patologica, Chirurgia Generale, Urologia, Medicina Nucleare e Radioterapia. Ma avremo anche come relatori specialisti dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e del Sant’Orsola di Bologna“. (vedi programma)

 

Dottor Ceccaroni, quali sono i tumori ginecologici più diffusi?

Sicuramente il tumore dell’ovaio e quelli dell’utero, i quali, a loro volta, si suddividono in tumore della cervice e dell’endometrio, cioè il tessuto che riveste l’utero Le neoplasie dell’ovaio e dell’endometrio colpiscono in media le donne intorno ai 55-65 anni. Le prime registrano in Italia 4mila casi all’anno, le seconde 5mila. Il tumore della cervice, invece, colpisce maggiormente tra 35 e i 55 anni con un’incidenza di 27 casi ogni 100mila donne. Non molto tempo fa le cifre erano diverse.

 

In che senso?

Il pap test introdotto come screening ha radicalmente cambiato la storia del tumore alla cervice dell’utero nei Paesi sviluppati dove, fino a pochi anni fa, era il tipo di tumore più diffuso tra la popolazione femminile. Rilevando le lesioni in fase precancerosa, il pap test consente di intervenire prima che si formi il tumore. In futuro potremmo avere un numero ancora inferiore di casi, grazie all’introduzione in Italia nel programma di vaccinazione del vaccino contro l’HPV, virus responsabile di questa forma di cancro. Oggi purtroppo vediamo tumori avanzati al collo dell’utero nella donne provenienti dai Paesi in via di sviluppo dove la prevenzione è inesistente.

 

Il convegno è diviso in tre sessioni, la prima è riservata appunto alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Per il tumore all’endometrio e all’ovaio come avviene?

Per il cancro all’endometrio, la prevenzione e la diagnosi precoce si effettua per via isteroscopica, cioè con l’introduzione attraverso il collo dell’utero di una videocamera miniaturizzata che permette di localizzare eventuali lesioni sospette ed nel caso procedere con una biopsia. La diagnosi isteroscopica è molto importante, ma lo è altrettanto quella ecografica. Anche per il tumore all’ovaio, il più aggressivo delle tre forme tumorali che raramente è possibile diagnosticare in stadi precoci perché non dà sintomi precisi. Durante il convegno vedremo quali sono i criteri ecografici per considerare sospetta una cisti ovarica.

 

Nella prevenzione del tumore ovarico, la genetica sta diventando fondamentale, soprattutto nel caso dei tumori ereditari.

Da più di un anno il nostro ospedale effettua il test genetico per la ricerca delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nell’ereditarietà del tumore alle ovaio e al seno. Al test non vengono sottoposte tutte le donne, ma solo le pazienti che appartengono a categorie a rischio per storia familiare o personale e dopo un’attenta valutazione da parte del genetista oncologo. Stabilire la presenza della mutazione è molto importante per la donna malata al fine di un eventuale utilizzo terapeutico di peculiari farmaci per cui la mutazione BRCA rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento. Ma anche per le parenti più strette (madre, figlie e nipoti) per le quali si può stabilire un programma di prevenzione personalizzato.

 

Il trattamento chirurgico è invece protagonista della seconda sessione del convegno

La Ginecologia che dirigo oggi è in grado di proporre la chirurgia laparoscopica, quindi mini-invasiva, anche per certi specifici sottogruppi di pazienti con tumori avanzati all’ovaio. Ma nello stesso tempo applichiamo tecniche, come il linfonodo sentinella, che consentono di effettuare chirurgie conservative o di modulare la radicalità chirurgica. Ad esempio per conservare l’apparato produttivo in pazienti giovani e con tumori iniziali. Applichiamo anche tecniche nerve-sparing, ossia che consentono una radicalità chirurgica del tumore, risparmiando le fibre nervose che regolano le funzioni vescicali, intestinali, sessuali, con conseguente miglioramento della qualità di vita post-operatoria. Tecniche per cui il nostro è uno dei centri più conosciuti a livello internazionale.

La chirurgia laparoscopica per il cancro all’ovaio ha la stessa efficacia di quella tradizionale in termini di asportazione del tumore e di sopravvivenza?

Sì e lo abbiamo dimostrato anche in uno studio prospettico che abbiamo presentato alla comunità scientifica internazionale e pubblicato lo scorso ottobre su “Surgical Endoscopy”. Con la laparoscopia si raggiungono gli stessi obiettivi ma con notevoli vantaggi: una paziente che ha subito un intervento laparoscopico dopo tre giorni può essere sottoposta a chemioterapia. Con la tecnica tradizionale, a cielo aperto, dopo un mese. Si guadagna tempo che significa sopravvivenza. Sono interventi complessi che nel nostro ospedale hanno radici in una grande tradizione laparoscopica, affinata anche grazie al trattamento chirurgico dell’endometriosi avanzata, di cui siamo centro di riferimento, e alla collaborazione multidisciplinare, fondamentale quando si tratta di interventi che interessano più distretti anatomici.

 

La tecnica del linfonodo sentinella, di cosa si tratta?

E’ la stessa che viene utilizzata per il tumore al seno. Negli interventi di carcinoma dell’endometrio si ricerca, tramite un procedimento che si serve di un colorante, il primo linfonodo che potrebbe essere interessato da cellule cancerose. Lo si asporta, da entrambi i lati della pelvi, e lo si fa analizzare in tempo reale. Se il risultato è negativo, si può evitare una linfoadenectomia, un procedimento chirurgico più demolitivo.

 

Il dopo intervento. Chirurgie complesse e terapie, come la radioterapia e la chemioterapia, lasciano in segno…

Ci sono molti aspetti da considerare del dopo intervento: la frequenza dei controlli, la gestione del dolore pelvico cronico, l’impatto fisico e psicologico della paziente giovane quando la menopausa è indotta e molto altro. Ogni paziente è una storia clinica e umana a sé che deve essere valutata attentamente per mettere in campo tutti gli interventi necessari – terapeutici, riabilitativi, nutrizionali, antalgici..- al fine dii garantire una buona qualità di vita.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it