Oggi si celebra la nona Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, a dieci anni esatti dalla scomparsa di Eluana Englaro. Anche a Negrar ogni giorno si affronta questa grave disabilità in Riabilitazione e nella Speciale Unità di Accoglienza Permanente

Esattamente dieci anni fa, il 9 febbraio 2009, moriva Eluana Englaro dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo a causa di un incidente stradale avvenuto quando lei aveva 21 anni, nel 1992. Dal 2011 il 9 febbraio è diventata la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, giunta quest’anno alla nona edizione.

 

Si tratta di una ricorrenza che tocca da vicino anche la Cittadella della Carità di Negrar, che fu tra le prime realtà in Veneto ad occuparsi direttamente di questi pazienti. Era il 2001, infatti, quando presso Casa Nogarè venne creata una Speciale Unità di Accoglienza Permanente (SUAP) con 12 posti letto dedicati proprio a persone in stato vegetativo o di minima responsività. Inoltre il fatto di avere una Unità di Riabilitazione Intensiva all’interno dell’ospedale comporta che ogni anno vengano presi in carico alcuni pazienti che si ritrovano in stato vegetativo a seguito di gravi lesioni acquisite al cervello per traumi o per eventi di origine vascolare o cardiaca.

 

“In realtà nel tempo abbiamo riscontrato un calo nel numero di nuovi pazienti in stato vegetativo – puntualizza il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di Riabilitazione – In particolare si è ridotto il numero di persone con esiti di trauma cranico, mentre in proporzione sono di più coloro che subiscono danni gravissimi al cervello dopo arresto cardiaco o emorragie cerebrali. In ogni caso i numeri sono significativi, in quanto su circa 80 pazienti ricoverati ogni anno nella nostra Riabilitazione Intensiva, il 10% dà esiti di stato vegetativo o di minima responsività“.

 

Cambiando le origini del danno, cambia anche il profilo d’età di chi ne viene colpito. Infatti nel tempo si è assistito ad una diminuzione dei pazienti giovani, grazie in particolare a misure efficaci prese per aumentare la sicurezza sulle strade, mentre l’età media degli stati vegetativi che vengono presi in carico al Sacro Cuore Don Calabria supera ormai i 50 anni.

 

Per tutti questi pazienti esiste una doppia linea di presa in carico: quella rivolta al miglioramento clinico, alla stabilizzazione delle condizioni neurologiche, alla prevenzione dei danni da immobilizzazione e quella rivolta all’accompagnamento dei familiari e alle scelte di vita successive all’ospedalizzazione. E’ quindi assolutamente opportuno che i pazienti rimangano per i primi mesi ricoverati in Riabilitazione, soprattutto per accertarsi della diagnosi. A questo proposito la vera condizione di stato vegetativo è piuttosto rara, mentre è piu’ facile che i pazienti si stabilizzino nella condizione di “minima responsività”. E’ questa una situazione che implica comunque una totale dipendenza ma che si differenzia per una variabile, pur sempre molto ridotta, possibilità di relazione.

 

Il vero problema di queste persone gravemente disabili non sta nella diagnosi o nella cura. Sta invece nella gestione della cronicità, essendo sempre piu’ difficile la domiciliazione. “Anzitutto c’è da dire che i posti nelle residenze che fanno accoglienza permanente sono insufficienti – sottolinea il dottor Avesani – Il loro numero è fermo da molti anni, a fronte di un turn over assai lento per cui i nuovi malati faticano molto a trovare un posto dopo che vengono dimessi dall’ospedale. Quando poi il paziente è un migrante, magari irregolare- perchè il problema può riguardare anche loro- allora il dramma è doppio e si fa un’enorme fatica a trovare uno sbocco dopo l’ospedale”.

 

Paradossalmente l’emergenza consiste quindi nella gestione della cronicità, mentre appare più lineare il percorso nella fase iniziale della diagnosi e della cura dopo che una persona ha subito un trauma o un’emorragia grave. La quotidianità di questi pazienti è fatta di accudimento, assistenza, cure e percorsi di stimolazione, ad esempio attraverso la musica, per valorizzare la dignità di personeche non hanno più la capacità di interagire con l’ambiente esterno se non in piccolissima parte nei casi di “minima responsività”. “Certamente sono stati fatti dei passi avanti nella qualità del prendersi cura degli stati vegetativi – conclude il direttore della Riabilitazione – ma tutti vorremmo assistere un giorno a progressi nella ricerca per dare anche prospettive migliori nella prognosi. C’è in fondo un dovere etico di tenere alta l’attenzione su questo problema che rimane attuale nonostante se ne parli meno. Questo lo si deve alle persone colpite da questa gravissima disabilità e ai loro familiari che hanno davvero bisogno di tutto il sostegno possibile per affrontare un percorso molto lungo e difficile al fianco dei loro cari malati”.

matteo.cavejari@sacrocuore.it