Il 29 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro l’ictus: prevenirlo è possibile anche riconoscendo le alterazioni anomale del ritmo del cuore. Il 13 e il 14 novembre un convegno a Villa Quaranta
Ogni anno in Italia circa 200mila persone vengono colpite da ictus cerebrale (9mila nel solo Veneto), patologia che rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, la seconda dopo i 65 anni. Rimane anche la maggiore causa di disabilità e i casi sono destinati ad aumentare per il progressivo invecchiamento della popolazione.
Per sottolineare l’importanza di un’adeguata prevenzione (il 20% dei casi sono delle recidive), oggi si celebra la Giornata mondiale contro l’ictus cerebrale giunta all’ottava edizione.
Ma che cos’è l’ictus? “Si tratta dell’arresto improvviso della circolazione cerebrale: il mancato apporto di ossigeno e nutrienti comporta la morte delle cellule neuronali della zona interessata del cervello e quindi la perdita delle funzioni da essa sostenute”, risponde il dottor Alessandro Adami, responsabile dello Stroke Center dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, centro di primo livello nella Rete dell’ictus della Regione Veneto.
Le conseguenze sono devastanti: su circa 1 milione di sopravvissuti all’evento acuto, in Italia il 30% presenta una pesante disabilità che compromette la qualità di vita delle persone e grava anche dal punto di vista economico sulla comunità e le famiglie
“Prevenire l’ictus è possibile – sottolinea di dottor Adami – individuando i fattori di rischio che determinano la nascita di lesioni vascolari a loro volta responsabili di trombi o emboli che possono occludere la circolazione cerebrale”.
È importante quindi tenere sotto controllo la pressione arteriosa, il colesterolo, i trigliceridi, l’aumento del peso corporeo e il diabete. Ma anche il cuore, perché il trombo potrebbe formarsi proprio a livello del muscolo cardiaco ed embolizzare nel cervello. In questo caso al fine della prevenzione dell’evento patologico è molto importante riconoscere quelle alterazioni “anomale” del ritmo cardiaco che possono portare alla formazione di trombi e curarle farmacologicamente in maniera corretta, grazie alla collaborazione tra neurologi e cardiologi.
Proprio alla prevenzione del cardioembolismo cerebrale è dedicato il primo convegno neurovascolare del Garda, che si terrà il 13 e 14 novembre a Villa Quaranta Park Hotel di Ospedaletto di Pescantina. La due giorni è organizzata dallo Stroke Center di Negrar e dalla Stroke Unit dell’Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, diretta dal dottor Giorgio Silvestrelli, con l’obiettivo di mettere a confronto gli specialisti delle tre regioni che insistono sul lago di Garda: Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige.
“Offrendo un evento formativo che si differenzia da tutti gli altri – prosegue il neurologo – vogliamo mettere in luce come ciascuna realtà,in base alle proprie risorse organizzative e territoriali, abbia implementato le linee guida sulla prevenzione dell’ictus, traendo dalle differenze un’occasione di crescita per tutti”.
Ma il convegno non sarà un evento fine a se stesso. “È il punto di partenza di un progetto che mira a creare un network di specialisti territoriali. Neurologi e cardiologi che, sfruttando le nuove possibilità informatiche, possano consultarsi in tempo reale per offrire al cittadino, ovunque egli risieda, le migliori terapie per la prevenzione e la cura dell’ictus”, sottolinea Adami.
Ad oggi la terapia di elezione per ridurre i danni dell’ischemia resta la trombolisi sistemica, un intervento farmacologico che ha lo scopo di “sciogliere” l’embolo responsabile dell’arresto della circolazione cerebrale. In Veneto viene praticata solo nei Centri di primo e secondo livello attivi 24 ore su 24, tra cui Negrar, che ogni anno cura circa 200 nuovi casi di ictus.
Affinché sia efficace la somministrazione deve avvenire entro le quattro ore e mezza dall’insorgere della sintomatologie ed è indicata per i pazienti privi di significative disabilità precedenti. È stato dimostrato che la trombolisi effettuata in Centri specializzati riduce significatamente la disabilità con un maggior numero di pazienti che a distanza di un anno dal trattamento si trovano a casa propria con sintomi assenti o comunque minimi.