Legge 219/2017: gli aspetti etici e quelli clinici

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A circa un anno dall’entrata in vigore delle “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento” un convegno all’IRCCS di Negrar fa il punto sulle norme introdotte anche in relazione agli aspetti clinici ed etici.

Il 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 sulle “Norme in materia di consenso informato e di Disposizioni Anticipate di Trattamento“. Una legge che sancisce in maniera organica un principio già espresso dalla Costituzione, all’articolo 32: cioè che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. All’interno della stessa norma sono comprese le cosiddette “Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT)”, che estendono il potere decisionale del paziente anche quando egli ha perduto la sua capacità relazionale.

Tale normativa sarà al centro del convegno “La legge, la clinica e l’etica” che si terrà sabato 8 giugno, a partire dalle 8.30, all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi programma). L’incontro è accreditato ECM per tutte le professioni sanitarie e ha come obiettivo non solo quello di esaminare le innovazioni e le criticità delle nuove disposizioni legislative, ma anche le loro importanti implicazioni cliniche ed etiche.

 

Interverranno infatti come relatori Franco Alberton, medico legale dell’Ospedale di Negrar, Maurizio Chiodi, docente della Facoltà Ecclesiastica di Teologia di Milano e Bergamo, e Gianmariano Marchesi, già direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva adulti dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

 

 

“La legge 219/2017 segna definitivamente il passaggio dal cosiddetto paternalismo medico alla condivisione con il paziente di tutti i trattamenti sanitari“, spiega il dottor Alberton, responsabile della segreteria scientifica del convegno. “Infatti nonostante il chiaro dettato costituzionale, si manifestavano ancora dubbi ed incertezze applicative, specie in situazioni complesse legate alle fasi terminali della vita. Grazie a questa legge, invece, viene sancito il principio di autodeterminazione del paziente a cui compete, assieme al medico, ogni decisione che interessi la sua salute”.

 

 

Diventa quindi fondamentale che gli operatori sanitari conoscano i doveri e gli obblighi che prevede questa legge, non solo ‘sulla carta’, ma in relazione a situazioni cliniche concrete che emergeranno nel corso del convegno.

 

Si tratta di norme che regolamentano l’ambito sanitario e in particolare una fase delicata della vita di ciascuno di noi, quella terminale per età o per malattia – prosegue il dottor Alberton -. Pertanto non si può prescindere dall’aspetto bioetico. Il medico può trovarsi per esempio di fronte a un paziente che rifiuta terapie salvavita comprese l’alimentazione e l’idratazione o a DAT che prevedono le stesse disposizioni. Esistono poi tutte le problematiche dei trattamenti futili e sproporzionati, quelle che riguardano la palliazione e la sedazione terminale. La volontà del paziente non può essere ignorata – conclude il medico legale – ma nemmeno la deontologia e l’etica di riferimento dell’operatore sanitario. La conciliazione di questi due aspetti è uno dei punti critici della legge“.


L'isterectomia radicale e qualità di vita della donna

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Ha compiuto 120 anni il trattamento chirurgico cardine del tumore alla cervice uterina, che nel tempo ha subito un’evoluzione in senso conservativo: un incontro a Negrar ne ripercorrerà la storia con i maggiori esperti italiani

Compie 120 anni l’intervento cardine per il trattamento chirurgico dei tumori del collo dell’utero: era infatti il 1898 quando il dottor Ernst Wertheim eseguì la prima isterectomia radicale a Vienna. In oltre un secolo di storia questa tecnica chirurgica ha subito un’evoluzione in senso conservativo e le acquisizioni anatomiche nate con l’isterectomia sono diventate fondamentali anche per il trattamento chirurgico di patologie benigne, quali l’endometriosi, e sono alla base di interventi rivoluzionari, come il trapianto dell’utero.

La storia di questa tecnica e le applicazioni nella chirurgia moderna saranno al centro dell’incontro promosso dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che si terrà all’ospedale di Negrar lunedì 29 aprile(programma in allegato)

 

Un evento che vedrà la presenza dei padri dell’onco-ginecologica moderna come i professori Umberto Bianchi e Costantino Mangioni insieme ai maggiori esperti in questo ambito: il professor Giovanni Scambia (Policlinico Gemelli-Università Cattolica di Roma), il professor Pierluigi Benedetti Panici (Policlinico Umberto I-Università La Sapienza), il professor Massimo Franchi (AOUI- Università di Verona), professor Piero Sismondi (già ordinario dell’Università di Torino), il professor Fabio Landoni (Ospedale San Gerardo-Università di Monza) e il dottor Angelo Maggioni (Istituto Europeo di Oncologia di Milano).

 

Spetterà al dottor Ceccaroni chiudere la giornata di studio con una lettura magistrale, la stessa che ha tenuto lo scorso novembre a Las Vegas in occasione della cerimonia di apertura del 47° AAGL Global Congress, il congresso annuale della società mondiale di laparoscopia ginecologica. Un excursus sull’evolversi dell’intervento di isterectomia visto all’interno dei cambiamenti della società, della cultura e dell’arte.

 

Grazie ai programmi di screening (pap-test) e l’introduzione negli ultimi anni del vaccino contro il virus umano dell’HPV, nei Paesi industrializzati il tumore al collo dell’utero è in progressiva diminuzione. Tuttavia l’isterectomia radicale rimane il trattamento più efficace contro questa neoplasia quando è limitata alla sola cervice uterina e consiste nell’asportazione dell’utero unitamente al parametrio. Quest’ultimo è il tessuto connettivo che avvolge il terzo inferiore della cavità uterina, composto da terminazioni nervose e canali linfatici, attraverso i quali il tumore può diffondersi anche in altri organi.

 

“Possiamo paragonare l’evoluzione dell’isterectomia radicale a quella dell’intervento chirurgico oncologico della mammella, grazie alla quale si è arrivati a soluzioni altrettanto radicali contro il cancro ma meno aggressive, quindi più conservative”, spiega il dottor Ceccaroni. “Questo è stato reso possibile grazie al progressivo cambiamento del concetto di salute della donna – prosegue il medico -. Nel 1898 la priorità del chirurgo era estirpare il tumore per salvare la vita delle pazienti, non importava quanto mutilante fosse l’azione chirurgica. Poi grazie anche agli antibiotici (prima della scoperta della penicillina più della metà delle donne moriva in seguito all’intervento) e di terapie aggiuntive (radio o chemioterapia) che hanno consentito un aumento della sopravvivenza, la chirurgia si è evoluta con l’obiettivo di salvaguardare anche la qualità di vita della pazienti dopo l’isterectomia”.

 

Sono nate così fin dagli anni Sessanta in Giappone tecniche chirurgiche in grado di asportare il parametrio risparmiando terminazioni nervose fondamentali per il funzionamento fisiologico della vescica, dell’intestino e dell’attività sessuale. “Si tratta di tecniche chirurgiche definite nerve-sparing, che noi a Negrar abbiamo traslato nella terapia chirurgica dell’endometriosi severa. Esse sono state favorite dall’evoluzione tecnologica in sala operatoria, con l’introduzione della laparoscopia prima e della robotica poi”, sottolinea Ceccaroni.

 

Proprio sull’isterectomia per via laparoscopica – con cui vengono eseguiti la gran parte degli interventi – si è aperto negli ultimi mesi un dibattito nella comunità scientifica internazionale. A dare il via è stata la pubblicazione sulla rivista “New England Journal of Medicine” di uno studio statunitense multicentrico e prospettico dal quale emerge che la prognosi delle pazienti trattate laparoscopicamente sembrerebbe essere peggiore di quelle sottoposte a tecnica tradizionale, cioè sono più a rischio di recidiva. In risposta sono stati avviati in tutto il mondo degli studi al fine di correggere dei presunti vizi formali nella raccolta dei dati da parte dei ricercatori americani. Uno di questi è stato proposto dall’International School of Surgical Anatomy (ISSA School), diretta dal dottor Marcello Ceccaroni e con sede all’IRCCS di Negrar, a cui partecipano anche altre prestigiose realtà italiane.

 

Il “Love Protocol” (questo il nome dello studio) è stato messo a punto dal dott. Stefano Uccella (Policlinico Gemelli Università Cattolica di Roma, Nuovo Ospedale degli Infermi di Biella), già docente all’interno della ISSA School, assieme al Dott. Ceccaroni. “La nostra casistica e quella dei maggiori centri internazionali non confermano quanto emerso dallo studio americano, anzi sono favorevoli per la laparoscopia. Ma è positivo che sia nato questo confronto nella comunità scientifica, potremmo avere così dati incontrovertibili a tutto vantaggio delle pazienti”, conclude il dottor Ceccaroni.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Corso-educational di Neuroradiologia con... diritto di voto

Con l’evento in programma il 22 febbraio, la Radiologia di Negrar si conferma un centro anche di Neuroradiologia, per la diagnosi delle patologie del sistema nervoso centrale in collaborazione con la Neurologia e la Medicina Nucleare

La formula è un po’ insolita per un corso-educational in Neuroradiologia, ma sicuramente efficace nel coinvolgere i partecipanti. Venerdì 22 febbraio all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria si terrà un evento scientifico dedicato a radiologi, neuroradiologi, neurologi e neurochirurghi che prima di entrare in sala verranno dotati di un sistema di votazione elettronica, il cosiddetto Televoter. “Con questo strumento parteciperanno attivamente all’analisi razionale di casi clinici reali, iniziando dalla corretta programmazione degli accertamenti strumentali”, spiegano i dottori Giovanni Carbognin e Alberto Beltramello, rispettivamente direttore e consulente neuroradiologo della Radiologia di Negrar, responsabili scientifici dell’evento.

 

Nel corso delle cinque sessioni della giornata, giovani medici di alcune Radiologie e Neuroradiologie del Triveneto presenteranno alcuni casi che riguarderanno le principali malattie del distretto cranico-encefalico e vertebro-midollare. I presenti in sala saranno invitati ad indicare con il Televoter, tra le ipotesi, i vari step che ritengono fondamentali per risolvere il caso clinico. “E’ un’occasione innanzitutto per testare la preparazione di base dei presenti – sottolinea il dottor Carbognin – e per rilevare in ogni caso specifico gli elementi principe che portano a formulare una corretta diagnosi”.

Alcuni casi riguardano pazienti transitati dalla Radiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, che grazie a dotazioni tecnologiche di ultima generazione e di un team giovane e dinamico è diventata un centro diagnostico anche per patologie del sistema nervoso centrale, non solo tumorali, ma anche neurodegenerative e cerebro-vascolari. Nel 2018 sono stati eseguiti oltre 12.800 esami strumentali di Neuroradiologia (RM e TAC).

“Disponiamo di tre Risonanze magnetiche ad alto campo (1,5 Teslavedi articolo) e di una TAC (vedi articolo), in particolare, che in casi selezionati si sta dimostrando una valida alternativa alla RM, come rilevano alcuni studi scientifici che abbiamo pubblicato – sottolinea il dottor Carbognin -. Noi siamo, per così dire, il “braccio diagnostico” di un percorso di presa in carico di pazienti con sospetta malattia neurodegenerativa o colpiti da ictus. Percorso che comprende la Neurologia con lo Stroke Center e l’Unità di Valutazione Alzheimer e la Medicina Nucleare”.

Non a caso la giornata formativa prevede anche due letture magistrali, “come esempio del metodo multidisciplinare adottato dal nostro ospedale in ogni campo medico”, rileva il direttore della Radiologia. La prima prevede l’intervento del dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare, che parlerà dei radiofarmaci utilizzati nella diagnostica PET per le patologie del sistema nervoso centrale, molti dei quali vengono prodotti dalla Radiofarmacia ospedaliera dotata di Ciclotrone. L’altra lettura sarà tenuta dal dottor Andrea Angheben, infettivologo del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali. “L’incremento di viaggi all’estero e il fenomeno dell’immigrazione – conclude il dottor Beltramello – porta nei nostri ospedali patologie endemiche in zone tropicali che possono colpire il sistema nervoso centrale e che quindi sono una sfida anche per il neuroradiologo”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Il microbiota: il secondo cervello del nostro organismo

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Il ruolo delle cellule batteriche nella genesi delle malattie più diffuse è ormai un dato di fatto: un congresso multispecialistico a Verona delinea le prospettive terapeutiche future che derivano dall’interazione del microbiota con gli altri organi

Il nostro corpo è dotato di un organo che le tradizionali tavole di anatomia non hanno mai illustrato, ma dal quale dipende la nostra salute psico-fisica. E’ il microbiota, termine con cui viene identificata la popolazione batterica presente nel nostro intestino, dove vivono 1000 specie batteriche possibili, almeno 160 in ogni individuo. Proprio per la biomassa di 1,5 chilogrammi formata da 100 trilioni di cellule batteriche, il microbiota è considerato a tutti gli effetti un organo, capace di presiedere a funzioni dell’intestino e dell’intero organismo.

 

Riguardo al microbiota si è concentrato da alcuni anni l’interesse delle discipline mediche più disparate: dalla gastroenterologia alla psicologia, passando per la neurologia, l’urologia e la ginecologia. Per un motivo comune: gli studi scientifici hanno dimostrato che l’alterazione della popolazione batterica dell’intestino scatena processi, come l’infiammazione, che sono all’origine della malattie più diffuse.

 

Proprio sulla correlazione tra benessere del microbiota e salute degli altri organi giovedì 14 (pomeriggio) e venerdì 15 febbraio si confronteranno in un convegno a Verona specialisti provenienti da varie realtà ospedaliere e universitarie italiane ed internazionali.L’incontro scientifico (accreditato per medici, farmacisti, dietisti, biologi e psicologi) è stato organizzatoal Palazzo della Gran Guardia dal dottor Guido Arcaro, direttore della Medicina generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e dalla dottoressa Manuela Fortuna, gastroenterologa della medesima struttura (programma in allegato).

 

“Parleremo di patologia infiammatoria e oncologica intestinale, di allergie, di malattie neurologiche e psichiatriche nell’adulto e nel bambino in relazione alla funzione del microbiota – spiega il dottor Arcaro -. L’obiettivo è quello di fornire uno sguardo multidisciplinare sull’argomento per chiarirne la complessa interazione con diversi organi e funzioni al fine di sfruttarne le potenzialità terapeutiche”.

 

Dottor Arcaro, che ruolo ha il microbiota?

Il microbiota ha innanzitutto un ruolo protettivo nel mantenere l’integrità anatomo -funzionale della parete intestinale. Da un lato contribuisce ad impedire l’ingresso di sostanze patogene provenienti dal lume intestinale. Dall’altro ha funzioni metaboliche fondamentali. Per esempio è popolato da specie batteriche che hanno proprietà di fermentazione saccarolitica, cioè di digestione di carboidrati complessi, mettendo così a disposizione dell’organismo elementi energetici che altrimenti non sarebbero assorbibili. Come, ma non solo, gli acidi grassi a catena corta, SCFA, che provvedono al 5-10% del fabbisogno totale di energia di cui necessita il nostro corpo. Ma il lavoro di sinergia tra il microbiota e l’intestino non si ferma qui.

Quali sono le altre funzioni del microbiota?

Esso interviene nella produzione di una serie di molecole che svolgono un ruolo fondamentale nei processi fisiopatologici delle malattie più comuni, processi come l’infiammazione, lo stress ossidativo e la capacità di risposta immunitaria verso agenti esterni. A microbiota alterato, per esempio, corrisponde nel neonato un maggior rischio di patologia allergica. In considerazione poi della quantità e della eterogeneità delle malattie in cui svolge un ruolo l’infiammazione – l’aterosclerosi, le patologie oncologiche, quelle neurodegenerative come l’Alzheimer… – risulta evidente il perché dell’attenzione che oggi viene data al microbiota.

 

Perché c’è una correlazione tra microbiota ed infiammazione?

Il microbiota per diverse cause può subire un’alterazione (o disbiosi) del numero di cellule batteriche o un’alterazione della proporzione delle specie batteriche fra loro. E questo favorisce o protegge dall’infiammazione. La prevalenza di specie proteolitiche, cioè con proprietà di digestione delle proteine, comporta una maggiore liberazione di sostanze pro-infiammazione. Accade invece il contrario se a prevalere sono specie batteriche capaci della fermentazione saccarolitica.

 

Quali sono le cause che provocano la disbiosi?

Possono essere una dieta ricca di proteine e grassi; oppure un utilizzo improprio di antibiotici; uno stato patologico dell’intestino, come nel caso delle malattie infiammatorie croniche intestinali; la stessa età e lo stress.

 

Perché il microbiota viene definito “il secondo cervello”?

La collaborazione tra intestino e microbiota libera nel sangue delle sostanze che agiscono sul tono dell’umore e sulla salute delle cellule nervose cerebrali, come il triptofano, la seratonina, GABA e BDNF. Non dimentichiamo poi che gli studi riconoscono nello stato infiammatorio un ruolo nella genesi della depressione oltre che delle più importanti malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e la sclerosi multipla. Durante il convegno parleremo anche del legame tra disbiosi del microbiota del neonato e autismo.

 

Quali sono le potenzialità della scoperta della correlazione tra disbiosi del microbiota e l’origine di molte malattie?

Le potenzialità sono molte. Oggi grazie a tecniche di sequenziamento genico sulle feci possiamo stabilire esattamente il rapporto in percentuale tra le diverse specie presenti nel microbiota di ogni singolo individuo. L’obiettivo è quello di agire con probiotici (quelli che comunemente vengono chiamati fermenti lattici) specifici, calibrati, in grado di modulare favorevolmente i più importanti processi di malattia.

elena.zuppini@sacrocuore.it


I diversi approcci psicoterapeutici in oncologia

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Venerdì 30 novembre e sabato 1° dicembre il “Sacro Cuore Don Calabria” ospita l’incontro della Sipo del Veneto-Trentino Alto Adige: una due giorni di confronto tra psico-oncologi sui differenti approcci psicoterapeutici in ambito oncologico.

Sull’utilità dell’intervento psicologico in ambito oncologico vi è ormai un ampio consenso da parte della comunità scientifica. Ancora oggi la malattia tumorale, forse più delle altre, comporta diverse problematiche psicologiche. Come, per esempio, i disturbi dell’adattamento alla malattia ma anche alle cure; le sindromi psicopatologiche quali i disturbi dell’umore e dell’ansia e altri disturbi minori. Tuttavia è ancora questione di dibattito, su quale sia la metodologia psicologica più idonea ed efficace, tra l’utilizzo del counselling o quello delle tecniche psicoterapeutiche specifiche.

Proprio la condivisione delle metodologie che appartengono ai diversi approcci psicoterapeutici in ambito psico-oncologico sarà il tema centrale del convegno che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro è organizzato dalla Società Italiana di Psicooncologia (SIPO) -Sezione Veneto-Trentino Alto Adige in collaborazione con l’Ordine dei Psicologi del Veneto, della Provincia di Trento e della Provincia di Bolzano e con l’Ospedale di Negrar. (programma in allegato).

“Il convegno si svilupperà a partire da un caso clinico condiviso, che verrà analizzato da psico-oncologici appartenenti a diversi orientamenti teorici e psicoterapeutici”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, responsabile del Servizio di Psicologia clinica del “Sacro Cuore Don Calabria” e coordinatore regionale SIPO Veneto-Trentino Alto Adige. “Sarà interessante sperimentare come i diversi orientamenti affrontano la stessa problematica psicologica – prosegue – e come vengono valutati gli esisti delle diverse psicoterapie”.

Al convegno interverranno psicoterapeutici specializzati in psicoterapia umanistico-esistenziale, psicoterapia psicodinamica, psicoterapia sistemica-relazionale, psicoterapia cognitivo-comportamentale di seconda generazione e di terza generazione, psicoterapia interazionista-costruttivista e psicoterapia della gestalt. Al professor Paolo Gritti, presidente nazionale della SIPO, è invece affidata la lettura magistrale “Psicoterapie in oncologia: pathos e logos”.


Vene varicose: la scleroterapia, ecco come funziona

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Si tratta di un metodo assolutamente indolore che occlude la vena servendosi di un farmaco in schiuma. Al “Sacro Cuore Don Calabria” un corso rivolto agli specialisti sullo stato dell’arte di questa terapia ‘antica’, ma in continua evoluzione

La scleroterapia è, insieme alla chirurgia ed alle tecniche ablative (laser e radiofrequenza a microonde), una delle tre opzioni terapeutiche di cui dispone oggi il flebologo per il trattamento della malattia varicosa degli arti inferiori. Pur avendo origini antiche, la scleroterapia trova oggi rinnovato interesse grazie all’utilizzo dei farmaci sclerosanti sotto forma di schiuma e all’uso routinario dell’ecografia.

 

Il principio è sempre lo stesso: occludere le vene della circolazione superficiale (tronchi safenici – grande e piccola safena – e rami collaterali) che non sono più in grado di svolgere la funzione di ritorno del sangue verso il cuore. Questo accade quando, a causa di una debolezza congenita, le valvole, di cui sono dotati i vasi, diventano incontinenti dilatando di conseguenza la vena, che assume una forma tortuosa e fa ricadere il sangue verso il basso.

 

Questo “ristagno” di sangue determina i sintomi della malattia varicosa: gambe gonfie, pelle pigmentata di rosso, comparsa di dermatiti ed eczemi e, negli stadi più avanzati, formazione di ulcere. Possono manifestarsi anche flebiti, perché dove il sangue ristagna, facilmente coagula.

 

“Lo stato dell’arte della scleroterapia” sarà oggetto del corso riservato agli specialisti che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Promosso dal dottor Paolo Tamelliniresponsabile della Unità Operativa Semplice di Flebologia della Chirurgia Vascolare, e inserito nel programma didattico della Scuola Italiana di Flebologia, l’appuntamento scientifico prevede nel pomeriggio del primo giorno gli interventi degli specialisti sulla diagnosi e sul trattamento con farmaci sclerosanti delle varici degli arti inferiori; nella mattinata del giorno successivo saranno trattati dei casi clinici in diretta video dalla sala operatoria (programma in allegato).

 

Tra gli interventi degli specialisti anche quello del dottor Lorenzo Tessari, medico veronese a cui si deve il cosiddetto “metodoTessari” per la creazione della schiuma sclerosante. Questa viene ottenuta mescolando il farmaco con l’aria atmosferica o con gas biocompatibili, tramite due siringhe collegate tra loro da un rubinetto a tre vie.

 

La schiuma è decisamente più efficace del farmaco liquido – spiega il dottor Tamellini -. Mentre questo si diluisce nel sangue e scorre via con lo stesso, la schiuma ristagna e sposta, per così dire, il sangue, restando più a lungo a contatto della parete della vena. Di conseguenza con farmaci a concentrazione più bassa e in volumi molto minori, si riesce a trattare tratti molto lunghi del vaso. La schiuma inoltre è visibile all’ecografia, pertanto si riesce a monitorare in tempo reale il percorso del farmaco stesso”. Il trattamento è assolutamente indolore, viene effettuato in ambulatorio e non richiede anestesia. Il paziente può tornare da subito alle sue normali attività.

I relatori affronteranno anche alcune tecniche cosiddette “miste”, quali la MOCA (Ablazione Endovenosa Meccano-Chimica) e la SFALT (Sclero Foam Assisted Laser Treatment). La prima comporta la chiusura della vena attraverso l’introduzione di un catetere rotante che, danneggiando lo strato più interno del vaso, permette al farmaco sclerosante iniettato di essere più efficace. La seconda sfrutta l’azione sinergica del laser e della schiuma sclerosante per giungere allo stesso risultato.

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Le nuove possibilità di cura del tumore polmonare avanzato

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All’IRCCS di Negrar esperti da tutta Italia si confronteranno il 30 ottobre sulle novità terapeutiche relative al tumore polmonare avanzato come i farmaci a bersaglio molecolare e quelli immunoterapici

Il carcinoma del polmone con 41.500 nuovi casii rappresenta in Italia la terza neoplasia più frequentemente diagnosticata sia nel sesso maschile che in quello femminile. I dati riguardanti le aree coperte dai Registri Tumori indicano il carcinoma polmonare come prima causa di morte oncologica nella popolazione (19%). Infatti la sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 16%. In considerazione della frequente diagnosi in stadio avanzato e della limitata efficacia dei trattamenti (solo nel 30% dei casi è possibile l’intervento chirurgico a scopo curativo), il cancro al polmone rimane quindi ancora oggi una neoplasia a prognosi sfavorevole.

Tuttavia nell’ultimo decennio sono stati registrati progressi molto importanti per quanto riguarda il carcinoma polmonare non a piccole cellule o non microcitoma (NSCLC- Non Small Cell Lung Cancer) che rappresenta l’85% delle forme tumorali al polmone.

Proprio alle novità diagnostiche e terapeutiche del NSCLC è dedicato il II Congresso nazionale sul tema, in programma all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, martedì 30 ottobre, organizzato dalla dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento Oncologico di Negrar e presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Tra i relatori il professor Mauro Truini, presidente SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica), il professor Antonello Marchetti, direttore del Centro di Medicina Molecolare Predittiva dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara e il professor Romano Danesi, consigliere nazionale della SIF (Società Italiana di Farmacologia).

Interverranno anche gli specialisti del Gruppo Oncologico del tumore al polmone di Negrar, composto da anatomopatologi, chirurghi toracici, radiologi, geriatri, medici nucleari, oncologi, pneumologi e medici radioterapisti. La complessità della patologia neoplastica polmonare richiede una presa in carico multidisciplinare del paziente al fine di garantirgli una terapia il più possibile personalizzata anche alla luce dell’introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare e più recentemente dell’immunoterapia, armi terapeutiche che si sono aggiunte alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia oncologica. (programma in allegato).

La recente ricerca sul carcinoma polmonare non a piccole cellule ha permesso di aumentare le conoscenze relative alle caratteristiche molecolari di questo tumore.

L’anatomopatologo oggi è in grado non solo di confermare la diagnosi e di stabilire la stadiazione del tumore su cui si basa la prognosi, ma anche di conoscere la caratterizzazione molecolare necessaria per determinare i casi per cui sono efficaci i farmaci a bersaglio molecolare. La cosiddetta “target therapy” infatti ha sensibilmente migliorato la prognosi in presenza di mutazione del gene EGFR oppure di traslocazioni di ALK o di ROS 1, fattori responsabili della crescita e della diffusione incontrollata delle cellule tumorali. Questi farmaci possono essere usati da soli o associati alla chemioterapia, e hanno effetti collaterali minori rispetto a quest’ultima. Tuttavia le mutazioni per cui questi farmaci migliorano sensibilmente la prognosi nel NSCLC avanzato sono presenti in una minima percentuale di carcinomi polmonari.

 

Negli ultimi anni è stato dimostrato che il meccanismo principale mediante il quale i tumori riescono ad eludere il sistema immunitario è l’impiego di “checkpoint” immunologici, che vengono utilizzati dal tumore stesso al fine di vanificare i tentativi delle nostre difese immunitarie di controllare la sua crescita. La scoperta di questi checkpoint, e del loro meccanismo di azione, è stato un vero e proprio punto di svolta per la definizione delle più innovative strategie di immunoterapia contro il cancro. I farmaci immuterapici non stimolano l’immunità antitumorale (come i vaccini), bensì “tolgono il freno” a una risposta già esistente e completamente paralizzata dai meccanismi inibitori del sistema immunitario messi in campo dal tumore.
Nella terapia dei NSCLC sono stati recentemente introdotti degli anticorpi monoclonali diretti contro le proteine del “checkpoint” immunitario PD-L1. La rilevanza clinica della terapia con immunoterapici rispetto ai farmaci a bersaglio molecolare è data dal fatto che può essere utilizzata in una proporzione maggiore di pazienti. Tuttavia l’introduzione di farmaci immunoterapici comporta non solo la necessità di identificare i pazienti nei quali potrebbero essere più efficaci, ma a anche di ampliare la conoscenza sulle tossicità specifiche e sulla loro gestione.

In tale scenario è importante, per un aggiornamento scientifico continuo, un confronto tra esperti che tenga conto anche delle Linee guida internazionali e nazionali (AIOM).
Il congresso di Negrar è stato pensato appunto per offrire ai partecipanti un agile e utile apprendimento delle novità scientifiche emerse relativamente al trattamento del carcinoma del polmone non microcitoma avanzato. Oltre a un confronto nella gestione clinica del paziente.


La prevenzione di alcuni tumori inizia dai vaccini

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L’Incontro oncologico del Triveneto affronta al “Sacro Cuore” la correlazione tra le infezioni provocate da alcuni virus e batteri e certe forme tumorali: l’efficace arma contro il cancro dei vaccini anti-Papilloma Virus e contro il virus dell’epatite B

Tra i fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza dei tumori vi sono le infezioni. Si stima infatti che l’8,5% delle neoplasie in Italia sia dovuto all’azione oncogena di virus e batteri (dati AIOM 2017).Tra questi il Papilloma Virus 16-18 è responsabile del cancro della cervice uterina; l’Epstein-Barr Virus per le lesioni linfoproliferative e del cavo orale; l’Herpes-Virus 8 per il sarcoma di Kaposi e linfomi; l’Helicobacter Pylori per il carcinoma allo stomaco e il linfoma MALT; il virus dell’epatite B e C per il carcinoma epatocellulare. Le infezioni parassitarie da Trematodi diffuse nel Sud del mondo sono chiamate in causa per il colangiocarcinoma e quelle da Schistosoma per il carcinoma della vescica.

 

Prevenire le infezioni anche con i vaccini attualmente a disposizione, contrastarle o bloccarle significa in questi casi prevenire la forma neoplastica di cui sono causa. Di “Tumori e agenti infettivi” si parlerà venerdì 7 settembre all’IRCCS-Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nel 42° incontro oncologico del Triveneto, promosso dal Coordinamento organizzativo ed educazionale della Rete Oncologica Veneta.

Coordinato scientificamente dalla dottoressa Stefania Gori, presidente degli oncologi italiani e direttore dell’Oncologia Medica di Negrar, l’incontro vede come relatori specialisti del Cancer Care Center e del Dipartimento Malattie infettive e tropicali del “Sacro Cuore”, ma anche provenienti dall’Istituto Oncologico Veneto, dal Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, dall’ospedale San Bortolo di Vicenza e dal Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna(programma allegato).

 

“Affronteremo la correlazione tra virus-cancro e tra batteri-cancro a 360° – spiega la dottoressa Gori -. Quindi tratteremo non solo i meccanismi che portano un’infezione ad essere causa di un tumore, ma anche le modalità di prevenzione primaria e secondaria di alcuni tumori (per esempio provocati da Papilloma Virus-HPV). Affronteremo anche – prosegue – le problematiche del trattamento antitumorale dei pazienti con infezioni croniche ed una sessione sarà dedicata alla cura del paziente oncologico sieropositivo o con AIDS conclamata. E’ fondamentale sottolineare – conclude la presidente AIOM – che oggi grazie al vaccino contro l’HPV abbiamo la possibilità di abbattere drasticamente le infezioni provocate da questo virus e le forme tumorali ad esse correlate, quali il tumore al collo dell’utero, alla vulva, alla vagina e ad altre parti del corpo come ano, pene, distretto testa-collo. E grazie al vaccino contro l’epatite B possiamo fare altrettanto per combattere il tumore del fegato. Sono vaccini sicuri: vaccinarsi e vaccinare i nostri figli oggi significa chiudere la porta in futuro a queste forme neoplastiche”.

 

Il Papilloma (HPV) e i virus che provocano l’epatite B (HBV) e l’epatite C (HCV) sono gli agenti infettivi più noti ad azione oncogena.


Il Papilloma Virus Umano

L’HPV infatti è la causa principale del tumore della cervice uterina.Non esiste la possibilità di insorgenza di questo tipo di cancro senza la presenza e l’azione trasformante di alcune forme di virus ad alto rischio oncologico come i genotipi 16 e 18. Nel 2017 sono stati stimati in Italia 2.300 casi di cancro alla cervice. Ma l’HPV ha un ruolo causale per i tumori di vulva (1.200 casi), vagina (200 casi), pene (500 casi), ano (300 tra maschi e femmine), cavità orale (4.600 casi tra maschi e femmine) e orafaringe (1.900 casi tra maschi e femmine). Se grazie al programma di screening che prevede il Pap test gratuito ogni tre anni per le donne da 25 ai 64 anni i casi di tumore alla cervice uterina sono drasticamente diminuiti in Italia, nel mondo si stimano circa 500.000 nuovi casi all’anno e 250.000 decessi dovuti a carcinoma della cervice; l’80% dei casi e oltre 85% delle morti avviene nei Paesi poveri.

Le infezioni da HPV si trasmettono per via sessuale e sono molto frequenti: il 75% delle donne sessualmente attive si infetta nel corso della vita, anche se poi la maggior parte della infezioni è transitoria, perché il virus viene eliminato dal sistema immunitario.

 

In Italia è offerto gratuitamente e attivamente dal Servizio sanitario Nazionale il vaccino anti-HPV che viene somministrato in due dosi alle ragazze e ai ragazzi nel corso del 12° anno di età. Sono disponibili tre diversi vaccini contro l’infezione da HPV: il bivalente che contiene i sierotipi 16 e 18, responsabili della maggior parte delle forme neoplastiche; il tetravalente, contenente oltre ai sierotipi 16 e 18, anche i sierotipi 6 e 11, causa dei condilomi (lesioni benigne di natura infettiva che compaiono nella zona genitale femminile e maschile), e il 9-valente, utile verso i tipi di Papillomavirus 6, 11, 16, 18, 31, 33 45, 52, 58 per prevenire il 90% dei ceppi oncogeni. Il vaccino non sostituisce il Pap-test perché non copre tutti genotipi di HPV che possono provocare il cancro.

 

Virus dell’epatite B e C ed epatocarcinoma

Oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato (nel 2017 sono stati stimati 13mila nuovi casi) è riconducibile a fattori di rischio noti, in primis collegati alla prevalenza dell’infezione da virus dell’epatite C (HCV) e dell’epatite B (HBV). Entrambi i virus vengono trasmessi attraverso l’esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei come sperma e liquidi vaginali. Inoltre l’epatite B può essere trasmessa dalla madre infetta al neonato. Se per l’epatite C non esiste un vaccino ma farmaci molto efficaci che portano alla guarigione nella maggioranza dei casi, per l’epatite B è un commercio da tempo un vaccino che viene somministrato gratuitamente in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale al 3°, 5° e 11° mese di vita del bambino. Negli adolescenti e negli adulti si somministrano tre dosi al tempo 0 e dopo 3 e 6 mesi.

 

Altri virus oncogeni

Il congresso del 7 settembre si occuperà anche della correlazione tra il virus Epstein-Barr (EBV- responsabile della mononucleosi) e i linfomi; dell’Herpes Virus 8 (HHV8) e sarcoma di Kaposi che può manifestarsi con delle lesioni a livello di cute, mucose e organi interni; il Polyomavirus (MCV) e carcinoma a cellule di Merkel, una neoplasia neuroendocrina altamente maligna della cute che colpisce soprattutto le persone anziane e /o con una storia di immunodepressione; l’Human T-cell hymphotropic Virus type 1 responsabile del Linfoma a cellule T.

 

 

Non solo virus

L’infezione da Helicobacter Pylori (Hp) è il principale fattore di rischio per l’ulcera peptica ma anche per il tumore allo stomaco. La gastrite cronica provocata da HP induce una riduzione di fattori antiossidanti e una aumentata attività proliferativa ghiandolare, condizione di rischio per la successiva comparsa di tumore. Per l’eradicazione dell’HP ormai da molti anni, si utilizzano associazioni antibiotiche (la cosiddetta triplice terapia) a base di amoxicillina-claritromicina (o amoxicillina-metronidazolo), in associazione ad un inibitore della pompa protonica (la cosiddettatriplice). Purtroppo l’efficacia di tali terapie è in forte diminuzione in tutto il mondo per l’aumento della resistenza alla claritromicina. Attualmente in aree con elevata resistenza a questo antibiotico vengono raccomandati, come terapia di prima linea, i trattamenti con quadruplice terapia contenente anche bismuto. I tumori allo stomaco diagnosticati nel 2017 sono stati circa 13.000, la maggior parte dei quali in stadio avanzato. Proprio per questo motivo la prevenzione basata anche sull’eradicazione dell’HP rappresenta una modalità di lotta di questo tumore.


Attenzione ai morsi di zecca: sono in crescita e con essi le patologie che ne derivano

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Esperti a confronto venerdì in un convegno del Centro per le Malattie Tropicali di Negrar sull’epidemiologia e le principali manifestazioni cliniche delle malattie trasmesse dalle zecche in Italia e in area tropicale.

Con l’inizio della bella stagione è in continuo aumento il numero delle persone che anche nel Veronese si recano al Pronto Soccorso lamentando un morso di zeccaall’ospedale di Negrar dall’aprile scorso fino al 21 giugno si sono registrati complessivamente in media quasi due accessi al giorno. Un fenomeno dovuto al proliferare delle zecche causato probabilmente dall’aumento della temperatura invernale che facilita così il prolungamento del ciclo vitale di questi aracnidi.

 

Parallelamente aumentano i casi di malattia di Lyme e di encefalite da zecca-TBE, le principali patologie trasmesse dalle zecche nel Triveneto, considerato dagli studi veterinari la zona in Italia con la maggiore presenza di zecche infette. Numeri in crescita ma sottostimati per patologie che se trascurate possono colpire il sistema nervoso centrale e altri organi principali, con conseguenze invalidanti.

 

Proprio l’approfondimento dell’epidemiologia e delle manifestazioni cliniche delle malattie trasmesse dal morso di zecca sono i principali obiettivi del convegno che si terrà venerdì 29 giugno alla Gran Guardia, organizzato dalla dottoressa Anna Beltrame del Centro per le Malattie Tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretto dal professor Zeno Bisoffi, centro di riferimento regionale, insieme all’ospedale di Belluno, per la malattia di Lyme.(vedi programma)

 

Il simposio si pone anche il fine di creare un gruppo di lavoro degli infettivologi del Triveneto per la stesura di un “vademecum” sulla gestione del morso di zecca e delle malattie che ne derivano. Ad oggi non esistono linee guida italiane che indichino una procedura unica su come togliere una zecca, su quali informazioni ed indicazioni dare a un paziente, quali terapie adottare nel caso di manifestazione dell’infezione nel momento acuto o nell’insorgenza di sintomi tardivi. Altro obiettivo del gruppo è creare una mappatura delle aree montane a rischio, ottenibile da studi effettuati analizzando le zecche ma anche dalle notifiche dei casi umani di malattia, grazie ad una collaborazione tra veterinari e medici.

 

Relatore d’eccezione del Congresso sarà il professor Didier Raoult, dell’Università Aix-Marseille di Marsiglia, il massimo esperto mondiale di rickettsiosi, patologia che si credeva fino a poco tempo fa diffusa in Italia solo nelle regioni centro-meridionali ed insulari per la presenza di zecche infette. Recentemente studi entomologici hanno rilevato zecche infette da altre rickettsie (il battere che provoca la rickettsiosi) anche nelle aree rurali del Triveneto, il cui morso causa sull’uomo manifestazioni cliniche completamente diverse da quelle finora conosciute.

 

Numerosa la presenza come relatori di specialisti provenienti dal Friuli Venezia Giulia dove a partire dal 2003 è stata avviata una capillare campagna di informazione-prevenzione tra la popolazione sulle conseguenze del morso di zecche e nel 2012 è stato introdotto gratuitamente per i residenti il vaccino per la TBE.

 

Il pomeriggio del 29 giugno sarà dedicato alla malattie trasmesse dalle zecche in area tropicale, un tema che coinvolge anche gli specialisti italiani visto l’incremento dei flussi turistici e migratori.


Endometriosi profonda: quei segnali svelati dall'ecografia transvaginale

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Si tiene al “Sacro Cuore Don Calabria”, la seconda edizione del corso avanzato di Diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica per fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente la malattia

Se l’evoluzione in senso bi e tridimensionale dell’ecografia trasvaginale ha rivoluzionato la diagnostica dell’endometriosi profonda, a fare la differenza è ancora l’occhio attento dello specialista. A lui spetta il compito, aiutato dalla tecnica, di saper scorgere i “campanelli d’allarme” di un endometrio (la cui sede naturale è l’utero) infiltrato in organi come le ovaie, le tube, l’intestino, l’apparato urinario e perfino i nervi che hanno origine nella parte terminale della colonna vertebrale. Condizione che se protratta nel tempo richiede trattamenti chirurgici demolitivi, al fine di migliorare la qualità di vita della paziente, compromessa da anni di dolori invalidanti dovuti all’improprio sfaldamento del tessuto endometriale dentro l’addome e la pelvi durante le mestruazioni.

Proprio la corretta diagnostica ecografica di una malattia, che colpisce solo in Italia 3 milioni di donne, è al centro della seconda edizione del corso avanzato che si tiene venerdì 12 ottobre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. La giornata di studio è organizzata dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, O.U.C. Ostetricia e Ginecologia-International School of Surgical Anatomy , di Negrar, e dal dottor Luca Savelli del Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.

 

Anche quest’anno il programma prevede gli interventi degli specialisti, seguiti da collegamenti in diretta con gli ambulatori di ecografia e con le sale operatorie, per favorire la correlazione tra gli aspetti ecografici e anatomici degli stessi casi. Tra i relatori anche la professoressa Lil Valentin, della Malmo University (Svezia), una delle più grandi ricercatrici mondiali nel campo dell’ecografia per la diagnosi di endometriosi ed oncologica (vedi programma).

 

“Il nostro obiettivo è quello di fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente l’endometriosi profonda – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si tratta di una malattia complessa che molto spesso si ‘svela’ solo se si va oltre a una falsa apparenza di normalità dei tessuti. Se non fosse così, le stime non direbbero che trascorrono in media sette anni dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi. In mezzo giorni e giorni di sofferenza, fertilità spesso compromessa e spese enormi per il servizio sanitario nazionale a causa di esami strumentali inutili, quando è sufficiente un’ecografia trasvaginale. Il nostro centro dispone della più alta casistica internazionale di interventi per endometriosi severa (1.500 all’anno) e il 70% delle pazienti che giungono da noi hanno avuto una diagnosi sbagliata o sono state considerate sane”.

 

Per migliorare la diagnostica dell’endometriosi, l’ospedale di Negrar ha acquisito un nuovo software (“Fly-Thru”) che, tramite l’elaborazione di immagini ottenute mediante l’ecografia 3D, consente la ricostruzione virtuale della cavità uterina senza ricorrere ad esami invasivi come l’isteroscopia. Tramite questa tecnica è possibile studiare anche il volume delle tube, la cui riduzione o aumento può essere un segnale di malattia endometrica.

Durante il corso verrà illustrata metodica dello studio ecografico per endometriosi con riferimento ai segni ecografici certi e ai cosi detti “soft markers” – segni sospetti per la presenza di endometriosi. Questi segni di endometriosi ovarica, profonda e peritoneale possono essere valutati secondo lo schema IDEA – proposto nello studio multicentrico internazionale nel quale è coinvolto anche il Dipartimento diretto dal dottor Ceccaroni – che studia il ruolo dell’ecografia nella diagnosi dell’endometriosi e nella sua stadiazione ecografica.