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Ha compiuto 120 anni il trattamento chirurgico cardine del tumore alla cervice uterina, che nel tempo ha subito un’evoluzione in senso conservativo: un incontro a Negrar ne ripercorrerà la storia con i maggiori esperti italiani

Compie 120 anni l’intervento cardine per il trattamento chirurgico dei tumori del collo dell’utero: era infatti il 1898 quando il dottor Ernst Wertheim eseguì la prima isterectomia radicale a Vienna. In oltre un secolo di storia questa tecnica chirurgica ha subito un’evoluzione in senso conservativo e le acquisizioni anatomiche nate con l’isterectomia sono diventate fondamentali anche per il trattamento chirurgico di patologie benigne, quali l’endometriosi, e sono alla base di interventi rivoluzionari, come il trapianto dell’utero.

La storia di questa tecnica e le applicazioni nella chirurgia moderna saranno al centro dell’incontro promosso dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che si terrà all’ospedale di Negrar lunedì 29 aprile(programma in allegato)

 

Un evento che vedrà la presenza dei padri dell’onco-ginecologica moderna come i professori Umberto Bianchi e Costantino Mangioni insieme ai maggiori esperti in questo ambito: il professor Giovanni Scambia (Policlinico Gemelli-Università Cattolica di Roma), il professor Pierluigi Benedetti Panici (Policlinico Umberto I-Università La Sapienza), il professor Massimo Franchi (AOUI- Università di Verona), professor Piero Sismondi (già ordinario dell’Università di Torino), il professor Fabio Landoni (Ospedale San Gerardo-Università di Monza) e il dottor Angelo Maggioni (Istituto Europeo di Oncologia di Milano).

 

Spetterà al dottor Ceccaroni chiudere la giornata di studio con una lettura magistrale, la stessa che ha tenuto lo scorso novembre a Las Vegas in occasione della cerimonia di apertura del 47° AAGL Global Congress, il congresso annuale della società mondiale di laparoscopia ginecologica. Un excursus sull’evolversi dell’intervento di isterectomia visto all’interno dei cambiamenti della società, della cultura e dell’arte.

 

Grazie ai programmi di screening (pap-test) e l’introduzione negli ultimi anni del vaccino contro il virus umano dell’HPV, nei Paesi industrializzati il tumore al collo dell’utero è in progressiva diminuzione. Tuttavia l’isterectomia radicale rimane il trattamento più efficace contro questa neoplasia quando è limitata alla sola cervice uterina e consiste nell’asportazione dell’utero unitamente al parametrio. Quest’ultimo è il tessuto connettivo che avvolge il terzo inferiore della cavità uterina, composto da terminazioni nervose e canali linfatici, attraverso i quali il tumore può diffondersi anche in altri organi.

 

“Possiamo paragonare l’evoluzione dell’isterectomia radicale a quella dell’intervento chirurgico oncologico della mammella, grazie alla quale si è arrivati a soluzioni altrettanto radicali contro il cancro ma meno aggressive, quindi più conservative”, spiega il dottor Ceccaroni. “Questo è stato reso possibile grazie al progressivo cambiamento del concetto di salute della donna – prosegue il medico -. Nel 1898 la priorità del chirurgo era estirpare il tumore per salvare la vita delle pazienti, non importava quanto mutilante fosse l’azione chirurgica. Poi grazie anche agli antibiotici (prima della scoperta della penicillina più della metà delle donne moriva in seguito all’intervento) e di terapie aggiuntive (radio o chemioterapia) che hanno consentito un aumento della sopravvivenza, la chirurgia si è evoluta con l’obiettivo di salvaguardare anche la qualità di vita della pazienti dopo l’isterectomia”.

 

Sono nate così fin dagli anni Sessanta in Giappone tecniche chirurgiche in grado di asportare il parametrio risparmiando terminazioni nervose fondamentali per il funzionamento fisiologico della vescica, dell’intestino e dell’attività sessuale. “Si tratta di tecniche chirurgiche definite nerve-sparing, che noi a Negrar abbiamo traslato nella terapia chirurgica dell’endometriosi severa. Esse sono state favorite dall’evoluzione tecnologica in sala operatoria, con l’introduzione della laparoscopia prima e della robotica poi”, sottolinea Ceccaroni.

 

Proprio sull’isterectomia per via laparoscopica – con cui vengono eseguiti la gran parte degli interventi – si è aperto negli ultimi mesi un dibattito nella comunità scientifica internazionale. A dare il via è stata la pubblicazione sulla rivista “New England Journal of Medicine” di uno studio statunitense multicentrico e prospettico dal quale emerge che la prognosi delle pazienti trattate laparoscopicamente sembrerebbe essere peggiore di quelle sottoposte a tecnica tradizionale, cioè sono più a rischio di recidiva. In risposta sono stati avviati in tutto il mondo degli studi al fine di correggere dei presunti vizi formali nella raccolta dei dati da parte dei ricercatori americani. Uno di questi è stato proposto dall’International School of Surgical Anatomy (ISSA School), diretta dal dottor Marcello Ceccaroni e con sede all’IRCCS di Negrar, a cui partecipano anche altre prestigiose realtà italiane.

 

Il “Love Protocol” (questo il nome dello studio) è stato messo a punto dal dott. Stefano Uccella (Policlinico Gemelli Università Cattolica di Roma, Nuovo Ospedale degli Infermi di Biella), già docente all’interno della ISSA School, assieme al Dott. Ceccaroni. “La nostra casistica e quella dei maggiori centri internazionali non confermano quanto emerso dallo studio americano, anzi sono favorevoli per la laparoscopia. Ma è positivo che sia nato questo confronto nella comunità scientifica, potremmo avere così dati incontrovertibili a tutto vantaggio delle pazienti”, conclude il dottor Ceccaroni.

elena.zuppini@sacrocuore.it