Quando il cuore è a corto di ossigeno

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Specialisti anche dall’estero sabato 14 gennaio si confronteranno al “Sacro Cuore” sulla cardiopatia ischemica e sulle metodiche di indagine per la diagnosi precoce della malattia che può evolvere nell’infarto miocardico

Quel fiato corto e quel dolore al petto che compaiono durante uno sforzo fisico o in un momento di stress emotivo, mentre rimangono silenti durante le normali attività quotidiane.

Possono essere sintomi di una cardiopatia ischemica, cioè di una condizione che si verifica quando vi è un insufficiente apporto di sangue e quindi ossigeno al cuore. Condizione che, se non diagnosticata precocemente, può portare all’infarto miocardico o alla morte improvvisa.

Il 33% delle morti dovute a malattie cardiovascolari (che restano la prima causa di decesso in Italia) sono causate dalla cardiopatia ischemica.

Proprio sulle metodiche di indagine che permettono una diagnosi precoce della patologia è incentrato il convegno che si terrà sabato 14 gennaio nella sala Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, organizzato dalla Cardiologia, diretta dal professor Enrico Barbieri (vedi foto). Durante la mattinata, che avrà inizio alle 8.30, interverranno specialisti del “Sacro Cuore”, ma anche esperti provenienti dal King’s College di Londra, dall’Università di Verona, Padova e Brescia, dal San Raffaele di Milano e dall’Università Cattolica di Roma (in allegato il programma)

“Parleremo di riserva coronarica – spiega il professor Barbieri – che è la capacità dei vasi che portano il sangue al cuore, le coronarie appunto, di adeguare il flusso sanguigno alle necessità metaboliche del muscolo cardiaco. Se le coronarie sono affette da una patologia aterosclerotica, cioè da un accumulo di grasso lungo le pareti, il flusso di sangue si riduce. Una condizione che viene percepita dal paziente con il classico dolore al petto, spesso in concomitanza con uno sforzo fisico o con una particolare emozione quando infatti il cuore ha una maggiore richiesta di ossigeno”.

La valutazione della riserva coronarica per identificare i pazienti affetti da cardiopatia ischemica prima che si manifesti un episodio acuto come l’infarto, resta una delle principali sfide per i cardiologi. La diagnosi precoce, infatti, ha come obiettivo quello di evitare che la patologia possa progredire e che a seguito della rottura della placca aterosclerotica il paziente possa andare incontro ad un’angina instabile o all’occlusione totale del vaso, quindi all’infarto acuto del miocardio.

La diagnostica cardiologica non invasiva della cardiopatia ischemica si è progressivamente arricchita negli anni. Al tradizionale elettrocardiogramma da sforzo, che rimane la metodica basilare si è associata l’ecocardiografia con stress fisico, farmacologico o elettrico che migliora l’accuratezza diagnostica con la simultanea valutazione del movimento delle pareti ventricolari.

Durante il convegno verrà dedicata una sessione anche alla scintigrafia miocardica e alla PET , che si avvalgono di radiofarmaci per valutare il flusso del sangue nel cuore individuando sia zone ischemiche che necrotiche. La TAC coronarica consente invece di associare allo studio anatomico dati funzionali. Una metodica alternativa è la risonanza magnetica che oltre alla possibilità di individuare l’estensione, con elevato potere di risoluzione, di cicatrici postinfartuali permette, anche mediante somministrazione di farmaci che creano la stessa condizione dello stress fisico di smascherare zone delle coronarie poco irrorate dal sangue.

“Infine – conclude il primario – la valutazione della riserva coronarica può essere eseguita durante la coronarografia nel laboratorio di emodinamica. E’ un esame a cui si ricorre in presenza di stenosi coronariche di grado intermedio (50 – 70 % di occlusione del vaso) per avere indicazioni per un migliore trattamento: dilatazione con palloncino, inserimento di stent oppure terapia farmacologica”.


La gravidanza nell'epoca dei viaggi e delle migrazioni

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Si farà il punto su Zika e sulle altre infezioni pericolose per una donna incinta e per il suo bambino, da quelle classiche a quelle meno conosciute, nel convegno organizzato a Verona il 15 e 16 dicembre da Ulss 20 e Centro per le Malattie Tropicali

Da una parte le infezioni classiche da tenere sotto controllo durante la gravidanza perchè potenzialmente dannose per il feto: rosolia, toxoplasmosi, Cytomegalovirus. Dall’altra tutta una serie di patologie meno conosciute, ma ugualmente da tenere in considerazione se la donna incinta arriva da un Paese lontano o ha viaggiato in luoghi dove queste patologie sono endemiche.

Di tutto questo si parlerà durante il convegno “La gravidanza nella salute globale” in programma alla Gran Guardia di Verona il 15 e 16 dicembre, organizzato dall’Ulss 20 in collaborazione con il Centro per le Malattie Tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Zeno Bisoffi. Si tratta di un aggiornamento dedicato agli esperti del settore nell’ambito del Programma regionale per i viaggiatori internazionali, di cui è responsabile la dottoressa Giuseppina Napolitano (vedi programma completo).

“La diffusione del virus Zika ha riportato al centro dell’attenzione il tema della gravidanza e della prevenzione in un contesto dove moltissime persone ogni anno si spostano da un continente all’altro”, dice il dottor Federico Gobbi, infettivologo del Centro per le Malattie Tropicali (vedi foto). “Ma la vera sfida, al di là di Zika, è sviluppare un approccio globale alla salute della donna in gravidanza, basato sulla collaborazione tra i vari specialisti coinvolti: ginecologi, pediatri, ma anche infettivologi ed esperti di medicina dei viaggiatori, soprattutto quando si parla di donne migranti”.

Come accennato, i fronti su cui intervenire sono due. Anzitutto le malattie infettive classiche che possono creare problemi in gravidanza, dal morbillo alla rosolia, dalla parotite alla varicella. Di queste si parlerà nella prima parte del convegno, con particolare rilievo al tema dei vaccini che rappresentano la principale fonte di prevenzione. Un tema particolarmente caldo, visto il dibattito innescato dal calo nella copertura vaccinale verificatosi negli ultimi anni in Veneto. Altri focus saranno dedicati a epatite B, pertosse, influenza, toxoplasmosi e Cytomegalovirus.

Il secondo fronte riguarda le malattie d’importazione che hanno un impatto sulla gravidanza. Si tratta in primis di malattie acute che possono essere contratte dai viaggiatori che si recano in zone a rischio. Il riferimento è al virus Zika e agli altri virus di solito trasmessi dalla puntura di zanzare infette, come dengue, chikungunya, febbre gialla, oltre, naturalmente, al plasmodio della malariaMa al di là delle malattie acute ci sono patologie croniche, come le parassitosi, che i migranti possono aver contratto nel loro Paese di origine senza nemmeno saperlo. È il caso della malattia di Chagas, endemica in America Latina, oppure della schistosomiasi o della strongiloidosi. Malattie quasi dimenticate in Italia e in Occidente, ma che se non diagnosticate possono interferire in modo pesante con la gravidanza e con la salute del bambino. A queste patologie d’importazione sarà dedicata tutta la seconda parte del convegno, con uno spazio di approfondimento riservato ai rischi correlati alla tubercolosi e all’Hiv.

Quando un medico prende in carico una donna incinta e si rende conto che potrebbe essere stata a contatto con qualcuna di queste patologie, sarebbe importante che la inviasse ad un centro specializzato per uno screening ed eventualmente per una profilassi – sottolinea Gobbi – Infatti in molti casi i problemi sono risolvibili, se individuati correttamente. Per questo sarebbe opportuno un approccio più sistematico, facendo rete tra i vari specialisti in un’ottica di salute globale, differenziando gli screening a seconda della zona di provenienza delle pazienti”.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


A Negrar il convegno veneto della Società italiana di Psiconcologia

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E’ questo il tema del convegno veneto della Società Italiana di Psiconcologia che si terrà all’ospedale di Negrar il 16 e 17 dicembre, nell’ambito del quale avrà luogo il primo incontro di formazione dedicato a SIPO Giovani e a AIOM Giovani

Si terrà all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria il convegno veneto della Società Italiana di Psiconcologia (SIPO). L’evento sarà diviso in due giornate. Venerdì 16 dicembre i partecipanti rifletteranno sul tema “La cultura dell’accoglienza del paziente oncologico”, mentre il giorno successivo, sabato 17 dicembre, avrà luogo il primo incontro tra SIPO Giovani e AIOM Giovani (Associazione Italiana Oncologia Medica), un momento di formazione finalizzato alla trasmissione di nozioni di base relative alla metodologia di ricerca in Psicologia clinica. (in allegato il programma)

Saranno più di 40 i relatori e i moderatori che nel corso della prima giornata declineranno nei vari aspetti il tema dell’accoglienza, un elemento fondamentale nella presa in carico di ogni paziente in un contesto di umanizzazione delle cure, ma in particolare di coloro che sono affetti da una patologia oncologica
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“Il cancro è ancora una malattia che più delle altre, nonostante i progressi della medicina, suscita grande paura, incertezza e angoscia – spiega il dottor Giuseppe Deledda, responsabile scientifico del convegno e direttore del Servizio di Psicologia clinica dell’ospedale di Negrar -. Per questo il paziente fin da quando inizia il suo percorso non chiede solo di essere curato bene, ma anche sostegno per gestire gli aspetti umani e affettivi. Chiede un luogo dove potersi fidare e affidare la propria vita, protezione per sé, ma anche per i suoi cari, dalle emozioni e dai pensieri di morte che evoca il tumore“.

Si tratta quindi di un convegno pensato non solo per gli psicologi, “perché l’accoglienza è un modus operandi proprio di ogni operatore con cui il paziente viene in contatto all’interno dell’ospedale. E’ un atteggiamento empatico – sottolinea il dottor Deledda, -. Un entrare in relazione fraterna con l’altro, mantenendo intatto l’aspetto professionale.

Tuttavia l’accoglienza non deve essere lasciata solo alla buona volontà o alla spontaneità degli operatori, ma deve essere strutturata, partendo dal basso. Deve nascere da un’attenta lettura dei bisogni, che necessita di essere nel tempo riconsiderata in ragione di nuove esigenze da parte del paziente.

Il paziente che riceve la diagnosi di tumore ha infatti esigenze diverse rispetto a colui che inizia le cure oppure alla persona che si trova di fronte a una recidiva della malattia o in fine vita”

L’accoglienza si diversifica anche – come illustrerà una sessione del convegno – in relazione all’età o al sesso di un paziente o di fronte a una mamma, in quanto la relazione madre-figlio è un aspetto da considerare e da tutelare nella presa in carico del paziente oncologico.

Durante la giornata di venerdì sarà analizzato anche quanto sia importate il ruolo delle associazioni di volontariato e il coinvolgimento dei familiari.

“L’accoglienza è un processo che in generale parte prima di tutto da noi stessi – sottolinea lo psicologo -. L’operatore in campo oncologico deve saper accettare il proprio disagio di fronte alla malattia per essere in grado di accogliere il disagio del malato. Inoltre se l’accoglienza non si realizza all’interno della stessa équipe, l’efficacia del lavoro professionale può risentirne”.

Durante il trattamento il paziente viene preso in carico da diverse figure professionali con la conseguenza che egli può maturare l’impressione di una mancanza di continuità. Lo psicologo diventa allora una sorta di “contenitore” unificante della vicenda umana della malattia. “Siamo una presenza costante nel tempo, anche per anni”, spiega il dottore Deledda, che nell’ambito del Servizio di Psicologia clinica collabora con i colleghi Sara Poli e Matteo Giansante.

“Noi incontriamo in genere i pazienti per la prima volta in Oncologia, dopo la diagnosi o durante le terapie – afferma – e consigliamo loro un colloquio psicologico. Capita talvolta che all’inizio ci sia un rifiuto, ma non di rado sono gli stessi pazienti a chiederci un incontro quando li avviciniamo successivamente in reparto, a volte sollecitati da altri pazienti che nei colloqui hanno trovato una risorsa. Da alcuni anni osserviamo che sono sempre meno i pazienti che non intendono intraprendere un percorso psicologico. Forse perché la nostra figura, anche grazie ai media, è diventata più familiare e rassicurante, non più associata esclusivamente alla malattia mentale come un tempo“.

Nel corso del primo incontro di formazione SIPO Giovani (di cui il dottor Matteo Giansante è coordinatore nazionale) e AIOM Giovani saranno anche presentati i requisiti fondamentali per la realizzazione di un protocollo sanitario e di ricerca, nonché l’iter amministrativo per l’accettazione dello stesso da parte di enti proponenti e del Comitato etico di appartenenza.

Informazioni e iscrizioni: Servizio di Psicologia clinica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, tel. 045.6013048 e psicologia@sacrocuore.itoppure info@gammacongressi.it

elena.zuppini@sacrocuore.it


Tumori neuroendocrini: medici di base e specialisti per la cura del paziente

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Il ruolo fondamentale del medico di medicina generale per la presa in carico del paziente affetto da Net: se ne parla sabato 3 dicembre in un convegno all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria

L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria lancia un progetto pilota di collaborazione con i medici di medicina generale per la presa in carico dei pazienti affetti da tumori neuroendocrini (NET-Neuroendocrine Tumours), una patologia neoplastica rara che conta 2-5 nuovi casi all’anno ogni 100mila persone.

Il primo incontro si terrà sabato 3 dicembre nella sala convegni Fr. Perez ed è promosso dall’Ambulatorio multispecialistico NET, coordinato dall’oncologa Stefania Gori e dal chirurgo Letizia Boninsegna.

I NET del pancreas, del tratto gastrointestinale e del polmone sono un gruppo eterogeneo di patologie sia per localizzazione sia per aggressività (benigni o maligni) che hanno origine dalle cellule del sistema neuroendocrino. A differenza di altre forme tumorali che colpiscono lo stesso organo, per esempio il pancreas, hanno ampie opportunità terapeutiche e prognosi favorevoli.

“Se adeguatamente seguiti in tutte le fasi della malattia, sono pazienti che hanno una lunga aspettativa di vita e possono godere di una buona qualità di vita. Personalmente sto seguendo persone che ho operato nel 1997 e oggi stanno bene – spiega la dottoressa Boninsegna -. Proprio per questo lungo percorso di malattia è molto importante la collaborazione dei medici di medicina generale, che devono essere e sentirsi direttamente coinvolti nella gestione del paziente. In particolare durante il follow up, sapendo riconoscere in tempo un’eventuale recrudescenza della patologia. Il nostro intento quindi è creare un filo diretto con i medici di base del Veronese, cosa che già avviene con quelli dei nostri pazienti”.

I tumori neuroendocrini raramente necessitano di chemioterapia poiché la loro caratteristica è la presenza di recettori sulla membrana cellulare “Essi sono come le serrature delle porte, indicano quale chiave usare per entrare nella cellula – spiega ancora il chirurgo – L’80-90% dei NET dispongono dei recettori della somatostatina. Farmaco che viene somministrato al paziente ogni mese nello studio del suo medico di famiglia, che ha così l’opportunità periodica, più dello specialista, di valutare lo stato di salute del paziente”.

La giornata di sabato 3 dicembre (vedi programma allegato) avrà una prima parte in cui verranno presentati dagli specialisti dell’Ambulatorio NET le modalità diagnostiche e i trattamenti dei tumori neuroendrocrini, mentre nella seconda parte sarà lasciata la parola ai medici di medicina generale che esporranno la loro esperienza nella gestione dei pazienti.

All’incontro interverranno anche la professoressa Paola Tomassetti, dell’Università di Bologna, una delle massime esperte nazionali di questa forma tumorale, e il vicepresidente nazionale dell’Associazione pazienti NetItaly, Giorgio Piffer, che porterà la voce dei malati.

L’Ambulatorio NET segue un centinaio di pazienti con circa cinque nuovi casi all’anno ed è inserito all’interno del Dipartimento Oncologico, diretto dalla dottoressa Gori. Ne fanno parte specialisti anatomopatologi, chirurghi generali e toracici, endocrinologi, diabetologi, gastroenterologi, medici nucleari, oncologi, radiologi e radiologi interventistici, e psicologi.

“Il “Sacro Cuore Don Calabria ha una caratteristica unica per la presa in carico dei pazienti colpiti da questa forma tumorale – conclude la dottoressa Boninsegna – in quanto dispone in loco di tutte le specialità e di tutta la tecnologia necessarie per la diagnosi, la terapia e il follow up richiesti da questa patologia”.

Per informazioni e iscrizioni al convegno: 045.6013208 o www.sacrocuore.it alla voce “Formazione” nel menù.


Workshop di psiconcologia: la relazione che cura

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“Autoefficacia e accettazione nella relazione con il paziente oncologico” è il titolo del workshop esperienziale che si terrà il 31 maggio all’ospedale di Negrar, promosso dal Servizio di Psicologia clinica

La paura nei confronti della sofferenza del malato oncologico coinvolge anche gli operatori sanitari che ogni giorno sono a contatto con i malati di cancro. A volte può ostacolare una relazione con il paziente che gli psicologici definiscono efficace, cioè in grado di trasmettere sicurezza ed empatia, preziose anche per una maggiore adesione ai trattamenti e una diminuzione dell’intensità degli effetti collaterali provocati dalle cure.

Workshop esperienziale di psiconcologia
Sul tema “Autoefficacia e accettazione nella relazione con il paziente oncologico”, martedì 31 maggio, a partire dalle 9, il centro di formazione dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ospiterà il workshop esperienziale rivolto a psicologi, psicoterapeuti, medici e specializzandi.
L’iniziativa è promossa dal Servizio di Psicologia clinicacoordinato dal dottor Giuseppe Deledda, in collaborazione con la dottoressa Samantha Serpentini, psicologa presso l’Istituto oncologico Veneto. Inoltre è sostenuta dall’Onlus “Il sorriso di Beatrice a sostegno dei malati di cancro”.Alla giornata di studio parteciperanno il professor Thomas Merluzzi, psicologo, dell’Università di Notre Dame dell’Indiana (Stati Uniti) e il professor Giambattista Presti, professore associato di Psicologia generale dell’Università Kore di Enna.

La relazione accogliente con il malato oncologico
“Perché una relazione sia accogliente – spiega il dottor Deledda – è necessario in primo luogo che noi stessi accettiamo la sofferenza che si provoca il dolore dell’altro, la paura e a volte la rabbia. Questo in oncologia vale per i familiari ma anche per gli operatori sanitari. Solo così la persona ammalata si sente libera e legittimata ad esprimere le proprie emozioni e a muoversi con efficacia nel suo percorso di cura”.

Il Servizio di Psicologia clinica
L’ospedale di Negrar, dal febbraio del 2013, ha attivato un Servizio di Psicologia di cui fanno parte, oltre al dottor Deledda, anche gli psicologi e psicoterapeuti Sara Poli e Matteo Giansante. Un gruppo che sta raccogliendo anche importanti riconoscimenti: la Sipo (Società italiana di psicologia medica) nell’ultimo convegno nazionale lo ha premiato come migliore Gruppo di psiconcologia a livello nazionale, mentre il dottor Giansante è stato nominato coordinatore Sipo del Gruppo giovani.
“Il paziente oncologico nel momento della diagnosi ha di fronte a sé un lungo percorso e per affrontarlo nel migliore dei modi deve fa riferimento a tutte le risorse emotive di cui dispone – spiega il dottor Deledda -. È provato anche scientificamente che gli aspetti emotivi hanno un peso importante e possono contribuire positivamente al percorso di cura. Sembra un paradosso: ma si può vivere positivamente pur avendo una patologia oncologica“.
Il servizio di Psicologia clinica effettua consulenze per tutti i reparti ospedalieri, là dove il paziente lo richieda o ci sia una segnalazione da parte del medico. Tuttavia il 45% delle consulenze (dati 2015) viene svolto in ambito oncologico in stretta collaborazione con l’Oncologia medica, diretta dalla dottoressa Stefania Gori e all’interno del team multidisciplinare del Cancer Care Center, che non si limita solo all’aspetto della cura della malattia ma pone attenzione al vissuto del paziente durante il percorso della diagnosi e della terapia, nel corso del follow up e soprattutto quando si rendono necessarie le cure palliative.
“Una parte molto importante sono i pazienti sottoposti a cure palliative – sottolinea Deledda -, dove il dolore e il pensiero della morte sono componenti molto rilevanti”.

Un supporto ai malati e ai loro familiari
L’attività ambulatoriale ha registrato 986 colloqui nell’ultimo anno. Il maggior numero sono colloqui individuali, “anche se noi consigliamo che sia coinvolta la famiglia. Spesso i familiari sono concentrati più sulle paure che suscita in loro la malattia, piuttosto che sulle necessità “normali” del loro caro, come stare assieme o fare assieme le cose piacevoli di prima. Il paziente e il familiare si barricano ciascuno dietro le proprie paure, che difficilmente emergono senza la presenza di un facilitatore come può essere uno psicologo”.
Il Servizio segue in particolare i congiunti dei pazienti in fase terminale, per supportarli nel difficile compito di accompagnare il loro caro verso la fine della sua vita, ma anche per aiutarli ad affrontare un forte disagio che spesso si trasforma in rabbia verso la malattia, “colpevole” di aver distrutto ogni progetto e di imporre cambiamenti di vita.

Colloqui individuali e gruppi di auto-aiuto
Oltre ai colloqui individuali o familiari, l’équipe del dottor Deledda segue gli incontri gruppo. “Abbiamo da alcune settimane concluso una serie di incontri rivolti a donne in fase di chemioterapia, a cui hanno partecipato anche pazienti che avevano terminato la cura da poco o da qualche tempo. Questo ha permesso a coloro che avevano concluso la terapia di riassicurare le prime, ma anche di esprimere quei vissuti che erano rimasti bloccati e mai espressi”, sottolinea lo psicologo.
Altri gruppi, invece, sono rivolti alle donne colpite da tumore alla mammella, alle quali è raccomandato di perdere peso. Agli incontri partecipa anche la dietista, “ma è il gruppo a essere una risorsa, in quanto la presenza di altre persone che stanno vivendo la stessa esperienza, realizza uno spazio di condivisione, supporto e confronto, che velocizza processi individualmente lenti: ‘Se anche lei è stata capace di farlo, lo posso fare anch’io…'”, conclude il dottor Deledda.

Per richiedere ulteriori informazioni: 045.6013048 oppure psicologia@sacrocuore.it; per fissare un appuntamento presso gli ambulatori dedicati ai pazienti oncologici, contattare la segreteria dell’Oncologia Medica 045.6013472

elena.zuppini@sacrocuore.it


Dalle cardiopatie congenite ai tumori: la RM cardiaca

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Sulle potenzialità della Risonanza Magnetica in campo cardiologico si parlarà in un convegno il 16 gennaio organizzato dalla Cardiologia e dal Dipartimento di Diagnostica per immagini

Morti improvvise che colpiscono sul terreno di gioco ragazzi giovanissimi o addirittura atleti. Vengono di solito attribuite a cardiopatie congenite di difficile prevenzione con i tradizionali esami cardiologici. Oggi, grazie all’evoluzione tecnologica, la Risonanza Magnetica può dare un prezioso contributo alla diagnosi precoce di tali malattie (nella video gallery un filmato mostra come funziona l’esame).

Sulle grandi potenzialità dell’applicazione della Risonanza Magnetica in ambito cardiologico, e non solo per quanto riguarda la medicina dello sport, si parlerà sabato 16 gennaio in un convegno organizzato in sala Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria dal direttore della Cardiologia, il professor Enrico Barbieri (foto 1), e dal direttore del Dipartimento di Diagnostica per immagini, il dottor Giovanni Carbognin (foto 2). Durante la mattinata – che ha inizio alle 8.30 – si alterneranno gli interventi di specialisti provenienti dalle più importanti scuole di Cardiologia e Radiologia come l’Università di Verona e quella di Padova, la Fondazione toscana G. Monasterio, l’IRCSS San Matteo di Pavia, l’IRCSS San Raffaele di Milano e Guy’s & St Thomas’ Hospital di Londra, con la dottoressa Alessandra Frigiola. (Per informazioni ed iscrizioni al convegno: http://formazione.sacrocuore.it/CorsiDettaglio.aspx)

“Attualmente nel nostro Dipartimento effettuiamo circa otto Risonanze Magnetiche cardiologiche alla settimana – spiega il dottor Carbognin – con una delle tre RM riservata a questo ambito grazie al suo particolare software. Negli ultimi tempi stiamo registrando un aumento di pazienti inviati dal medico dello sport, in quanto la Risonanza Magnetica si sta imponendo come completamento delle tradizionali indagini cardiologiche, tra cui l’ecocardiogramma. Infatti pur essendo un esame non invasivo, è in grado di valutare la funzionalità cardiaca e nello stesso tempo di effettuare la caratterizzazione tessutale, cioè capire se il tessuto miocardico è normale o patologico, ad esempio per sostituzione fibrotica o adiposa o, ancora, sofferente a causa di una cattiva vascolarizzazione. Performance che aiutano lo specialista cardiologo ad intercettare anche quelle cardiopatie congenite che spesso sono la causa di morte improvvise in persone giovani e sane. Tanto che si sta valutando la possibilità di introdurre l’esame con la Risonanza Magnetica nello screening per l’attività agonistica”.

Ma l’impiego della RM cardiaca è previsto anche nello studio di una molteplicità di condizioni patologiche. “Tra queste vengono annoverate la malattia delle coronarie, del muscolo cardiaco, delle valvole, del pericardio, del ritmo cardiaco e anche dei tumori, seppur rari, del cuore” afferma il professor Barbieri. Infatti grazie a una complessa rielaborazione delle immagini eseguita con software dedicati, prosegue il cardiologo, “è possibile calcolare una serie di parametri come i volumi cardiaci, la massa miocardica e la funzione globale dei ventricoli, i flussi valvolari e i loro eventuali difetti, la valutazione della perfusione miocardica durante la somministrazione del mezzo di contrasto sotto stress indotto farmacologicamente. Questa particolare modalità di studio serve ad evidenziare eventuali condizioni di ischemia miocardica, cioè la malattia coronarica, non evidente in condizioni di riposo. Inoltre, l’utilizzo del mezzo di contrasto consente di definire l’entità del danneggiamento del muscolo in seguito ad un infarto”.

L’esame all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria viene condotto in équipe “per ottenere il massimo risultato dall’indagine diagnostica – sottolinea il dottor Carbognin -. Più è precisa l’indicazione clinica e la richiesta posta del medico cardiologo, più sarà accurata la risposta del medico radiologo. Tanto che nel nostro ospedale il referto viene presentato al paziente in doppia firma: quella del radiologo e del cardiologo”

elena.zuppini@sacrocuore.it


Reflusso gastrico e obesità: ora c'è il chirurgo-robot

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Interventi mininvasivi per lo stomaco “in fiamme” e l’obesità grazie al robot chirurgico “Da Vinci Xi”: se ne parla in sala Perez sabato 12 dicembre

Sono le cattive abitudini alimentari, il filo rosso del terzo aggiornamento in Gastroenterologia che si terrà sabato 12 dicembre a partire dalle 8.30 nella sala convegni Perez dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Temi della giornata di formazione il reflusso gastroesofageo e l’obesità: una patologia, la prima, molto diffusa, mentre la seconda è in rapido incremento anche nella patria della “dieta mediterranea”. Entrambe sono legate a stili di vita sbagliati, senza contare che chi soffre di sovrappeso molto spesso è tormentato da “uno stomaco in fiamme”. Inoltre quando un’alimentazione più sana, una vita meno sedentaria e i farmaci non bastano, sia per il reflusso gastroesofageo che per l’obesità può intervenire la terapia chirurgica. Non a caso la giornata di aggiornamento è organizzata dall’Unità operativa complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus, dalla Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo, e dal Centro per le malattie colon-rettali, guidato dal dottor Andrea Geccherle.

Ma cos’è il reflusso gastroesofageo, di cui, secondo le stime, soffre il 20% della popolazione dei Paesi occidentali? “La patologia si verifica quando i succhi gastrici dello stomaco, risalendo, vengo a contatto con la parete dell’esofago provocando bruciore dietro lo sterno e rigurgito acido, i sintomi più comunemente riferiti dai pazienti”, spiega il dottor Bocus. Il reflusso è provocato dal rilassamento dello sfintere esofageo inferiore, cioè la “valvola” che si apre per far passare il cibo dall’esofago allo stomaco e, in condizioni normali, si chiude una volta ingerito il bolo. A volte alla base del reflusso vi è l’ernia iatale, cioè lo scivolamento dello stomaco in torace attraverso il diaframma.

Il reflusso può essere favorito innanzitutto dal sovrappeso e dall’obesità (in particolare dall’ampiezza del girovita), e in genere dalla cattiva alimentazione con una dieta ricca di grassi animali che rallentano lo svuotamento gastrico, pasti abbondanti prima di coricarsi, abuso di alcol, caffè, tè, cioccolato, menta, bevande fortemente acide. Il fumo è un altro fattore, insieme ai farmaci che “infiammano” l’esofago, come gli antinfiammatori non steroidei (FANS). “E’ una patologia molto diffusa che impegna notevolmente sia i medici di medicina generale sia gli specialisti – prosegue Bocus – in quanto il reflusso esofageo ha una sintomatologia atipica come mal di gola ricorrente, tosse, bronchiti croniche e asma bronchiale, fino alle tachiaritmie, con dolori così forti al petto da far pensare a un sospetto infarto”. L’importante è non sottovalutare i sintomi, perché un reflusso cronico può causare l’esofagite che può svilupparsi in cancro all’esofago.

La terapia è soprattutto farmacologica per ridurre la secrezione acida dello stomaco, ma quando i farmaci non bastano, in pazienti selezionati, è possibile procedere chirurgicamente. Al Sacro Cuore Don Calabria l’intervento viene eseguito tramite il Robot “Da Vinci Xi” (foto 1). La fundoplicatio gastrica (questo è il nome dell’intervento, foto 2) consisteste nel creare attorno alla valvola che separa l’esofago dallo stomaco una sorta di manicotto, ricavato dallo stomaco stesso, che rinforza la continenza della valvola e impedisce la risalita dei succhi gastrici dallo stomaco. “L’intervento veniva prima praticato in laparoscopia ora possiamo avvalerci del robot, che permette un approccio ancora meno invasivo – spiega il dottor Ruffo -. L’intervento ha la durata di circa un’ora e mezza e dopo circa tre giorni il paziente viene dimesso. In un anno sono stati trattati chirurgicamente una trentina di pazienti”.

Sono sempre i bracci del robot, guidati dalla consolle del chirurgo, ad intervenire nei pazienti obesi, quando un regime alimentare ipocalorico e l’attività fisica non danno i risultati sperati e il peso compromette la salute della persona stessa. “Il bypass gastrico (foto 3) consiste nella creazione di una piccola sacca gastrica collegata direttamente al piccolo intestino – spiega il dottor Roberto Rossini, chirurgo bariatrico -. Riducendosi drasticamente l’ampiezza dello stomaco, il paziente avverte subito una sensazione di sazietà e contemporaneamente viene ridotto anche l’assorbimento del cibo”. In laparoscopia viene invece eseguito l’altro intervento di chirurgia bariatrica, la sleeve gastrectomy (foto 4). “Si procede all’asportazione di gran parte dello stomaco, che assume la forma di un tubo collegato al duodeno. Anche la sleeve gastrectomy ha come risultato maggior senso di sazietà, non solo per la riduzione dello spazio di contenimento del cibo, ma anche perché viene esportata quella parte dello stomaco che produce un ormone che favorisce l’appetito”, conclude il chirurgo. Entrambi gli interventi sono indicati per pazienti con Indice di Massa Corporea (BMI, il rapporto tra peso e altezza) superiore a 40, ma anche per le persone con BMI superiore a 35 in presenza di altre patologie.

“Tuttavia non è solo il peso a determinare la candidatura – sottolinea Rossini -. L’intervento non è la soluzione all’obesità, ma l’inizio di un percorso per curarla. Coloro che si sottopongono all’intervento devono essere quindi persone preparate a un cambiamento drastico del loro stile di vita e dell’immagine che loro (e gli altri) hanno di se stessi”. Per questo i pazienti sono valutati precedentemente da un team multidisciplinare, coordinato dal dottor Andrea Geccherle, e composto dal dottor Rossini, dalla dottoressa Eleonora Geccherle, psicologa, e dalla dietista Federica Scali, con cui collaborano gli specialisti inerenti alle varie patologie che il possibile candidato all’intervento può presentare. “Il team nasce per la valutazione dei pazienti obesi – precisa il dottor Geccherle – ma la sua vocazione futura sarà quella di occuparsi di salute alimentare in generale, dai problemi legati all’alimentazione (bulimia e anoressia) all’educazione alimentare, cioè al cibo come salute”.

elena.zuppini@sacrocuore.i


Radioterapisti oncologi da tutta italia "a scuola" al Sacro Cuore

La Radioterapia oncologica ospita il primo corso residenziale in Italia di Radioterapia stereotassica ablativa: le radiazioni come bisturi

Si tratta del primo corso residenziale teorico-pratico di Radioterapia stereotassica ablativa che si tiene in Italia. Dal 2 al 4 dicembre una “classe” di 30 radioterapisti oncologi frequenteranno tre giorni di formazione presso l’Unità operativa complessa di Radioterapia oncologica, diretta dal dottor Filippo Alongi.

Il corso è suddiviso in due parti. Durante le mattinate docenti provenienti dai maggiori centri italiani e non (Humanitas e Istituto oncologico europeo di Milano, Università di Torino, Centro di riferimento oncologico di Aviano, San Camillo Forlanini di Roma, Centre hospitalier universitarie vaudois di Losanna e il Sacro Cuore Don Calabria) terranno delle lezioni frontali, mentre una seconda parte vedrà la presenza di un tutor che seguirà lo “studente” dalla preparazione del piano terapeutico di un paziente all’esecuzione del trattamento. Una formula che ha portato all’esaurimento delle iscrizioni in pochi giorni, con la prospettiva che l’iniziativa sarà ripetuta nei prossimi mesi.

“La radioterapia stereotassica è un’innovativa tecnica radioterapica non invasiva che consiste nel colpire in poche sedute lesioni tumorali, primitive o metastatiche, con alte dosi di radiazioni. Viene definita ablativa, perché comporta un risultato simile a quello del bisturi nel rimuovere e distruggere il tumore, con ottimi risultati in termini di sopravvivenza. Tutto avviene ambulatorialmente e senza anestesia”, spiega il dottor Alongi. L’alta precisione della somministrazione consente di minimizzare i danni ai tessuti e agli organi circostanti, mentre la drastica riduzione del numero delle sedute di trattamento garantisce al paziente una migliore qualità di vita.

Nata per i tumori cerebrali non operabili, la radioterapia stereotassica ablativa oggi viene applicata per altri distretti del corpo. “Siamo in grado per esempio – prosegue il medico – di colpire con precisione noduli polmonari non metastatici di pochi centimetri in quattro-sei sedute con dosi tali da ottenere risposte durature se non la guarigione completa. Secondo gli ultimi studi, mentre con i trattamenti tradizionali la percentuale di recidiva per il tumore al polmone in stadio iniziale era intorno al 30-50%, con la nuova tecnica siamo al 5-10%”.

La radioterapia stereotassica è resa possibile grazie ad acceleratori lineari di ultima generazione, come il TrueBeam, acquisito dall’ospedale di Negrar da circa due anni, con cui sono state trattate alcune centinaia di persone. Il TrueBeam dallo scorso luglio è stato integrato con il “Calypso“, un vero e proprio “navigatore satellitare” per la radioterapia di precisione. “Il Calypso è un dispositivo fondamentale per le neoplasie della prostata, che così possono essere trattate in cinque sedute, contro le 35-40 del trattamento tradizionale – prosegue il dottor Alongi – . Ma può essere utilizzato anche per le lesioni addominali. In particolare per i tumori pancreatici, non curabili chirurgicamente”. Il Calypso infatti utilizza dei “semi” (beacons) di pochi millimetri che riflettono le radiazioni elettromagnetiche permettendo così al “navigatore satellitare” di bloccare le stesse radiazioni quando la lesione non è nella posizione corretta. Mentre nel caso dei tumori alla prostata i semi vengono inseriti chirurgicamente all’interno del tumore, per le neoplasie pancreatiche ed epatiche sono collocati sulla superficie limitrofa delle lesioni.

L’Unità operativa complessa di Radioterapia oncologica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria tratta ogni anno un migliaio di pazienti, con un media di 80 ogni giorno. Accoglie pazienti da diverse province del Veneto ed è attiva una convenzione stipulata con l’Istituto oncologico veneto di Padova. Circa il 20% proviene da fuori regione. L’accesso al trattamento, quando indicato dagli specialisti radioterapisti oncologi, è solitamente immediato: la lista di attesa dalla prima visita al primo trattamento è di sette-dieci giorni.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale contro l'ictus: attenti al cuore

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Il 29 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro l’ictus: prevenirlo è possibile anche riconoscendo le alterazioni anomale del ritmo del cuore. Il 13 e il 14 novembre un convegno a Villa Quaranta

Ogni anno in Italia circa 200mila persone vengono colpite da ictus cerebrale (9mila nel solo Veneto), patologia che rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, la seconda dopo i 65 anni. Rimane anche la maggiore causa di disabilità e i casi sono destinati ad aumentare per il progressivo invecchiamento della popolazione.

Per sottolineare l’importanza di un’adeguata prevenzione (il 20% dei casi sono delle recidive), oggi si celebra la Giornata mondiale contro l’ictus cerebrale giunta all’ottava edizione.

Ma che cos’è l’ictus? “Si tratta dell’arresto improvviso della circolazione cerebrale: il mancato apporto di ossigeno e nutrienti comporta la morte delle cellule neuronali della zona interessata del cervello e quindi la perdita delle funzioni da essa sostenute”, risponde il dottor Alessandro Adami, responsabile dello Stroke Center dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, centro di primo livello nella Rete dell’ictus della Regione Veneto.

Le conseguenze sono devastanti: su circa 1 milione di sopravvissuti all’evento acuto, in Italia il 30% presenta una pesante disabilità che compromette la qualità di vita delle persone e grava anche dal punto di vista economico sulla comunità e le famiglie

“Prevenire l’ictus è possibile – sottolinea di dottor Adami – individuando i fattori di rischio che determinano la nascita di lesioni vascolari a loro volta responsabili di trombi o emboli che possono occludere la circolazione cerebrale”.

È importante quindi tenere sotto controllo la pressione arteriosa, il colesterolo, i trigliceridi, l’aumento del peso corporeo e il diabete. Ma anche il cuore, perché il trombo potrebbe formarsi proprio a livello del muscolo cardiaco ed embolizzare nel cervello. In questo caso al fine della prevenzione dell’evento patologico è molto importante riconoscere quelle alterazioni “anomale” del ritmo cardiaco che possono portare alla formazione di trombi e curarle farmacologicamente in maniera corretta, grazie alla collaborazione tra neurologi e cardiologi.

Proprio alla prevenzione del cardioembolismo cerebrale è dedicato il primo convegno neurovascolare del Garda, che si terrà il 13 e 14 novembre a Villa Quaranta Park Hotel di Ospedaletto di Pescantina. La due giorni è organizzata dallo Stroke Center di Negrar e dalla Stroke Unit dell’Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, diretta dal dottor Giorgio Silvestrelli, con l’obiettivo di mettere a confronto gli specialisti delle tre regioni che insistono sul lago di Garda: Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige.

“Offrendo un evento formativo che si differenzia da tutti gli altri – prosegue il neurologo – vogliamo mettere in luce come ciascuna realtà,in base alle proprie risorse organizzative e territoriali, abbia implementato le linee guida sulla prevenzione dell’ictus, traendo dalle differenze un’occasione di crescita per tutti”.

Ma il convegno non sarà un evento fine a se stesso. “È il punto di partenza di un progetto che mira a creare un network di specialisti territoriali. Neurologi e cardiologi che, sfruttando le nuove possibilità informatiche, possano consultarsi in tempo reale per offrire al cittadino, ovunque egli risieda, le migliori terapie per la prevenzione e la cura dell’ictus”, sottolinea Adami.

Ad oggi la terapia di elezione per ridurre i danni dell’ischemia resta la trombolisi sistemica, un intervento farmacologico che ha lo scopo di “sciogliere” l’embolo responsabile dell’arresto della circolazione cerebrale. In Veneto viene praticata solo nei Centri di primo e secondo livello attivi 24 ore su 24, tra cui Negrar, che ogni anno cura circa 200 nuovi casi di ictus.

Affinché sia efficace la somministrazione deve avvenire entro le quattro ore e mezza dall’insorgere della sintomatologie ed è indicata per i pazienti privi di significative disabilità precedenti. È stato dimostrato che la trombolisi effettuata in Centri specializzati riduce significatamente la disabilità con un maggior numero di pazienti che a distanza di un anno dal trattamento si trovano a casa propria con sintomi assenti o comunque minimi.


Riabilitazione: i tempi dell'uomo al tempo dei robot

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“Fare riabilitazione oggi”, tra i robot e la necessità di mantenere e, per qualche aspetto, recuperare una storia da cui non si può prescindere. Convegno alla Gran Guardia il 5 e il 6 novembre.

“Ritorno al futuro”. E’ un titolo emblematico quello del convegno organizzato dal Dipartimento di Medicina fisica e Riabilitazione dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e dal Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università di Verona che si terrà alla Gran Guardia il 5 e il 6 novembre. Al centro della due giorni scientifica il “fare riabilitazione oggi”, tra le spinte in avanti della tecnologia e la necessità di mantenere e, per qualche aspetto, recuperare una storia da cui non si può prescindere. (vedi programma completo)

“La tecnologia e l’innovazione robotica sono strumenti utili e formidabili, ma il cervello ha i suoi tempi per riprendersi da un trauma o dalle conseguenze di una malattia e la riabilitazione, per essere efficace, non può prescindere dal lavoro necessario e quotidiano dei terapisti sul paziente. La riabilitazione è e sarà sempre fatta da uomini, nonostante i robot”, spiega il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento dell’ospedale di Negrar. Dipartimento che da pochi mesi ha acquisito l’Ekso, l’esoscheletro robotico, l’ultima frontiera della riabilitazione per coloro che hanno perso totalmente o parzialmente la capacità di deambulare.(https://www.sacrocuore.it/lesoscheletro-robotico-lultima-frontiera-della-riabilitazione/)

L’esoscheletro sarà “protagonista” dell’ultima parte del simposio (il pomeriggio di venerdì 6 novembre) con le relazioni di Antonio Frisoli (professore associato di ingegneria meccanica e di robotica presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa) e del dottor Franco Molteni (direttore dell’Unità di Medicina riabilitativa dell’ospedale Valduce “Villa Beretta” di Costa Masnaga). Ci sarà anche la testimonianza come utente del primo maresciallo della Folgore, Simone Careddu, che ha perso l’uso delle gambe nel 2009 a causa di un attentato subito in Afghanistan.

La prima giornata del convegno, che si aprirà alle 9, si concentrerà in mattinata sulle più recenti tecniche di neuro immagine che utilizzano la Risonanza magnetica e la Pet per comprendere come si presenta il cervello dopo una lesione.

Ad aprire le relazioni sarà Martin Monti, docente all’ University of California Los Angeles, studioso della coscienza e del rapporto tra linguaggio e pensiero. A lui sarà dato il delicato compito di rispondere alla domanda: “Misurare la coscienza: si può?”, un interrogativo di particolare interesse soprattutto in presenza di stati vegetativi.

Nel pomeriggio invece, con la presentazione di pubblicazioni scientifiche, sarà trattato il tema della riabilitazione neuropsicologica e degli effetti positivi su persone con lesioni cerebrali, che comportano disturbi della memoria o difficoltà di riconoscimento di visi o oggetti.

La prima parte di venerdì 6 novembre sarà dedicata a “Il tempo della riabilitazione” con un’incursione nel rapporto tra riabilitazione e neuroscienze grazie alla relazione del dottor Adriano Ferrari, dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Mentre Luigi Perdon, fisiatra dell’ospedale di Vicenza, parlerà di “slow rehabilitation” accostandola alla “slow medicine”, il movimento che ha come principio: fare di più non significa fare meglio.

Nel pomeriggio sarà quindi la volta della robotica, sempre più presente nella riabilitazione non solo delle persone con lesione midollare ma di tutti coloro che presentano un disordine del cammino di origine neurologica (da stroke, esiti di trauma cranico, ecc.). “In questa sessione ci occuperemo delle grandi potenzialità e dei limiti dell’utilizzo di questa tecnologia, ascoltando anche le impressioni e le attese che nutre chi ha perso l’uso della deambulazione e magari vede nella robotica la possibilità di tornare a camminare nella quotidianità – prosegue il dottor Avesani -. Ma abbiamo voluto riservare uno spazio anche a una riflessione sulle implicazioni antropologiche ed etiche dell’avvento dei robot in riabilitazione. Se in un futuro non molto lontano si potrà muovere un braccio o camminare grazie a un dispositivo bionico, cambierà l’attuale definizione di uomo?”. Le relazioni su questo tema saranno tenute da Leonardo Piasere e Gianluca Solla entrambi docenti dell’Università di Verona.