Cinquanta operatori dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica per quattro ore si sono messi “nei panni di…” al fine di apprendere le tecniche di accompagnamento e di comunicazione necessarie per approcciarsi nel modo migliore con i pazienti ipovedenti e ciechi. Il corso è stato tenuto da due insegnanti d’eccezione: Fabio Lotti e Marco Andreoli del Progetto Yeah, ramo della cooperativa sociale QUID

Accompagnare una persona con disabilità visiva all’interno di un ospedale non consiste semplicemente “prenderla sottobraccio”, ma mettersi “nei panni di…”, come recita il titolo dell’innovativo percorso di aggiornamento professionale a cui hanno partecipato nelle scorse settimane gli operatori sanitari dell’Unità Operativa Complessa di Oculistica dell’IRCCS di Negrar, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.

Cinque incontri a cui hanno aderito in totale 50 persone, tra infermieri, operatori socio-sanitari ed ortottisti, impegnati per quattro ore in una full immersion nel mondo delle persone non vedenti e ipovedenti. Infatti oltre alla parte teorica, il corso prevedeva anche una dimostrazione pratica con i corsisti che a turno si alternavano nel ruolo dell’accompagnatore e in quello dell’accompagnato, bendato con apposite mascherine.

Anima e docenti del corso sono Fabio Lotti e Marco Andreoli, entrambi disabili visivi, fondatori del Progetto Yeah, della Cooperativa sociale Quid, che si occupa di inclusione a favore di chi è affetto da disabilità di tutti i tipi, offrendo attività di consulenza, progettazione e formazione.

“Supportare in maniera adeguata una persona non vedente o ipovedente durante la sua breve o lunga presenza in ospedale non è così scontato”, afferma la dottoressa Pertile. “Paradossalmente è meno complesso l’approccio con un paziente cieco rispetto a un ipovedente, riguardo al quale è difficile comprendere cosa riesca a fare autonomamente e in cosa invece necessita di aiuto. Ci sono inoltre le persone che prima del ricovero vedevano e che poi, a causa per esempio del distacco della retina dell’unico occhio sano, si trovano improvvisamente a non vedere nulla. Di solito si tratta di una condizione temporanea che comporta comunque la gestione, anche psicologica, di questa grave disabilità”.

In tutti questi casi è importante che l’operatore sia sufficientemente informato e conosca le tecniche di accompagnamento, “ma anche sia dotato di una certa empatia, affinché sia in grado di supportare senza però mettere la persona disabile in una condizione di sentirsi umiliata o avere difficoltà a chiedere aiuto. Il corso simulando la condizione di chi deve affrontare le attività quotidiane senza il supporto della vista è un mezzo efficace per mettersi nei panni dei non vedenti ed è di particolare aiuto per i più giovani e coloro che da poco sono stati assegnati al reparto”, sottolinea il primario.

L’errore più comune che viene fatto è quello di voler guidare i movimenti di un non vedente con le logiche spazio-temporali di chi vede”, spiega Lotti. Per esempio tenere la persona sottobraccio senza considerare lo spazio attorno, si rischia che al primo ostacolo, come lo stipite di una porta, lo si porti a sbattere. “Esistono invece delle tecniche specifiche universalmente riconosciute che se vengono apprese permettono di mettere a proprio agio i non vedenti o gli ipovedenti. Corsi simili sono già stati effettuati anche nelle Università, nelle scuole e nell’ambito dei trasporti. Il corso che si è svolto all’ospedale di Negrar è stato presentato al congresso nazionale Prisma della riabilitazione visiva che si è tenuto il 17 il 18 marzo a Firenze”.

Nella foto di copertina: da snistra la dottoressa Grazia Pertile,. Fabio Lotti e Marco Andreoli, Stefano Zullo e Roberta Foladori, rispettivamente coordinatore infermieristico del Reparto e del Servizio di Oculistica

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