E’ andato in pensione il direttore del Dipartimento di Anestesia, Terapia Intensiva e Terapia Antalgica: “Il senso di questi quattro decenni? La guarigione di quei pazienti che ho temuto di perdere”
E’ un ristorante della Lessinia lo scenario del primo incontro tra l’ospedale di Negrar e un giovane Luigi Giacopuzzi, che dopo 40 anni di servizio al “Sacro Cuore Don Calabria”, di cui 20 come direttore del Dipartimento di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica, dal 1° luglio ha lasciato il testimone di primario al dottor Massimo Zamperini, medico anestesista a Negrar dal 2001.
“Dall’età di 16 anni ho sempre lavorato nei fine settimana e durante i mesi estivi per mantenermi agli studi – racconta il dottor Giacopuzzi con gli occhi lucidi del ricordo -. Mi avevano preso come cameriere in un ristorante sulle montagne veronesi dove venivano molto spesso a pranzo o a cena, con le mogli, il dottor Pierluigi Collavo e il dottor Gastone Orio, allora rispettivamente direttore amministrativo e direttore sanitario dellospedale. Quando vennero a sapere che stavo studiando Medicina mi dissero di andarli a trovare una volta laureato. Non me lo dimenticai. Così fresco di laurea e con la sfacciataggine della gioventù mi presentai a Negrar. Ma non prima di aver obbedito a una condizione del dottor Orio, che era anche primario di Anestesia: ‘Se vuoi venire da noi devi tagliarti i capelli’. Dovetti dire addio alla chioma bionda tipica dei ‘capelloni’ anni Settanta….”.
Il calendario segnava 1 gennaio 1977 e il dottor Giacopuzzi incominciava a lavorare a Negrar seguendo contemporaneamente i corsi della Specialità a Borgo Roma come era consentito a quei tempi. “Erano gli anni in cui l’Anestesia come disciplina medica iniziava a muovere i primi passi – racconta -. Fino a non molti anni prima non esisteva la figura del medico anestesista. Difficile da credere oggi, ma ad occuparsi dell’anestesia e del risveglio del paziente erano le infermiere, in particolare le religiose. Gli anestesisti erano quindi figure ricercate e molto richieste in tutti gli ospedali. Scelsi quello di Negrar per varie ragioni contingenti, ma anche perché rispecchiava i valori nei quali ero cresciuto in famiglia e in ambiente scolastico avendo studiato all’Istituto Don Mazza“.
L’ospedale in cui entrò per la prima volta il dottor Giacopuzzi era solo un embrione del “Sacro Cuore” di oggi. “Era una struttura ospedaliera di provincia che disponeva di sole tre sale operatorie, dedicate a turno all’Urologia, con il dottor Ivano Sigillino, alla Ginecologia, con il dottor Claudio Nenz, alla Chirurgia Generale con il dottor Corrado Castelli e all’Ortopedia con il dottor Segio Godi – continua – Indossavamo il camice alle 8.30 e alle 12.30 avevamo concluso tutti gli interventi. Poi sempre puntuali tutti in mensa! E ci pareva di lavorare tanto… Le liste operatorie – prosegue – sono rimaste invariate nei numeri fino alla metà degli anni Novanta quando in concomitanza con le nuove esigenze e disposizioni regionali è stato avviato un processo di ascesa accompagnato dalla costruzione di un nuovo gruppo di sale operatorie. Oggi – sottolinea il medico – le giornate degli anestesisti iniziano alle 7.30 e si concludono oltre le 20, salvo urgenze. Con 16 sale abbiamo raggiunto un volume di 20mila interventi all’anno. Numeri che descrivono quanto sia cresciuto in pochi decenni l’ospedale di Negrar”.
Nel 1998 il dottor Giacopuzzi viene nominato direttore dell’Anestesia e con il nuovo incarico gli viene affidato anche quello di realizzare la Terapia Intensiva. “Era un passaggio obbligato per lo sviluppo chirurgico dell’ospedale – spiega – perché solo disponendo della Terapia Intensiva si poteva pensare di affrontare in tutta sicurezza interventi chirurgici complessi. Mi recai personalmente nelle migliori strutture ospedaliere italiane e anche straniere, per coglierne da vicino l’efficacia e l’efficienza organizzativa nella diagnosi, cura e terapia del paziente critico, non solo chirurgico. In questo arduo compito mi è stata di notevole aiuto la caposala Germana Pigato che è partita con me fin dall’inizio mettendoci tutto il suo entusiasmo e la sua competenza. Ha plasmato un gruppo di infermieri che ha saputo supportare gli anestestesisti in maniera encomiabile!”.
Attualmente l’attività di Terapia Intensiva e Anestesia è affidata a un’équipe di 23 professionisti, due dei quali dedicati alla Terapia Antalgica. “Se penso che tutto è iniziato con tre medici: il dottor Orio, il suo aiuto, il dottor Carlo Cipriano, purtroppo prematuramente scomparso e che tutti ricordiamo con grande stima ed affetto ed io…. Era proprio un altro mondo, anche perché non disponevamo dei farmaci, dei presidi, delle strumentazioni e delle tecniche, comprese quelle ecografiche, che oggi sembrano una normalità per i giovani anestesisti – afferma il dottor Giacopuzzi -. Esse permettono di assicurare al paziente una maggior sicurezza intraoperatoria e un miglior controllo dei parametri vitali, del decorso e del dolore postoperatorio”.
Ora quel mondo lo osserverà da un’altra prospettiva… “Quando si abita ogni giorno una casa per quarant’anni, lasciarla comporta sempre commozione e nostalgia – sottolinea il dottor Giacopuzzi -. Ma ho avuto la fortuna di poter svolgere il lavoro che volevo fare, in un ambiente per certi versi invidiabile rispetto ad altre realtà, cercando di metterci il maggior impegno possibile… Per questo ringrazio tutti: dall’Aministrazione, che mi ha dato fiducia per tutti questi anni, ai miei colleghi e a quelli di tutti i reparti e servizi con cui ho collaborato per raggiungere importanti obiettivi e dare le migliori cure al paziente. Mi piace citare in particolare l’ex presidente fratel Mario Bonora che mi ha sempre stimato e che, precorrendo i tempi, ha sentito la necessità di creare ‘un ospedale senza dolore’ contribuendo alla creazione della Terapia Antalgica e offrendo un servizio di parto-analgesia 24 ore su 24. Con me porto tanti ricordi e soddisfazioni “.
Due in particolare. “Quando da giovane andavo ai congressi nessuno conosceva l’ospedale di Negrar e un po’ me ne vergognavo. Oggi invece è riconosciuto ovunque come una struttura di eccellenza e per me è motivo di orgoglio. Ma nulla è paragonabile all’emozione che si prova quando un paziente rimasto in terapia intensiva per mesi e a lungo in pericolo di vita ci viene a trovare camminando sulle sue gambe per ringraziarci. È successo anche pochi giorni prima della data del mio pensionamento: quella visita come tante altre simili hanno dato un senso ai miei 40 anni di medico”.
elena.zuppini@sacrocuore.it