Con l’epatologa Maria Chiaramonte entriamo nel vasto mondo delle malattie del fegato, in particolare delle epatopatie autoimmuni per le quali al Centro diagnostico “Sacro Cuore” è nato ambulatorio tenuto dalla professoressa Annarosa Floreani

Sono definite complessivamente epatopatie o patologie croniche del fegato. Hanno diverse cause, ma un’uguale evoluzione, se non vengono diagnosticate e curate adeguatamente: esse infatti portano allo sviluppo della cirrosi e delle sue complicanze e in seguito all’insorgenza dell’epatocarcinoma, il tumore primitivo del fegato. Il trapianto è l’opzione terapeutica estrema, ma “il bravo epatologo lavora proprio per evitarlo”. Ad affermarlo è la professoressa Maria Chiaramonte, epatologa di chiara fama che ha contribuito allo sviluppo dell’epatologia in Italia, diventando, tra l’altro, la prima donna professore ordinario di Gastroenterologia nel nostro Paese. La professoressa Chiaramonte è stata direttore della Gastroenterologia e Endoscopia digestiva dell’Ospedale di Negrar, a cui continua ad offrire la sua preziosa collaborazione. La Gastroenterologia del “Sacro Cuore Don Calabria” comprende Sezione di Epatologia con ambulatori specificamente dedicati alle epatiti virali croniche, alle epatopatie da alcol e all’epatocarcinoma.

Professoressa, quali sono le cause delle epatopatie?
Fino a pochi anni fa avrei posto tra le cause principali i virus responsabili delle varie epatiti, in particolare i virus dell’epatite B (HBV) e dell’epatite C (HCV). Ma per fortuna non è più così, grazie alla disponibilità dei vaccini contro l’epatite A e B e alla scoperta degli antivirali contro l’epatite B, e più di recente contro, l’epatite C. Sia i vaccini sia gli antivirali hanno determinato una drastica riduzione della diffusione del virus. Basti pensare che oggi tutta la popolazione fino a 35 anni è stata vaccinata contro l’epatite B, una delle cause maggiori dell’epatocarcinoma. Resta una fetta di popolazione che può ancora ammalarsi, in particolare i non vaccinati che hanno comportamenti a rischio (scambio di sangue e di liquidi corporei). Anche le epatopatie da alcol sono in calo. Ma è bene ricordare che le sostanze alcoliche sono un cofattore di sviluppo della malattia di fegato.

Cosa significa?
In tutti i casi di patologie croniche del fegato, l’alcol è sempre un fattore peggiorativo del quadro clinico, anche quando non è la causa primaria dell’epatopatia. Per questo noi epatologi di fronte a una diagnosi di epatopatia diciamo sempre: stop con gli alcolici.
Quali sono quindi le cause emergenti di queste malattie?
Sicuramente la steatosi epatica, più conosciuta come “fegato grasso”, cioè un eccessivo accumulo di tessuto adiposo nelle cellule epatiche. Si stima che il 30% della popolazione adulta sia affetta da steatosi e che la percentuale sia in aumento. Questa è, di fatto, una manifestazione della “sindrome metabolica” cioè la “malattia del benessere” largamente presente nella nostra società, in quanto determinata da uno squilibrio tra la quantità delle calorie introdotte e la quantità delle calorie consumate. Tale squilibrio è causa sia di fegato grasso, ma anche di obesità, di cardiopatie, di ipertensione… Molto interessante è il fatto che solo una parte (circa il 10%) delle persone colpite dalle steatosi sviluppa l’epatopatia e che il fegato grasso è presente anche in uomini e donne normopeso.

Come si spiega?
I recenti studi affermano che la comparsa della steatosi è dovuta a una predisposizione genetica, per questo colpisce anche i cosiddetti “magri”. L’insorgere della malattia epatica, invece, è determinato dalla predisposizione genetica sommata alla presenza di un’infiammazione. Sulle cause di quest’ultima esistono varie ipotesi in studio, tra cui la più interessante è il prevalere nella flora intestinale di batteri nocivi. Ciò che è importante sottolineare è che non bisogna mai sottovalutare l’accumulo di grasso nel fegato e di rivolgersi a un epatologo nel momento in cui la steatosi viene diagnosticata. E’ bene fare lo stesso anche quando gli esami del sangue rilevano un’alterazione dei valori epatici (transaminasi e Gamma GT). Vanno escluse cause come virus, alcol e anche steatosi, ma potrebbe esserci in atto anche una patologia autoimmune del fegato.

Di cosa si tratta?
Hanno origini autoimmuni alcune epatiti, la colestasi biliare primitiva e la colangite sclerosante primitiva. Sono considerate patologie rare, ma lo sono principalmente perché sono sotto diagnosticate. Colpiscono, come la maggior parte delle patologie autoimmuni, prevalentemente la popolazione femminile, ma possono insorgere anche nei neonati, nei bambini e nei giovani maschi. Possono avere un andamento molto severo e spesso sono associate ad altre patologie autoimmuni, come quelle reumatologiche o a carico dell’intestino (morbo di Crohn e colite ulcerosa).

Possono essere curate?
Oggi disponiamo di farmaci molto efficaci, come i cortisonici e gli immunosopressori, e, per quanto riguarda la colestasi biliare primitiva, farmaci che agiscono sulla bile. Il problema più rilevante rimane l’identificazione di tali patologie che necessita di centri altamente specializzati. Al Centro diagnostico dell’Ospedale di Negrar è già attivo un ambulatorio che si occupa proprio di queste patologie tenuto da Annarosa Floreani, professore associato in quiescenza dell’Università di Padova e una dei massimi esperti internazionali delle malattie autoimmuni del fegato. Naturalmente, come per tutte le epatopatie, il successo diagnostico e terapeutico delle malattie epatiche autoimmuni è determinato dalla presa in carico del paziente da parte di un team multispecialistico e con queste caratteristiche vorremmo realizzare un centro.

I farmaci possono essere causa di epatopatie?
Sì, ma di solito sono casi rari che riguardano soggetti particolarmente sensibili, in quanto gli eventuali effetti collaterali sul fegato vengono studiati prima dell’immissione in commercio dei farmaci. Piuttosto pochi sanno dei danni provocati dai fitofarmaci, le cosiddette erbe medicinali. Dai miei pazienti sento spesso affermare: “Sono cose naturali, quindi non fanno male”. Ma si dimentica innanzitutto che la moderna farmaceutica ha origine dalla fitoterapia e che se crediamo che le “erbe” abbiano effetto benefico, significa che le consideriamo delle sostanze attive, quindi possono fare bene ma anche male. Un esempio? La curcuma, spezia oggi di gran moda, ha delle grandi proprietà antinfiammatorie, ma se assunta in dosi eccessive e/o associata ad alcuni farmaci o fitofarmaci , può essere causa di epatopatie.

Lei sostiene che il bravo epatologo lavora per evitare il trapianto. In che modo?
Innanzitutto eliminando le cause dell’epatopatia. E questo è possibile solo facendo prevenzione tramite i vaccini, limitando l’abuso di alcol, promuovendo uno stile di vita ed una dieta equilibrata, educando le persone a un uso corretto dei fitofarmaci. In presenza di un’epatopatia cronica l’obiettivo poi è il blocco della sua evoluzione con la prescrizione di antivirali per la cura dell’epatite B e C e di farmaci per le patologie autoimmuni. Nel caso di malattie genetiche da accumulo di ferro (emocromatosi) e di rame (malattia di Wilson), è fondamentale l’eliminazione di questi minerali. Fondamentale è anche la diagnosi precoce della cirrosi e la correzione di tutti i fattori che possono innescare le sue complicanze. Infine, quando si manifesta l’epatocarcinoma va favorito l’accesso del paziente alle terapie più avanzate. Da tutto questo si evince che un “bravo epatologo” non lavora da solo ma è sempre parte di ben organizzate e complesse strutture interdisciplinari dedicate.

elena.zuppini@sacrocuore.it

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