Dall’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria l’augurio di un sereno Natale con la riflessione di padre Miguel Tofful, superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza

La riflessione che propongo in occasione del Natale 2017 ha come tema centrale la fragilità (un argomento che presento nella mia ultima lettera La gioia della profezia). La festa del Natale è un’occasione meravigliosa per renderci conto di quanto sia importante nella nostra vita fermarci e fare silenzio per accogliere dal più profondo del cuore il significato della nascita di Gesù.

 

 

Il mondo oggi valorizza molto l’apparenza, la forza, l’esteriorità e tutto quello che si mostra potente, bello e straordinario; nasconde invece le debolezze e le fragilità. Nasconderle, è un atteggiamento quasi istintivo, per ciascuno di noi. Invece l’esperienza della fragilità è insita nella nostra natura e la sperimentiamo fin dal primo momento della nostra esistenza. Siamo esseri vulnerabili. Usando un linguaggio biblico, possiamo dire che siamo “terra e polvere”.

 

In un certo senso la scienza e la tecnica ci fanno anche credere che tutto si possa “aggiustare”, “sostituire”, “mutare” per “apparire e vivere meglio”, per essere sempre belli e giovani, per essere felici. Questo non significa che non si debba lottare contro la malattia per offrire qualità di vita e dare speranza alle persone. Anzi! E’ un dovere umano e cristiano.

 

 

Tuttavia la fragilità, proprio perché connaturata alla nostra condizione umana, gioca un ruolo importante nella nostra umanizzazione e nella nostra crescita spirituale. Non sapere tutto, non poterlo controllare o dominare è una cosa buona, non un limite o una barriera, perché ci spinge e ci permette di creare relazioni, di mettere in atto processi di solidarietà, complementarietà e comunione nella diversità e reciprocità. Dalla nostra condizione di fragilità deriva la capacità di entrare in relazione con gli altri e soprattutto con l’Altro.

 

“Quando sono debole (fragile), è allora che sono forte” ci ricorda San Paolo. Dio stesso pur potendo salvare il mondo da solo, sceglie la via della fragilità, dell’incarnazione e della collaborazione dell’uomo nel piano salvifico. Cerca la cooperazione dell’umanità, della nostra umanità, crea relazioni, in altre parole Lui che poteva tutto si fa aiutare dagli uomini e chiede la nostra collaborazione. È un mistero grande questo atteggiamento di Dio, anche difficile da capire in un mondo tanto individualista. La scelta di un Dio che prende la via della fragilità per manifestare la sua salvezza ci sconvolge.

 

 

Propongo tre passi significativi partendo dall’invito della Parola di Dio per aiutarci nella nostra riflessione e preparazione al Natale:

 

“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero la più piccola delle città di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo Israele” (Mt. 2,6).

 

Bellissima questa profezia di Michèa, che ci svela il senso profondo dell’agire di Dio: la sua preferenza per ciò che non conta agli occhi del mondo, di ciò che è umile, di ciò che è piccolo e nascosto. E perché questa preferenza di Dio? Perché possa risplendere con evidenza la grandezza della sua potenza, del suo amore misericordioso.

 

 

Il Dio che si rivela nella Sacra Scrittura ama e non si scandalizza dei piccoli e dei limiti. Lui di solito sceglie i luoghi più piccoli per manifestarsi, che la sua presenza rende grandi. Betlemme era la più piccola e meno considerata città di Giuda, ma per Dio non è piccola. Ciò che rende piccola o grande una realtà non è l’apparenza esterna come la nostra logica ci può indicare. È Lui che rende grande ogni realtà geografica e umana. Per Dio contano altri criteri.

 

 

Perché Betlemme essendo materialmente piccola non lo è agli occhi di Dio? Perché ha la capacità di accogliere il Salvatore, perché nonostante la sua insignificanza geografica, la sua fragilità apparente, ha una forza, una dinamica e una potenzialità che la rende all’altezza di ricevere e di accogliere. Una capacità che Dio non cancella mai, è sempre insita nei nostri cuori.

Anche noi, ogni giorno ci troviamo a fare i conti con l’esperienza della “piccolezza”, della fragilità umana, della vulnerabilità nostra e degli altri. Come diceva Don Calabria: “Zero e miseria, buone condizioni”. Anche San Giovanni sentiva i suoi limiti e la sua fragilità, ma Dio ha fatto un monumento alla sua misericordia usando proprio l’umanità fragile di don Calabria.

 

 

Dio, l’Onnipotente si fa Bambino… abbraccia me, sceglie di farsi bisognoso di tutto, così vicino alla mia esperienza perché io possa accoglierlo, senza nessuna paura… Dio si fa fragile come me! Lui non ha paura della mia fragilità… perché io non ne abbia paura, più ancora, perché io lo incontri e lo porti nella mia fragilità.

 

 

Il Natale ci ricorda che Dio abita la fragilità, questo è il grande segno che ricevono i pastori che corrono per incontrare il Salvatore e sono pieni di luce.

 

 

“Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoria” (Lc. 2,12)

 

 

Come allora, oggi viene rivelato a noi in modo significativo quanto manifestato ai pastori nella notte della nascita di Gesù in Betlemme, perché il Natale è la celebrazione di questo grande evento accaduto per tutta l’umanità: la nascita del Salvatore.

 

 

“Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoria” (Lc. 2,10-12).

 

Una notizia così eclatante, un annuncio di grande gioia, fatto con importante solennità per indicare la nascita di un Salvatore, si riduce poi a un segno a prima vista insignificante: “Troverete un bambino avvolto in fasce”.

 

L’incontro con il bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia, ci rende più umani e illumina oggi la nostra vita. Questo bambino esprime la scelta di Dio di abitare nella fragilità. Un Dio che spiega con questo segno cosa significa la fragilità e cosa significa prendersi cura della fragilità dell’altro: diventando fasce di amore concreto che abbraccia e accoglie.

 

Sono tante oggi le forme di fragilità dove Dio abita, dove Dio si manifesta e che incontriamo e tocchiamo con mano ogni giorno. Siamo invitati ad avvolgerle con le fasce dell’amore e la tenerezza, prendendoci cura di esse.

 

 

La fragilità del bambino di Betlemme è un invito a guardare le nostre fragilità che Gesù ha abbracciato e amato sin dall’inizio, e di andare incontro alle condizioni di fragilità e alle ferite dell’uomo del nostro tempo, come ci ricorda frequentemente papa Francesco.

 

Anche don Calabria è stato un innamorato dell’umanità fragile di Gesù incarnato. I suoi grandi amori e la sua mistica partivano dalla grotta del presepe, passando per l’eucaristia fino la croce. Anche lui ha saputo riconoscere Gesù nel piccolo bambino che ha accolto tra gli stracci e nelle tante altre persone che ha accolto con profonda tenerezza, prendendosi cura di loro.

 

Noi membri della Famiglia Calabriana oggi non possiamo soltanto farci abbagliare da cose grandi ed eclatanti per scoprire la meraviglia di un Dio che abita in mezzo a noi. Lui si manifesta nella semplicità e nella piccolezza di un bambino.

 

 

Contemplare Gesù nella mangiatoia avvolto in fasce, toccando con mano la sua fragilità e quella di tanti nostri fratelli e sorelle, ci rende più umani, più vicini, meno giudicanti e pieni di gioia, capaci di sorriso e di tenerezza. Questa è la strada che Lui ha scelto per abitare in mezzo a noi.

 

 

“Alzati, prendi con te il bambino e sua madre …” (Mt. 2,13)

 

 

In questo brano troviamo la Parola e l’ordine che Dio rivolge a Giuseppe dopo la nascita di Gesù a Betlemme: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre”. Un invito che Dio aveva già rivolto a Giuseppe, quando il falegname aveva saputo che Maria aspettava un figlio. Giuseppe nelle due occasioni ha risposto positivamente accogliendo il bambino e sua madre. Questo stesso invito viene rivolto a tutti noi in questo Natale: prendi con te il bambino e sua madre…

 

 

Quale bambino? Quello del presepe, che abbiamo addobbato e preparato in casa? Il bambino ideale, pieno di poesia e di sentimentalismo? Il bambino della superficialità commerciale di queste feste? No! Prendi il bambino che si rivela nella tua fragilità, abbraccialo e portalo con te nell’accettazione dei tuoi limiti. Prendi il bambino che si rivela nella fragilità della tua famiglia nel quotidiano. Prendi il bambino che si manifesta nella situazione di sofferenza che ti coinvolge. Prendi il bambino che si mostra nella fragilità degli altri e che tu non supporti e non accetti. Prendi il bambino che trovi nello sguardo della persona che si rivolge a te. Prendi il bambino nell’umanità e nei gesti concreti delle persone. Prendi il bambino che compromette la tua vita e ti scomoda non lasciandoti in pace. Prendi quel Gesù che ti è stato donato ed è arrivato in maniera imprevista. Quel Gesù che non hai scelto e che sarà il tuo salvatore, perché le situazioni che non si scelgono ma ci si trova a vivere, possono diventare la nostra salvezza. Prendi con te Gesù che è presente nella tua vita. È qui che il Signore ti chiama a una fedeltà nuova. Ecco il bambino che si rivela nella fragilità e diventa per noi salvezza quando è accolto nella nostra umanità rendendoci più umani.

Giuseppe sa che Gesù è il figlio di Dio. È un bambino da custodire, da proteggere e da amare. Questo bambino ha il segno della fragilità ma ha dentro di sé la potenza di Dio. Noi siamo invitati a custodirlo, custodendo la nostra fede quando viene minacciata. Custodire e amare Gesù amando la nostra vocazione e il nostro servizio verso gli altri nel lavoro quotidiano.

 

Proviamo in questo Natale a guardare il bambino che giace nella mangiatoia avvolto in fasce per renderci più consapevoli della nostra fragilità e sensibili alle fragilità degli altri, per costruire un mondo e una società nuova dove regni l’amore e il rispetto per tutti e non l’odio e la prepotenza. Per essere segno e profezia di un amore pieno che manifesta la paternità di Dio che abita fra noi.

 

 

Concludo con questa bellissima preghiera che parla di un Dio che sceglie la via della fragilità e della debolezza per nascere in mezzo a noi dando il vero significato alla nostra vita.

Sono nato nudo, dice Dio, perché tu sappia spogliarti di te stesso.

Sono nato povero, perché tu possa considerarmi l’unica ricchezza.

Sono nato in una stalla, perché tu impari a santificare ogni ambiente.

Sono nato debole, dice Dio, perché tu non abbia mai paura di me.

Sono nato per amore, perché tu non dubiti mai del mio amore.

Sono nato di notte, perché tu creda che io posso illuminare qualsiasi realtà.

Sono nato persona, dice Dio, perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.

Sono nato uomo, perché tu possa essere “dio”.

Sono nato perseguitato, perché tu sappia accettare le difficoltà.

Sono nato nella semplicità, perché tu smetta di essere complicato.

Sono nato nella tua vita, dice Dio, per portare tutti alla casa del Padre.

 

p. Miguel Tofful