Domenica 29 gennaio si celebra la 64ma giornata mondiale dei malati di lebbra. Una malattia rara in Italia, ma non scomparsa, per la quale il reparto di Malattie Tropicali è centro regionale accreditato
Esiste ancora la lebbra in Italia? C’è qualche attinenza tra questa malattia e il fenomeno delle migrazioni? Si può curare? Sono tante le domande che ancora oggi suscita la parola “lebbra”, tanto più che ci sono dei luoghi nel pianeta dove questa malattia continua ad essere una grave minaccia per la salute pubblica, come in alcune zone del Brasile, in Asia e in aree circoscritte dell’Africa. L’occasione per parlarne è la 64ma giornata mondiale dei malati di lebbra, che si celebra domenica 29 gennaio. Una giornata che interessa da vicino anche il Sacro Cuore, dal momento che il Centro per le Malattie Tropicali diretto dal dottor Zeno Bisoffi è riferimento regionale accreditato per le malattie rare infettive, tra cui appunto la lebbra (vedi sito di AIFO, ente che promuove la giornata).
“Ogni anno nel mondo ci sono oltre 200mila nuovi casi di lebbra, ma in Italia la malattia è praticamente scomparsa. Noi qui al Sacro Cuore ne vediamo casi sporadici. Generalmente si tratta di missionari o di persone che hanno lavorato per molti anni in zone endemiche, spesso in aree rurali”, dice la dottoressa Anna Beltrame, medico infettivologo del Centro Malattie Tropicali (vedi foto).
E la questione dei migranti? “Per quanto ci compete non abbiamo mai riscontrato casi di lebbra tra i migranti e in generale direi che non c’è alcun allarme in questo senso – continua la dottoressa Beltrame – Il motivo è che la maggior parte di loro proviene da Paesi africani e in Africa sono poche le zone dove la malattia è endemica. In secondo luogo si tratta per lo più di persone giovani con un buon sistema immunitario, per cui anche se fossero entrati in contatto con il micobatterio della lebbra difficilmente svilupperebbero la malattia”. La lebbra, infatti, rimane silente nel 95% dei soggetti che hanno contratto il micobatterio, un po’ come accade per la tubercolosi. La malattia può essere sviluppata anche molti anni dopo, qualora una persona viva in condizioni di estrema privazione.
In quanto centro di riferimento regionale, il reparto di Malattie Tropicali è attrezzato per fare la diagnosi della malattia, che viene fatta con una biopsia e un esame microscopico diretto. La diagnosi deve poi essere confermata dal Centro di Genova, che rappresenta il riferimento nazionale, con la biologia molecolare. “I sintomi non sono sempre facili da riconoscere, proprio perché è una malattia rara. Possono essere macchie sulla pelle, noduli, papule e problemi ai nervi periferici. A volte si può scambiarli per quelli di altre patologie, ad esempio sciatalgia o tunnel carpale. Per questo al minimo sospetto è importante inviare il paziente a un centro specializzato“, dice Beltrame.
La lebbra è una malattia oggi perfettamente curabile attraverso una terapia antibiotica che dura circa un anno, da somministrare in regime ambulatoriale. Se la diagnosi avviene per tempo si può dunque guarire in modo completo. In caso di mancata diagnosi, invece, la patologia si cronicizza e porta alla menomazione dei nervi periferici, causando paralisi e disabilità.
A livello mondiale, secondo i dati dell’OMS il Paese con più nuovi casi nel 2015 è stato l’India (127.326) seguito dal Brasile (26.395) e dall’Indonesia (17.202). In Europa i casi segnalati sono stati 18.
Proprio con il Brasile esiste un legame particolare da parte dell’ospedale di Negrar anche sul fronte della lebbra. Infatti da alcuni anni il Sacro Cuore collabora con l’ospedale di Marituba, anch’esso gestito dall’Opera Don Calabria, che si trova in un’ex colonia di lebbrosi dove la lebbra è tuttora endemica e diffusa. “Ci sarebbero tutte le possibilità di eradicare la lebbra nell’arco di qualche decennio, proprio perché esiste una cura efficace. Il problema è che si tratta di una malattia negletta sulla quale è difficile portare l’attenzione dell’opinione pubblica”, conclude la dottoressa Beltrame.
matteo.cavejari@sacrocuore.it