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La salute di chi viaggia in montagna ai tropici sarà al centro del convegno di sabato 3 ottobre al Sacro Cuore, dove interverranno numerosi esperti del settore tra cui il dr. Sundeep Dhillon, specialista in adattamento del fisico umano ai climi estremi

Nella primavera del 1996, mentre sulla parete sud dell’Everest si consumava la tragedia raccontata nel kolossal di Baltasar Kormakur in questi giorni nelle sale cinematografiche, che costò la vita a 12 alpinisti, il giovane medico Sundeep Dhillon si trovava sulla parete nord della grande montagna, costretto a ripiegare quando mancavano poche centinaia di metri alla vetta. Prima e dopo quella terribile esperienza, il dottor Dhillon è stato sulle montagne più alte e nei luoghi più inospitali del pianeta, specializzandosi in medicina degli ambienti estremi. Proprio Dhillon sarà tra i protagonisti del convegno “In alta quota ai tropici”, in programma sabato 3 ottobre all’ospedale Sacro Cuore di Negrar (vedi programma).

L’incontro, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali diretto dal dott. Zeno Bisoffi, in collaborazione con la Società Italiana Medicina di Montagna, sarà l’occasione per fare il punto della situazione sul rapporto tra medicina e turismo d’alta quota. Tutto nasce dal fatto che sempre più viaggiatori scelgono per le proprie vacanze luoghi dal clima estremo, come attesta l’organizzazione mondiale del turismo. Magari non scalano un “ottomila”, ma nel loro viaggio si trovano a superare altitudini ragguardevoli, talvolta superiori ai quattromila metri. In queste situazioni il fisico è sottoposto a un grande stress, specialmente per chi non è abituato a certe altezze e non dedica un tempo adeguato all’acclimatamento. Se a questo aggiungiamo che alcune destinazioni d’alta quota molto gettonate si trovano in zone tropicali, il quadro dei possibili rischi e delle precauzioni da prendere si fa ancora più complesso.

Lo scopo del convegno è far dialogare la medicina dei viaggiatori con la medicina di montagna – dice il dott. Andrea Rossanese, responsabile scientifico dell’iniziativa – Infatti ci capita sempre più spesso di vedere che per alcune destinazioni i turisti non partono sufficientemente preparati, sottovalutando parte dei rischi. Ad esempio c’è chi va a fare trekking sul Kilimangiaro, alto quasi seimila metri, senza considerare che prima di arrivare in quota ci sarà da trascorrere un periodo molto più in basso, in zona equatoriale tra Tanzania e Kenya, con il rischio di contrarre la malaria o altre malattie endemiche. Oppure c’è chi va in Perù preoccupandosi delle malattie di quella zona tropicale, ma con poco riguardo al fatto che in alcuni punti del viaggio si potranno toccare quote davvero ragguardevoli, come i 4,500 metri del Passo del Condor, con gli annessi rischi di mal di montagna o di edema polmonare“.

Il convegno, che si apre alle ore 9.00 ed è aperto a tutti, prevede la partecipazione di numerosi esperti del settore. Nella prima parte della mattinata, un gruppo di medici della Società Italiana Medicina di Montagna, esperti di fisiopatologia, faranno un approfondimento sui problemi dovuti all’alta quota: mal di montagna, edema cerebrale ed edema polmonare. A seguire, saranno i medici del Centro per le Malattie Tropicali del Sacro Cuore a parlare di alcune patologie tipiche dell’ambiente tropicale e dei loro risvolti in contesti di montagna. In particolare si parlerà di malaria, dengue e infezioni gastrointestinali. Nel pomeriggio ci sarà l’intervento del dott. Sundeep Dhillon, dello University College di Londra, che parlerà di adattamento del fisico umano alle temperature estreme.

L’iniziativa del 3 ottobre si pone all’interno di un più ampio contesto di formazione dei professionisti della sanità all’interno della medicina dei viaggi, portato avanti dall’ospedale Sacro Cuore. Infatti se da una parte la medicina dei viaggi tratta ampiamente tutte le pratiche mediche necessarie a garantire il più alto livello di sicurezza per coloro che vogliono intraprendere viaggi in Paesi con rischi sanitari più elevati del nostro, spesso l’ambiente montano presenta delle peculiarità sia fisiologiche (come la scarsità di ossigeno) che ambientali (come le ridotte temperature) che rendono necessarie delle integrazioni teoriche e pratiche al bagaglio scientifico di un operatore sanitario. E tali integrazioni possono arrivare proprio dall’incontro e dal confronto con la medicina di montagna.