Il dottor Guido Prigione ci spiega come avviene l’intervento di cataratta, che negli ultimi anni ha visto un’evoluzione soprattutto per quanto riguarda le lenti sostitutive del cristallino. Ma a fare la differenza è sempre l’abilità del chirurgo

I primi sintomi, per chi ha sempre visto bene, insorgono tra i 70 e gli 80 anni, per i miopi elevati già verso i 50-60 anni. La cataratta “si presenta” con un calo lento e progressivo della vista (“questi occhiali non vanno più bene”) e con difficoltà di visione notturna: un esempio è l’effetto abbagliante provocato dai fari delle automobili. Se i sintomi sono questi è il caso di rivolgersi all’oculista, perché, forse, la cataratta è ‘matura’.

 

 

“Il temine ‘matura’ si usava alcuni anni fa e indicava il momento ideale in cui intervenire in modo tale da poter facilmente estrarre per intero il cristallino. Le tecniche che usiamo oggi frammentano il cristallino con gli ultrasuoni, di conseguenza attendere che la cataratta assuma la consistenza di un sassolino non è più necessario anzi sottoporrebbe l’occhio a un maggiore insulto infiammatorio con rischi di complicanze evitabili semplicemente intervenendo prima”, spiega il dottor Guido Prigione (nella foto di copertina), chirurgo oftalmologo dell’Oculistica, diretta dalla dottoressa Grazie Pertile, che ogni anno effettua circa 2.500 interventi di cataratta in regime di convenzione col sistema sanitario nazionale.

 

 

Dottor Prigione, cos’è la cataratta?

Si parla di cataratta in presenza di opacità del cristallino, cioè di quella lente, a forma di lenticchia, che si trova all’interno dell’occhio, dietro l’iride, tenuta in posizione da una serie di legamenti sospensori. Con il passare degli anni il cristallino si opacizza, comportando in genere una riduzione dell’acuità visiva (è come se la luce passasse attraverso una finestra sporca), che porta la persona a perdere lentamente la vista. In genere i soggetti miopi riferiscono un peggioramento del loro difetto visivo, mentre gli ipermetropi tendono a vedere meglio senza occhiali.

 

 

In cosa consiste l’intervento?

L’intervento comporta la sostituzione del cristallino che viene estratto attraverso un’apertura rotonda del lato anteriore del sacco che lo contiene, definita capsuloressi. Il facoemulsificatore, uno strumento ad altissima tecnologia che emette ultrasuoni, consente di frantumare e contemporaneamente aspirare il cristallino per lasciare posto alla nuova lente, che verrà quindi iniettata all’interno del sacco originale utilizzato come impalcatura.

 

 

Riguardo alle lenti sostitutive negli ultimi anni si è avuto un notevole progresso tecnologico.

Oggi possiamo impiantare sia le classiche lenti monofocali che le cosiddette IOL (Intraocular Lens) ad alta tecnologia. Si tratta di una serie di cristallini artificiali in grado di corregge potenzialmente tutti i difetti visivi della persona, quindi la miopia, l’ipermetropia, la presbiopia e l’astigmatismo: di fatto, con queste lenti, possiamo rendere la persona indipendente dall’uso di occhiali. Attualmente gli interventi eseguiti in convenzione col Servizio Sanitario Nazionale prevedono solo l’intervento con lenti monofocali, mentre per le lentine Premium ad alta tecnologia è necessario richiedere un intervento in libera professione che nel nostro ospedale viene eseguito in regime di intramoenia dagli stessi chirurghi.

 

 

Le IOL ad alta tecnologia sono indicate per tutti?

No. Per stabilire l’indicazione all’impianto è necessario sottoporre il paziente ad una serie di esami supplementari rispetto a quelli previsti per l’intervento classico, fondamentali anche per la scelta della lente più adatta.

 

 

L’intervento viene eseguito con quale sedazione e richiede ricovero?

Tutti gli interventi di cataratta, indipendentemente dal tipo di lentina da impiantare, sono eseguiti con anestesia topica, con l’utilizzo cioè di semplici colliri anestetici. L’anestesia locale, un’ iniezione di anestetico eseguita vicino al bulbo oculare (simile a quella che viene praticata dal dentista), viene utilizzata solo in rari casi o perché si teme una scarsa capacità di fissazione del paziente oppure se le caratteristiche dell’occhio ci fanno temere la possibilità di incorrere in complicanze in sede di intervento. L’anestesia generale viene proposta ai pazienti claustrofobici che non riescono a sopportare la presenza del telino operatorio davanti al viso. L’intervento viene effettuato in regime ambulatoriale, pertanto il paziente si trattiene in ospedale per la sola durata dell’operazione.

 

 

Sfatiamo alcune false convinzioni. La prima: l’intervento di cataratta è privo di rischi

Non è vero. Come in ogni intervento chirurgico si corre il rischio di contrarre un’infezione. Essendo una chirurgia intraoculare i casi più gravi posso subire un gravissimo danno alla vista. Gli studi internazionali rilevano 1 caso di infezione su circa 8mila occhi operati. E’ chiaro che un paziente anziano e defedato può incorre in un rischio maggiore rispetto a un cinquantenne in buona salute, tuttavia la statistica riguarda tutti. Un altra potenziale complicanza è legata alla possibilità aumentata di avere un distacco di retina entro i primi due anni dall’intervento: tanto più un paziente è giovane e/o miope tanto maggiore sarà il fattore di rischio. Grazie alle nuove tecnologie siamo quindi in grado di operare pazienti che sono all’esordio della cataratta e che desiderano non portare più gli occhiali, ma è fondamentale che sappiano che come per tutti gli interventi anche quello alla cataratta non è privo di controindicazioni.

 

L’intervento di cataratta è un intervento veloce quindi banale

Attenzione a non confondere la relativamente breve durata dell’intervento (in media 10 minuti) con la semplicità dello stesso. Se la procedura è veloce, è merito dell’abilità del chirurgo e delle strumentazioni sempre più avanzate. L’intervento di cataratta richiede una tecnica chirurgica notevole che si acquisisce solo dopo centinaia di interventi e i margini di errore sono pochissimi. Ai miei pazienti spiego sempre che è come fare un giro di pista in macchina: se l’intervento dura poco non è perchè banale ma perchè ci sta operando un pilota di Formula 1.

 

 

L’utilizzo del laser garantisce la buona riuscita dell’intervento

Non è vero. La riuscita ottimale dell’intervento dipende molto dall’abilità del chirurgo. Il laser è un efficace strumento operatorio che può aumentare la precisione di alcune fasi dell’intervento. Studi internazionali hanno tuttavia provato che il suo utilizzo aumenta i costi e i tempi dell’intervento senza un reale beneficio per il paziente. Elementi di certo non trascurabili all’interno di un servizio sanitario nazionale.

                                                                                                                        elena.zuppini@sacrocuore.it