Sabato 28 settembre all’IRCCS di Negrar si terrà il 13° Seminario di Reumatologia della Valpolicella, promosso dal dottor Antonio Marchetta, responsabile del Servizio di Reumatologia del “Sacro Cuore Don Calabria”. Tra i tanti argomenti si parlerà anche della gestione del paziente con osteoporosi, patologia considerata solo femminile. Vediamo perché non è così
Un appuntamento che è saltato in agenda solamente durante la pandemia da Covid-19 e nonostante questo è giunto alla 13esima edizione. Si tratta del Seminario di Reumatologia in Valpolicella, organizzato dal dottor Antonio Marchetta, responsabile del Servizio di Reumatologia dell’IRCCS di Negrar in programma sabato 28 ottobre nella sala convegni del “Sacro Cuore Don Calabria”. (clicca qui per il programma).
L’evento scientifico è rivolto a tutti coloro – medici e paramedici – che sono coinvolti nella presa in carico del paziente reumatico. In particolare i medici di medicina generale, i primi a cui i pazienti si rivolgono quando avvertono sintomi che potrebbero essere ricondotti alle malattie reumatologiche.
Tra i relatori la dottoressa Giovanna Scroccaro, dirigente del Servizio farmaceutico della Regione Veneto, presidente della Commissione tecnica regionale per i farmaci e di quella per i dispositivi medici e presidente del Comitato prezzi e rimborso (Cpr) dell’Agenzia Italiana del Farmaco. A lei spetterà il compito di illustrare la politica della Regione per quanto riguarda i farmaci innovativi (biotecnologici, biosimilari e piccole molecole) anche alla luce delle novità terapeutiche che saranno introdotte sul mercato. Questi principi attivi hanno impresso una svolta soprattutto nella cura delle artriti croniche e spondiloartriti, tanto che oggi si può parlare in molti casi di remissione clinica, ma l’alto costo obbliga a un utilizzo economicamente sostenibile in modo tale che ogni paziente possa usufruire del farmaco più indicato per la sua situazione clinica e in tempo più precoce possibile.
Tra i tanti temi che verranno trattati durante il convegno vi è anche quello della gestione del paziente con osteoporosi (interverrà il professor Davide Gatti dell’Università di Verona), malattia cronica caratterizzata da una progressiva riduzione della massa ossea e da una concomitante alterazione della micro-architettura dell’osso, tale da aumentare il rischio di frattura. Con conseguenze invalidanti (di solito si tratta di anziani) e costi sanitari e sociali altissimi.
Molto diffusa tra popolazione generale (si stima che in Italia ne soffrano 5 milioni di persone) è da sempre considerata una patologia esclusivamente femminile. L’80% dei malati sono infatti donne in menopausa, un momento della vita femminile cui brusco calo di estrogeni agisce, diminuendone l’attività, sugli osteoblasti (le cellule deputate alla crescita della massa ossea) lasciando ampio campo ai osteoclasti, che hanno il compito di demolire l’osso ‘vecchio”, per permettere la sua rigenerazione. Tuttavia pochi sanno che 1/3 delle fratture dovute alla fragilità ossea interessino gli uomini e la mortalità dopo la frattura femorale è superiore nell’uomo rispetto alla donna.
“Che l’osteoporosi sia anche una patologia che può colpire anche gli uomini, è un messaggio difficile da far passare, non solo ai pazienti”, afferma il dottor Marchetta. “E’ vero che il calo fisiologico del testosterone con l’avanzare dell’età non è repertino come nel caso degli estrogeni nella donna con la menopausa. E’ anche vero che l’uomo ha maggiore massa ossea e la mantiene più a lungo, ma c’è tutta una serie di fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza dell’osteoporosi nel sesso maschile, per la gran parte gli stessi che interessano la donna. E’ che è fondamentale tenerne conto, perché l’osteoporosi è una patologia subdola: spesso ci si accorge di averla solo dopo una frattura, in generale alle vertebre, al femore e al polso”, sottolinea il reumatologo.
Quali sono i fattori di rischio?
Innanzitutto la predisposizione familiare: se si ha la madre o il padre che hanno subito fratture ossee per osteoporosi, la probabilità di ammalarsi di osteoporosi è rilevante. Inoltre hanno un peso gli stili di vita, soprattutto il fumo e l’alcol che inibiscono l’attività degli osteoblasti, e la sedentarietà. Un fattore di rischio molto importante è l’utilizzo di cortisone (non solo per bocca, in muscolo o endovena, ma anche sotto forma di spray nasale) per curare le tante malattie croniche infiammatorie e autoimmuni, come quelle reumatiche.
Oltre al cortisone, ci sono altri farmaci ‘dannosi’ per l’osso?
Tra quelli maggiormente impiegati ci sono la levotiroxina, indicata per l’ipotiroidismo, gli anti-convulsionanti, gli inibitori di pompa protonica (pantoprazolo e lansoprazolo) usati erroneamente in modo continuativo per problemi gastrici.
Tra i fattori di rischio sono comprese anche le patologie?
Certamente. Come abbiamo già detto le malattie reumatiche infiammatorie o autoimmuni o quelle intestinali (IBD, celiachia, malassorbimento), le patologie endocrinologiche tiroidee, il diabete mellito, l’asma, le demenze, l’anoressia… Per l’uomo riveste importanza l’ipogonadismo che causa una ridotta produzione di testosterone. Non da ultime le forme di tumore del seno e della prostata positive ai ricettori ormonali, perché vengono impiegati farmaci che hanno come obiettivo la riduzione della produzione di ormoni sia maschili che femminili.
A partire da quale età è consigliato sottoporsi a densitometria ossea?
La densitometria ossea o MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata) è un esame radiologico che misura la densità e la massa ossea. Per la donna è indicato effettuarla dopo 2-3 anni dalla scomparsa del ciclo mestruale, per gli uomini, un po’ più tardi, intorno ai 60 anni. Ma la densitometria è solo un esame strumentale e come tale deve essere letto alla luce di eventuali fattori di rischio. Una MOC positiva, cioè all’interno del range di valori che indicano osteoporosi, non corrisponde necessariamente alla necessità di trattamento farmacologico. Come un esame negativo non esclude una terapia. Per esempio la nota 79 dell’AIFA indica espressamente che i pazienti oncologici sottoposti a terapia ormonale devono essere trattati con l’anticorpo monoclonale Denosumab anche se la MOC è negativa. Questo perché le terapie ormonali implicano un calo di massa ossea dal 2 al 4% ogni anno.
Anche per l’osteoporosi quindi disponiamo di farmaci biotecnologici
Il Denosumab è un farmaco biotecnologico e viene usato in seconda linea, quando i bifosfonati, principi attivi chimici di lunga data, non sono efficaci o quando ci sono controindicazioni all’impiego. E’ in arrivo a fine anno il biosimilare (o, con un termine non corretto, generico) del Denosumab, altrettanto efficace ma con un costo più basso dell’originale che ci permetterà di trattare molti più pazienti. E’ invece già in commercio un farmaco che definirei fantastico, il Romosozumab. Esso somma in sé l’azione anti riassorbimento dell’osso dei biofosfonati e del Denosumab e quello del Teriparatide, che essendo un anabolizzante aumenta la massa ossea. E’ bene sottolineare che non tutti i farmaci sono adatti per tutti i pazienti, ognuno ha la propria indicazione.
Sui bifosfonati aleggia da sempre un grande timore: danneggiano l’osso della mandibola
E’ vero solo in parte. I bifosfonati favoriscono l’infezione dell’osso (osteomielite) solo là dove è già presente in bocca un’infezione, come le paradontite, o in generale una cattiva igiene della bocca. Per questo prima dell’inizio della terapia con questi farmaci è obbligatoria una visita odontoiatrica, un’attenta igiene orale e se è necessario l’esecuzione di un’ortopantomografia per studiare meglio la qualità dell’osso.
Quindi le regole per prevenire l’osteoporosi sono le stesse sia per la donna sia per l’uomo?
Esattamente. Stili di vita sani, supplemento di vitamina D e calcio, attività fisica aerobica all’aperto e una dieta varia. E’ raccomandabile una densitometria ossea periodica. Perché purtroppo l’osteoporosi non si annuncia: nella gran parte dei casi ci si accorge di averla solo dopo una frattura.