La Regione Veneto promuove uno screening gratuito per la diagnosi dell’HCV, il virus responsabile dell’epatite C, ed è rivolto a tutte le persone nate dal 1969 al 1989. Il test (un semplice prelievo di sangue) può essere effettuato anche al “Sacro Cuore DOn Calabria” su prenotazione.  Ma cosa può comportare l’infezione da HCV? Lo spiega nell’intervista la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa

Viene effettuato anche all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria lo screening per la diagnosi dell’HCV, il virus responsabile dell’epatite C, promosso dalla Regione Veneto. Si tratta di un semplice prelievo di sangue che è possibile prenotare direttamente sul sito www.sacrocuore.it, bottone “prelievo senza coda”. Non serve l’impegnativa ed è totalmente gratuito. In alternativa si può attendere di ricevere l’invito ad effettuare il test seguendo le indicazioni che verranno fornite dalla propria Ulss.

Lo screening è rivolto a tutte le persone nate tra il 1969 e il 1989 e ad alcune popolazioni come i detenuti e coloro che sono seguiti dai Servizi delle Dipendenze.

Sara Boninsegna, gastroenterologa IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Sara Boninsegna

“Lo screening ha un doppio obiettivo. Innanzitutto la diagnosi precoce per la cura dell’epatite C è fondamentale per prevenire  complicanze dell’infezione, quali la cirrosi e quindi, in molti casi, il tumore del fegato (epatocarcinoma) in popolazioni selezionate come coloro che sono seguiti dai Servizi delle Dipendenze e i detenuti. Inoltre la guarigione di tutti malati interrompe la catena dell’infezione, eradicando di fatto il virus. Questo è possibile grazie alla disponibilità di farmaci altamente efficaci”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa della Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’IRCCS di Negrar. “Sottolineo anche – prosegue – che non non esiste memoria immunologica protettiva contro tutti i tipi di virus HCV, pertanto il test è consigliato anche per coloro che sono già stati infettati”.

Dottoressa Boninsegna, cos’è l’epatite C?

Si tratta di un’infezione del fegato provocata dal virus HCV: l’OMS stima che nel mondo vi siano 58 milioni di persone con malattia cronica, e ogni anno si registrano 1,5 milioni di nuove diagnosi. E’ una patologia subdola, perché in fase acuta non dà sintomi specifici, ma comuni ad altre patologie, come per esempio una forte stanchezza (astenia). Pertanto è raro che il paziente si rivolga al medico nella fase iniziale dell’infezione se non nel caso in cui esegue per altri motivi gli esami del sangue e risultino dei valori anomali delle transaminasi. Oppure nell’ambito di protocolli diagnostici per patologie immunosoppressive o reumatologiche per le quali è compreso anche il test per l’HCV.

Perché può trasformarsi in una patologia grave?

Se nel 20% dei casi l’infezione si risolve da sola, in ben l’80% cronicizza con il rischio di trasformarsi in cirrosi (20%) e quindi (nel 2-3% dei casi) in tumore del fegato. Quando la patologia è avanzata può portare anche a problemi renali o reumatologici, e diventare fattore di rischio per i linfomi. Più che l’infezione, sono pesanti per il paziente – e onerose per la Sanità pubblica –  le complicanze che comporta se la patologia non viene trattata.

Come si contrae l’infezione?

Tramite il contatto con sangue infetto. Prima degli anni ’80, quando l’HVC non era stato ancora scoperto, una delle maggiori fonti di infezione erano le trasfusioni. Alcuni anni fa vedevamo anche pazienti infettati dopo cure odontoiatriche o causa di tatuaggi, nel tempo in cui venivano effettuati in ambienti non idonei. Oggi diagnostichiamo l’HCV in persone che hanno un presente o un passato di tossicodipendenza, con l’assunzione di sostanze stupefacenti per vena. Invece è rara la trasmissione sessuale, a differenza dell’epatite B, per la quale  esiste il vaccino che non abbiamo invece per la C.

Come viene diagnosticato il virus HCV?

Con un semplice prelievo di sangue. Ma attenzione: se il test rileva l’anticorpo HCV non significa che sia in atto l’epatite C. Può anche essere che il soggetto sia venuto in contatto con il virus e abbia sviluppato gli anticorpi. La diagnosi definitiva viene fatta con la ricerca del genoma del virus, tramite indagine di biologia molecolare.

Quali sono le terapie?

La svolta nella cura dell’epatite C è arrivata nel 2014, anno che segna la disponibilità di farmaci in grado di debellare per sempre l’infezione. In precedenza usavamo l’interferone associato con la ribavirina. Molecole che erano poco tollerate dai pazienti a causa dei pesanti effetti collaterali e inoltre l’efficacia era solo del 70% per genotipi più sensibili e si fermava al 40% per quelli meno sensibili. Grazie alla ricerca, oggi possiamo usare degli antivirali diretti, in grado di inibire la replicazione del virus. Sono farmaci ben tollerati dal paziente. L’unico problema consiste nell’interazione con altri farmaci. Pertanto richiedono una certa attenzione nella prescrizione se il paziente assume altre terapie (per esempio per il colesterolo, per il reflusso o per l’epilessia…). La terapia prosegue al massimo per tre mesi e il farmaco viene distribuito dalle farmacie ospedaliere.

Tutti i pazienti hanno accesso ai farmaci?

Tutte le persone colpite dal virus possono accedere alla terapia. All’inizio gli antivirali a causa dell’alto costo erano prescritti solo ai pazienti con patologia avanzata. Con l’arrivo di più farmaci sul mercato (nel 2019) i costi per il Servizio Sanitario Nazionale si sono notevolmente abbassati dando la possibilità a tutti di curarsi.